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LIFOS – Laboratorio Informatico Free Open Source

lifos.jpgAll’attenzione di tutti gli interessati al mondo dell’attivismo del software libero e dell’open source.

A partire dalle importanti esperienze nel panorama dell’associazionismo del software libero in ambito locale e nazionale maturate negli ultimi anni dai soci fondatori, e con una forte volontà di rinnovamento e progresso, nasce in questi giorni, il

LIFOS, Laboratorio Informatico Free Open Source

un’associazione culturale ed un laboratorio sperimentale che mira alla diffusione ed alla promozione del software open source e dei formati e protocolli aperti, basandosi sui principi dell’etica hacker.

Vuole proporsi come realtà importante nel mondo dell’associazionismo del software libero milanese (ed agire come spinta e fonte di slancio), tramite la collaborazione stretta e continuativa con le altre realtà, costituite e non, già presenti e radicate sul territorio.

Anche se la neonata Associazione ha sede a Cinisello Balsamo, essa si ripromette di operare in tutto il panorama della Provincia di Milano, tramite proprie iniziative o tramite sinergie di rete con le altre associazioni già presenti ed attive sul territorio.

Tenendo presente che una prima serata di “presentazione e benvenuto” si terrà questo giovedi, a partire dalle ore 21:00, presso il Laboratorio Innovazione Breda, a Sesto San Giovanni, vi invitiamo a visitare il sito http://www.lifos.org, o a scrivere a info@lifos.org, per ottenere maggiori informazioni.

Ai Soci

Visto che non ho più diritto di parola in OpenLabs, e che i tempi stringono (almeno non potranno accusarmi di non aver avvisato per tempo, dopo aver accuratamente eliminato copia di questa email dalle richieste di moderazione delle liste), posterò anche qui la mia lettera ai soci di OpenLabs per spiegare la mia assenza alla “riunione” di questa sera. Non credo ci sia nulla di segreto (sono parole mie, e la dove sono citate altre persone, posso fornire prove delle situazioni citate), quindi non mi faccio scrupoli.

Cari soci,

scrivo questa mia per annunciare che non sarò presente, come invece richiestomi, alla riunione prevista per il 4 giugno sera, in sede.

Le motivazioni sono diverse, ma la principale è la mia volontà di non volermi sottomettere al tribunale inquisitorio che alcuni soci cercano di far passare sotto il nome di “Riunione chiarificatrice”, lo stesso tribunale al quale erano stati sottomessi, a mia insaputa, alcuni soci “dissidenti” al termine dell’ultima assemblea dei soci, lo scorso aprile, proprio pochi minuti dopo che l’assemblea stessa aveva confermato l’intenzione di guardare al futuro e tralasciare il doloroso passato. Nemmeno pochi minuti era durato il “dita incrociate” di quei soci che oggi chiedono a gran voce l’incontro, nei quali riponevo la mia fiducia (come in tutti gli altri soci, d’altro canto) e che cosi male invece l’hanno ripagata.

In questi ultimi giorni, sulla lista direttivo e tramite email private, sono stato accusato di essere un doppiogiochista, di essere stato ambiguo ed addirittura di essere stato io l’origine di tutti gli attuali mali di OpenLabs, nell’oggetto della mia lettera aperta che voleva segnalare il nuovo rabbuiarsi di un orizzonte che ora ci piove in testa dolorosamente.
Con queste premesse, e visto anche che mi è stata tolta qualsiasi possibilità di risposta (non posso piu scrivere, ne vengono sbloccate dalla moderazione le mie email inviate alla lista direttivo, dove invece vengo ancora attaccato da Fabrizio e Tommaso, nel silenzio piu totale degli altri membri dello stesso), non mi sembra proprio il caso di essere presente a quella riunione, ne ho intenzione di partecipare all’Assemblea del 25 giugnio, che sancirà il definitivo passaggio ad una forma associativa (la dittatura dei burattinai) nella quale non mi riconosco.

