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2011

Cose da ricordare di questo 2011 agli sgoccioli

Questo 2011 volge al termine, e se non fosse perché il 2012 promette di essere un anno di recessione ancora peggiore di quello trascorso, verrebbe quasi da dire “per fortuna”. Quello appena trascorso è stato sicuramente un anno denso di avvenimenti, anche molto importanti, alcuni di quali meritano di essere rivisti, ricordati; inutile dire che se alcuni avvenimenti sono importanti per taluni, altri potrebbero non esserne particolarmente colpiti. Quello che segue è un elenco (non esaustivo probabilmente) degli avvenimenti che dal mio punto di vista segnano questo 2011.

  • Gennaio, febbraio, marzo: La Primavera Araba
  • 11 marzo: il terremoto (e conseguente maremoto) in Giappone, con tutta la questione della centrale nucleare di Fukushima
  • 19 marzo: la Guerra alla Libia di Mu’ammar Gheddafi, il successivo silenzio sulla Siria
  • 2 maggio: la morte di Osama Bin Laden
  • 16 maggio: l’ultima missione dello Space Shuttle
  • 26 maggio: l’arresto di Ratko Mladic, accusato dei massacri di Srebrenica
  • 30 maggio: l’elezione di Pisapia a Milano
  • 12 e 13 giugno: referendum in Italia (nucleare, acqua pubblica, legittimo impedimento)
  • 22 luglio: la strage in Norvegia ad opera di Anders Breivik
  • 6 agosto: la rivolta in Inghilterra
  • Settembre, ottobre novembre: la stagione degli alluvioni in Italia (Toscana, Sicilia, Liguria)
  • 2 settembre: il caso WikiLeaks, la cattura di Assange e le successive discussioni
  • 17 settembre: la vicenda di Occupy WallStreet
  • 21 settembre: i 20.000 immigrati di Lampedusa
  • 23 settembre: le ipotesi di neutrini più veloci della luce (e la relativa figuraccia della Gelmini e del suo tunnel)
  • 5 ottobre: la morte di Steve Jobs
  • 20 ottobre: la morte di Muʿammar Gheddafi
  • 23 ottobre: la morte di Marco Simoncelli
  • 12-16 novembre: l’Italia cambia governo
  • 18 dicembre: l’ultimo soldato USA lascia l’Iraq

Per il resto, non posso che augurare a tutti voi un 2012 possibilmente migliore di questo 2011…

Del fallimento della domenica senz’auto

Traffico

Tranks via Flickr

Per l’ennesima volta si conferma l’assoluta incapacità di azione dell’amministrazione comunale di Milano nel contrastare l’inquinamento che attanaglia l’intera area sovra-provinciale.
Dopo aver trascorso oltre un terzo dello scorso anno con le soglie degli inquinanti oltre i livelli di allerta (e senza che l’amministrazione comunale abbia fatto alcunché di concreto per porvi rimedio), ecco che con l’inizio del nuovo anno la situazione si mostra già critica: dopo quasi un mese trascorso a cavallo del superamento delle soglie di guardia, si è finalmente resa talmente palese la necessità di un’azione coordinata ed efficace, che persino il restio Comune di Milano ha deciso di “fare qualcosa”. Purtroppo il “qualcosa”, nell’accezione del sindaco Moratti, è sinonimo di “nulla”: ha avuto a mala pena il coraggio di indire una giornata di blocco del traffico (domenica scorsa, nella fattispecie), senza cercare alcun tipo di coordinamento sovra-comunale e per di più infarcendo la sospensione di deroghe (persino per coloro che andavano a vedere la partita a San Siro!).

Inutile dire che il provvedimento è stato assolutamente inutile: non solo gli inquinanti non sono calati a sufficienza, ma non sono calati per niente! Così la Moratti si trova costretta ad un’ulteriore iniziativa, ed ancora una volta la scelta ricade su un’inutile ed isolata domenica di blocco della circolazione, stavolta con ancora più deroghe della scorsa.

