Archivi tag: libertà

Come cambia ora WikiLeaks?

Mi è stato chiesto come cambierà WikiLeaks dopo l’arresto di Julian Assange. Non avendo io la “palla di vetro” posso solo fare qualche ipotesi, basandomi ne più ne meno su quello che vedo, leggo, sento.

Cominciamo dal punto di vista di WikiLeaks: l”arresto di Assange non rappresenta per l’organizzazione di WikiLeaks un grosso problema. Non solo perché a differenza di quello che i media lasciano trapelare, WikiLeaks non è composta dal solo hacker australiano, ma soprattutto perché ritengo che un suo arresto potesse essere prevedibile tanto quanto il rifiuto della scarcerazione su cauzione e (non è ancora giunto il momento ma credo che non mancherà molto), l’estradizione (vedremo se verso la Svezia o direttamente negli USA). Sicuramente Assange ha negli ultimi giorni dato adeguate istruzioni al board di WikiLeaks sia riguardo l’elezione di un suo successore sia riguardo la politica da seguire per difendere lui e l’organizzazione stessa.
Negli ultimi giorni infatti molti sono stati gli esempi di aziende e/o organizzazioni che hanno deciso di schierarsi apertamente contro WikiLeaks (quindi contro l’idea di un’informazione libera e della possibilità di una democrazia più diretta basandola sulla trasparenza forzata di governi, aziende e società varie): PayPal, Visa, MasterCard sono solo alcuni dei grandi nomi che nelle ultime ore hanno apertamente deciso per questa strada (ed io sto ponderando le mie decisioni in proposito).
WikiLeaks continua naturalmente ad essere apertamente supportato dalla stragrande maggioranza della comunità hacker mondiale (che sulla trasparenza e la libera circolazione delle informazioni ha basato la propria filosofia esistenziale) e che che ne dica Libero, non credo proprio che ad esultare per l’arresto di Assange sia “mezzo mondo”, forse non arriviamo nemmeno alla metà dei quattro scannagatti che leggono la testata (tralasciando poi il ministro Frattini che parla di “processo”, visto che il nostro primo ministro è il primo a non farsi processare da ormai alcuni lustri).

Dal punto di vista della diplomazia internazionale invece, si tratta di una “vittoria di Pirro”: in primis perché l’arresto di Assange non è legato alla divulgazione del materiale diplomatico, ma sul palliativo di una accusa di stupro e violenza carnale in Svezia, che ricorda fin troppo da vicino il trucchetto dell’evasione fiscale utilizzato per arrestare Al Capone. Secondariamente perché questo non fermerà WikiLeaks, che già stanotte rilascerà un’altra quota parte del materiale in via di vaglio. In terza battuta, perché un’altra volta si è persa l’occasione (a livello internazionale ma non solo) di comprendere ed analizzare le reali ripercussioni che un mezzo di informazione orizzontale e libero, come internet è, ha sul mondo reale; un’altra volta si è cercato di mettere un bavaglio, di cassare, di censurare. Questa strategia si è già dimostrata ampiamente fallimentare: pensiamo alla questione del diritto d’autore, della Cina che censura i siti web dei dissidenti (e non).

Alla fine di tutto il ragionamento, credo che si possa dire che l’arresto di Assange costituirà, per qualche giorno, il bianconiglio estratto dal cilindro e fatto correre di fronte alla stampa internazionale, per sviarne l’attenzione. Non cambierà nulla della sostanza e le prossime rivelazioni (di WikiLeaks o chissà di chi altri, nella marea di informazioni che internet è in grado di generare) riporteranno il tema alla ribalta.
Chissà che la prossima non sarà la volta buona di farci su un pensiero un po’ più profondo di “vendetta e sangue”…

WikiLeaks, Assange e la libertà d’informazione

Julian Assange

Julian Assange (biatch0r via Flickr)

In questi ultimi giorni, il nome “WikiLeaks” è sulla bocca di tutti, anche tra le parole di qualcuno che, senza alcuna cognizione di causa, pretende di dare pareri definitivi a riguardo. E non mi riferisco solo a politici, sia chiaro.
Non vorrei dilungarmi troppo neppure su cosa sia WikiLeaks e sulle rivelazioni che ha pubblicato negli ultimi giorni.

