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Tra arrabbiati e infiltrati, botte e violenza

Scontri Roma

ziopilo via Flickr

La polemica sugli scontri di martedì a Roma è su tutti i blog, tutti i giornali, tutte le bocche. Potrei mai esimermi dall’aggiungere la mia (futile) opinione al mare di commenti che già vi sono piovuti addosso? Se la risposta che vi siete dati è si, passate pure qui.

Dicevamo dunque; Roma, 14 dicembre 2010: le manifestazioni di protesta indette da numerose organizzazioni (tra cui sindacati e gruppi studenteschi), che durante la mattinata hanno sfilato per le vie della capitale in un atteggiamento assolutamente pacifico, vengono improvvisamente colte da una spinta violenta e facinorosi venuti da mezza Italia cominciano a spaccare vetrine, dare fuoco ad automobili e blindati delle forze dell’ordine. Al di la della schizofrenia dimostrata dai manifestanti, sono molti gli elementi da analizzare e considerare.

Cominciamo dalla gestione mediatico-politica che è stata fatta della notizia in se: da destra e da sinistra si è immediatamente gridato contro la parte avversa, portando a supporto della propria tesi le più disparate ragioni; il PD accusa il Governo per la condizione di disperazione a cui ha portato una parte della popolazione, il Governo accusa il FLI per “aver scatenato la crisi” e via discorrendo. Nessuno ha considerato che dei 20.000 manifestanti, gli scontri sono stati portati avanti da un’esigua minoranza di loro, quindi è demagogico manipolare l’intera folla che si trovava a Roma martedì pomeriggio a fini politici.
Altrettanto errato è considerare in modo semplicistico quanto è accaduto: le motivazioni che hanno spinto taluni alla violenza è probabilmente diversa da quella che vi ha spinto taluni altri.

Secondo fattore da considerare è la gestione della risposta alle violenze da parte delle forze dell’ordine: come già accaduto numerose altre volte, Polizia, Finanza e Carabinieri si sono trovati a dover gestire le cariche dei violenti con forze esigue (si parla di cariche fatte da un pugno di poliziotti contro decine di manifestanti, chiaramente miseramente fallite). Oltre a mettere a rischio l’incolumità stessa degli agenti (pensate a quel finanziere che ha persino dovuto difendere la propria arma nel momento in cui, durante una fuga di fronte alla carica respinta, è caduto a terra ed è stato letteralmente assalito dai manifestanti), questo genere di gestione porta ad un ulteriore violenza nella reazione dei poliziotti, unico modo a loro disposizione per provare a “gestire” gli aggressori. Ecco allora che si arriva ad episodi che non avrei mai più voluto vedere e che ricordano fin troppo da vicino gli scontri al G8 di Genova (fissati purtroppo indelebilmente nella memoria di molti di noi).
Altra cosa che ricorda da vicino Genova è l’istituzione di una “zona rossa” (per altro mal collocata, visto che lasciava scoperta una vasta parte del centro di Roma per concentrare la protezione sola sola zona istituzionale), che è immediatamente diventata (come a Genova) un obiettivo dei manifestanti, un punto da raggiungere, una barriera da abbattere.
Pochi agenti quindi, mal collocati, la mancanza di coordinamento tra le varie forze dell’ordine schierate e l’individuazione di un ottimo bersaglio per i violenti: come si poteva pensare di gestire una manifestazione di 20.000 persone “che volge al peggio” in queste condizioni? Ritengo che questa sia un’accusa piuttosto pesante nei confronti del ministero dell’interno, dei vertici della polizia romana, sul cui comportamento e responsabilità sarà necessario fare un’indagine approfondita. Soprattutto considerando che durante i due anni di Governo Prodi ci sono state manifestazioni anche delicate senza alcuno scontro violento (ricordo una visita di Bush a Roma che si portava dietro parecchia tensione e che si risolse invece in una manifestazione pacifica e molto sentita).

