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Università USA: l’ennesima strage annunciata

Davis Hall Geography and Geology Building Dopo la famosa vicenda di Columbine ed a meno di 12 mesi dalla strage del campus universitario di Blacksburg della Virginia Tech University, negli Stati Uniti si torna a morire nelle università. Questa volta la sorte è toccata agli studenti della Northern Illinois University di Dekalb, contro i quali è esplosa la rabbia di un ex-studente dell’università per motivi ancora ignoti.

L’uomo, Stephen Kazmierczak, è entrato da una porta laterale di una delle affollate sale nella quale si stava svolgendo una lezione, è salito sul podio dove si trovava l’insegnante, e con calma e sangue freddo ha sparato in rapida successione verso gli studenti, uccidendone cinque e ferendone altri sedici (alcuni di quali in modo grave), prima di togliersi la vita.

Purtroppo neppure questa volta il bagno di sangue porterà gli Stati Uniti ad adottare una più oculata legislazione sull’uso e sulla circolazione delle armi: le lobby dei produttori, infatti, colgono ogni occasione (comprese queste) per incitare ulteriormente alla violenza, affermando ad esempio che se gli studenti dell’aula fossero stati armati, avrebbero potuto difendersi. Quello che continuano a non capire, in effetti, è che il tempo del selvaggio west è finito, che la risposta alla violenza non è “ancora più violenza” (e soprattutto, immagino, “ancora più soldi” per loro).

Possiamo sperare che Obama e/o la Clinton si pronuncino nei prossimi giorni in questo senso?

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Una necessaria crudeltà

Aula Sfido a dire che le nostre università sfornano eccellenza. Sfido non perché di eccellenze non ce ne siano (ne conosco personalmente alcune, che tra l’altro non vengono riconosciute come tali dal “sistema università”), ma perché la qualità media dei laureati che esce dalle nostre università (in particolar modo da quelle scientifiche) è piuttosto scadente; non si tratta neppure di un problema di studenti tra l’altro: loro sarebbero anche (spesso) ben intenzionati, magari dotati della necessaria passione.

Parte del problema è senza dubbio relativo alla formazione pre-universitaria (i licei italiani che puntano al ribasso non aiutano certo l’università ad eccellere) e in alcuni casi la lentezza stessa dell’università (italiana e non) ad adattarsi ai mutamenti tecnologici che investono il nostro mondo: ad oggi, parte delle nozioni apprese al primo anno di università risulteranno carenti o inadeguate già alla fine del terzo.

Il problema maggiore però, secondo la mia modesta opinione, è un problema metodologico: non c’è selezione. Come possiamo pensare di individuare le eccellenze in un sistema concepito per dare la laurea a tutti gli studenti, possibilmente con il massimo dei voti? Pensiamo un po’ a quali sono i paesi che oggi sfornano realmente eccellenza: India e Cina. Con 1 miliardo di abitanti a testa, la selezione è feroce (e spesso crudele), fatta letteralmente con la mannaia del macellaio, ma chi sopravvive al processo è realmente “il meglio” tra un miliardo di abitanti; chi non sopravvive invece, si troverà semplicemente in una società che non pretende la laurea come fonte di accettazione sociale.

Cosa impedisce allora alle nostre università l’attuazione di una selezione (non serve andare così in profondità come devono fare India e Cina, tra l’altro), per far si che emergano realmente e siano adeguatamente valorizzate le eccellenze?

  • Senza dubbio, la necessità di adeguarsi alle altre nazioni europee: se la Francia sforna un milione di laureati all’anno, cosa succederebbe se questo non accadesse anche in Italia (oltre al sentirci “inferiori” come nazione)?
  • La necessità sociale di eccellenza (quantomeno apparente): oggi se non sei laureato non sei nessuno, e spesso fatichi anche a lavorare (o almeno così dicono). Le scuole superiori sono sempre più un’anticamera esclusiva dell’università, non insegnano nulla che non sia volto alla successiva “carriera” universitaria, non insegnano un mestiere, non danno indipendenza. E’ previsto, che dopo il liceo si passi in ateneo: è inevitabile, è ineluttabile, è socialmente imposto; e sono convinto che i primi a soffrire di questa imposizione siano proprio i genitori degli studenti…
  • La necessità di una formazione di base adeguata: come dicevo al punto precedente, i licei oggi non insegnano più un mestiere. Non che lo faccia l’università, ma in mancanza di un mestiere si continua a studiare, in attesa che prima o poi, qualcuno (spesso semplicemente il caso) insegni allo studente a fare qualcosa di pratico, di lavorativo. Vent’anni fa, forse, era il liceo a dare le basi lavorative agli studenti, che non avevano quindi bisogno (ne spesso le possibilità) di frequentare un ateneo: oggi chi darebbe lavoro su due piedi ad un “maturando” di un istituto tecnico?

