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Dell’auto-isolamento di Google Plus

Sto inutilmente cercando da almeno 20 minuti un plugin di WordPress, un tool, una qualche funzionalità che mi consenta di aggiornare (come faccio con twitter nativamente, con Facebook via Twitter e/o NetworkedBlogs) il mio profilo di Google Plus; vorrei che apparissero le cose che dico (solitamente su Twitter) e/o i miei post su questo blog. Quello che, insomma, si vorrebbe far apparire su un Social Network. Invece non trovo nulla, e non è la prima volta che cerco. “Sembra quasi” che a Mountain View abbiano deciso di tenere Google+ il più chiuso possibile in se stesso, esattamente all’opposto di quanto Buzz faceva (integrando in modo piuttosto interessante per la verità post provenienti da un sacco di fonti diverse).

Non mi piaceva particolarmente, Google Buzz ma trovo piuttosto fastidioso Google Plus da questo punto di vista. Non so se sia io ad essere inacidito (leggere “vecchia zitella acida”), ma a distanza di vari mesi dal suo lancio in grande stile, Google Plus è, per quanto mi riguarda, solo “un altro” Social Network, e non un reale rivale di Twitter o (meglio) Facebook.
Ha introdotto features interessanti e soprattutto ha portato ad una revisione e ad una maggior integrazione delle altre Google Apps che uso (il lungo lavoro non è ancora finito, ma non disprezzo la visualizzazione delle “cerchie” in Google Contacts, l’unificazione dei profili di Gmail e via dicendo). Solo che il mio profilo non è aggiornato: non ho alcuna intenzione infatti di inviare il mio post a 15 social network diversi manualmente, quindi ciò che può essere aggiornato automaticamente da una singola fonte ben venga, il resto rimane vuoto.

Fatico in realtà (ed è questa la ragione per cui scrivo qui) a spiegarmi quale sia l’ingrediente mancante in Google Plus. Facebook ha probabilmente “la massa critica” per essere interessante come Social Network: ho faticato per mettere in piedi NetworkedBlogs una volta che i Facebook Developers hanno eliminato la possibilità di inserire Note attraverso il vecchio plugin di WordPress perché ricevo mediamente molti più commenti via Facebook che attraverso i commenti stessi del blog. Che sia solo la “massa critica quindi”? Non saprei: Twitter non ha certo la stessa massa critica di Facebook (per quanto in crescita) e forse neppure di Google Plus… eppure risulta interessante per la qualità dei commenti che si ricevono, per la pervasività che un’informazione riesce a raggiungere.

Finito il post, resto con i dubbi di quando l’ho cominciato. Magari qualcuno dei miei lettori ha una chiave di lettura migliore della mia…

Welcome back to myself

E’ passato davvero parecchio tempo dall’ultima volta che ho scritto qui sopra. Un po’ perché la maggior parte della mia produzione di contenuti online si è spostata su altri mezzi (da Twitter allo sharing di item feed rss), un po’ perché il tran-tran quotidiano porta rapidamente ad esaurire il tempo disponibile per questo genere di cose, che a differenza di quanto possa sembrare, consumano parecchio tempo.

Torno quindi a scrivere su queste pagine con l’intento di cambiare un po’ di cose (a partire dal layout grafico, al quale ho cercato di dare una sonora sgrassata e che mi sembra ora più piacevole, leggibile, ma soprattutto più standard e quindi più facilmente mantenibile dal sottoscritto), non ultimo il genere di impegno che voglio metterci: niente più pubblicazioni cadenzate, niente più pianificazione, si torna all’origine. Vorrei che queste pagine tornassero cioè ad essere una raccolta di idee, impressioni, considerazioni di getto, anche di condivisione e discussione con chi ne avrà voglia, se possibile.

Sono alle porte di una svolta nella mia vita (quasi un’inversione a U, devo dire, come vedrete nel post dedicato) e questo blog servirà anche per tenere le fila di questa barchetta in burrasca 🙂

Cheers…

In memoria dei blog

Giornali metropolitani Ogni tanto può capitare di non saper cosa scrivere su un blog. In quei casi, non avendo solitamente vincoli di sorta, si passa agilmente dall’altra parte dell’ostacolo e si prosegue la propria giornata come nulla fosse accaduto. Mi rendo conto però che per un “professionista” della stampa questo possa rappresentare un grosso problema: dopotutto scrivere è il suo lavoro ed allora ci si inventa un po’, si fruga qua e la, e prima o poi qualcosa da scrivere si trova.
Voglio credere che al buon Geminello Alvi, ieri mattina, sia capitato così e che non abbia invece pensato coscentemente a tutto l’ammasso di fandonie che è riuscito ad infilare nella paginetta che ha consegnato alla sua testata. Il contrario sarebbe davvero oltraggioso per la sua reputazione professionale (messa comunque a dura prova dall’articolo di cui sopra).