L’emergenza smog di Milano assomiglia purtroppo sempre più all’emergenza rifiuti di cui sono purtroppo oggetto diverse città italiane (nel Lazio, in Campania, in Sicilia…): una situazione cronica, dovuta non a congiunture astrali (quali ridotte precipitazioni, o poco vento vento, o babbi natale e babau mancanti) ma all’assoluta assenza di una politica di contrasto non dico efficace, ma quantomeno ragionata.
I milanesi sono costretti a muoversi si muovo principalmente in automobile (i mezzi pubblici raggiungono a malapena i confini comunali quando la stragrande maggioranza dei lavoratori milanesi abita in periferia) e si spostano da soli, perché non c’è ne alcuna forma di educazione alla riduzione dell’impronta ecologica, perché non c’è alcun incentivo al car-sharing, perché mancano gli incentivi (ed disincentivi efficaci) tanto quanto le interconnessioni con le altre vie di accesso alla metropoli.
Curioso notare come questa sia la stessa giunta comunale che ha varato l’Ecopass, più e più volte sbandierato come “la soluzione definitiva” (per dirla all’inglese) e più e più volte criticato dal sottoscritto, dimostratosi a più riprese assolutamente inefficace (come era prevedibile, viste le premesse) ed iniquo, oltre che assolutamente isolato dalle norme di incentivo che avrebbero (persino nell’iniziale disegno del Comune) dovuto accompagnarlo per renderlo minimamente efficace.

A questo punto, con le elezioni comunali ormai alle porte, vale la pena considerare il punto “inquinamento” dei programmi dei vari candidati: ho già notato più volte un interesse da parte del candidato sindaco del centro sinistra Pisapia sul tema del contrasto all’inquinamento; l’alternativa del centro destra (già in carica) annaspa sempre più; gli altri candidati sindaci non hanno proprio niente da dire?

Qualche parola su Mirafiori

Logo FIATBene, eccoci al primo giorno di “riflessione” che segue il referendum della FIAT di Mirafiori. Un referendum che non si può intendere solamente come legato all’azienda in se ed alla proposta di contratto portata da Marchionne ai dipendenti ma, per il comportamento di Marchionne stesso, ha assunto una valenza e delle aspettative di interesse nazionale. Soprattutto considerando il fatto che la vittoria del SI o del NO al referendum non avrebbe in ogni caso spostato l’asse lungo il quale FIAT sta muovendosi: il costo del lavoro incide in modo poco significativo (8-9%) sul costo di produzione delle vetture e gli spostamenti di produzione ci saranno comunque, sia questo per interessi politici (verso gli USA) o economici (verso terzo e secondo mondo).

Vorrei cominciare la mia valutazione del risultato partendo proprio dal perché personalmente non ero apertamente schierato ne con il SI ne con il NO: sono convinto che la scelta di Marchionne di “uscire” dal contratto nazionale del lavoro non sia in se fondamentalmente sbagliata. I contratti nazionali sono espressione di un’epoca industriale ormai praticamente scomparsa (nel bene e nel male): difficile oggi trovare operai che lavorano nel metalmeccanico, difficile allo stesso modo trovare il “padrone” così come era inteso cinquant’anni fa, difficile oggi come allora accomunare i lavoratori dei grandi agglomerati di produzione (come Torino, Milano o Roma) con quelli dei piccoli distretti di periferia. Proprio questo per altro ha portato ad una maggior difficoltà nella tutela dei lavoratori basandosi sui soli contratti nazionali, che a questo punto andrebbero, a mio avviso, superati. Superati perché da un lato è importante adattarli ad un mondo industriale che è cambiato, dall’altro perché vanno garantite ai lavoratori tutele di cui non avevano bisogno anche solo venti anni fa e che oggi invece li rendono schiavi di precariato e sfruttamento: non si può pensare di far competere i lavoratori italiani sullo stesso piano economico di cinesi ed indiani, così come è necessario garantire alle aziende italiane (e non) la possibilità di competere ad armi pari con gli altri stati europei.
Marchionne ha però sbagliato nei modi con cui ha condotto la sua “campagna”: si è comportato da arrogante dittatore ed ha cercato a tutti i costi lo strappo con una certa parte dei sindacati, pensando evidentemente che la spaccatura avrebbe poi portato ad una maggior “malleabilità” dei dipendenti. Ha quindi negato i referendum quando venivano chiesti dai sindacati, ha chiuso la rappresentanza a tutti coloro che non erano allineati al pensiero aziendale (e ditemi se questo non ricorda un particolare arrogante dittatore), mettendo mano a conquiste non negoziabili (quali per l’appunto la democrazia e la rappresentanza sindacale) sanciti persino dalla costituzione. Ora che i SI hanno vinto talmente di misura da far sembrare il risultato un pareggio, Marchionne rischia di vedersi improvvisamente trasformato in Pirro, avendo per le mani un’azienda che dovrà dirigere “nonostante” il 46% dei suoi lavoratori. Probabilmente una contrattazione più accondiscendente avrebbe portato ad un vantaggio anche sul piano economico.