Non credo di avere nulla di cui rimproverarmi sul mio operato. Mi sono sempre fidato dei miei colleghi di direttivo, trattando tutti con il massimo rispetto (salvo quando questo è venuto meno nei miei confronti).
Mi sono sempre fidato dei soci, al punto da non richiedere, nonostante la responsabilità di questa scelta ricadesse sulle mie spalle, ulteriori protezioni all’accesso al server di sede dell’Associazione se non quella esile catenella che sperava la zona degli “addetti ai lavori”.
I soci hanno sempre degnamente ripagato la mia fiducia, fin che Tommaso Ravaglioli non ha deciso di non esserne piu degno (il che insegna ancora una volta come le violazioni informatiche avvengano principalmente in seno alle organizzazioni e non da remoto).
Il mio lavoro per l’Associazione (del quale non farò alcuna lista, come invece richiestomi da Ravaglioli, perchè non si contano le pecore, per giudicare le capacità di un pastore, e perchè chi mi conosce già sa) ritengo sia stato importante e sempre limpido, fatto d’impegno personale (in termini di tempo, fatica, ma anche economico), il quale viene però ora improvvisamente dimenticato e anzi, manipolato in modo da farmi sembrare un irresponsabile. A questi giochi, non ci stò. Il mio intento in OpenLabs, è sempre stato quello di diffondere l’uso e la conoscenza in materia di software libero, non quello di dar vita a stupide quanto inutili lotte di potere come quelle alle quali ho assistito in questi ultimi tempi.

Ciò detto, taglio corto. Con questa mia, si conclude la mia interazione diretta con l’Associazione (pur rimanendone socio, visto che la mia quota l’ho regolarmente pagata e tutt’ora ne condivido le finalità).

Porgo a voi tutti i miei piu cordiali, distinti e dispiaciuti saluti.

Giacomo Rizzo

Fuori da OpenLabs

E cosi, alla fine, la lunga agonia è finita.

Dopo essere stato attaccato su tutti i fronti, accusato di aver “snaturato l’associazione”, di essere un doppiogiochista (questa è roba nuova, ma visto che coinvolge altre entità, non ne parlerò in questa sede), dopo essere stato accusato di essere l’artefice di tutti i mali recenti di OpenLabs, ecco che il nostro buon F. mi ha tolto definitivamente l’accesso ai server che gestivo (dei quali lui è ora il nuovo Responsabile Tecnico [brrr]) e il permesso di scrivere (e cosi difendermi dalle sue accuse) sulla lista del Consiglio Direttivo.

Si conclude qui una fase della mia vita nel mondo dell’Associazionismo del FreeSoftware. Questo, naturalmente, non significa che mi fermo, anzi 😉

Mi auguro solo che le persone che mi hanno visto lavorare in questi ultimi anni, si basino sul mio operato e non sulle menzogne che F. e soci stanno spalando in giro (telefonate dietro le quinte, e via dicendo).

Presto, su questi schermi, gli aggiornamenti 😉

Innovazione d’importazione

Sono ormai alcuni anni che si sente parlare di “bisogno di innovazione”, di “necessità di innovare”, in particolare nei discorsi piu o meno elettorali dei nostri politici. Ieri mi chiedevo, alla fin della fiera, il senso di questa benedetta “innovazione” che si va cercando.

Infatti le dichiarazioni sono piuttosto contrastanti: da una parte si sente questa impellente necessità di “innovare”, dall’altra si continua a considerare la formazione un puro costo, sia in termini di tempo, sia in termini prettamente economici. Ecco allora che le aziende italiane cercano di “delocalizzare” i settori di “Ricerca e sviluppo”, che la “Ricerca” nel Bel Paese è appannaggio della sola università, che non si finanziano i dottorati di ricerca, che si spendono barcate di danaro in strutture “di eccellenza” che rimangono chiuse per ristrutturazione mentre raccolgono i fondi (IIT di Genova, la cui sovvenzione è stata patrocinata dall’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti).

