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I problemi strutturali

2 giugno...Viva l'Italia!!!! Guardando la registrazione dell’ultima puntata di Ballarò, valutavo come (secondo me) vengano continuamente affrontati problemi “immediati” (o a medio termine) tralasciando in modo lampante quelli che sono i problemi strutturali del nostro Paese, quelli che provocano poi i problemi di più breve periodo. Cerco di spiegare il concetto, anche se dovrò prenderla alla larga…

Dal momento della discesa in politica di Berlusconi, la contrapposizione tra i due schieramenti politici (riconducibili ad un “destra – sinistra” o “maggioranza – opposizione”, anche molto diversi da caso a caso) è divenuta sempre più forte e violenta, arrivando sostanzialmente ad una costante campagna elettorale. Anche la considerazione che faccio dei primi provvedimenti presi da questo governo, finisce con il ricondursi alla presa di coscienza di una demagogia latente, volta al mantenimento (a tutti i costi) di un consenso su una certa fascia della popolazione in cui si concentra l’elettorato del centro-destra.
Mi viene fatto notare, in alcune discussioni, di come il Governo sia in carica da pochi mesi e quindi si debba attendere nel tirare bilanci: posso concordare ma le valutazioni sono proporzionali alle misure da valutare e se il Governo forza i tempi e annuncia decisioni su decisioni, queste decisioni vengono inevitabilmente valutate (e per quel che mi riguarda, le valutazioni sono tutt’altro che positive, ma questo esula dal discorso).

L’impressione che mi deriva da queste prime settimane di Berlusconi IV, è decisamente riconducibile a quella che è stata spesso chiamata la “politica dell’annuncio” che, per quel che mi riguarda, ricade poi nel più ampio calderone della demagogia spicciola:

  • si è parlato di sicurezza e si è scelto di investire su un provvedimento che non otterrà risultati apprezzabili, quello del reato di immigrazione clandestina
  • si è parlato di problema dei rifiuti e abbiamo un Governo che ripercorre sostanzialmente i passi compiuti dalle precedenti ammimnistrazioni, con la sola eccezione di ritrovarsi settimanalmente a Napoli per discuterne (si rendessero almeno utili nel raccogliere il pattume, già che sono lì)
  • si è parlato di rivalutazione del potere d’acquisto e si è intervenuti
    • tagliando metà dell’ICI di giugno (togliendolo cioè alle classi più abbienti, visto che agli altri era già stato tolto, incrementando notevolmente il costo della manovra)
    • detassando, per sei mesi sperimentali, straordinari e premi produzione (incentivando così le aziende al ricorso a questo genere di misure, aggravando per altro il già non lieve problema della sicurezza sul lavoro)
    • annunciando una rinegoziazione dei mutui a tasso variabile (tramite un accordo di cartello con le banche) quando era ormai alle porte l’attuazione del decreto Bersani che riguardava questi aspetti e che avrebbe incrementato la concorrenza tra le banche (rendendo più vantaggiosi si trasferimenti dei mutui da un istituto ad un altro) affinché ne giovassero essenzialmente i consumatori
  • si è parlato di energia nucleare, annunciando che le centrali si faranno, come fosse una questione di giorni o ore, mentre ci vorranno anni per partire e i risultati saranno assolutamente irrisori (si parla di un 7% del fabbisogno energetico nazionale, quando l’Italia potrebbe investire con ritorni molto più immediati nel solare e nell’eolico)
  • si è parlato di “soluzione italiana al problema Alitalia” andando invece a fare una mera ricapitalizzazione di un’azienda in profonda crisi (sottraendo 300 milioni di euro ad altre voci del bilancio statale) senza di fatto risolverne i problemi congeniti che la portano alla costante emorragia di milioni di euro al giorno ed attirando le ire di Unione Europea e delle altre compagnie aeree europee.

Sotto la carrozzeria, nel frattempo, problemi devastanti attanagliano il nostro paese:

  • Il problema dell’istruzione: la scuola italiana è allo sfascio. Non solo strutturalmente (problema di costi) ma soprattutto nella sua fondamentale funzione di livellamento sociale (per cui il figlio di un magistrato o di un imprenditore di successo non ha/deve avere maggiori chance in termini di formazione rispetto al figlio dell’ultimo dei suoi operai), nella sua funzione di formatrice di menti sane e pensanti, capaci di discernere la realtà dalla fantasia, di comprendere anche (o forse “soprattutto”) ciò che i nostri politici ed i mass-media tentano di farci credere.
    Il problema è stato generato da un lato da anni di riforme demenziali (un esempio: “più informatica nelle scuole”, anziché “rinnovamento delle modalità didattiche tramite l’uso dell’informatica”, si è rapidamente trasformato in “impariamo ad usare Word ed Excel”, oppure il taglio dei programmi scolastici affinché risultassero meno pesanti, ma anche meno completi da un punto di vista formativo) e dal tentativo di imitare un modello scolastico (quello americano) che mostra già da anni enormi problemi (basti pensare a quanto incidano i ricercatori stranieri nel mondo universitario degli USA).
    Questo problema non solo impedisce una reale uguaglianza sociale (consentendo quel meccanismo meritocratico che ora si cerca di imporre con complicate leggi), ma impedisce di fatto una sana vita sociale agli italiani, incapaci di comprendere il mondo, di analizzarlo, di farlo proprio, complicando esponenzialmente qualsiasi altro problema il nostro paese possa avere (come intervenire sul problema della sicurezza stradale quando gli italiani pensano di risolverlo comprando il SUV?).
  • C’è poi il problema dell’informazione: legato a doppio filo proprio al problema dell’istruzione (se gli italiani vogliono guardare “Amici” o “Il Grande Fratello” e le soap opera anziché programmi culturale e di approfondimento, perché la televisione dovrebbe proporre qualcosa di diverso?), quella che potrebbe essere parte della risposta al punto precedente viene di fatto sterilizzata dal conflitto d’interessi e dal servilismo latente. L’informazione italiana è pessima (per non dire peggio): quello che altrove è effettivamente il quarto potere (al fianco ed al pari dei poteri tradizionali) in Italia è solo una macchina per l’intrattenimento.
  • Il problema di ricondurre tutto al mercato: non si tratta ovviamente di un problema solo italiano, ma in Italia abbiamo una particolare propensione all’accentuarlo. L’idea che “il mercato” e “la concorrenza” siano la soluzione a cui appellarsi in ogni caso è piuttosto diffusa (e non solo nel centro-destra) ed in parte condivisibile. Purtroppo in certi ambiti si rivela particolarmente dannosa, in quanto un privato è tenuto ad ottenere un guadagno dalla prestazione del servizio, mentre il pubblico può ipoteticamente attingere a fonti diverse. E’ così che vengono fuori scandali come quello recente che vede coinvolta la clinica Santa Rita di Milano, è così che si moltiplicano gli interventi e si buttano (per altro) valanghe di denaro ottenendo un servizio spesso di scarsa qualità (perché per guadagnare di più, poi, si va al risparmio).
  • Il problema del debito pubblico: tra quelli di natura economica, è certamente quello che grava maggiormente sul nostro paese. Il rapporto tra debito e pil del nostro paese è tra i peggiori del mondo ed il nostro paese butta nel cesso, per interessi sul debito, oltre 60 miliardi di euro l’anno. Con un debito simile, non c’è trippa per gatti: le tasse devono essere alte (perché si spende tanto), gli investimenti ridotti, le possibilità di assegnare fondi a ricerca ed istruzione scarse.
  • Il problema dei “furbi”: si tratta probabilmente di uno dei nostri maggiori problemi sociali, divenuto con il tempo un marchio indelebile anche nella percezione dell’italiano da parte degli altri cittadini del mondo. Gli italiani sono furbi (o almeno credono di esserlo), e da tali si comportano: aziende che farebbero qualsiasi cosa pur di massimizzare i guadagni (e da qui nascono problemi di salari, sicurezza sul lavoro, qualità del servizio), gente che evade le tasse,  “favori” agli amici, raccomandazioni, gente che sorpassa la fila in corsia d’emergenza e via dicendo. Sembrano bazzecole, ma contribuiscono notevolmente ad aggravare i già enormi problemi del nostro paese, soprattutto quando “i furbi” vanno al governo grazie a voti di altra gente che “pensava di essere furba”, mandando al governo coloro che avrebbero fatto i loro interessi.

Povera Italia…

Ancora guai in Vista

WOW “Wow” o non “wow”, la storia di Vista in questi primi mesi di vita non si può non definire travagliata. Il successore di XP infatti, oltre a non aver avuto l’impatto sul mercato che speravano a Redmond, si deve battere con utenti restii al passaggio, una concorrenza quantomai agguerrita ed una carenza di reali innovazioni che spesso e volentieri non ne giustificano i costi d’adozione. Proprio in questi giorni, tra l’altro, Microsoft ha annunciato un calo del 24% nelle vendite di questo primo quadrimestre (dato comunque da prendere con le pinze, visto che non include le prevendite di Vista), cosa che non fa ben sperare gli uomini di Bill Gates, se intendono mantenere l’attuale posizione dominante sul mercato.