Resta infine da capire se la FIAT ed il suo accordo riusciranno a fare scuola nelle altre aziende nazionali. Ritengo che si tratti di un dubbio infondato: il contratto proposto ai lavoratori di FIAT non è molto diverso dai contratti che in lungo ed in largo per il nostro paese vengono proposti ai lavoratori, firmati ed approvati senza grandi rumori. Quello in cui il caso FIAT ha realmente qualche differenza sta proprio nel modo con cui Marchionne ha scelto di imporre una sua scelta, e da questo punto di vista, più che una vittoria, quella del manager rischia di essere una vera e propria disfatta…

Cinque cose ricordare di questo 2010?

florixc via Flickr

Tra poche ore, come ogni anno, l’anno corrente lascerà il posto al nuovo anno. E’ ormai parecchio tempo che la cosa funziona così e quindi non c’è discussione da fare. Però l’anno che ci lascia ha sicuramente lasciato dei segni, in molti campi: ecco allora qualche fatto saliente che sarà bene ricordare.

  • Il 2010 è sicuramente stato un anno importante sul fronte delle difficoltà che la Natura, più o meno provocata, ha posto al “cammino” dell’uomo. Non dimentichiamo il terremoto di Haiti (200.000 morti), quello di Qinghai (Cina, 2064 morti), quello in Cile (800 morti), spesso passati nella totale indifferenza del nostro informatissimo mondo occidentale. Anche la dove ci si è mobilitati (come per Haiti) il risultato è stato piuttosto deludente (considerando che il colera, negli ultimi mesi, ha mietuto oltre 2000 morti nella piccola isola caraibica, facilmente evitabili con della banale acqua potabile).
    Sotto il fronte del clima, abbiamo assistito ad una maggior violenza dei fenomeni: caldo torrido e freddo intenso (che ha letteralmente paralizzato l’Europa e gli Stati Uniti, la dove non ci ha pensato l’eruzione del vulcano islandese Eyjafjallajokull), transizioni repentine dall’uno all’altro sono indubbiamente indice di un clima sempre più energico ed instabile. Da questo punto di vista sono da accogliere con gioia le numerose adesioni al trattato di Copenaghen registrare sopratutto all’inizio dell’anno ed il nuovo vertice (nel complesso piuttosto positivo) tenutosi in Messico a fine anno.
    Purtroppo non è da annoverare tra i fatti positivi l’esplosione della piattaforma petrolifera della BP nel Golfo del Messico: in 85 giorni sono stati riversati in mare oltre 800 milioni di litri di petrolio.
  • Anche sotto il profilo dei diritti civili il 2010 è stato un anno significativo: in Europa sono ormai la maggioranza i paesi che accettano i matrimoni tra persone dello stesso sesso (quest’anno si sono aggiunti Islanda e Portogallo, portando il conteggio a 11 contro 16), la Danimarca ha persino reso legali le adozioni; sotto il profilo della giustizia sono numerosi gli Stati che hanno aderito alla moratoria delle Nazioni Unite contro la pena di morte e che stanno più o meno velocemente mettendo un punto finale alle operazioni del boia.
    Altra nota importante (catalogabile con un po’ di forzatura tra i “diritti civili”) è il no degli Stati Uniti alla brevettabilità del codice genetico, che ha così sconfessato coloro che avevano già provveduto a coprire di brevetti oltre il 20% del genoma umano.
  • Sicuramente il 2010 verrà ricordato anche per essere l’anno chiave della crisi economica mondiale. Nata nel 2008 e confermata dal 2009, la Crisi ha sicuramente colpito duramente (soprattutto i nostri concittadini) quest’anno: mentre purtroppo altri paesi sembrano sulla strada dell’uscita, l’Italia naviga ancora in cattive acque anche a causa dell’inazione del governo e dell’avidita incontrollata di parte dei suoi industriali. La Grecia prima, l’Irlanda poi, con Portogallo, Spagna ed Italia a fare da spettatori interessati, l’Unione Europea  ha dovuto affrontare una crisi monetaria importante, dimostrando in fin dei conti una solidità inaspettata (e sostenuta, seppur controvoglia, da Germania e Francia).
  • Il 2010 è stato un anno importante anche sul fronte della geopolitica: nonostante l’impunità apparente di cui ha goduto Israele nell’attacco alla “Freedom Flotilla” (che ha causato nove morti alla fine di maggio), a settembre la commissione d’inchiesta dall’ONU ha stabilito che lo stato mediorientale ha agito in violazione del diritto internazionale; si tratta di una dichiarazione importante che per una volta svincola l’azione dell’ONU dal volere delle grandi potenze mondiali, restituendo (parzialmente) fiducia ai piccoli stati, spesso costretti al silenzio di fronte agli abusi di queste grandi potenze. L’ONU si è reso protagonista anche di un lungo braccio di ferro con la Francia contro le espulsioni dei ROM dal paese transalpino, così come con l’Italia per evitare l’inumana pratica dei respingimenti.
    Sul fronte delle guerre, sicuramente il 2010 dovrà essere ricordato come l’anno del ritiro americano dall’Iraq (l’ultimo reparto combattente ha lasciato il paese il 19 agosto). Purtroppo lo stesso non è accaduto in Afghanistan, dove tutt’ora il conteggio dei morti innocenti continua a salire.
    La fine dell’anno è stata poi caratterizzata dalla “scoperta” di WikiLeaks: le rivelazioni sui cablogrammi che hanno “sconvolto la diplomazia internazionale” (e condotto all’inutile arresto di Julian Assange) seguono in realtà rivelazioni ben più “profonde” legate alle guerre (in Iraq soprattutto) in corso nel mondo.
  • Infine il 2010 è stato un anno importantissimo sotto il segno delle scienze, in particolare grazie agli esperimenti condotti al super acceleratore di particelle del Cern di Ginevra. Grazie a collissioni tra particelle in grado di generare energie record (7.000 miliardi di elettronvolt) si è potuto studiare da vicino la nascita dell’universo, ricreando in laboratorio le temperature ed alcuni degli effetti del Big Bang che ha dato origine, migliaia di miliardi di anni fa, all’universo che conosciamo.
    Sul piano dell’astronomia, al Cern si è riusciti a creare ed imprigionare per alcune frazioni di secondo alcuni atomi di antimateria, così come esemplari del plasma che si generò immediatamente dopo il Big Bang.
    Sempre sul campo astronomico, si é per la prima volta avuta una misura precisa dell’effetto dell’energia oscura (che costituisce il 73% dell’Universo), grazie alla quale si può dedurre che l’universo sia piatto e che continuerà ad espandersi sempre più velocemente (con tutto ciò che questo implica in termini di previsioni sulla sua evoluzione).
    Sul fronte medico, un vaccino italiano ha posto un altro ostacolo all’espansione della malattia conosciuta come AIDS:la sperimentazione condotta da Barbara Ensoli, giunta alla seconda fase della sperimentazione, è infatti in grado di aiutare il corpo umano a rigenerare il sistema immunitario distrutto dal retrovirus.

