Ieri ero presenta al greenCamp, organizzato dai Verdi presso Palazzo Ducale, a Genova. Al di la della mera cronistoria di quanto accaduto, il cui senso sarebbe davvero dubbio, forse vale la pena esprimere un paio di considerazioni.
Il punto forte della manifestazione è stato sicuramente la sua collocazione politica. L’idea di inserire una “non conferenza” (quale dovrebbe essere un barCamp) in un evento formale come un convegno di matrice politica è sicuramente un’idea interessante ed un atto di coraggio da non sottovalutare. Sono contento che si sia trovata la forza di farlo e che l’idea sia piaciuta anche “ai piani alti“.
Il punto debole della manifestazione è stato un derivato dal suo punto forte. Proprio per via della collocazione politica particolare, si è trattato di un barCamp piuttosto strutturato (addirittura finendo con il rispettare una precisa scaletta, in quanto nessuno si faceva avanti per proseguire con il proprio intervento dopo averne sentito un’altro) e questo ha portato a “saltellare” tra argomenti anche particolarmente diversi e slegati tra di loro (si aprivano filoni di discussione che però poi non avevano seguito e si passava quindi ad un altro filone completamente slegato dal precedente). Sicuramente gli organizzatori faranno tesoro di questa esperienza, tanto quanto i partecipanti stessi, che si troveranno maggiormente a loro agio ad un altro barCamp, magari organizzato in un ambito meno “formale”.
Una ulteriore nota va fatta pervenire in qualsiasi modo agli organizzatori: ragazzi, almeno un cartello, una freccina, ad indicare dove stava il barCamp, valeva la pena metterla… Nel seminterrato i cellulari non prendevano e noi abbiamo vagato per Palazzo Ducale almeno 30 minuti prima di immaginare che il barCamp potesse stare al piano 0 (ovvero il -1) insieme agli workshop…
Al di la del barCamp in se, comunque, mentre pensavo a cosa dire (ovviamente non sapevo di dover intervenire fino a 2 ore prima dell’evento, di cui si erano occupate altre persone in Associazione :P), mi sono balenate in mente una serie di idee alle quali, ripensandoci, trovo comunque utile dare un seguito al di la del mero intervento di Genova (che comunque non le ha viste rientrare nel poco tempo a mia disposizione).
In particolare, mi interessa approfondire il discorso della “territorialità” (vista, presa, presenza sul “territorio” e significato del termine “territorio” stesso) legato alle associazioni del panorama del Software Libero, piuttosto atipiche sotto questo profilo.
Infatti se la territorialità tipica dell’associazionismo spicciolo (quindi quello politico, ad esempio, o legato al volontariato) ha una connotazione territoriale molto geografica (gruppi che si riconducono ad un quartiere, una via, o addirittura un condominio), esiste una “diversa territorialità” che è quella del Web. In questo ambiente, le persone si incontrano per interessi comuni, più che per “geografia comune”: esiste allora un “luogo blogsfera” (proprio quel non-luogo che si definisce autoreferenziale in una ormai annosa quanto inutile diatriba), esiste un “luogo YouTube” (che raccoglie i visitatori dell’omonimo sito-community), un “luogo del.icio.us) e perché no, anche un “luogo Second-Life”. In questa “geografia degli interessi” le persone si incontrano virtualmente come prassi, e si emozionano nel momento dell’incontro fisico. Esattamente l’opposto di quello che accade nel mondo fisico: come dicevo a gizm0 (che ho incontrato proprio al greenCamp di Genova), se da una parte si dice, al primo incontro standard (in questo caso, fisico) “Ciao gizm0! Che figo ho visto il tuo sito web!”, dall’altra parte si dice “Ciao gizm0, che figo, ti ho incontrato di persona!”.
Si tratta di due realtà diverse, con le quali siamo ormai abituati a convivere (al punto che sono ormai anni e anni che si (s)parla di “vita nel cyberspazio”.
Nel panorama dell’associazionismo legato al software libero però (almeno per quella che è l’esperienza legata all’Associazione Culturale OpenLabs) ci sono dei richiami ad entrambe le realtà, con un miscuglio di caratteri davvero strano e che merita di essere analizzato attentamente (imho). L’area di azione dei LUG (o simili, visto che OpenLabs non è [solo] un LUG) è piuttosto ristretta geograficamente: proprio per loro connotazione caratteriale, i LUG nascono in un comune, provincia o comunque in una zona geograficamente delimitata come punto di aggregazione fisica di una serie di persone che condividono una stessa passione/interesse nei confronti di Linux e del software libero in senso più ampio (quindi caratterizzati da una territorialità prettamente fisico/geografica).