Non ci vuole molto ad associare a questo spirito anche la mitica “fuga di cervelli”, che ormai da anni impoverisce drammaticamente il settore della ricerca del Bel Paese, trasferendo quasi tutta l’eccellenza fuori dai confini nazionali, a vantaggio di quegli stati dove si è finalmente capito che è proprio dalla ricerca e dalla formazione che si ottiene quella “innovazione” che tanto serve per il “futuro”.

Ma non è solo colpa dello “stato”, come spesso si ritiene. Anche le aziende considerano la formazione del personale un puro costo nella maggior parte dei casi: basti pensare che Microsoft inserisce la “necessità di formazione” nel “Total Cost of Ownership” che sfrutta per affossare GNU/Linux nella corsa alla fornitura di servizi software (salvo poi ritrattare quando deve vendere Vista e Office 2007, guarda un po’…).

Ma allora, tutta questa “innovazione” di cui si farnetica, più che prodotta, deve essere solo importata? Davvero riteniamo l’Italia un paese di “poeti, santi e navigatori” al punto da considerare inutile il minimo impegno per la Nostra innovazione? Innovazione significa acquistare dagli Stati Uniti o dalla Cina le tecnologie, e limitarci ad adottarle, come pecore?

L’altro giorno, discorrendo piacevolmente con un collega, mi raccontava di come un’impresa che cerchi di valorizzare un progetto, si imbatta immancabilmente con le banche che, per concedere un finanziamento, usano come unico parametro di valutazione le immobilizzazioni che l’azienda detiene: e nel caso di aziende che fanno software? Che magari hanno in mano l’idea rivoluzionaria, e chiedono fondi per buttarsi nel mercato? Niet. Ciccia. Cavoli vostri (e non mi si venga a dire che la soluzione a questo problema sarebbero i brevetti software…)

A tutto questo, con un involontario tempismo da far invidia, presento un appuntamento all’organizzazione del quale ha partecipato anche il sottoscritto: martedi 22 maggio, dalle ore 21:00 presso Villa Ghirlanda a Cinisello Balsamo, Franco Filippazzi parlerà della sua esperienza nell’ambito del progetto ELEA 9003, e della storia di un’azienda che ricerca ed innovazione ne faceva (la Olivetti di Adriano Olivetti) ma che fu letteralmente demolita dopo la sua morte. Un incontro davvero interessante, a cui invito tutti a partecipare.

Chiuso l’inciso, un’ultima considerazione: più passa il tempo, e più mi convinco che quello che realmente manca alla società italiana è l’attribuzione del giusto valore alle competenze, alla conoscenza, alla formazione, perché no, alla ricerca. Cosi, gente, non andremo da nessuna parte…

FLOSS nella Pubblica amministrazione? Qualcuno si lamenta…

Negli ultimi mesi, per conto dell’Associazione Culturale OpenLabs, sono stato impegnato nelle discussioni del “Tavolo di lavoro sulla politica del software“, in Regione Lombardia. Obiettivo del gruppo di lavoro la produzione di un progetto di legge (ispirato ad alcuni già esistenti, inutile inventare la ruota ogni due per tre) che consentisse il libero mercato nel mondo del software per la pubblica amministrazione.

Questo significa essenzialmente far presente, tramite un PDL, la necessità di utilizzare formati aperti e di segnalare alcuni aspetti interessanti (soprattutto nella pubblica amministrazione) del software libero che non si presentano invece nel mondo del software proprietario. Non una legge “per il software libero”, anche se vista l’attuale situazione della politica del software in Italia, potremmo anche definirla “legge pro software libero” in quanto gli riconosce gli stessi diritti del software proprietario.

A questo tavolo di lavoro erano presenti numerose aziende, grandi (molto grandi) e piccole, c’erano aziende che facevano lobby (Microsoft, ad esempio), c’erano liberi professionisti, rappresentanti di realtà associative come OpenLabs, il PLIO o la Free Software Foundation.