Sono naturalmente molte le notizie importanti che in altri campi varrebbe la pena citare, ma dovendo scegliere cinque argomenti cardine, queste sono secondo me le più importanti.

Che siate d’accordo o meno, concedetemi di concludere quest’anno con un augurio di cuore a tutti, affinché il 2011 sia almeno migliore dell’anno che volge al termine.

Viva le primarie

Bersani

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Come spesso capita, non sono proprio “sul pezzo” per quanto riguarda la questione delle dichiarazioni di Bersani di qualche giorno fa, che vorrebbero il Segretario intenzionato a concludere l’esperienza delle primarie. Per questo cercherò di essere non breve, di più.
Ci tengo però a dire ad alta voce che sono profondamente contrario a questa ipotesi, come per altro altri esponenti del Partito, ben più titolati hanno avuto modo di affermare prima di me.

Il motivo è presto detto: l’istituto delle Primarie è al momento non solo una delle grandi novità democratiche e partecipative che legano il PD alla sua base ed attraggono la cittadinanza facendola finalmente sentire “partecipe” delle scelte (che per altro sono ulteriormente limitate da questa infame legge elettorale), ma rappresenta anche uno degli strumenti di unità e democrazia che consentono di tenere insieme un partito che altrimenti andrebbe (a mio avviso) rapidamente allo sfascio.

Sono convinto che se il Partito Democratico vuole diventare davvero un partito di maggioranza e tornare al governo, ciò non possa prescindere da due fattori fondamentali: dibattito e primarie. In sintesi: partecipazione.

Corsi e ricorsi storici

Assedio al parlamento

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Traggo da “Quotidiano Nazionale” del 23/10/2008, intervista (fonte qui e qui) di Andrea Cangini (D) a Francesco Cossiga (R).