Quello su cui invece mi piacerebbe spendere qualche parola è ciò che WikiLeaks rappresenta, ossia l’emblema (attuale) della libera circolazione dell’informazione, potenziata enormemente dal mezzo che internet è.
Vorrei sottolineare come ciò che oggi si cerca di fare con WikiLeaks (ovvero, sostanzialmente, impedire la diffusione di conoscenze non gradite al potente di turno) si è cercato di fare, ed a volte “riuscito”, a rotazione con molti dei “fenomeni” che il web ha proposto: YouTube, Facebook, Wikipedia e via discorrendo. Noi italiani poi abbiamo particolarmente a cuore questo genere di pratiche, visto che a tutt’oggi impediamo l’accesso ai nostri concittadini a tutti quei siti di scommesse che non pagano il pizzo all’AAMS (esattamente come se vi impedissero di andare a Montecarlo perché li c’è un Casinò).

Nella fattispecie, quest’oggi abbiamo assistito al blando ed inefficace tentativo di bloccare l’accesso al sito di WikiLeaks dirottandone e filtrandone le entry DNS. Il sito ha rapidamente consentito un accesso da altri IP, con altri URL e i nostri amici di EveryDNS, che hanno così raccolto, come unico risultato, una ben magra figura. Si era precedentemente tentato (“non si sa” per mano di chi) un DDoS (Distributed Denial of Service), domani si tenterà con l’arresto di Assange grazie al primo mandato internazionale della storia spiccato a seguito di un’accusa di violenza carnale (non voglio difendere Assange, sia ben chiaro da buon principio). Senza per altro considerare il fatto che Julian Assange (che non è certo uno sprovveduto) avrà organizzato tutta una serie di ritorsioni che scatteranno proprio nel momento in cui egli venga messo sotto fermo.

Davvero pensano che, anche cadesse WikiLeaks, riuscirebbero a fermare la diffusione del sapere su Internet? Per questi potenti, abituati a giocare sottobanco le proprie carte, WikiLeaks ed internet sono una sorta di Vaso di Pandora. Per noi internauti, ormai, un qualcosa di irrinunciabile.

Prima i governi del mondo capiranno che internet significa “libertà di scambio” nella sua accezione più pura, prima questo smetterà di essere una minaccia per la società e diventerà invece una fonte di progresso e conoscenza.

E’ nata una nuova informazione

Sta andando in onda (o sta finendo) raiperunanotte.it. Per chi si fosse perso la notizia, si tratta di un programma “televisivo”, mandato in streaming su internet e trasmesso da alcune televisioni satellitari (tra cui Current tv) e da alcune radio (ad esempio quelle del Popolare Network) pensato e condotto da Michele Santoro e che ha visto la partecipazione di numerosi esponenti del giornalismo italiano; obiettivo (dichiarato) quello di aggirare l’illegittima sospensione (voluta dal Governo Berlusconi) dei “talk show politici” durante il periodo elettorale.

Nuova non solo perché è auto-finanziata (50.000 persone hanno versato 2,50€ a testa affinché la trasmissione andasse in onda), non solo perché ha visto una convergenza tra televisione ed internet che in Italia è tutt’ora un sogno, ma soprattutto per la penetrazione ed i risultati che ha ottenuto: 120.000 visitatori unici contemporanei (per la parte web) sono qualcosa di inimmaginabile per un’iniziativa di questo genere. La trasmissione è diventata il tema della serata, e questo nonostante il bavaglio imposto dal governo ai mass media.

Mi chiedo, ora, e voglio chiederlo a tutti coloro che qualche mese fa sostennero che non vi era “alcuna emergenza democratica” nel settore dell’informazione: ora che sono stati sospesi i talk show di approfondimento (quindi quelli che dovrebbero idealmente consentire la formazione di un’opinione ponderata agli elettori che se la formano con la sola televisione, cioè il 70% dell’elettorato italiano), continua a non esserci alcuna emergenza democratica? Ora che la Tg1 e Tg5 sono stati multati (nonstante l’inezia economica della multa), non c’è un’emergenza democratica? Ora che (Il Sole 24 Ore, certo non un giornale di sinistra) si evidenzia come l’informazione dei canali privati italiani sia fortemente sbilanciata a favore del governo e della maggioranza, non c’è un’emergenza democratica? Ora che per fare una trasmissione che parli di ciò che accade in Italia (pensare che a me Santoro non piace nemmeno) si debba andarsi a rifugiare su internet (per quel che durerà, e queste parole saranno profetiche), non c’è ancora un’emergenza democratica?