Non darò ad Alvi il piacere di essere riportato per intero (anche se le fandonie sono talmente numerose che potremmo quasi fare un’analisi parola-per-parola dell’articolo) e mi limiterò a citare le parti più interessanti, conscio che i miei lettori interessati ad approfondire l’argomento ed a sentire “l’altra campana” non esiterranno ad “allocare” il tempo necessario per leggere l’originale.

E invece internet, e in particolare quegli orrori che si chiamano blog, sono tutto l’opposto. Un nervosismo di insulti svogliati, sfoghi di invidia o meschinità di cui si è felici: luoghi precari insomma, dove la coscienza e l’essere desti sono sospesi.

Alvi scuserà la mia impertinenza di scrittore rigorosamente non professionista, ma durante le (poche lo ammetto) lezioni di giornalismo prese a scuola, ho imparato che le affermazioni vanno accompagnate da riferimenti concreti (che su internet si incarnano facilmente in link), citazioni, note a margine. In mancaza di questi, le frasi accusatorie (soprattutto generiche come quella riportata, presente all’inizio dell’articolo) diventano semplicemente “insinuazioni gratuite”.

A me invece paiono luoghi di frustrazione e sciatteria, nei quali bisognerebbe io credo vergognarsi di scrivere, e certo non inorgoglirsi di averli creati.

Curioso come, cambiando alcune parole qua e la, questa considerazione sia altrettanto valida per alcune testate giornalistiche… Ad Alvi, in questo frangente, vorrei ricordare che proprio i blog stanno consentendo, in questi drammatici giorni a Gaza, dove il territorio del conflitto è interdetto alla stampa, ai giornalisti di tutte le nazionalità di tenersi (e tenerci) aggiornati su ciò che accade nella striscia… Dovrebbero forse vergognarsi, queste persone, di ciò che scrivono, o di aver aperto un blog?

Invece c’è tutto un culturame e persino il senso comune a elogiarli, a vedere in essi una forma superiore di informazione e democrazia. Ma quelli che valgono qualcosa sono pochi siti a pagamento nei quali si limitano o si cooptano i partecipanti. Gli altri, la maggioranza, invece amplificano solo dei luoghi comuni e non erudiscono in alcun modo.

Il mondo dei blog, secondo Alvi, si limita a questo: un’enorme massa di inutili personaggi che riportano luoghi comuni (senza argomentazioni immagino?) e pochi siti a pagamento ai quali non va per altro neppure il merito della qualità, in quanto arrivano persino a cooptare i partecipanti? Posso suggerirle, Alvi, di chiedere ai suoi colleghi blogger de Il Giornale se sono contenti di essere così descritti?

Infatti chi abbia un qualunque mestiere e lo sappia davvero lo vede subito: sui blog si parla di tutto, ma sapendo ben poco, e informando ancor meno.

In questa frase, perdoni Alvi, mi sfugge qualcosa: il soggetto di “lo sappia davvero” qual’è? Sapere “un qualunque mestiere”? Non ho colto, sul serio…

E peggio ancora: si sente in questo mai firmarsi col suo vero nome di chi invia messaggi una caduta ulteriore. Sia chi sia, impiegato o signora snob, arrabbiati di destra o sinistra, studenti o professorini: tutti costoro scrivono al riparo dell’anonimato cose che mai si direbbero in faccia. Altra diseducazione.