D – Presidente Cossiga, pensa che minacciando l’uso della forza pubblica contro gli studenti Berlusconi abbia esagerato?
R – Dipende, se ritiene d’essere il Presidente del Consiglio di uno Stato forte, no, ha fatto benissimo. Ma poiché l’Italia è uno Stato debole, e all’opposizione non c’è il granitico PCI ma l’evanescente PD, temo che alle parole non seguiranno i fatti e che quindi Berlusconi farà una figuraccia.
D – Quali fatti dovrebbero seguire?
R – Maroni dovrebbe fare quel che feci io quand’ero Ministro dell’interno.
D – Ossia?
R – In primo luogo, lasciar perdere gli studenti dei licei, perché pensi a cosa succederebbe se un ragazzino rimanesse ucciso o gravemente ferito…
D – Gli universitari, invece?
R – Lasciarli fare. Ritirare le forze di polizia dalle strade e dalle università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città.
D – Dopo di che?
R – Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri.
D – Nel senso che…
R – Nel senso che le forze dell’ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli e picchiare anche quei docenti che li fomentano.
D – Anche i docenti?
R – Soprattutto i docenti.
D – Presidente, il suo è un paradosso, no?
R – Non dico quelli anziani, certo, ma le maestre ragazzine sì. Si rende conto della gravità di quello che sta succedendo? Ci sono insegnanti che indottrinano i bambini e li portano in piazza: un atteggiamento criminale!
D – E lei si rende conto di quel che direbbero in Europa dopo una cura del genere? In Italia torna il fascismo, direbbero.
R – Balle, questa è la ricetta democratica: spegnere la fiamma prima che divampi l’incendio.
D – Quale incendio?
R – Non esagero, credo davvero che il terrorismo tornerà a insanguinare le strade di questo Paese. E non vorrei che ci si dimenticasse che le Brigate rosse non sono nate nelle fabbriche ma nelle università. E che gli slogan che usavano li avevano usati prima di loro il Movimento studentesco e la sinistra sindacale.
D – E’ dunque possibile che la storia si ripeta?
R – Non è possibile, è probabile. Per questo dico: non dimentichiamo che le Br nacquero perché il fuoco non fu spento per tempo.
D – Il Pd di Veltroni è dalla parte dei manifestanti.
R – Mah, guardi, francamente io Veltroni che va in piazza col rischio di prendersi le botte non ce lo vedo. Lo vedo meglio in un club esclusivo di Chicago ad applaudire Obama…
D – Non andrà in piazza con un bastone, certo, ma politicamente…
R – Politicamente, sta facendo lo stesso errore che fece il Pci all’inizio della contestazione: fece da sponda al movimento illudendosi di controllarlo, ma quando, com’era logico, nel mirino finirono anche loro cambiarono radicalmente registro. La cosiddetta linea della fermezza applicata da Andreotti, da Zaccagnini e da me, era stato Berlinguer a volerla… Ma oggi c`è il Pd, un ectoplasma guidato da un ectoplasma. Ed è anche per questo che Berlusconi farebbe bene ad essere più prudente.

Tra arrabbiati e infiltrati, botte e violenza

Scontri Roma

ziopilo via Flickr

La polemica sugli scontri di martedì a Roma è su tutti i blog, tutti i giornali, tutte le bocche. Potrei mai esimermi dall’aggiungere la mia (futile) opinione al mare di commenti che già vi sono piovuti addosso? Se la risposta che vi siete dati è si, passate pure qui.

Dicevamo dunque; Roma, 14 dicembre 2010: le manifestazioni di protesta indette da numerose organizzazioni (tra cui sindacati e gruppi studenteschi), che durante la mattinata hanno sfilato per le vie della capitale in un atteggiamento assolutamente pacifico, vengono improvvisamente colte da una spinta violenta e facinorosi venuti da mezza Italia cominciano a spaccare vetrine, dare fuoco ad automobili e blindati delle forze dell’ordine. Al di la della schizofrenia dimostrata dai manifestanti, sono molti gli elementi da analizzare e considerare.

Cominciamo dalla gestione mediatico-politica che è stata fatta della notizia in se: da destra e da sinistra si è immediatamente gridato contro la parte avversa, portando a supporto della propria tesi le più disparate ragioni; il PD accusa il Governo per la condizione di disperazione a cui ha portato una parte della popolazione, il Governo accusa il FLI per “aver scatenato la crisi” e via discorrendo. Nessuno ha considerato che dei 20.000 manifestanti, gli scontri sono stati portati avanti da un’esigua minoranza di loro, quindi è demagogico manipolare l’intera folla che si trovava a Roma martedì pomeriggio a fini politici.
Altrettanto errato è considerare in modo semplicistico quanto è accaduto: le motivazioni che hanno spinto taluni alla violenza è probabilmente diversa da quella che vi ha spinto taluni altri.