C’è poi la questione degli infiltrati: pare confermato che tra i manifestanti ci fossero dei poliziotti in borghese che sebbene da un lato abbiano aiutato gli agenti in difficoltà, parrebbero dall’altro aver fomentato i violenti (in particolare ci sarebbe un agente in borghese, con una giacca a vento color senape, che ha a più riprese “aggredito” i propri colleghi con una pala ed un bidone della spazzatura). Mi chiedo l’utilità di questi agenti infiltrati, in quanto il loro numero sarebbe troppo esiguo per consentire una reale “influenza” sulla manifestazione stessa (comunque miseramente fallita, visti i risultati). Curioso oltretutto come lunedì sera, un ministro aveva cominciato ad attaccare il FLI e Fini affermando che il giorno seguente la città sarebbe stata messa “a ferro e fuoco” dagli autonomi. Quantomeno profetico ed inquietante, anche se non vi fosse nessun legame concreto tra le parole ed i fatti.

Infine c’è la questione della rabbia; dalle “analisi del giorno dopo”, fatte in assemblea dai manifestanti stessi, emerge una “spaccatura” importante: c’è chi accusa un manipolo di “violenti” estranei alla manifestazione che avrebbe dato origine e praticamente condotto in modo autonomo la parte violenta della manifestazione (al punto che, questo pare confermato, in Piazza del Popolo i manifestanti cercavano di fermare i violenti, piuttosto che di unirsi alla sommossa) mentre altri rivendicano in qualche modo l’esito violento della manifestazione, parlando di rabbia repressa, situazioni intollerabili, nessuna alternativa.
Ai primi vorrei dire che fa parte del gioco e proprio per questo va messa in conto la necessità di fermare queste persone sul nascere: l’alternativa è quella di venire strumentalizzati da una parte politica e dall’altra, diventando tutti “i violenti” e consentendo così di accantonare il messaggio che la manifestazione (pacifica) voleva trasmettere.
Ai secondi basta dire che non è questo il modo: capisco rabbia e disperazione ma la violenza è sempre dalla parte del torto.

Coop promuove una forma di tortura?

Attenzione: questo post contiene informazioni dettagliate di alcune procedure di macellazione e di alcune pratiche di violenza su animali e potrebbe ferire la sensibilità di alcuni lettori. Vi invito a valutare la volontà di proseguire nella lettura.

Mucca al pascolo

Guido Andolfato via Flickr

La notizia mi era sfuggita, ma ci sono finito dritto contro su segnalazione questo pomeriggio: un centro commerciale della catena Coop di Roma ha aperto alla vendita di carne macellata secondo il rituale Halal, che consente alla carne di essere consumata dai musulmani.

Credo che per evitare spiacevoli fraintendimenti e per non venir inutilmente tacciato da “integralista”, vadano precisate due cose: in primis non ho assolutamente nulla contro i musulmani, anzi chi segue queste pagine sa bene quanto mi stia a cuore la questione della deriva razzista italiana. Secondariamente non sono vegetariano o vegano, mangio, e con un certo gusto, la carne più volte a settimana. La mia visione della questione è piuttosto complessa (come destino di tutte le cose lungamente ponderate) e cercherò di spiegarla più approfonditamente in futuro.

Ciò detto, entriamo nel merito della notizia, che a primo acchito (e nell’ignoranza dei termini) sembra innocua al punto da passare senza essere degnata di particolare interesse: la macellazione halal (che in arabo significa “lecito”) è una forma di macellazione rituale che consiste nel recidere la giugulare del bovino oggetto di macellazione affinché muoia dissanguato. Ci si limitasse a questa parte, la questione potrebbe divenire accettabile: d’altra parte anche gli animali uccisi in modo “tradizionale” subiscono una violenza, ma questo viene reso il meno doloroso possibile da una serie di accorgimenti quali lo stordimento tramite scariche elettriche. In alcune forme di macellazione rituale religiosa, invece, si ritiene che l’animale debba giungere cosciente al momento dello sgozzamento, il che non può che significare un’inutile e lunga agonia (nell’ordine di qualche ora), soprattutto nel caso in cui il primo taglio non riuscisse, essendo vietato un secondo “tentativo” (con conseguente allungamento delle sofferenze della bestia). Lo stordimento dell’animale non è di per se vietato dal Corano, ma non essendo esplicitamente concesso, viene purtroppo vietato in molti paesi.

Il fatto che il primo passo sia stata proprio di Coop, che negli ultimi anni è stata pioniera nel proporre prodotti biologici ed etici in vari settori (dall’alimentazione all’abbigliamento, per intenderci), mi lascia quantomeno colpito, soprattutto considerando che proprio l’attenzione della catena verso l’etica e la natura mi avevano spinto alcuni anni fa alla decisione di diventare “socio” (una scelta che generalmente non prendo alla leggera). Nel dubbio, ho scritto all’ufficio stampa di Coop, chiedendo spiegazioni.