Alvi ha decisamente ragione, in questo frangente e mi cospargo il capo di cenere. Non tutti gli articoli di questo blog risultano firmati. Troppo spesso ho omesso di segnare nome e cognome in fondo alle pagine, ma qualcosa da dire in mia discolpa ci sarebbe: il titolo stesso del blog riporta il mio nome e cognome, oltre ad essere persino presente una pagina di informazioni, tra cui spicca persino il mio indirizzo email (oltre al numero di cellulare ed un’altra certa quantità di informazioni inutili), che invece Alvi, in coda all’articolo (curiosamente) non ha lasciato…

L’impressione è che Alvi non abbia capito fino in fondo il mondo dei blog, o che si sia superficialmente fermato dopo aver letto pochi (pochissimi, diciamo… uno o due) delle migliaia di anonimi blog che ci sono in giro e ne abbia tratto drastiche ed inappellabili conclusioni. A lui invece il mondo dei blog lascia sicuramente una porta non aperta, ma spalancata: da molte parti leggo inviti a riconsiderare la propria posizione alla luce di una più attenta ed approfondita analisi di questo fenomeno che, Alvi mi consentirà, di libertà e democrazia è una bandiera…

Al giornaliste de Il Giornale va dato atto, in ogni caso, di aver toccato (seppur involontariamente, probabilmente) un tasto importante, ovvero la necessità (che ribadisco ancora una volta) di una presa di coscienza dei blogger di tutto il mondo, di una maggior comprensione del ruolo mediatico che le nostre parole hanno e quindi di una maggior serietà applicata nella ricerca, analisi e documentazione di quanto scriviamo. Servirà anche ad emancipare il “mezzo” dalla melma (questa si) di siti più o meno insulsi che nascono dalla sola volontà di “seguire la nuova moda”…

Il male maggiore, al solito, è la generalizzazione…

Informazione dal basso? “Usare con cautela”

Anni '70 La bozza di questo post ha ormai una certa età: diciamo alcuni mesi. In tutto questo tempo l’ho aperta spesso, l’ho riletta, riscritta, stravolta, ripensata, ogni volta tentennando sul pubblicarla o meno. Stavolta ci provo, lo pubblico.

L’argomento è delicato: la sempre maggior diffusione di Internet nella case dei nostri concittadini (ma il discorso vale analogamente allargato al mondo intero, in qualche modo), l’incremento di notorietà ed uso di strumenti quali social network e blogs stanno portando alla luce una nuova fonte di informazione, costruita dal basso stavolta, ma pur sempre “media”. Non voglio entrare nel merito, stavolta, della difficoltà di districare da questa immensa matassa le informazioni di qualità (aspetto per altro che ho già avuto modo di toccare in diverse occasioni), ma puntare piuttosto il dito sulla responsabilità che questa parola (“media”) comporta e di quanto spesso si fatichi a prenderne coscienza.
Il sogno (utopia?) di un’informazione realmente partecipata, imparziale, umana si trova oggi di fronte alla necessità di fare un “salto di qualità” al fine di poter acquisire lo status di “media”: si tratta proprio della presa di coscenza della responsabilità, del potere che l’informazione ha nella nostra società.

La chiamiamo “Era dell’Informazione” non a caso: al giorno d’oggi l’informazione ha ripercussioni incredibili e dirette sulla società. Pensiamo semplicemente ai rifiuti di Napoli: c’è stato, appena prima delle elezioni, un battage insistente e violento sulla questione. Poi il Governo Berlusconi è stato eletto, ha dichiarato di aver risolto la questione e la copertura mediatica si è praticamente azzerata. Nelle menti di tutti c’è la sensazione che, in un modo o nell’altro, tra scontri e imposizoni, la questione sia risolta nel suo complesso. Basta però fare una telefonata ai nostri conoscenti nella zona, magari in periferia, o semplicemente fare qualche ricerca su Google News, per scoprire che la realtà è un’altra, che la spazzatura è ancora la (tranne nel centro storico). Lo stesso discorso vale per il problema “sicurezza”, tema sul quale l’attuale Governo ha (stra)vinto le elezioni e che oggi passa in secondo piano, apparentemente risolto, senza che vi sia stato, in realtà, alcun apprezzabile miglioramento.

Questo è il potere dell’Informazione ed è importante che chi, nel mondo dei blog ma non solo, ha velleità di fare informazione ne prenda profondamente (e rapidamente) coscienza. Le fonti da cui attingere sono tante, tantissime, ma il problema è sempre li: verificare, usare la testa, cercare conferme, essere prudenti.

La linea che divide il Giornalismo e la Demagogia è sottilissima. E’ importante imparare a comprenderla e individuarla; solo allora potremo sperare di dare al nostro Paese un’informazione impariziale e partecipata. Prima, non proviamoci nemmeno.