Secondo fattore da considerare è la gestione della risposta alle violenze da parte delle forze dell’ordine: come già accaduto numerose altre volte, Polizia, Finanza e Carabinieri si sono trovati a dover gestire le cariche dei violenti con forze esigue (si parla di cariche fatte da un pugno di poliziotti contro decine di manifestanti, chiaramente miseramente fallite). Oltre a mettere a rischio l’incolumità stessa degli agenti (pensate a quel finanziere che ha persino dovuto difendere la propria arma nel momento in cui, durante una fuga di fronte alla carica respinta, è caduto a terra ed è stato letteralmente assalito dai manifestanti), questo genere di gestione porta ad un ulteriore violenza nella reazione dei poliziotti, unico modo a loro disposizione per provare a “gestire” gli aggressori. Ecco allora che si arriva ad episodi che non avrei mai più voluto vedere e che ricordano fin troppo da vicino gli scontri al G8 di Genova (fissati purtroppo indelebilmente nella memoria di molti di noi).
Altra cosa che ricorda da vicino Genova è l’istituzione di una “zona rossa” (per altro mal collocata, visto che lasciava scoperta una vasta parte del centro di Roma per concentrare la protezione sola sola zona istituzionale), che è immediatamente diventata (come a Genova) un obiettivo dei manifestanti, un punto da raggiungere, una barriera da abbattere.
Pochi agenti quindi, mal collocati, la mancanza di coordinamento tra le varie forze dell’ordine schierate e l’individuazione di un ottimo bersaglio per i violenti: come si poteva pensare di gestire una manifestazione di 20.000 persone “che volge al peggio” in queste condizioni? Ritengo che questa sia un’accusa piuttosto pesante nei confronti del ministero dell’interno, dei vertici della polizia romana, sul cui comportamento e responsabilità sarà necessario fare un’indagine approfondita. Soprattutto considerando che durante i due anni di Governo Prodi ci sono state manifestazioni anche delicate senza alcuno scontro violento (ricordo una visita di Bush a Roma che si portava dietro parecchia tensione e che si risolse invece in una manifestazione pacifica e molto sentita).

C’è poi la questione degli infiltrati: pare confermato che tra i manifestanti ci fossero dei poliziotti in borghese che sebbene da un lato abbiano aiutato gli agenti in difficoltà, parrebbero dall’altro aver fomentato i violenti (in particolare ci sarebbe un agente in borghese, con una giacca a vento color senape, che ha a più riprese “aggredito” i propri colleghi con una pala ed un bidone della spazzatura). Mi chiedo l’utilità di questi agenti infiltrati, in quanto il loro numero sarebbe troppo esiguo per consentire una reale “influenza” sulla manifestazione stessa (comunque miseramente fallita, visti i risultati). Curioso oltretutto come lunedì sera, un ministro aveva cominciato ad attaccare il FLI e Fini affermando che il giorno seguente la città sarebbe stata messa “a ferro e fuoco” dagli autonomi. Quantomeno profetico ed inquietante, anche se non vi fosse nessun legame concreto tra le parole ed i fatti.

Infine c’è la questione della rabbia; dalle “analisi del giorno dopo”, fatte in assemblea dai manifestanti stessi, emerge una “spaccatura” importante: c’è chi accusa un manipolo di “violenti” estranei alla manifestazione che avrebbe dato origine e praticamente condotto in modo autonomo la parte violenta della manifestazione (al punto che, questo pare confermato, in Piazza del Popolo i manifestanti cercavano di fermare i violenti, piuttosto che di unirsi alla sommossa) mentre altri rivendicano in qualche modo l’esito violento della manifestazione, parlando di rabbia repressa, situazioni intollerabili, nessuna alternativa.
Ai primi vorrei dire che fa parte del gioco e proprio per questo va messa in conto la necessità di fermare queste persone sul nascere: l’alternativa è quella di venire strumentalizzati da una parte politica e dall’altra, diventando tutti “i violenti” e consentendo così di accantonare il messaggio che la manifestazione (pacifica) voleva trasmettere.
Ai secondi basta dire che non è questo il modo: capisco rabbia e disperazione ma la violenza è sempre dalla parte del torto.

RANT: Consiglio Comunale

Mezzanotte

TWCollins via Flickr

Dire che sono inviperito è poco: tanto con la maggioranza (che non ha saputo gestire in modo accorto la questione) sia con l’opposizione (che per malizia o ingenuità ne ha approfittato).
Riassumo i fatti: questa sera si è svolto il Consiglio Comunale di Cinisello Balsamo. Argomento principe all’ordine del giorno il tema dell’acqua pubblica, con il dibattito e la votazione di una mozione di iniziativa popolare a favore della garanzia della gestione pubblica dell’acqua. Insieme a questo punto, all’ordine del giorno vi erano un paio di ratifiche prettamente tecniche riguardanti dei “PI invarianti” in scadenza settimana prossima.