Mi rendo conto che questo pensiero sia piuttosto pericoloso (soprattutto nei confronti del sottoscritto che non può dirsi un’eccellenza universitaria) e delicato, ma l’idea di iniziare e condividere la riflessione qui, magari con la possibilità di discuterne più approfonditamente con voi, confrontando idee diverse, mi sembra utile.

Ratzinger, cosa ti aspettavi?

La Sapienza  La notizia da cui prendo spunto è che una settantina di scienziati dell’Università “La Sapienza” di Roma hanno inviato una lettera al rettore dell’istituto romano chiedendo che il discorso di Papa Ratzinger, inizialmente previsto al termine della cerimonia di apertura dell’anno accademico, non si tenga. Naturalmente la replica del Vaticano è immediata, e definisce “assurdo contestare il papa”.

Ora, tralasciando il far notare come il papa sia infallibile solo per i credenti, e questo almeno coloro che si occupano di pubbliche relazioni in Vaticano dovrebbero saperlo, la lettera degli esimi scienziati romani non mi stupisce minimamente.
Pur ritenendo infatti che la libertà di parola debba essere garantita a tutti, compreso il santo padre (nonostante le opinioni a me poco gradite che il papa va pronunciando da lungo tempo), e che sotto questo profilo il discorso a cui si fa riferimento nell’articolo sia da confermare, quella degli scienziati romani è la prevedibile reazione alle miopi dichiarazioni che quotidianamente la Santa Romana Chiesa Apostolica rilascia, spesso e volentieri aspre e duramente critiche nei confronti proprio di quella scienza che ora si ribella.

Quando si viene a sapere (dalla lettera in questione) che:

Il 15 marzo 1990, ancora cardinale, in un discorso nella città di Parma, Joseph Ratzinger ha ripreso un’affermazione di Feyerabend: “All’epoca di Galileo la Chiesa rimase molto più fedele alla ragione dello stesso Galileo. Il processo contro Galileo fu ragionevole e giusto”

ci si può forse aspettare che venga accolto a braccia aperte in Università? Non si tratta di censura (di cui per altro la Chiesa ha una secolare esperienza), ma di una normale reazione alle continue ingerenze ecclesiastiche nel dibattito scientifico (stavolta non parliamo di politica, ma il discorso non è diverso), alle accuse che anche di recente hanno visto protagonista proprio il Santo Padre.

In ogni caso, che il papa si faccia parlare. Non è giusto, come dicevo, impedire a lui di esprimere le sue opinioni, cosi come non fu negata libertà di parola ad altri fautori di teorie anche decisamente meno illuminate. Che la Chiesa non si stupisca però nell’assistere a queste reazioni, perché cominceranno a moltiplicarsi se persevererà con questo atteggiamento da “partito politico” (e non venitemi a dire che non si comporta da tale, quando si piega persino alle più becere manovre a livello di comunicazione, quali attaccare pubblicamente Veltroni salvo poi far ritrattare in sordina dall’ufficio stampa).

Appello

Leggo su Voglio Scendere (da Marco Travaglio) e provvedo a dare adeguato risalto:

La scorsa legislatura è stata connotata da forti tensioni tra potere politico e magistratura, con frequenti interferenze del primo sull’attività della seconda. Ci si attendeva, nella nuova, un radicale mutamento di rotta, in armonia con le dichiarazioni programmatiche. Si registra, invece, un’inquietante continuità di indirizzo, come denota il caso dell’inchiesta Why Not della procura di Catanzaro.