Liquida: valorizzare i contenuti del web (reloaded)

Bubbles Non è la prima (e non sarà certo l’ultima volta) che mi trovo a scrivere di internet e del valore dei suoi contenuti, della rivoluzione che la produzione personale (i blog e quello che vi gira attorno) rappresenta. Per inquadrare il fenomeno, citiamo qualche dato: una stima indica che in Italia ci siano oltre un milione di blog, di cui 300.000 attivi. 1500 nuovi blog nascono ogni giorno (ed una certa quantità ne muore, ovviamente). I contenuti prodotti da questo nuovo media (testi, foto, video, musica) sono letteralmente un fiume in piena, in grado di travolgere senza possibilità di salvezza coloro che anche solo pensassero di poterne leggere una parte consistente.
Inutile dire che non tutto il contenuto prodotto è di valore, anzi. La stragrande maggioranza di ciò che viene quotidianamente scritto sul web è di valore infimo, praticamente nullo: si tratta di contenuti “ripresi da altre fonti” (quotati), si tratta di argomentazioni futili (“bella zio!”), non pertinenti, o semplici contenuti prettamente personali (“ieri sera sono andato al cinema e mi sono molto divertito. Bella zio.”). In mezzo a questo rumore, però, si cela contenuti interessanti, in alcuni casi anche di notevole artistico e culturale, il cui accesso è reso di più in più difficoltoso dalla massa di informazioni che ci sommerge.

Gli approcci per risolvere il problema (quello di far emergere dal rumore i contenuti di valore, e solo quelli) sono essenzialmente due: un approccio “algoritmico” ed un approccio “sociale”.

  • L’approccio algoritmico consiste nel collezionare e catalogare tutto il contenuto del web, utilizzando algoritmi automatici (tramite degli spider). Il compito di affinare la ricerca in mezzo alla massa di contenuti indicizzati, viene lasciata all’utente, che deve inserire una serie di parole chiave al fine di estrarre dal “flusso” i contenuti che l’algoritmo ritiene pertinenti. Il vantaggio di questo approccio sta nell’automatismo con il quale il lavoro “sporco” (l’indicizzazione) viene compiuto. Lo svantaggio sta in parte nella probabile imprecisione dell’algoritmo, ma soprattutto nella difficoltà di proporre all’utente dei contenuti che non cerca, di essere propositivo. Per di più, l’algoritmo non è in grado di discernere di per sé un contenuto di qualità, o originale da una citazione: non fa altro che “incasellare”, classificare, ordinare e riproporre a richiesta. Un classico esempio di questo genere di approccio sono i motori di ricerca.
  • L’approccio sociale, da questo punto di vista, funziona molto meglio: agli utenti viene chiesto di rendere “computazionalmente intellegibile” il proprio contenuto (tramite ad esempio l’uso di tag, in questo caso in grado anche di aiutare un eventuale algoritmo automatico) e/o di provvedere a catalogare “manualmente” il contenuto del web: non solo quello prodotto dagli utenti stessi, ma anche quello che non fosse stato eventualmente catalogato dall’autore. Il vantaggio principale di questo approccio sta nell’intelligenza umana, in grado di discernere tra contenuti di qualità differente, di marcarli adeguatamente (aggiungendo pertinentemente ai tag persino parole che non sono contenute all’interno del testo) ed infine di proporli propositivamente, magari tramite un sistema di votazione. Lo svantaggio, purtroppo, emerge sempre più chiaramente: se qualcosa costa fatica, saranno in pochi (pochissimi) a farla, mentre per catalogare l’enorme mole di informazioni che il web propone servirebbe una massa critica decisamente importante. Di sistemi che usano un approccio sociale all’organizzazione dei contenuti in rete ne troviamo molti, da Digg a Delicious, ma tutti si scontrano con il problema del necessario, ma “scarso”, intervento umano.

Come sappiamo però, la virtù sta nel mezzo ed ecco allora un interessante esperimento che cerca di trarre dai due approcci il meglio: Liquida.
Si tratta di un “valorizzatore di contenuti“, uno strumento che punta non solo a far emergere dal “mare magnum” della blogopalla (blogosfera, “blog” o “nuovi media” che dir si voglia) i contenuti di maggior valore, ma punta anche ad affermarsi come strumento facile da usare, in grado di essere utilizzato e sfruttato in tutte le sue potenzialità anche dagli utenti meno esperti (e qui è un po’ una lotta contro i mulini a vento, sigh).