In ogni caso, per concludere, questa sera ho sentito dire ad un personaggio del calibro di Gad Lerner una cosa rivoluzionaria, per ciò che la televisione italiana è (diventata): basta con i talk-show/pollaio; che si facciano trasmissioni al servizio dei cittadini e della verità: un servizio d’approfondimento/inchiesta (come molti giornalisti in Italia sanno fare), imparziale, coerente. Poi 1 minuto a testa per rispondere alle domande, niente repliche, niente interruzioni (altrimenti, semplicemente, fuori dallo studio). Un faccia a faccia vero, che non lascia spazio a manipolazioni e menzogne.

Chiedo troppo? Forse. Oggi però ho visto realizzarsi un sogno; concedetemelo, per stavolta.

Aiuto

Trova la differenza...

Trova la differenza...

Ciò che è andato in onda ieri sera da Onna, per quanto ignobile, rappresenta molto bene l’attuale situazione politico-mediatica italiana: un regime dittatoriale basato sul controllo dei media. Non è la prima volta che lo dico e ogni giorno che passa potete trovare ulteriori e definitive conferme del fatto che i mass media vengono scientemente manipolati dal presidente del consiglio e/o dai suoi accoliti per mantenere il controllo sulla popolazione e garantirsi una tenuta elettorale, a costo di mentire spudoratamente (e devo dire con notevole abilità e faccia tosta) ai cittadini-telespettatori.

Le voci di protesta, se anche si levassero, non troverebbero spazi per diffondersi, essendo tutti i principali mezzi di comunicazione sotto il controllo diretto del presidente del consiglio: televisioni (Rai e Mediaset), radio (tramite la pubblicità), giornali (Il Giornale), libri (Mondadori), cinema (Medusa). Persino la rete internet è stata ripetutamente oggetto di attacchi di vario genere, volti ad intimidire e/o bloccare fonti di informazione libera, gli ultimi anche piuttosto recenti, con la richiesta di 20.000.000 di euro di danni da parte degli Angelucci (PdL) a Wikipedia.
Persino il presidente della camera Fini, che oggi pare essere portatore di una delle due uniche correnti di opposizione al Governo (dopo l’IdV, che però raccoglie consensi troppo ristretti per poter agire efficacemente), si è trovato a dover gestire indimidazioni da parte de Il Giornale, al punto che ha concluso con una denuncia penale nei confronti di Vittorio Feltri, che de Il Giornale è il direttore.

Le trasmissioni che a Berlusconi non piacciono sono state osteggiate (Report) o meramente cancellate (Annozero), senza che ne la Commissione di Vigilanza Rai, ne l’opposizione, abbiano fatto particolare rumore: ora si arriva ad una manifestazione per la libertà di stampa, che si terrà a Roma questo weekend. A cosa servirà? Il ritardo con cui si interviene è drammatico e la situazione è probabilmente già compromessa: la soluzione del conflitto di interessi andava messa in cantiere molti anni fa, prima che Berlusconi potesse mettere in piedi il sistema di controllo mediatico che oggi si trova a gestire. La mia personalissima impressione è che attualmente non vi sia più la possibilità di una soluzione al problema interna alla nazione, e che le nostre uniche chance di tornare ad essere un paese libero siano da riporre nelle direttive europee (purtroppo anche il Parlamento è oggetto delle ire del nostro presidente del consiglio, che è recentemente arrivato a minacciare di “bloccarne i lavori”).

A Onna, ieri sera, il palcoscenico era interamente per Berlusconi: niente domande, niente contraddittorio, falsità a tutto spiano senza che nessuno potesse smentire. Vespa ha taciuto sulle proteste degli sfollati (pur presenti) e sulle altre reti (Ballarò per la Rai e Matrix per la “concorrente” Mediaset) le trasmissioni di approfondimento politico già programmate era state spostate proprio per far posto allo speciale di Porta a Porta (che pure è riuscito a non ottenere lo share più alto della serata).