Appare a dir poco sconcertante che a chiedere per ‘motivi di particolare urgenza’ il trasferimento cautelare del pubblico ministero procedente sia lo stesso guardasigilli implicato nelle indagini. E’ vero che l’iscrizione nel registro degli indagati è successiva a tale richiesta, ma è altrettanto vero che il coinvolgimento del guardasigilli nelle indagini era da tempo di pubblico dominio. Tanto meno si giustifica l’inusitato provvedimento di avocazione con cui il procuratore generale facente funzioni ha sottratto l’inchiesta al magistrato procedente, sul presupposto di un’incompatibilità per ‘interesse nel procedimento’ ai sensi dell’art. 36 c.p.p. Prudenza avrebbe voluto che, prima di adottare un provvedimento così eccezionale, si attendesse l’esito del giudizio disciplinare; in sua assenza si può rovesciare il discorso a base dell’avocazione ed ipotizzare, con almeno pari plausibilità, un ‘interesse’ del ministro a liberarsi del proprio inquirente e a precostituire cause di incompatibilità attraverso l’azione disciplinare. In questo quadro la revoca dell’avocazione e la restituzione dell’indagine al suo originario titolare sono i passi necessari perché non sia ulteriormente minata la già precaria fiducia del cittadino nell’amministrazione della giustizia e nell’uguaglianza davanti alla legge.

Quanto alla circostanza che il pubblico ministero dell’inchiesta Why Not abbia pubblicamente denunciato l’illegittimità dell’avocazione e – insieme ad altri colleghi – pressioni e intimidazioni da parte di soggetti istituzionali, va senza dubbio riconosciuto che competano ai magistrati doveri di riserbo nei riguardi dei mass-media; ma è solo assicurando le condizioni per la legalità e l’autonomia delle indagini, che si può pretendere l’osservanza di quei doveri.

29 ottobre 2007

Sergio Chiarloni (università di Torino)
Mario Dogliani (università di Torino)
Paolo Ferrua (università di Torino)
Rosanna Gambini (università di Torino)
Andrea Scella (università di Udine)

 

Quanto vale il tuo cervello?

vuota ma piena. Di gente “con la testa” (e che testa) ne conosco parecchia. Gente che ha competenze da vendere, carattere e voglia di fare, curiosità, destrezza e soprattutto quell’intuizione che rende… speciali. Dicevo, ne conosco parecchia: penso che l’Italia sia un posto ricco di gente con queste doti (purtroppo se da una parte dai…), per i motivi più disparati (non certo per merito della nostra scuola o delle nostre università, sigh).

Quello che è strano però, è che queste persone valgano pochissimo per la nostra società, per il nostro “sistema paese”, come lo si va chiamando da qualche anno a questa parte. Un interessante articolo del Corriere di oggi riporta qualche cifra sui guadagni e l’impiego dei “cervelloni” nostrani, spinti da anni, come ormai noto, ad aderire alla formula di vita del “cervello in fuga”. L’articolo del Corriere fa particolare riferimento all’aspetto economico della questione (con particolare riferimento al CNR che però è solo un esempio lampante di un malessere diffuso), ma io sono convinto che ci sia dell’altro, e che l’aspetto economico sia solo e solamente una conseguenza di quest’altro.

In Italia non si fa più ricerca. Non la si fà per molte ragioni, legate in un circolo vizioso che taglia letteralmente le gambe a chiunque voglia fare vera ricerca (anche perché ci sarebbe da definire il significato di “ricerca”, eccezion fatta per la “ricerca di base”). Una di queste ragioni è sicuramente quella della precarietà: chi di voi si imbarcherebbe seriamente in un progetto di ricerca, con un orizzonte temporale di quattro o cinque anni, dovendo rinnovare un contratto ogni anno e dovendo per questo fornire “prove concrete” del proprio operato su base annuale? E questo meccanismo coinvolge circa il 50% degli impiegati del CNR, e sicuramente una percentuale molto simile si riscontrerebbe nelle altre realtà che a questo campo si dedicano. Sembra che le istituzioni abbiano un’idea leggermente perversa della ricerca…

Posso portare il concreto esempio di una cara amica, geologa, che da anni si batte per ottenere un livello di vita soddisfacente, facendo ricerca. Quello che ha ottenuto, negli ultimi anni, oltre all’essersi demoralizzata, sono le continue richieste di “consulenze gratuite” di vario genere da parte dell’università.