Il funzionamento di Liquida è piuttosto semplice da descrivere (anche se tecnicamente è tutta un’altra cosa): utilizza una serie di spider che (tramite l’analisi semantica di una elaborata intelligenza artificiale) provvedono a “marcare” (applicare tag, parole chiave) i post presenti nei blog censiti. L’intelligenza artificiale stessa provvede ad una prima “scrematura” dei contenuti: vengono eliminati quelli troppo corti (come esprimere qualcosa di seriamente interessante in meno di 200 battute?) e quelli che presentano contenuti osceni o offensivi. Il servizio per il momento dovrebbe essere limitato ai post in lingua italiano, ma mi è capitato di trovarci dentro anche post in inglese, quindi su questo non metterei la mano sul fuoco.
Proprio questa parte di “scrematura” algoritmica è il cuore pulsante di Liquida: il motore semantico provvede in più passaggi ad analizzare vari fattori (dai classici “page rank” e “link in ingresso” all’analisi dei commenti ricevuti) in modo da valorizzare maggiormente i contenuti che rispecchiano tutti quegli aspetti tipici dei “post interessanti”. Inutile dire che qualcosa andrà inevitabilmente perso in questo processo di “macinazione”, ma il fatto che il motore sia stato appositamente tarato per questo compito (e non sia invece “adattato”, come accade per i più comuni motori di ricerca) rappresenta un punto di originalità.

E’ possibile navigare Liquida per tag, utilizzando il motore di ricerca integrato (ed in questo frangente si comporta sostanzialmente come un motore di ricerca), oppure appoggiandosi all’analisi dei “temi del giorno” che consente di proporre agli utenti gli articoli che affrontano gli argomenti di attualità.
La struttura a “portale” di Liquida, inoltre, dovrebbe consentire di guidare in modo intuitivo gli utenti che si avvicinano per la prima volta al mondo dei blog, composto al momento da oltre 6500 blog ed oltre 260.000 post, cifre di tutto rispetto.

Infine (ma non per importanza, anzi!), Liquida propone una versione originale e “redazionale” dei contenuti, il Magazine: i contenuti di maggior valore vengono quotidianamente raggruppati in articoli che ne riporta stralci ed opinioni, aggregati in un collage propositivo (eseguito da redattori in carne ed ossa, corretto e controllato come la tradizione giornalistica vuole). Il livello attuale del Magazine mi lascia onestamente ogni tanto perplesso, ma l’idea è buona e ci sono prospettive concrete di miglioramento.

Quello che a mio avviso manca ancora su Liquida è la parte “sociale” del sistema (anche se viene parzialmente introdotta in queste ore, purtroppo in una pagina dedicata e non direttamente in home page), che consenta di integrare gli algoritmi prettamente automatici (che soffrono, nonostante l’intelligenza artificiale, della classica “miopia da elettronica stupida”) aumentando così il valore dei contenuti proposti e/o suggeriti. D’altra parte proprio la mancanza (ma sarebbe forse lo stesso anche tramite l’assegnazione di un peso ridotto) è il fattore che consente di valorizzare anche i contenuti prodotti da autori meno “noti” dei soliti protagonisti…
Interessante e da sottolineare anche l’aspetto di “business” legato a Liquida, che nasce e si propone con un chiaro piano aziendale, forse uno dei primi legati all’analisi dei contenuti generati dagli utenti.

Nel complesso, Liquida è un progetto interessante (non dimentichiamo che è ancora in beta): nulla di innovativo (non sò ovviamente cosa ci sia “sotto la carrozzeria”), ma un utile strumento per districare ancora un po’ quella matassa che sono gli User Generated Contents, con buone prospettive per il futuro.

Ancora di blog e censura

Day 224: Learn To Shut Your Mouth. La libertà d’espressione è un problema. Lo è sempre stato (ed infatti si è sempre cercato di limitarla) è probabilmente sempre lo sarà, soprattutto per coloro che si trovano a pagare le conseguenze di proprie azioni più o meno giustificate, più o meno lecite. “Libertà d’espressione” significa tante cose: significa potersi esprimere liberamente, significa non mentire; significa avere i mezzi per parlare, significa non essere fazioni o agire con secondi fini; significa documentarsi e documentare. Alle volte significa anche semplicemente esporsi ad un rischio, più o meno evidente: pensiamo a Roberto Saviano, alla libertà di parola (scritta nel suo caso, prima ancora che parlata) pagata con l’assegnazione della scorta, a soli 27 anni.