Ci è stato raccontato che ormai tutti gli sfollati abruzzesi stanno per essere sistemati in queste bellissime case definitive che diventeranno poi campus di accoglienza per il nuovo polo universitario. Peccato che le casette in legno consegnate (sono pronte solo 3 delle 94 previste), pagate dalla Croce Rossa Italiana e costruite dagli alpini del Trentino, non c’entrino nulla con il Piano Casa del Governo, che non ci ha messo una lira (interessante come poi ci abbiano “messo il cappello“, negli ultimi giorni). Le case del governo, la cui costruzione ha sottratto risorse alla ricostruzione (non è ancora partita, lo sapevate?) basteranno ad ospitare 4800 persone, mentre gli sfollati sono quasi 50.000. Un fallimento su tutta la linea sul quale neppure Bertolaso ha avuto la freddezza di mentire completamente, ieri sera: a precisa domanda di Vespa (pare incredibile, eh?) ha risposto che “entro dicembre ci saranno case per tutti”. E ora si pone il problema (drammatico) delle graduatorie per le assegnazioni…

Su tutto questo (così come sulle proteste degli sfollati) si è taciuto: a Porta a Porta (e nei telegiornali?) non si è visto nulla: eppure bastava muoversi di poche centinaia di metri, passando dai paesi vicini a Onna, per rendersi conto che l’immagine dipinta dal presidente del consiglio era tutt’altro che veritiera e descrittiva delle condizioni in cui versano gli abitanti che non sono stato così fortunati da rientrare in questo primo lotto di case e che subiranno l’esperimento “decisionista” post-terremoto della Protezione Civile di Bertolaso, che per quanto da lodare per l’intervento in Abruzzo, ha messo in atto (su direttive governative?) un piano di soccorso che inverte (come denunciato dagli esperti già nei primissimi giorni) la tendenza degli ultimi anni, che vedeva nei moduli abitativi provvisori prefabbricati (i mitici “container”) la possibilità di dare agli sfollati un alloggio minimamente confortevole, in attesa del procedere della ricostruzione: costi tutto sommato ridotti, quindi maggiori fondi per far partire la ricostruzione vera e propria, ma soprattutto evitare che gli sfollati passassero 5 mesi nelle tende, che per altro hanno cominciato ad essere smantellate negli ultimi tempi (al campo de l’Aquila restano solo 40 persone che non vogliono abbandonare quel poco di normalità che sono riuscite a ricostruirsi in questi 5 mesi).

L’Italia è come alcolizzata, drogata di televisione: non è più in grado di uscire da sola da questa dittatura mediatica ed ha decisamente bisogno di aiuto!

L’arresto di Aung San Suu Kyi

tap tap tap via Flickr

"tap tap tap" via Flickr

Nonostante la notizia sia passata in sordina, qui da noi, rispetto alla polemica sulle iniziative razziste e xenofobe del nostro governo, Aung San Suu Kyi è tornata in carcere. Curioso notare come ci sia tornata proprio quando stava per concludere la sua pena agli arresti domiciliari (il 27 maggio), nonché proprio quando alcuni collaboratori del premio Nobel per la pace avevano fatto presente alcuni suoi gravi problemi di salute (nella fattispecie chiedendo che il medico della San Suu Kyi, anch’esso incarcerato, le potesse fare visita).

Possiamo ovviamente supporre, senza rischiare di sbagliarci, che la San Suu Kyi verrà trattata con il massimo riguardo e cura (soprattutto viste le sue precarie condizioni fisiche) dalle autorità Birmane, che tengono moltissimo al che la San Suu Kyi partecipi (e possibilmente vinca) le ormai prossime elezioni in Birmania (2010).

Infine è simpatico sapere che la San Suu Kyi è stata posta in stato di arresto in quanto un misterioso americano di origine (pare) vietnamita, del quale non si sa nulla (neppure l’ambasciatore americano in Birmania sa nulla), avrebbe raggiunto a nuoto la casa della Kyi e vi si sarebbe trattenuto per ben tre giorni (proprio a ridosso della liberazione, che coincidenza!). Un errore imperdonabile per la sessantatreenne attivista Birmana (in isolamento a Rangoon dal 2003, ma sostanzialmente priva di libertà dal 1990, ovvero dall’anno in cui vinse in modo schiacciante le ultime elezioni), che ora rischia dai tre ai cinque anni di reclusione.

Foto dell’anno? No.