Gentile XXXXXX,
sono un socio Coop (e sino ad oggi mi sono sempre ritenuto fiero di esserlo).
Mi ritengo un consumatore critico, acquisto carne preferibilmente di provenienza e macellazione italiana (riduzione della lunghezza della filiera), e frutta e verdura di stagione e possibilmente italiane: ho sempre trovato sotto questo aspetto, notevole conforto nella sensibilità di Coop in tema di ambiente ed ho espresso con i mezzi a mia disposizione il giusto apprezzamento per la nuova campagna verde di Coop, destinata alla promozione di prodotti biologici.
Mi è però recentemente giunta voce (il tam tam in rete è piuttosto veloce) che Coop stia promuovendo la vendita di carne macellata secondo il metodo Halal, che come ben saprete rappresenta per gli animali in questione una vera e propria tortura, costringendoli a lunghe (e soprattutto inutili) agonie prima della morte.

Le chiedo gentilmente di volermi confermare o smentire questa voce, ribadendo sin d’ora che in caso di risposta affermativa, provvederò quanto prima a restituire la mia tessera di socio: sarebbe davvero disdicevole da parte Vostra appoggiare un simile inutile maltrattamento.

Nella speranza che le voci in questione si rivelino infondate, Le porgo i miei più cordiali saluti

Giacomo Rizzo

La risposta della responsabile dell’Ufficio Stampa di Coop è arrivata quantomai veloce e pronta ed ecco cosa mi sono trovato in mailbox solo pochi minuti dopo (talmente pochi da far venire il sospetto che la mail fosse già “pronta”):

Gentile signor Giacomo, legittima la sua posizione ma altrettanto legittimo il comportamento di Coop (che poi lei può decidere evidentemente di apprezzare o meno). Con l’iniziativa lanciata a Roma Coop risponde alle richieste che arrivano da determinate comunità che vivono accanto a noi, mantenendo però la loro identità anche in materia di consumi alimentari.
Le carni in questione rispettano tutti gli standard della filiera Coop – anche in materia di benessere animale – per garantire un alto livello di qualità, controlli e garanzie con la sola aggiunta di una certificazione religiosa.
Per quanto riguarda la corretta procedura di macellazione ovvio che si seguano i dettami di quella particolare comunità, anche se Coop ha preteso e ottenuto che ci si adeguasse alla normativa europea modificando e rendendo meno cruenta la procedura (procedura che è comunque consentita dalla Ue).
Detto questo noi di Coop non ci tiriamo indietro di fronte alle richieste di chi ha stili alimentari di altro genere e siamo i primi a lottare contro qualsiasi forma di sfruttamento minorile, a favore di una filiera equa e rispettosa dell’ambiente. Ben più, me lo lasci dire, di altri nostri competitor. Ricordo solo a titolo di esempio l’adesione a Dolphin safe e Friend of the sea per la pesca sostenibile e la tutela dell’ecosistema marino, no test su animali per ciò che concerne i prodotti cosmetici Coop, la decisione presa di vietare l’utilizzo di pellicce naturali in tutti i prodotti venduti nei propri punti vendita. E ancora il presidio delle filiere critiche in Italia e fuori Italia, la certificazione SA8000 ottenuta fin dal ’98 (prima impresa europea ad averla ottenuta) etc etc

Ed ecco, infine, la mia replica (a cui non ho ricevuto alcuna risposta):

Gentilissima signora XXXXXX,

la ringrazio sentitamente per la celerità della Sua risposta.

Lungi da me mettere in discussione il fatto che Coop si sia distinta (anche nei confronti della sua diretta concorrenza, naturalmente) in quanto a rispetto dei temi ambientali. E’ proprio questo il motivo che mi ha spinto a divenire socio ed a supportare dove possibile l’azione di Coop in questo frangente.
Oltre alle certificazioni da lei citate, ricordo indubbiamente i molti prodotti che Coop vende (o spesso persino “marchia”) che mostrano sulla confezione il logo EcoLabel, certamente certificazione di indubbia qualità e valore.