Il lavoro del gruppo, in questa prima fase, è praticamente terminato (si concluderà ufficialmente martedi 22 maggio, alle ore 11:00 con la conferenza stampa in Via Fabio Filzi, Milano), ma proprio l’altro ieri leggevo su Punto Informatico un articolo che riporta dichiarazioni davvero poco edificanti per le imprese IT del Bel Paese.

Pare che le imprese italiane dell’ICT comincino a sentirsi “sotto pressione” per via di questo martellamento mediatico sull’opensource (strano, io invece dico che non se ne parli a sufficienza…). In una nota, Aitech-Assinform fa presente come il FLOSS sia solo una delle tante possibilità delle quali la Pubblica Amministrazione si può avvalere nel campo del software, e del come essa debba scegliere in base a considerazioni di tipo tecnico, applicativo e strategico, e non facendosi influenzare da scelte ideologiche.

Evidentemente Aitech-Assinform non ha letto le proposte di legge, altrimenti si renderebbe conto della castroneria dichiarata, ed evidentemente si fa carico di una paura diffusa (si dice “cacarsi sotto”) delle aziende produttrici di software proprietario (scrivo una volta e poi vendo per l’eternità, facendo lock-in sul cliente) nei confronti di software di qualità, disponibile spesso a costi inferiori, e soprattutto liberamente distribuibile.

Che prezzo “non idiologico” ha la scelta di una pubblica amministrazione che dice “distribuisco i miei documenti nell’unico attuale formato documentale standard ISO e se per caso i miei cittadini non fossero in possesso di un software per leggerli, regalo loro un’intera suite per l’ufficio, completamente localizzata in italiano ed interoperabile con gli altri formati”? O che risparmia un milione di euro di licenze software nell’ambito della scuola, preziosa risorsa da investire per migliorare in altri aspetti?

Aitech-Assinform ha deciso di ribadire quello che chiedono le aziende ed associazioni contro le quali vorrebbe scagliarsi, ma ancora non lo sa. Qualcuno glielo faccia notare…

Quando le cose si rompono

Sono membro di OpenLabs ormai da parecchi anni. In OpenLabs sono cresciuto, grazie ad OpenLabs ho trovato lavoro e modo di sfamare (almeno in parte) la mia curiosità. Ho imparato tanto, e forse anche dato tanto, al gruppo e non.

A settembre dello scorso anno, quando le cose cominciavano a mettersi male, ho dato anima e corpo (sacrificando 6 mesi di università, tempo lavorativo e tutto il mio tempo personale) all’organizzazione di un Linux Day del quale ancora oggi l’Associazione vive di rendita.

Al termine del Linux Day, mi sono letteralmente caricato sulle spalle un’associazione allo sfascio, distrutta dalle sanguinose liti interne, divisa sulle questioni piu elementari, con la forte convinzione che quanto deciso dall’Assemblea (che si mettesse una pietra sopra al passato e si guardasse avanti) potesse essere un nuovo punto di partenza.

Sapevo che non sarebbe stato facile. Ho dovuto far ripartire gli eventi, i corsi, caricarmi una serie di cariche piu o meno vaganti (il povero Dario ha poco tempo, e c’era bisogno di un “segretario supplente”, cosi tacitamente l’ho fatto io per mesi). Ho cercato di animare le mailing-list dilaniate dai litigi, ho cercato di introdurre in Associazione quella sferzata di novità e freschezza che era tanto mancata lo scorso anno.