Ho sempre trovato estremamente interessante l’annuale concorso fotografico della Stampa: splendide foto, attimi unici catturati da professionisti di grandi capacità tecniche ed artistiche. L’edizione annuale del concorso si è conclusa da pochi giorni ed avrei voluto mostrarvi la foto vincitrice, magari con un bel link al sito ufficiale del concorso, dandovi così la possibilità di vedere le altre foto premiat, splendide anch’esse.

Invece no: il copyright di pubblicazione delle foto non mi consente non solo di copiare la foto, ma nemmeno di mostrarvela con un bel link che vi riporti alla foto in questione.
Ciò detto, per protesta, questo post rimane senza foto. E senza link.

Fregati dal DRM

Catena Verrebbe quasi da ridere, se non fossimo sul fondo del barile intenti a raschiarlo con tutte le nostre forze. Con il pretesto di lottare contro la “pirateria musicale”, le major discografiche ed i grandi distributori di musica “legale” online ne hanno inventate di tutti i colori. Il loro vero obiettivo è quello di fare più soldi possibile, indipendentemente da ciò che fosse realmente il bene degli acquirenti, del mercato, dei musicisti, di tutti fuorché il loro.

Naturalmente questo atteggiamento è sempre stato negato ed i distributori si sono sempre erti a paladini della difesa del copyright: ora che si cominciano a vedere le prime (grosse) crepe nel sistema messo in piedi, voglio proprio vedere cosa si inventeranno. La notizia è di quelle che fanno scalpore: Microsoft ha annunciato agli ex clienti di MSN Music che spegnerà  il 31 agosto 2008 i server che forniscono le autorizzazioni necessarie alla riproduzione della musica acquistata tramite questo servizio, rendendo di fatto impossibile la fruizione del contenuto acquistato.

L’ennesima dimostrazione che il DRM è un buco con il sistema anticopia intorno, e che il buco non sta (solo) nell’implementazione tecnica ma nell’idea stessa che ci sta dietro. Mi auguro che gli utenti truffati facciano causa a MSN Music e che questa sia condannata a risarcirli: tutti!

Libertà nei media italiani

Secondo l’annuale statistica di Reporters sans frontiéres, la libertà nei mass media italiani è in “vertiginosa crescita” negli ultimi anni: dopo il 40o posto dello scorso anno ed il 42o di due anni fa, quest’anno ci piazziamo al trentacinquesimo posto (tra Bosnia e Macedonia). Ecco il commento dell’autore sul risultato della nostra Stampa nazionale:

Italy (35th) has also stopped its fall, even if journalists continue to be under threat from mafia groups that prevent them from working in complete safety.

Il problema sarebbe quindi la mafia. Non dubito che rappresenti un problema serio per la libertà dei nostri mass media, ma a mio avviso c’è un problema altrettanto grosso che riguarda l’indipendenza delle testate giornalistiche, poche delle quali possono permettersi ad oggi di essere realmente libere.

Tornando però alla statistica, un paio di dati su cui riflettere:

  • il 48o posto degli Stati Uniti, tra Nicaragua e Togo
  • i primi 14 stati della classifica sono europei

De papa, ragione e fede

papa Bene, anche se è tardi ed ho lavorato pesantemente tutto il giorno (avessi finito, dannazione, mi aspetta un weekend d’inferno), qualche minuto per riflettere sul principale evento del giorno voglio trovarlo.
Chi segue questo blog sa bene che non sono mai stato molto dolce con la Chiesa Cattolica (ma con la religione in generale): rispetto le opinioni (il fatto che le critichi non significa che non le rispetti) e le credenze di tutti, ma a patto che questi rispettino le mie, compresa quella di vivere una vita “senza Dio”. Purtroppo non capita sempre cosi…

Torniamo sull’argomento, comunque. Evidente a San Pietro non devono aver ancora digerito il fatto che la Terra sia “tonda”, perché continuano, ad intervalli regolari, a scagliarsi contro la scienza e “la ragione”, mettendola in contrasto (perso a priori naturalmente) con la fede. O forse sono semplicemente spaventati dal fatto che la gente si stia allontanando sempre di più dalla fede (per via di una lunga serie di ragioni, molte delle quali certo non illuminate) e quindi cercano, in tutti i modi possibili, di “recuperare terreno”. Non lo so.
Fatto sta che quest’oggi il papa, Benedetto Pio XVI (al secolo Joseph Ratzinger), ha pubblicato la sua ultima (temporalmente parlando naturalmente) enciclica, dal titolo “Spe Salvi”, 77 pagine scritte tra un impegno e l’altro, e dal contenuto piuttosto dibattuto (di particolare interesse il comunicato stampa della UAAR e la replica al papa di Margherita Hack).
Il nodo cruciale della questione è il fallimento, secondo il papa, delle ideologie razionali (con particolare riferimento a marxismo e illuminismo), colpevoli di aver provocato “le più grandi crudeltà e violazioni della giustizia”, riconducendo tutto all’ateismo (sempre in mezzo, deve essere una guerra di religione…).