Trovo però che in questo frangente specifico, Coop si trovi di fronte ad una scelta chiave, una sorta di spartiacque tra l’adesione ai principi dei quali si è fatta notabile promotrice negli ultimi anni ed i dettami del mero business. Comprendo la volontà di andare incontro alle richieste della comunità musulmana, ma ben sapendo che la normativa europea è ancora pesantemente carente in materia di diritti (ed aggiungerei, purtroppo, di controlli) in tema di macellazione ed allevamento, avrei preferito una maggior adesione di Coop (che poi, naturalmente, è legittimata ad ogni scelta commerciale che ritiene praticabile) ai principi che ne avevano spinto fino ad oggi l’azione in questo frangente. Se una comunità locale praticasse il cannibalismo (che concorderemo essere una pratica disdicevole), Coop si porrebbe forse in condizione di assecondarne le volontà? Troppe volte le scelte economiche hanno eroso i valori fondamentali della nostra società, soprattutto in tema di ambiente ed alimentazione.

Anche l’appello alla normativa europea, purtroppo, conta fino ad un certo punto: le galline ovaiole che vivono all’interno del regolamento europeo, con 6 esemplari nello spazio vitale di una coppia di fogli A4, spesso giungono all’auto mutilazione, schiacciate dallo stress di una vita senza dignità. Ai maiali d’allevamento intensivo viene recisa la coda per evitare che, nelle ristrettezze a cui vengono sottoposti per l’allevamento intensivo ed a causa dello svezzamento precoce, si feriscano l’un l’altro cercando di “succhiare latte” dalla coda altrui. A molti polli da carne, viene tolto il becco in quanto finirebbero con l’aggredirsi gli uni con gli altri. I bovini d’allevamento intensivo vengono imbottiti di medicinali in quanto nutriti a cereali (che sono incapaci di digerire) e per via della facilità di epidemie, dato il minuscolo spazio in cui vengono allevati. Tutto questo “nel pieno rispetto” della (a questo punto inadeguata) normativa Europea. Forse si potrebbe fare un passo in più (come d’altra parte Coop ha più volte dimostrato di saper fare)?

Giacomo Rizzo

Credo che vada dato atto a Coop di aver risposto (anche se con una mail forse preformata): numerose esperienze di altri blogger ci mostrano quanto difficile sia contattare (e argomentare) con grandi aziende o (peggio) multinazionali. Ciò detto, l’idea che Coop vada a tradire in qualche modo i valori ai quali ampiamente si è richiamata negli ultimi anni mi resta: l’offerta di carne macellata secondo i dettami dell’halal ma con lo stordimento degli animali sarebbe stata probabilmente una soluzione eticamente accettabile, ma economicamente svantaggiosa.

Il problema chiave credo sia proprio qui, e si tratta di un problema che travalica i confini di questa vicenda e va a toccare da vicino tutta la questione del “biologico”: l’ecologia, l’equilibrio della natura, i valori morali, tutto ciò è profondamente incompatibile con il capitalismo ed il liberismo più sfrenati, con la massimizzazione dei profitti. Non esiste (o almeno non la vedo io) una vera via d’uscita: ad un certo punto è necessario chiedersi se ciò che conta è il rispetto dei propri valori o sempre e soltanto il profitto…

Per concludere, non ho ancora deciso se aderirò al boicottaggio a Coop di cui si comincia a vociferare: ritengo che la catena abbia comunque realizzato passi importanti sul fronte della riduzione del proprio impatto sull’ambiente ed equipararla (o peggio sostituirla) ad altre catene meno impegnate su questo fronte sarebbe un segnale sbagliato. Esistono, è vero, altre soluzioni (che per altro molti attivisti praticano già), ma l’impatto di una sinergia tra il movimento ambientalista/ecologista ed una catena delle dimensioni di Coop rappresenta un valora aggiunto (anche solo in termini di sensibilizzazione) che sarebbe meglio non gettare alle ortiche…

Manifestazione e pestaggi a Torino

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Ormai pare quasi una prassi, al punto che non fa il titolo principale sui giornali: quando c’è una manifestazione che coinvolge il G8, si finisce con teste rotte in ospedale. “Cariche di alleggerimento” si chiamano, ma nel frattempo servono a mettere in discussione il diritto a manifestare (quando le manifestazioni sono scomode, naturalmente, visto che di cariche non ce ne sono state in occasione dell’ormai nota manifestazione di estrema destra a Milano…). Puzza di regime?