Dopo 6 mesi, il bilancio del nostro (non solo, naturalmente, ma con altre 3-4 persone) lavoro è stato:

  • bilancio 2006 ripianato in 2 mesi (3000 euro di rosso azzerati anche grazie ai corsi di inizio 2007)
  • 90 soci già iscritti a marzo 2007
  • Assemblea annuale convocata ad aprile anzichè a dicembre
  • 2 sessioni di corsi, la prima con oltre 40 iscritti, la seconda con circa 30
  • Il software di gestione soci online, funzionante ed aggiornato
  • Eventi tematici ogni lunedi sera
  • Progetti istituzionali e di scambi con altre associazioni (informatiche e non) avviati e perseguiti con discreto successo
  • Sede sociale piena nei due giorni di apertura e di fatto aperta 5 giorni su 7 per ospitare le varie attività
  • Supporto alle associazioni “satellite”, come il POuL ed il gruppo HANC, che hanno ripreso le loro attività
  • Server in piedi, aggiornato ed in sicurezza, con filtri antispam e sistema di auto-monitoraggio

Probabilmente mi sto dimenticando qualcosa, ma non importa. OpenLabs in 6 mesi ha ripreso a vivere, è tornata ad essere una realtà di riferimento sul panorama milanese.

Però nel frattempo le ceneri non si sono raffreddate. Alcuni soci hanno covato odio in silenzio, ed alla prima buona occasione hanno riaperto la discussione che l’Assemblea aveva ritenuto chiusa (anche quella successiva aveva ribadito la scelta, anche a fronte della crescita dell’Associazione) e hanno cominciato ad attaccare anche il mio operato, oltre che ad esasperare il Consiglio Direttivo con continue richieste e sterili discussioni che hanno avuto come solo risultato quello di assorbire ancora maggior quantità del già immenso tempo che dedico al gruppo.

La situazione è andata con i giorni (e le ore) peggiorando sempre più, al punto che oggi ho rassegnato le mie dimissioni dalle cariche di “Responsabile degli Eventi” e “Responsabile dei Corsi”. Se poi alcuni soci metteranno in pratica al di la di quanto deciso dal “Responsabile dei Sistemi” (io) di apportare modifiche alla rete dell’Associazione, lunedi sera rassegnerò anche quelle dimissioni.

Purtroppo non è neppure un discorso di “ripicche” o “disaccordi”. Semplicemente da qualche settimana, quando penso ad OpenLabs ed alle attività ad essa legate mi sento vuoto, spossato, svogliato. Non è quello che cerco dal mio tempo libero, e nessun medico mi ha ordinato di far parte di questo specifico gruppo.

Già da giorni, proprio per questo motivo, ho preso la decisione di non muovere più un dito se non per concludere i progetti già aperti ed in fase di svolgimento. Pochi minuti fa, infine, anche il Presidente (Marina Cabrini) ha rassegnato le sue dimissioni, alle quali penso che faranno seguito, tra qualche tempo, anche le mie.

Mi dispiace lasciare il gruppo, ma se ci sono tante teste pensanti che riescono a farlo crescere meglio di quanto non sia stato capace io, tolgo il disturbo. Mi auguro di cuore che sappiano quello che fanno. Io so che andrò a spingere altrove, con una nuova avventura.

Astronomia ed OpenSource

Questa sera ero ospite del Gruppo Astrofili Cinisello Balsamo nell’ambito dello scambio culturale che ha dapprima portato il loro presidente a parlare presso OpenLabs, poi noi in visita all’osservatorio di Castione della Presolana.

Questa sera toccava a me parlare a loro, esponendo il mondo dell’opensource e la filosofia ad esso collegata. Per l’occasione avevo preparato alcune slides mettendo insieme altre due presentazioni e rendendo il tutto un po’ più uniforme e gradevole.

Nel complesso, non posso che ritenermi soddisfatto. Il Gruppo era molto più interessato di quello che potessi immaginarmi, e anche piuttosto competente (alcune persone usano addirittura già Ubuntu e mi hanno chiesto qualche dritta).