Al di la delle mere valutazioni propagandistiche, alle quali non si può nemmeno dar contro, trattandosi di un testo religioso, vorrei far notare al sign. Ratzinger che l’illuminismo non è un’ideologia, ma un movimento culturale e filosofico, al quale dobbiamo insignificanti valori quali “libertà”, “uguaglianza”, “democrazia”; non mi risulta abbia causato morti significative, mentre della Santa Inquisizione, delle guerre di religione, dell’olocausto (che ricordo essere stato appoggiato ufficialmente dalla Chiesa) e più di recente dello stesso terrorismo islamico, non possiamo certo dire lo stesso…
Neppure il marxismo, di per sé, è un’ideologia (al punto che lo stesso Karl Marx si proclamava fermamente contrario alle ideologie), ma “una dottrina politica ed una teoria sociale basata sul pensiero”.

Ratzinger fa poi alcune considerazioni che vale la pena riportare:

Il progresso offre nuove possibilità per il bene, ma apre anche possibilità abissali di male, possibilità che prima non esistevano. Sappiamo che il progresso in mani sbagliate può diventare e sia diventato, di fatto, un progresso terribile nel male.

Con questo vogliamo dire che dobbiamo smettere di riflettere, pensare e progredire, per paura di aprire porte che potrebbero essere sfruttate “dal male”? Vorrei far presente al papa che il fuoco, il coltello, la corrente elettrica, la stampa ed i libri, persino le medicine possono essere utilizzate per “fare del male”. E spesso il movente che sta dietro questo uso “malvagio”, è riconducibile proprio a quell’ideologia di cui il papa si fà portatore, la “fede religiosa”…

Voglio infine rassicurare il papa, che si preoccupa per il futuro di quelli come me che, agnostici o atei, sono “senza Dio”:

L’uomo ha bisogno di Dio, altrimenti resta privo di speranza

Non si preoccupi, non perdo la speranza in un mondo migliore. Semplicemente non attendo passivamente che arrivi dopo la mia morte…

Amazon vuole (ri)lanciare gli e-book

kindle front Amazon ha annunciato, recentemente, il lancio del suo e-book reader, Kindle. Si tratta di una device dotata di un monitor, in grado di leggere, con una serie di funzionalità aggiuntive (dalla possibilità di marcare le pagine alla connessione wireless con l’Amazon Kindle Store sul quale fare i propri acquisti), libri elettronici (immagino solo quelli in vendita sul negozio online di Amazon).

Quello che viene naturale chiedersi, è quale sia la novità che Amazon propone e che dovrebbe rilanciare il fenomeno degli e-book, che fino ad oggi sono rimasti, per diversi motivi, un fenomeno di nicchia.
Ad oggi, i grandi problemi degli e-book sono stati la mancanza di intuitività dei dispositivi di lettura, le limitazioni che i venditori di e-book impongono (drm), ed il prezzo, problemi che purtroppo non vengono risolti da Kindle.

Una delle peculiarità più importanti che il libro cartaceo detiene rispetto all’ebook, è il contatto manuale con l’oggetto. Mentre un libro, fatto di carta, consente una serie di interazioni dirette ed estremamente intuitive con l’oggetto quali la possibilità di prendervi appunti o di voltare pagina (ovviamente non serve dirlo, sono operazioni manuali che vengono istintive quando manipoliamo qualsiasi oggetto), queste stesse interazioni sono difficilmente replicabili su un dispositivo elettronico: per girare pagina bisogna premere un pulsante, o toccare lo schermo, un’operazione non intuitiva, almeno per coloro che sono abituati ad interagire con libri cartacei. L’intuitività dell’uso della device è un aspetto importante, anche se potrebbe sembrare un pretesto; sicuramente l’introduzione massiccia degli e-book porterebbe ad un “adattamento” da parte del lettore, ma si tratta di un processo anti-intuitivo, che non aiuta il diffondersi del prodotto.