Eppure trovo importante guardare, capire: le parole spesso non bastano a descrivere quello che invece la vista è in grado di trasmettere… cariche di alleggerimento…

133: la Risposta della Piazza

Dopo gli scontri di Piazza Navona, lo ammetto, avevo perso la fiducia: la strategia che ci stava dietro era fin troppo chiara, limpida, cristallina. Infiltrare, colpire, dividere, vedere, “informare”; era in qualche modo stato persino predetto in una (avventata probabilmente) intervista all’ex presidente Cossiga.
Avevo preventivato danni incalcolabili all’immagine del nascente movimento sociale, lo vedevo già distrutto e disgregato dall’interno come accadde (sigh) con il movimento no-global di Genova, rovinato dall’immagine violenta che nell’immaginario collettivo rappresenta ancora oggi.

La reazione invece è stata di quelle che tolgono il fiato: oltre un milione di persone hanno sfilato pacificamente a Roma il giorno dopo gli scontri (con un corteo che faticava persino a muoversi, tanto era imponente), accompagnato da altre migliaia di manifestanti in molte altre città d’Italia (si parla di altre 40.000 persone circa a Milano). Numeri del genere, associati ad una manifestazione “spontanea” ed organizzata dal basso (è vero, c’era il corteo dei sindacati, ma quanti erano?) non si vedevano dal G8 di Genova, figuriamoci se avessimo potuto immaginare nulla di simile all’epoca della Riforma della Scuola voluta dalla Moratti.

Allora viene spontaneo domandarsi se il vero motivo della protesta sia la sola protesta al decreto Gelmini, o se questo non abbia rappresentato altro che un catalizzatore, una scintilla, quasi un pretesto che ha dato fuoco ad uno scontento latente, popolare, diffuso, di persone che non si riconoscono più nel sistema politico, nei suoi interpreti (tutti, dalla sinistra antagonista alla destra estrema), nel modello bipolare che oggi sfoggia tutta la sua debolezza (e di questo dobbiamo, purtroppo, essenzialmente ringraziare Veltroni ed il Partito Democratico).
Quello stesso scontento che forse aveva inseguito negli ultimi anni Grillo, molto meno schierato di politici che hanno poi cercato di far fruttare il patrimonio da lui raccolto (con discreto successo, indubbiamente, ma non con i numeri che oggi vediamo in piazza). Quando Grillo si è presentato al corteo, offrendo il suo appoggio, è stato semplicemente allontanato con uno sdegnato declino e rispedito sulla sua via: tornerà alla carica Beppe, non ho dubbi su questo frangente, ma la risposta data dalla piazza è importante e ne marca una maturità inaspettata, una presa di coscienza netta e decisa delle forze in campo e del proprio ruolo.

Una piazza che si dice “anti politica” per bocca degli studenti che ne compongono una discreta parte, eppure una piazza che della politica sta facendo il proprio pane. Una piazza rumorosa eppur pacifica, che cercheranno di distruggere e zittire con le polemiche legate agli episodi di Piazza Navona (in questo momento persino su Repubblica il titolo principale su quel frangente riguarda gli scontri e null’altro). Ma come fingere di non sentire un milione di persone che urlano la loro rabbia?

L’importante ora sarà non strumentalizzare al vicenda, tentazione che potrebbe venire soprattutto dalla sinistra oggi “extra parlamentare” cercando di ricondurre la protesta ai propri schieramenti. Questo per due ragioni:

  • Da un lato perché questo significherebbe esporre il fianco agli attacchi della fazione opposta (che nel caso del Presidente del Consiglio sono già cominciati)
  • Dall’altro perché ha poco senso costringere in un vaso troppo piccolo un movimento che non vuole essere strumentalizzato: molto più proficuo sarebbe attendere che l’opposizione portata avanti in questo frangente si rincoduca da sola all’opposizione più classica, fornendo loro solo un sussurrato appoggio

Comincio a pensare che qualcosa stia cambiando, o al limite che si possa nuovamente pensare ad un cambiamento. L’importante è non restare con le mani in mano ad attendere il susseguirsi degli eventi, ma accompagnare la protesta facendo (nel nostro piccolo e per quelle che sono le nostre possibilità) tutto il possibile per tornare a fare Informazione, quella vera, quella con la I maiuscola.

A chi spetta il cerino?