Purtroppo (come vado blaterando da parecchio tempo ormai) in Italia l’istruzione, la formazione e la ricerca sono visti come costi, perché non portano risultati concreti nel breve termine. Si tratta di un’ottica estremamente miope, che ha già prodotto danni irreparabili al nostro paese i cui danni si cominciano a vedere oggi ed andranno purtroppo peggiorando drammaticamente nei prossimi anni se non verranno presi provvedimenti incisivi (e anche con quelli, non sarà facile mettere una pezza sui danni prodotto da questo atteggiamento).

C’est la France de Sarkozy

Nicolas Sarkozy - Meeting in Toulouse for the 2007 French presidential election 0297 2007-04-12 Si cominciano a vedere gli effetti delle elezioni presidenziali in Francia di qualche mese fa. I provvedimenti che il Presidente della Repubblica Nicolas Sarkozy (già ministro dell’interno all’epoca degli “scontri delle banlieues” di alcuni mesi fa) comincia a prendere, hanno suscitato negli ultimi giorni dubbi e perplessità in certi casi, violenti scontri in altri. I due provvedimenti più eclatanti sono quelli che coinvolgono la lotta alla pirateria musicale e la riforma delle università.

Il primo dei due provvedimenti prevede, nell’ottica della lotta alla pirateria musicale, che venga monitorata l’attività degli utenti francesi tramite l’aiuto dei provider, e che venga “staccata” (dopo essere stati avvertiti tramite email dissuasive) la connessione ad internet per quegli utenti che si rendono responsabili di download illegali di materiale protetto da copyright. In cambio, le case discografiche si impegnano a non includere drm ai file venduti legalmente.
Se l’idea potrebbe sembrare a primo acchito quasi interessante, i dubbi e le perplessità sollevati da questo provvedimento, fortemente voluto proprio dal Presidente Sarkozy in persona, sono davvero molti: in particolar modo questa decisione mette in crisi la neutralità della rete in Francia e la privacy dei cittadini d’oltralpe, con lo scopo di tutelare (discutibili, secondo il sottoscritto) diritti delle major discografiche e cinematografiche. Ma i dubbi maggiori vengono sollevati a livello tecnologico: come si pensa che sarà possibile discernere i files “illegali” da quelli legali, magari diffusi sotto licenze Creative Commons? Ci saranno delle persone pagate per analizzare brano per brano tutto il contenuto del circuito peer-to-peer, oppure assisteremo alla criminalizzazione selvaggia di tutto quello che passa sui network di questo genere (spesso utilizzati anche per il download legale di distribuzioni Linux e simili)? A poco vale la promessa delle major discografiche di far “saltare i lucchetti digitali” dai brani venduti: si è già ampiamente dimostrato che il drm è fallimentare (e già tecnologicamente sorpassato), quindi non si tratta certo di una merce di scambio…

Manifestation du 22 novembre Il secondo provvedimento, invece, riguarda la riforma delle università, ed ha già causato numerose manifestazioni da parte degli studendi, che hanno provocato la sospensione delle lezioni in numerose università, tra le quali la famosa Sorbonne di Parigi, dove i violenti scontri tra studenti che manifestavano contro il provvedimento in questione e quelli che volevano invece raggiungere le aule, hanno costretto venerdi mattina il rettorato a chiudere l’università fino a lunedi 26.
Il provvedimento in questione, anch’esso fortemente voluto da Sarkozy, aumenterebbe l’autonomia amministrativa degli atenei francesi, con il preciso scopo di far entrare il capitale privato nelle università, trasformandole di fatto in sistemi di produzione di lavoratori anzichè centri di conoscenza e formazione.
Dello stesso pacchetto legislativo fa parte anche il provvedimento di riforma dei “regimi speciali di pensione”, contro i quali era stato indetto un lungo sciopero del settore dei trasporti e del pubblico impiego, che ha paralizzato la Francia per diversi giorni (con ricadute pesanti sia sulla popolazione francese, ma anche con conseguenze sulle linee ferroviarie internazionali dirette o provenienti dalla Francia), e che era stato sospeso proprio venerdì mattina (dove rimaneva comunque un’adesione del 24% dei lavoratori SNCF), alla notizia dell’apertura di un tavolo di trattativa sociale sulla normativa in questione (ma non sull’autonomia amministrativa degli atenei universitari).