Da questo punto di vista, il dispositivo di lettura presentato da Amazon non porta nessuna particolare innovazione: le dimensioni, il materiale, le funzionalità che questo propone, si possono agevolmente ottenere con un normale computer palmare dotato di un dispositivo di lettura (ma anche di un iPhone o di un iPod Touch). E’ sicuramente interessante l’idea di poter fare acquisti direttamente dal dispositivo sul sito di Amazon, usando una tecnologia wireless che non necessita di hotspot (umts? gsm?) o l’integrazione con altre fonti di testo (giornali, riviste…), ma certo non rendono il prodotto di Amazon innovativo.
Esteticamente parlando, anzi, Kindle non è particolarmente attraente (sembrerebbe un progetto di quasi 10 anni fa) ed è persino sprovvisto (da quel che posso capire dai video dimostrativi) di un banale touch screen, che potrebbe aiutare nel rendere più “intuitivo” l’uso del dispositivo.

Certo le limitazioni oggettive imposte dall’uso di un dispositivo elettronico (innovativo o meno), sarebbero facilmente (e felicemente) accantonate di fronte ad un altrettanto oggettivo miglioramento delle possibilità di fruizione del media: la possibilità di portarsi dietro molti libri o materiali testuali in un unico dispositivo, la possibilità di farne un backup che preservi il libro digitale da eventuali rotture, la possibilità di agire sul libro (bookmarks, citazioni, pieghine o sottolineature) senza danneggiarlo.
Purtroppo fino ad oggi, tutti coloro che hanno cercato di spingere commercialmente sull’e-book, ha applicato ai suoi prodotti un sistema di controllo (Digital Right Management) che ne vincola l’uso a quello che viene previsto dal software utilizzato per la sua fruizione. Paradossalmente, può capitare che un libro che si trova sotto “Public Domain” (perché non più coperto, per legge, da copyright), non possa essere fruito completamente dagli utilizzatori di e-book, in quanto i vincoli inseriti nel software non hanno scadenza (a differenza del copyright). Amazon non si discosta minimamente da questa situazione, come già diverse persone hanno fatto notare: la licenza d’uso di Kindle e degli e-book che possono essere fruiti su di esso impongono una serie di castranti limitazioni al lettore che non potrà “prestare il libro” che ha acquistato, non potrà farne un backup, non potrà probabilmente neppure leggerlo ad alta voce, ne tantomeno fruirne su altri dispositivi differenti dal Kindle, legandolo per sempre al dispositivo acquistato.

Questa impostazione di sfruttamento commerciale si è già dimostrata fallimentare nel mondo della musica, dove il drm sugli mp3, pesantemente spinto da RIAA e case discografiche, viene in questo periodo lentamente lasciato cadere, dopo aver fallito miseramente il suo scopo. A quanto pare, Amazon non ha afferrato il messaggio tra le righe: vessare gli utenti di prodotti digitali, non aiuta a vendere di più.

Ultimo ma non ultimo, viene il discorso del prezzo. Un libro (di qualsiasi genere e qualità), in libreria, ha un costo che oscilla mediamente tra i 5 ed i 25 euro, a seconda della novità del libro o del genere di rilegatura (hardcover o edizioni economiche); non ci sono ulteriori costi necessari per poter fruire del media (a parte forse un buon paio di occhiali per coloro che necessitano di questo ulteriore aiuto alla vista).
Il prezzo di lancio del Kindle è invece di 399$ (al cambio, 269€), per un costo per libro di 9,99$. Non c’è convenienza, oggettivamente, nell’acquistare la versione digitale proposta da Amazon.

Conclusioni

Amazon ha certamente i mezzi economici e la credibilità commerciale per proporre Kindle e sperare che abbia un minimo di successo, creando un mercato a partire da quello (quasi nullo) degli e-book. La chiave di volta, per rientrare almeno nei costi sostenuti, potrebbe essere l’interazione con gli altri produttori di libri digitali, con l’uniformazione dello standard documentale, la possibilità di interagire tra dispositivi diversi. Purtroppo questo non ha funzionato con il drm sulla musica (che ha certamente avuto una maggiore diffusione di quella che è prevedibile in breve tempo per gli e-book), e quindi diffido della possibilità che capiti per i libri digitali.