Ogni tanto mi pare di dire cose ovvie, eppure quando poi mi confronto con amici, parenti e colleghi, mi rendo conto che poi tanto ovvie non parrebbero e così finisco con l’ammorbarvi l’anima su queste pagine. Il tema di oggi è “strategia di comunicazione”, e il docente (e notate la sottilissima ironia, mi congratulo da solo) è niente- pòpò-di-meno-che il Presidente del Coniglio Silvio Berlusconi.

Quando hai un avversario (politico o meno che sia) il tuo obiettivo è innanzi tutto screditarlo, ed un ottimo mezzo per fare ciò è indubbiamente la televisione (soprattutto quando con una mano ne controlli finanziariamente la metà e politicamente l’altra metà). Una stategia da adottare in questo frangente, per quanto stupida possa essere, è la seguente: si comincia con il fare un’affermazione forte, decisa, ma sufficientemente ambigua. Un esempio:

Sottolineo come non sia mai stato affermato che la Polizia verrebbe inviata nelle scuole (pur se parrebbe il logico significato delle affermazioni che abbiamo sentito): è stato detto che “le forze dell’ordine sarebbero intervenute”.

La reazione della controparte (sempre che reagisca, sigh) è piuttosto ovvia: farà polemica, rumore, accuserà con una forza direttamente proporzionale alla forza della dichiarazione di cui alle righe precedenti. Per esempio così:

Abbiamo dovuto convocare questa conferenza stampa dopo aver letto le parole del presidente del Consiglio di questo Paese, parole molto gravi, parole che possono essere cariche di conseguenze. Il premier soffia sul fuoco, il disagio sociale non è una questione di ordine pubblico: mi chiedo se in questo Paese è ancora possibile dissentire.
[Walter Veltroni, Segretario del Partito Democratico, 22/10/2008]

A questo punto, la nostra fine strategia prevede di ritrattare tutto, dichiarando di essere stati fraintesi, affermando che si tratta dei soliti “attacchi gratuiti”, che voi non avete fatto niente di male e che è tutto un complotto, magari ripetendolo più volte (si sa mai che non abbiano capito…):

Polizia negli atenei? Mai detto. Sono i giornali che, come al solito, travisano la realtà. [..] Non ho mai detto che servisse mandare la polizia nelle scuole, i titoli dei giornali che ho potuto scorrere sono lontani dalla realtà.
[Silvio Berlusconi, Presidente del Consiglio, 23/10/2008]

lasciando in questo modo con il cerino in mano a far la figura dei fessi i vostri avversari. Semplice ma geniale. Di cosa non abbiamo tenuto conto? Beh, delle eventuali registrazioni delle dichiarazioni precedenti e dei giornalisti non allineati al potere.
Ma anche contro questi si può facilmente agire, nell’inverosimile ipotesi che ci sia modo di richiedere filtri al siti web (in modo da impedire la diffusione di contenuti indesiderati) e che si stia ritardando l’elezione del Presidente della Commissione di Vigilanza della televisione pubblica…

Come regrediamo bene noi…

Aggressione in pieno centro Leggevo, su una nota testata online che raccoglie articoli legati all’automobilismo, i commenti dedicati all’aumento della pirateria stradale e constatavo come una significativa parte di questi si caratterizzasse da una profonda violenza: perfino arrivare a chidere la pena di morte (naturalmente dando la colpa di tutto al precedente governo). Ma la cosa che mi ha lasciato maggiormente perplesso, è che alcuni dei commentatori auspicavano la pronta liberazione dell’uomo che questo weekend ha travolto e ucciso due fidanzati a Roma affinché potesse essere “sottoposto alla giustizia sociale” minacciata in alcuni cartelli lasciati insieme ai fiori sul luogo dell’incidente.

Mi sono così venute in mente le immagini di Ponticelli (campi rom dati alle fiamme), delle incursioni razziste che si susseguono da lungo tempo ormai, dei pestaggi fascisti (compreso quello di pochi giorni fà all’Università Sapienza di Roma) e via dicendo, fino ad arrivare alle ronde, verdi nere o rosse che siano.

L’impressione è che in presenza di uno Stato assolutamente incapace di garantire una minima forma di giustizia (sociale e giuridica) per via dei tempi lunghissimi dei processi (voluti in buona parte proprio dai politici) e dell’incertezza sull’effettivo sconto della pena inflitta (cosa che ha poi ricadute anche sull’aspetto della reiterazione del reato, per altro), la gente pensi che sia lecito tornare a “farsi giustizia da soli”.