Grazie ad una sospensiva chiesta dall’opposizione (“per decidere su come votare”, visto che non ci si poteva preparare prima) e durata oltre un’ora, si è giunti a dover votare questo punto dell’ODG immediatamente a ridosso della mezzanotte. Poiché per regolamento del Consiglio stesso, a meno di una decisione all’unanimità dei consiglieri, la seduta non può essere prolungata oltre la mezzanotte se non per terminare la discussione in corso, i Presidente del Consiglio Comunale ha chiesto ,  tenendo presente l’urgenza relativa a’approvazione  (una formalità, per altro), il prolungamento della sessione, al fine di non far slittare a giovedì (ultima data utile) il voto sui punti seguenti.

La discussione in merito al prolungamento (cominciata per altro ampiamente prima della mezzanotte), ha portato a votare la mozione sull’acqua a pochi minuti dalla mezzanotte, ed il rifiuto finale al prolungamento da parte di un consigliere di minoranza (mosso dalla letterale ottemperanza al regolamento) ha portato alla definitiva sospensione della seduta un minuto dopo la fatidica mezzanotte.

Risultato: i cittadini di Cinisello Balsamo dovranno pagare il gettone di presenza per la giornata di martedì 14 dicembre ai 26 consiglieri presenti in modo assolutamente inutile (visto che i due PI non sono stati votati). Se anziché discutere dell’opportunità o meno di proseguire la sessione si fosse votata immediatamente la mozione, passando direttamente ai voti dei due PI, si sarebbe probabilmente fatto ricadere tutto entro la mezzanotte (dato che la proposta del Presidente è stata lanciata alle 23:38…).

Poi si parla di sprechi…

Commento al discorso di Berlusconi al Senato

PaoloSerena via Flickr

Ho appena finito di sentire (ancora una volta grazie alla diretta di Radio Popolare, sempre sul pezzo) il discorso del presidente del consiglio Berlusconi relativamente alla mozione di fiducia che verrà votata domani mattina al Senato (discorso che se non vado errato verrà replicato questo pomeriggio alla camera dei deputati).
Due in particolare sono i passaggi che hanno suscitato in me l’intenzione di argomentare il discorso del premier, l’appello alla responsabilità e la questione della sovranità popolare (con il riferimento al sistema tedesco a fare da ciliegina sulla torta).

In primis, per quanto riguarda la sovranità popolare, pare che Berlusconi continui a faticare nel comprendere come funziona la Repubblica Parlamentare italiana. In particolare sembra sfuggirgli (e non mi stupisce) il meccanismo della “rappresentanza”, tramite il quale gli elettori non eleggono direttamente il capo del governo (e grazie alla sua legge elettorale neppure i parlamentari), ma propri “rappresentanti” in Parlamento, ai quali è demandata sia la responsabilità di eleggere il Capo dello Stato, sia di formare il governo (su mandato dello stesso Capo dello Stato). L’Italia non è una Repubblica Presidenziale, il voto degli elettori non è “pro” o “contro” la persona di Silvio Berlusconi (come invece l’attuale premier ha cercato demagogicamente di trasformare lo scenario politico degli ultimi 15 anni)…
Un cambio di maggioranze all’interno di una legislatura, quindi, non è da considerarsi come un “tradimento del mandato elettorale”, in quanto i parlamentari, rappresentando la popolazione che li ha eletti, ne interpretano i sentimenti e le opinioni anche quando queste portano alla composizione di nuove alleanze politiche (e anche quando, che piaccia o meno al premier, queste nuove alleanze modificano gli equilibri di governo, eventualmente portando a nuove maggioranze). Il riferimento fatto da Berlusconi riguardante il sistema parlamentare tedesco sembrerebbe andare proprio in questa direzione: la “fiducia costruttiva” con cui i parlamentari tedeschi possono “sfiduciare” un governo quando possono garantire di poterne formare uno nuovo è proprio ciò che il FLI vorrebbe accadesse in Italia (pare), altro che tradimento. Naturalmente tutti quanti, al termine della legislatura, dovranno assumersi la propria responsabilità davanti agli elettori, che potrebbero non gradire il comportamento “mobile” di alcuni loro rappresentanti, negando loro un nuovo mandato…