Da quando i blog hanno messo a disposizione di tutti un mezzo “efficace” per dar luogo alla propria libertà d’espressione, stiamo assistendo a un vero e proprio riemergere del “problema” della libertà d’espressione, con ricorrenti critiche ed azioni da parte di enti di vario genere (avvocati, magistratura, semplici cittadini) più o meno titolati ad emettere sentenze ed eseguire condanne. Lo strumento è potentissimo, ma bisogna ammettere che nella stragrande maggioranza dei casi viene usato (stranamente) con coscienza e senso di responsabilità, cosa che rende ancora più evidenti ed eclatanti le azioni eventualmente prese contro questo genere di media in seguito a denunce per “diffamazione” et simili.

Negli ultimi giorni, i casi sono stati non uno ma due.

  • Nel primo caso (ora censurato dallo stesso autore con motivazioni che spiega decisamente meglio di quanto non possa farlo io), forse meno eclatante, Sergio Sarnari raccontava una poco piacevole storia personale (e piuttosto ben documentata) che tirava in causa la Mosaico Arredamenti, colpevole (se così si può dire) di aver fornito un’assistenza quantomeno scarsa. Tra i commenti del post, si poteva leggere quello di un sedicente amministratore dell’azienda stessa che dichiarava di aver sporto querela per calunnie nei confronti del blogger in questione. La rivolta da parte della blogopalla è stata piuttosto interessante (con una cinquantina di post in poche ore) ed ha dato una discreta visibilità alla faccenda.
  • Il secondo caso invece, certamente più significativo, riguarda un blogger che, dopo aver criticato le capacità politiche di un consigliere comunale, si è trovata questi denunciato per diffamazione e il blog posto sotto sequestro dalle autorità inquirenti di Reggio Calabria. Personalmente non ho avuto modo di leggere questo secondo post, ma porre sotto sequestro l’intero sito web a causa di un post diffamatorio (anche ammettendo che lo sia stato) è come sparare alle mosche col cannone, come chiudere una testata giornalistica per colpa di un pezzo che viene contestato. E’ forse sufficiente che io citi un articolo per testata giornalistica e sporga querela per diffamazione affinché la testata venga chiusa? No. E allora perché questo è possibile con i blog?

L’ipotesi di mettere un bavaglio ad internet (prima ancora che ai blogger) è certamente stata ventilata più volte, pur arenandosi contro barriere tecnologiche e morali, ma con una sensibilità in materia di libertà che và sempre più a rotoli, per quanto tempo ancora potremo continuare a scrivere (con serietà e senso di responsabilità, ovviamente) le nostre idee ed opinioni senza dover temere di incorrere in ingiustificate violeze di questo tipo?

Colgo poi l’occasione per segnalare che il Parlamento Europeo sarebbe in procinto di discutere una mozione che riguarda da vicino proprio il futuro dei blog e dei contenuti generati dagli utenti. A segnalare la notizia è Luca Conti dalle pagine di Nòva100. Il problema che si vuole affrontare è dato dal fatto che i contenuti “non professionali” prodotti dagli utenti e dai blogger farebbero una illecita concorrenza ai professionisti del settore: insomma, possono scrivere ed esprimersi solo loro. Come al solito al Parlamento Europeo le cose funzionano in modo “leggermente” diverso che in Italia e a tutti è data la possibilità di scrivere e proporre soluzioni e considerazioni direttamente al Parlamento Europeo.
Teniamo comunque sott’occhio la questione, perché potrebbe avere risvolti interessanti…

Un paio di novità

dscf1358.jpg Piccole insignificanti modifiche al blog:

  • L’aggiornamento del BlogRoll (ultima parte della colonna di destra di questo blg) avviene ora automaticamente a partire dal mio Google Reader.
    Per chi fosse interessato a fare qualcosa di simile (effettivamente consente di non doversi trasferire il file opml di qua e di la, evitando per altro le duplicazioni), il meccanismo è piuttosto semplice: create un tag che assocerete a tutte le fonti che volete vengano visualizzate, rendete pubblico questo tag e cliccate su relativo link. Nella finestra che si apre, potrete scegliere colori e stile (io ho messo “none” e senza titolo, in modo da gestire poi le cose direttamente con le widget e lo stile di WordPress), e incollate il codice javascript che ne consegue in una Text Widget di WordPress. Ovviamente verranno visualizzate solo le fonti a cui avrete aggiunto il tag appositamente creato.
  • Ho poi aggiunto (sempre alla sidebar) una nuova voce “Articoli suggeriti“, che riporta i primi dieci titoli delle Shared Items del mio Google Reader. Anche in questo caso, la procedura è identica a quella esposta al punto precedente (fatto salvo che non serve creare un nuovo tag, visto che c’è già e si chiama “Shared Items”) e si riallaccia al discorso fatto qualche giorno fà sull’attendibilità delle fonti. Per coloro che volessero eventualmente aggiungere quelle fonti al feed reader, l’url da aggiungere la trovate qui.

Ho l’impressione che la sidebar cominci a diventare un po’ troppo affollata… Vedrò se posso togliere qualcosa (forse il campo di ricerca? :P)

Qualche novità

Eccoci qua: sono le 2 di notte (maledetta ora legale, sembra di avere il jet-lag…) e ho appena terminato di aggiornare wordpress alla versione 2.5 (la prima impressione è davvero ottima…). Nell’ultima settimana ne sono capiteta di cotte e di crude, al punto che non starò ad elencare i vari avvenimenti.

Dirò solo che da domani dovrei riuscire a trovare un po’ più di tempo (lavoro permettendo) per tornare a scrivere su queste pagine (e magari smaltire parte della “coda di scrittura”).

Incapaci di parlare, o di ascoltare?

Silence is sexyRiflettevo quest’oggi, tra una mandata di backup e l’altra da un cliente, sulle potenzialità comunicative del web, ed in particolare, quelle offerte dai blog. Non scopro certo l’acqua calda, con queste mie valutazioni: i blog sono un efficacissimo modo di comunicare, che mette improvvisamente tutti sullo stesso piano, da Beppe Grillo al sottoscritto (certo, l’interesse medio della popolazione sarà concentrato sul sottoscritto, ma i mezzi tecnici comunicativi sono, in fin dei conti, gli stessi).

Una simile possibilità di comunicazione non era mai stata nemmeno lontanamente intravista, dal “popolo”: quando Gutemberg “inventò” la stampa, diede per la prima volta a tutti la possibilità di ricevere comunicazione, di informarsi, di conoscere, di sapere e di pensare.
Oggi, improvvisamente, lo stesso “popolo” si trova a poter ribaltare il concetto, a potersi esprimere liberamente, eppure non coglie, non sfrutta l’opportunità. Proprio questo mi chiedevo: perché?

Sono tutti miopi, incapaci di comprendere la potenza del mezzo, o semplicemente non hanno nulla da dire? Oppure ancora, avrebbero anche da dire, ma la loro voce si perde nell’incredibile ammasso di informazioni che la rete (ed i suoi pochi utilizzatori) produce?

Siamo forse diventati, da una parte, incapaci di ascoltare (troppo intenti a parlare) e dall’altro di parlare (troppo abituati ad ascoltare, a ricevere passivamente)?
O abbiamo semplicemente tutti le stesse cose da dire, e allora basta che parli uno, e tacciano tutti gli altri (che poi non tacciono, e a volte la blogsfera ne è proprio l’esempio più doloroso)?

Potrebbe essere la grande riscossa della politica: invece di parlare, per una volta, sarebbero loro ad ascoltare. Ascoltare senza essere visti, come noi facevamo fino a pochi anni fa, ricevendo passivamente, e riflettendo (perché solo in silenzio si può riflettere). Sarebbe il grande momento dell’abbandono dell’ipocrisia delle parole dette, il ritorno alla calma ed alla riflessione delle parole scritte, dei toni pacati, delle prove dei fatti. Forse gli attuali politici non ne sarebbero capaci, è vero (qualcuno il suo blog ce l’ha, ma quanti poi vanno a leggere quelli degli altri? Parlare, ascoltare…), ma non potrebbe proprio questo nuovo potente mezzo essere il principio della nuova classe politica? Perché ci stiamo perdendo tutto questo, perché stiamo lasciando correre via questa possibilità?

Siamo davvero tutti incapaci di parlare, di esprimere qualcosa di sensato, di ragionato? O forse, semplicemente, abbiamo perso la capacità di ragionare?