Sono tra l’altro emersi un paio di progettini che potremmo decidere di portare avanti in collaborazione tra i due gruppi. Meglio di cosi… 🙂

Una diversa territorialità

Ieri ero presenta al greenCamp, organizzato dai Verdi presso Palazzo Ducale, a Genova. Al di la della mera cronistoria di quanto accaduto, il cui senso sarebbe davvero dubbio, forse vale la pena esprimere un paio di considerazioni.

Il punto forte della manifestazione è stato sicuramente la sua collocazione politica. L’idea di inserire una “non conferenza” (quale dovrebbe essere un barCamp) in un evento formale come un convegno di matrice politica è sicuramente un’idea interessante ed un atto di coraggio da non sottovalutare. Sono contento che si sia trovata la forza di farlo e che l’idea sia piaciuta anche “ai piani alti“.

Il punto debole della manifestazione è stato un derivato dal suo punto forte. Proprio per via della collocazione politica particolare, si è trattato di un barCamp piuttosto strutturato (addirittura finendo con il rispettare una precisa scaletta, in quanto nessuno si faceva avanti per proseguire con il proprio intervento dopo averne sentito un’altro) e questo ha portato a “saltellare” tra argomenti anche particolarmente diversi e slegati tra di loro (si aprivano filoni di discussione che però poi non avevano seguito e si passava quindi ad un altro filone completamente slegato dal precedente). Sicuramente gli organizzatori faranno tesoro di questa esperienza, tanto quanto i partecipanti stessi, che si troveranno maggiormente a loro agio ad un altro barCamp, magari organizzato in un ambito meno “formale”.

Una ulteriore nota va fatta pervenire in qualsiasi modo agli organizzatori: ragazzi, almeno un cartello, una freccina, ad indicare dove stava il barCamp, valeva la pena metterla… Nel seminterrato i cellulari non prendevano e noi abbiamo vagato per Palazzo Ducale almeno 30 minuti prima di immaginare che il barCamp potesse stare al piano 0 (ovvero il -1) insieme agli workshop…

Al di la del barCamp in se, comunque,  mentre pensavo a cosa dire (ovviamente non sapevo di dover intervenire fino a 2 ore prima dell’evento, di cui si erano occupate altre persone in Associazione :P), mi sono balenate in mente una serie di idee alle quali, ripensandoci, trovo comunque utile dare un seguito al di la del mero intervento di Genova (che comunque non le ha viste rientrare nel poco tempo a mia disposizione).

In particolare, mi interessa approfondire il discorso della “territorialità” (vista, presa, presenza sul “territorio” e significato del termine “territorio” stesso) legato alle associazioni del panorama del Software Libero, piuttosto atipiche sotto questo profilo.
Infatti se la territorialità tipica dell’associazionismo spicciolo (quindi quello politico, ad esempio, o legato al volontariato) ha una connotazione territoriale molto geografica (gruppi che si riconducono ad un quartiere, una via, o addirittura un condominio), esiste una “diversa territorialità” che è quella del Web. In questo ambiente, le persone si incontrano per interessi comuni, più che per “geografia comune”: esiste allora un “luogo blogsfera” (proprio quel non-luogo che si definisce autoreferenziale in una ormai annosa quanto inutile diatriba), esiste un “luogo YouTube” (che raccoglie i visitatori dell’omonimo sito-community), un “luogo del.icio.us) e perché no, anche un “luogo Second-Life”. In questa “geografia degli interessi” le persone si incontrano virtualmente come prassi, e si emozionano nel momento dell’incontro fisico. Esattamente l’opposto di quello che accade nel mondo fisico: come dicevo a gizm0 (che ho incontrato proprio al greenCamp di Genova), se da una parte si dice, al primo incontro standard (in questo caso, fisico) “Ciao gizm0! Che figo ho visto il tuo sito web!”, dall’altra parte si dice “Ciao gizm0, che figo, ti ho incontrato di persona!”.
Si tratta di due realtà diverse, con le quali siamo ormai abituati a convivere (al punto che sono ormai anni e anni che si (s)parla di “vita nel cyberspazio”.