Secondariamente c’è la questione dell’appello alla “responsabilità” di tutti i parlamentari, attraverso il quale il premier Berlusconi cerca di spingere i parlamentari indecisi a votargli la fiducia nell’ottica di una (cito) “continuità operativa”: mi chiedo che razza di “continuità operativa” sia quella che ha portato a “immobilizzare” il lavoro della Camera dei deputati nelle ultime due settimane, in attesa del voto di fiducia di domani… mi chiedo che genere di “continuità operativa” sia quella che porta a discutere dei processi del Premier anziché rispondere alla crisi economica (che ora pare essere stata affrontata “tempestivamente” dal governo, che mi pareva di ricordare avesse definito “inesistente”)…

L’avete votato e ora ce lo teniamo…

15 dicembre 2010: scenario.

Parlamento

agenziami via Flickr

La data del 14 dicembre si avvicina a gran velocità e vorrei mettere a fattor comune con tutti voi due scenari che secondo il mio modesto parere potremmo trovarci ad affrontare il giorno seguente il voto di fiducia. Naturalmente i commenti sono aperti proprio per consentire il dibattito su queste due ipotesi, che non essendo suffragate da altro che non dalle mie personali impressioni, non troveranno necessariamente l’accordo di voi lettori.

Se passa la mozione di sfiducia, la palla torna in mano a Napolitano. E’ dovere del Capo dello Stato (istituzionale prima che morale, di responsabilità) verificare l’esistenza di una maggioranza alternativa in Parlamento; vorrei a questo proposito ricordare che il popolo italiano elegge i Parlamentari, non il Capo del Governo (anche se forse questa abominevole legge elettorale che impedisce l’elezione diretta dei componenti del Parlamento ce lo sta facendo dimenticare), e pertanto la ricerca di una nuova maggioranza in Parlamento non è un tradire il voto popolare, anzi, è esaltarne il valore. Stando alle dichiarazioni degli ultimi giorni, una possibilità di intesa tra “dissidenti di destra”, centro e centrosinistra parrebbe esserci, quindi è facile che al termine delle consultazioni, Napolitano metta il mandato di formare un nuovo governo in mano a qualcuno. Si dovrebbe trattare naturalmente di un governo tecnico, non politico (d’altra parte come si potrebbe, con un simile calderone di idee discordanti), con un mandato chiaro e definito: (immagino) applicazione della finanziaria, riforma della legge elettorale (quale migliore occasione di un governo tecnico per affrontare quelle riforme che nessuno vuole fare) e risposte urgenti alla crisi economica.
Personalmente, tra tutti i nomi che sono venuti a galla nelle ultime settimane,  vedo tra i primi della lista l’attuale governatore della Banca d’Italia Draghi, soprattutto perché una sua nomina garantirebbe qualche punto in più di fiducia da parte delle istituzioni finanziarie e dei mercati (i mitici “speculatori”), consentendo un più ampio respiro e margine di manovra al neonato Governo soprattutto sul campo della risposta alla crisi.
A queste condizioni potremmo aspettarci le elezioni politiche verso l’estate-autonno 2011, una volta terminato il più lungo dei lavori del programma, la riforma elettorale. Potrebbe essere l’occasione giusta anche per dare finalmente seguito alla riforma della pubblica amministrazione, ma non credo che ci siano al momento le forze per giungere a qualcosa di concreto in tempi accettabili.

Se invece non dovesse passare la mozione di sfiducia, sarebbe verosimilmente perché la “campagna acquisti” del PDL ha giocato il suo ruolo, e stando agli equilibri dichiarati alla vigilia, per pochi voti. Viene allora spontaneo chiedersi: può (e quanto a lungo) un governo stare in piedi grazie a due o tre voti? La memoria corre all’ultimo Governo Prodi, dilaniato non tanto dalle divisioni interne, ma dalla necessità di tenere coesa per intero una maggioranza in cui un solo voto di scarto poteva far crollare il castello di carte.
Con queste premesse, è facile ritenere che la crisi di governo sarebbe, in questa seconda ipotesi, solamente rimandata di qualche settimana, o mese. Soprattutto considerando il fatto che, con il ridursi del consenso popolare e del margine parlamentare, anche l’appeal del “leader maximo” Silvio Berlusconi va calando e c’è già chi, anche tra i ministri, prende timidamente le distanze dall’operato del Governo.
Credo che questa seconda ipotesi sia da considerare un po’ come un “accanimento terapeutico” assolutamente dannoso per l’Italia, che si ritroverebbe con il timone bloccato, in balia delle correnti della crisi economica.