Esattamente come capita con Camorra e Mafia. Esattamente come centinaia di anni fà.

Napoli come Genova

Riprendo da una lettera inviata e Grillo e pubblicata sul suo blog ieri mattina. Non porta la firma del primo che passa, ma di Elisa Di Guida, docente di Storia e Filosofia a Napoli:

Datemi voce e spazio perché sui giornali di domani non si leggerà quello che è accaduto. Si leggerà che i manifestanti di Chiaiano sono entrati in contatto con la polizia. Ma io ero lì. E la storia è un’altra. Alle 20 e 20 almeno 100 uomini, tra poliziotti, carabinieri e guardie di finanza hanno caricato la gente inerme. In prima fila non solo uomini, ma donne di ogni età e persone anziane. Cittadini tenaci ma civili – davanti agli occhi vedo ancora le loro mani alzate – che, nel tratto estremo di via Santa Maria a Cubito, presidiavano un incrocio.
Tra le 19,05 e le 20,20 i due schieramenti si sono solo fronteggiati. Poi la polizia, in tenuta antisommossa, ha iniziato a caricare. La scena sembrava surreale: a guardarli dall’alto, i poliziotti sembravano solo procedere in avanti. Ma chi era per strada ne ha apprezzato la tecnica. Calci negli stinchi, colpi alle ginocchia con la parte estrema e bassa del manganello. I migliori strappavano orologi o braccialetti. Così, nel vano tentativo di recuperali, c’era chi abbassava le mani e veniva trascinato a terra per i polsi.
La loro avanzata non ha risparmiato nessuno. Mi ha colpito soprattutto la violenza contro le donne: tantissime sono state spinte a terra, graffiate, strattonate. Dietro la plastica dei caschi, mi restano nella memoria gli occhi indifferenti, senza battiti di ciglia dei poliziotti. Quando sono scappata, più per la sorpresa che per la paura, trascinavano via due giovani uomini mentre tante donne erano sull’asfalto, livide di paura e rannicchiate. La gente urlava ma non rispondeva alla violenza, inveiva – invece – contro i giornalisti, al sicuro sul balcone di una pizzeria, impegnati nel fotografare.
Chiusa ogni via di accesso, alle 21, le camionette erano già almeno venti. Ma la gente di Chiaiano non se ne era andata. Alle 21.30, oltre 1000 persone erano ancora in strada. La storia è questa. Datemi voce e spazio. Perché si sappia quello che è accaduto. Lo stato di polizia e l’atmosfera violenta di questa sera somigliano troppo a quelli dei regimi totalitaristi. Proprio quelli di cui racconto, con orrore, ai miei studenti durante le lezioni di storia.

Sono stati voltati coloro che hanno voluto e lasciato che Genova si trasformasse in una “notte cilena”. Ora non possiamo aspettarci nulla di diverso.

Cosa aspettiamo a fermare il calcio?

Pallone Ieri si è concluso il campionato. Si è concluso con un’ennesimo caso di scontri tra tifosi e polizia, a Parma, che ha provocato il ferimento di 2 poliziotti e 5 tifosi. Naturalmente tutto è stato messo sotto sordina per non disturbare, nell’ordine i festeggiamenti dei tifosi interisti (gli stessi che si sono poi resi protagonisti dell’aggressione ai tifosi del Parma che ha scatenato gli scontri con le forze dell’ordine e gli stessi che hanno poi devastato la scuola vicina allo stadio, eletta per l’occasione “quartier generale”) ed “il manovratore”, che ha ben altre cose di cui occuparsi al momento. L’idea è che, come sempre, finché non ci scappa il morto non succede nulla.

Lo stadio di Parma era stato chiuso, per motivi di ordine pubblico, ai tifosi interisti, che hanno comunque deciso di recarsi nella città emiliana, in barba a tutte le leggi che dovrebbero impedire agli ultras di recarsi agli stadi se non in possesso di un regolare biglietto. Arrivati a Parma, gli stessi tifosi si sono resi protagonisti di vandalismi e violenze gratuite, “giustificate” dall’euforia del momento e dal fatto che la polizia si “ostinava a non farli entrare allo stadio per festeggiare”. In presenza di una palese violazione della legge già per via della loro presenza a Parma, questi tifosi non avrebbero dovuto essere arrestati, uno per uno?