Il “metodo Sarkozy” comincia a farsi dunque sentire pesantemente in Francia, e ci si può aspettare che non si tratti solamente di casi isolati. Ne vedremo delle belle…

Libri

Ebbene si, l’ho fatto ancora. Ci sono ricaduto, ho acquistato (non uno ma) due (!) libri.

Immagine di Segmenti e bastoncini

Il primo (tento pateticamente di discolparmi, di giustificare questa mia debolezza) me l’ha consigliato il mio professore di Fondamenti di Automatica, il prof. Leva: si tratta di “Segmenti e bastoncini“, ed è un libro sull’educazione scolastica, che approfondisce i pro e i contro della riforma universitaria (perlomeno affrontando il discorso dal punto di vista dell’autore, il prof. Lucio Russo, ordinario all’università di Roma Tor Vergata). Si tratta sicuramente di un argomento sul quale ho fatto poco approfondimento, e sono sicuro che, indipendentemente dalla condivisione o meno delle idee di Russo, questo libro mi aiuterà a farmi un’idea della questione, che mi riguarda, ahi me, da molto vicino.Immagine di Shock economy

Il secondo libro acquistato, invece, è meno giustificabile, è stato un vero e proprio impulso (no, {Corrado|Danilo}, non imp(s) ). Si tratta di “Shock Economy“, di Naomi Klein. Avevo già letto, alcuni anni fà e con molto interesse “No Logo”, e sono sicuro che questo suo nuovo libro varrà i 20 euro che mi è costato questa mattina. Tra l’altro, colgo l’occasione per far presente che l’autrice sarà alla Feltrinelli di Corso Buenos Aires questo lunedi, a partire dalle ore 18:00, per presentare il libro. Inutile dire che, impegni permettendo, sarò presente all’evento.

Nel frattempo, al di la delle apparenze, le mie letture continuano. Sto leggendo “Un altro giro di giostra”, l’ultimo libro di Tiziano Terzani. Si tratta di un libro molto bello, mi sta piacendo davvero molto, ma scorre molto poco, richiede continue pause di riflessione sui messaggi che l’autore lascia trasparire dalle sue parole. Cosi, dopo quasi un mese di lettura (l’ho preso in mano il 23 di settembre), sono arrivato appena a metà del libro, ma per la prima volta, mi trovo a “doverlo leggere” con una matita in mano, per sottolineare i passaggi più belli. E nel frattempo, i libri in “coda di lettura” sono diventati 35…

Non è italiano!

No dannazione. Non è italiano! Non ha alcun senso dire che Mario R. Capecchi, nato a Verona nel 1937, è un italiano. Soprattutto non in riferimento al conseguimento del Nobel per la medicina. Può sentirsi italiano se gli và, Capecchi, ma accademicamente, non lo è!
Capecchi (al quale vanno naturalmente i miei complimenti più vivi, cosi come a tutti gli altri studiosi di questo mondo, più o meno accademici e più o meno premiati) ha vissuto negli Stati Uniti, studiato negli Stati Uniti, lavorato negli Stati Uniti, ricercato negli Stati Uniti, sperimentato negli Stati Uniti, scoperto negli Stati Uniti. In Italia magari non avrebbe neppure potuto, legalmente, lavorare alle scoperte che ora gli sono valse il Nobel. Però ora lo passano per italiano. E invece no! Basta! Non possiamo fare i protezionisti, tagliare i fondi alla ricerca, lasciare tutto in mano ad imprese senza scrupoli, consentire stage gratuiti, corsi universitari mediocri, e poi dire “quanto siamo fighi, abbiamo pure vinto il Nobel”. Troppo comodo!