D’altro canto, i LUG sono formati da utilizzatori di software, che oggi significa (nella quasi totalità dei cosi) anche utilizzatori della rete e degli strumenti che questa mette a disposizione (mailing-lists, siti web, wiki e via dicendo), che le danno quindi anche una caratteristica territorialità “virtuale”, proprio come una comunità web.
Quella più forte delle due però (quindi quella che poi ne caratterizza maggiormente l’aspetto territoriale) è quella “online”. Se infatti lo stesso gruppo trovasse sede due o tre quartieri “più in la”, non cambierebbe nulla, perché il numero di gruppi sul territorio italiano è tale da non riuscire a coprirlo in maniera cosi capillare (fortunatamente, in un certo senso).
A questo punto, abbiamo gruppi che raccolgono “in un luogo relativamente vicino” persone che vengono da “tutta una vasta regione geografica” (la Provincia di Milano ad esempio). Ma il contatto con il territorio geografico allora? OpenLabs ad esempio non ha quasi nessun contatto con il territorio geografico più vicino alla propria sede. Non conosciamo gli inquilini dei palazzi limitrofi, non organizziamo incontri a loro dedicati, non ci facciamo vedere ne ci pubblicizziamo particolarmente.
Questo è senza dubbio un limite (e non voglio credere che sia solo legato ad OpenLabs) e quindi, in prospettiva, un ambito di miglioramento. Il succo del discorso sta nella domanda: “Come migliorare il contatto con il territorio geografico? Come entrare maggiormente in contatto con vie, quartieri, palazzi, senza snaturare la realtà che fa di OpenLabs un esponente di spicco del panorama del software libero italiano?”. Forse parte della soluzione l’abbiamo involontariamente trovata e compresa con la partecipazione alla manifestazione Fa La Cosa Giusta! di qualche mese fa a Milano. In quell’ambiente, non direttamente legato al mondo dell’OpenSource (come invece accade per la quasi totalità delle altre manifestazioni a cui un LUG normalmente partecipa), ci siamo trovati di fronte alla possibilità di entrare in contatto con persone “non interessate” dal Free Software in se, ma che si sono scoperte tali nel momento in cui, incuriosite dal pinguinone presente al nostro stand, si sono avvicinate per chiedere.
Le fiere di paese, potrebbero essere un modo “non convenzionale” di dare visibilità al mondo del software libero che può funzionare molto piu efficacemente di tutti i LinuxDay che vengono organizzati in Italia e che hanno nella ristretta cerchia dei “già interessati/incuriositi” il loro target principale.
In questo specifico esempio, il problema della territorialità più spicciola (vie, quartieri, palazzi) ovviamente rimane, ma una bancarella al mercato rionale non potrebbe fare al caso? O andare a distribuire cd in quelle realtà locali per eccellenza (biblioteche, centri culturali, negozi, parchi)?
Potrebbe essere una strada interessante per diffondere il software libero, sulla quale invito “tutti i miei lettori” (me stesso?) a riflettere ulteriormente, ed eventualmente approfondire in una sede opportuna (se c’è interesse, potremmo organizzare anche un barCamp tematico presso la sede di OpenLabs :P)
Riflessioni molto interessanti, che sono molto simili ad alcune discussioni sempre pi´u ricorrenti all’universita. Io per il mio piccolo ho trovato una … chiamiamola risposta:Le parrocchie. In un posto cosi cattolico come l’alto adige in generale o la val gardena in dettaglio, le parrocchie osno un modo per contattatre la gente. Se si organizzano delle sere tematiche, dei tavoli di discussione, etc.. nei locali della parrocchia (che sono parecchio felici di ospitarli), i eventi vengono “pubblicizzati” come eventi culturali sul giornaletto di parrocchia, e come tale attraggono molta gente.
Anche la idea che mi avevi raccontato di usare le biblioteche non ´e male, ma (purtroppo) da noi ha riscontrato scarso sucesso.
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