Il bilancio di questa stagione vede elencati morti e feriti, devastazioni, incendi, danni ingenti. Una specie di bollettino di guerra, che si ripete di anno in anno, praticamente immutato nonostante i continui “decreti” e “disegni legge”. Al prossimo morto ammazzato “per pallone”, si sprecheranno le parole di sbigottimento e condanna, si fermerà il campionato per una o due giornate, si installeranno altri tornelli e altre telecamere, dopodiché tutto tornerà esattamente come prima.

Mi chiedo che cosa si aspetti a fermare questo calcio, ad intervenire duramente. Il prossimo campionato dovrà essere fermato (e cancellato) al primo tafferuglio. Sfruttiamo la pausa estiva per mettere in piedi i necessari aspetti legali, ma procediamo!

Conviene spaccare teste che devastare

Quarantaquattro gatti in fila per tre col resto di due In Italia, con le leggi vigenti, conviene decisamente spaccare teste tra i militanti della “sinistra antagonista”, “dissidenti” e “no-global” di ogni forma e colore, che commettere reati di devastazione. Sono le logiche conclusioni a cui si arriva mettendo sui due piatti della bilancia le pene richieste dai pubblici ministeri per i “dissidenti” del G8 di Genova che, sebbene siano poi state dimezzate dalle sentenze, venivano così commentate nell’articolo di Repubblica:

La pena più pesante, 16 anni, la procura l’ha richiesta per Marina Cugnaschi, 41 anni di Lecco, “l’eroina” anarchica del centro sociale milanese Villa Okkupata, ripresa in un video mentre lancia una bottiglia incendiaria contro il portone di ingresso del carcere di Marassi.

E’ ovvio, ma voglio ribadirlo, che condanno fermamente qualsiasi atto di violenza, compreso quello commesso dai “dissidenti” che hanno messo a ferro e fuoco Genova (e non scenderò nell’argomentare la precisazione del fatto che si tratti di una risicata minoranza perché questo esula dal contesto di questo post): la violenza non è mai un modo per raggiungere una soluzione positiva ad un problema, neppure quando questo provoca rabbia; non è civile.

Se invece andiamo a vedere le condanne chieste per i responsabili delle abominevoli violenze della caserma di polizia di Bolzaneto (definita dagli stessi comandanti “una notte cilena”, un “mattatoio”, “un girone infernale”), le richieste arrivano ad un massimo di cinque anni ed otto mesi di reclusione, decisamente meno rispetto a quanto richiesto per i reati di devastazione. Riporto dall’articolo del Corriere:

La pena più pesante è stata chiesta per Antonio Biagio Gugliotta, ispettore della polizia penitenziaria in servizio a Bolzaneto come responsabile della sicurezza. Tra le accuse nei suoi confronti, le percosse con calci, pugni, sberle e manganello in dotazione di arrestati e fermati per identificazione.

Una delle ragioni di questa disparità eclatante, è che sebbene ai fermati di Bolzaneto siano state inflitte almeno quattro delle “metodologie di interrogatorio” che la Corte Europea sui Diritti Umani definisce “inumane, crudeli e degradanti” (se basta a definire “dita spezzate, pugni, calci, manganellate su persone inermi, bruciature con accendini e mozziconi di sigaretta, bastonate alle piante dei piedi, teste sbattute contro i muri, i volti spinti nella tazza del water”), e sebbene la definizione di questi trattamenti sia “molto vicina” (come fatto rilevare dagli stessi pm) al concetto di “tortura”, in Italia questo reato non è previsto perché il nostro paese è tutt’ora inadempiente a quanto previsto dalle convenzioni internazionali, con particolare riferimento ai trattati firmati presso le Nazioni Unite nel 1988: le pene richieste quindi, non si è potuto contestare altro che un “abuso d’ufficio”.

Una proposta di legge, che proprio a fronte dei fatti accaduti a Genova, introduceva nel codice penale il reato in questione era in fase di discussione in Parlamento proprio nei giorni della caduta del governo Prodi. Così, al danno, si aggiunge la beffa, con il principale candidato alle elezioni politiche di aprile, Silvio Berlusconi, che non solo era già capo del governo durante i fatti di Genova, non solo ha partecipato, da politico, alle coperture ed alla difesa degli autori di questi abominevoli reati, ma parla esplicitamente di contrasto ai dissidenti nel primo punto della terza missione del suo programma elettorale.

Ci sarà mai giustizia per Genova?