Nel panorama dell’associazionismo legato al software libero però (almeno per quella che è l’esperienza legata all’Associazione Culturale OpenLabs) ci sono dei richiami ad entrambe le realtà, con un miscuglio di caratteri davvero strano e che merita di essere analizzato attentamente (imho). L’area di azione dei LUG (o simili, visto che OpenLabs non è [solo] un LUG) è piuttosto ristretta geograficamente: proprio per loro connotazione caratteriale, i LUG nascono in un comune, provincia o comunque in una zona geograficamente delimitata come punto di aggregazione fisica di una serie di persone che condividono una stessa passione/interesse nei confronti di Linux e del software libero in senso più ampio (quindi caratterizzati da una territorialità prettamente fisico/geografica).
D’altro canto, i LUG sono formati da utilizzatori di software, che oggi significa (nella quasi totalità dei cosi) anche utilizzatori della rete e degli strumenti che questa mette a disposizione (mailing-lists, siti web, wiki e via dicendo), che le danno quindi anche una caratteristica territorialità “virtuale”, proprio come una comunità web.
Quella più forte delle due però (quindi quella che poi ne caratterizza maggiormente l’aspetto territoriale) è quella “online”. Se infatti lo stesso gruppo trovasse sede due o tre quartieri “più in la”, non cambierebbe nulla, perché il numero di gruppi sul territorio italiano è tale da non riuscire a coprirlo in maniera cosi capillare (fortunatamente, in un certo senso).

A questo punto, abbiamo gruppi che raccolgono “in un luogo relativamente vicino” persone che vengono da “tutta una vasta regione geografica” (la Provincia di Milano ad esempio). Ma il contatto con il territorio geografico allora? OpenLabs ad esempio non ha quasi nessun contatto con il territorio geografico più vicino alla propria sede. Non conosciamo gli inquilini dei palazzi limitrofi, non organizziamo incontri a loro dedicati, non ci facciamo vedere ne ci pubblicizziamo particolarmente.

Questo è senza dubbio un limite (e non voglio credere che sia solo legato ad OpenLabs) e quindi, in prospettiva, un ambito di miglioramento. Il succo del discorso sta nella domanda: “Come migliorare il contatto con il territorio geografico? Come entrare maggiormente in contatto con vie, quartieri, palazzi, senza snaturare la realtà che fa di OpenLabs un esponente di spicco del panorama del software libero italiano?”. Forse parte della soluzione l’abbiamo involontariamente trovata e compresa con la partecipazione alla manifestazione Fa La Cosa Giusta! di qualche mese fa a Milano. In quell’ambiente, non direttamente legato al mondo dell’OpenSource (come invece accade per la quasi totalità delle altre manifestazioni a cui un LUG normalmente partecipa), ci siamo trovati di fronte alla possibilità di entrare in contatto con persone “non interessate” dal Free Software in se, ma che si sono scoperte tali nel momento in cui, incuriosite dal pinguinone presente al nostro stand, si sono avvicinate per chiedere.

Le fiere di paese, potrebbero essere un modo “non convenzionale” di dare visibilità al mondo del software libero che può funzionare molto piu efficacemente di tutti i LinuxDay che vengono organizzati in Italia e che hanno nella ristretta cerchia dei “già interessati/incuriositi” il loro target principale.

In questo specifico esempio, il problema della territorialità più spicciola (vie, quartieri, palazzi) ovviamente rimane, ma una bancarella al mercato rionale non potrebbe fare al caso? O andare a distribuire cd in quelle realtà locali per eccellenza (biblioteche, centri culturali, negozi, parchi)?

Potrebbe essere una strada interessante per diffondere il software libero, sulla quale invito “tutti i miei lettori” (me stesso?) a riflettere ulteriormente, ed eventualmente approfondire in una sede opportuna (se c’è interesse, potremmo organizzare anche un barCamp tematico presso la sede di OpenLabs :P)