Gli ultimi guai, in ogni caso, arrivano direttamente da Dell ed HP, che hanno deciso di continuare ad installare Windows XP sui propri sistemi anche dopo che questo sistema operativo sarà “dismesso” da Microsoft, al 30 giugno 2008.
D’altra parte se Microsoft pensa di poter “forzare” un mercato restio a passare a Windows Vista eliminando la possibilità di scelta (ovvero dismettendo XP), non si deve meravigliare che i distributori cerchino altre strade per continuare a vendere…

Forse a Redmond farebbero bene ad entrare nell’ottica di un mercato competitivo, in cui si lotta e si vince scrivendo del buon software e non strozzando i concorrenti…

Mac, beacons e saltellamenti…

Brand new WRT54GSNon molto tempo fà, il router wireless di casa mia ha dato i primi segni di cedimento, quasi comprensibili dopo 4 anni di uptime costante e traffico sostenuto come quello che un tecnico come il sottoscritto può fare.

Dopo una rapida analisi della situazione, ho deciso di fare un “pesante investimento” ed acquistare un nuovo router wireless, optando per un Linksys della serie wrt (quelli su cui eventualmente si può mettere Linux), recuperato da MediaWorld per la modica cifra di un centinaio di euro.

L’occasione è stata buona anche per mettere in sicurezza la rete wireless domestica, che fino a non molto tempo fà veniva protetta semplicemente da un filtro sul mac-address e dal fatto di restare “nascosta” (non inviava beacons): con l’introduzione del nuovo router, ho deciso di consentire che l’access point inviasse i suoi bei beacons, e ho deciso di proteggerne l’accesso utilizzando wpa.

Spulciando poi tra le opzioni “avanzate” del software in dotazione alla Linksys, ho scoperto la possibilità di ridurre il rate con cui i beacons vengono inviati, e mi sono detto: “A che prò inviare un beacon ogni 100 millisecondi come impostato di default?”, e ho così ritoccato l’impostazione facendo inviare un beacon al minuto, più che sufficiente perché un utente interessato noti la presenza della rete, ma allo stesso tempo adatto a rendere meno semplice l’individuazione dell’access-point da parte di un eventuale war-driver.

Naturalmente, Linux non ha fatto una piega, recuperato il nome della rete, richiesto la password, e connesso.
Nell’atto di configurare il MacBook della mia dolce metà, invece, mi sono reso conto che la connessione dell’AirPort andava su e giù, al punto da non riuscire neppure a caricare per intero la homepage di Google.

Dopo qualche tentativo, individuo proprio nel “beacons rate” la causa di questo strano comportamento, e le prove successive (con beacons rate progressivamente ridotti) hanno portato al ripristino dell’impostazione di default del Linksys (100 ms), prima che il MacBook decidesse di teneresi la connessione attiva costantemente.  Non so se il problema fosse già noto o segnalato (anche perché dalle ricerche di Google che ho fatto non ho trovato nulla di significativo) ne ho fatto prove ulteriori per verificare la riproducibilità del problema.

Se qualcuno ha voglia di approfondire… 🙂 

Sulle strade d’Italia

Parcheggio infame  Gli italiani, per strada, non hanno una gran nomea. Paragonando i guidatori italiani (me compreso, spesso e volentieri) a quelli degli altri paesi, si notano una serie di cose curiose e di pericoli a cui noi ci prestiamo senza riflettere, che negli altri paesi invece vengono accuratamente evitati grazie ad un forse più sviluppato senso civico.

Noi italiano siamo sempre di fretta, e corriamo, corriamo parecchio. Peccato che correre non serve a nulla, ne in città ne in autostrada. Non serve in città perché alla fin fine la maggior parte del tempo la perdiamo fermi in coda o al semaforo (la velocità media si aggira intorno ai 20 chilometri orari, nelle ore di punta). Non serve in autostrada perché andando a 160 al posto che 130 (quindi considerevolmente più forte), guadagnamo 30 chilometri ogni ora di viaggio, vale a dire meno di 14 minuti: che senso ha, vista anche la differenza di consumi? E allora via, 160 all’ora in terza corsia, lampeggianti a tutto spiano (o abbaglianti fissi, a seconda della pigrizia del “pilota”), magari una bella multa dal Tutor, e poi mi fermo a “sgranchirmi le gambe” all’autogrill e già che ci sono perdo 30 minuti tra cesso e panino (non manca mai).

Altro problema tipico italiano, è il guard rail spartitraffico appiccicoso. Si, perché solo con la colla si può spiegare il fatto che non occupiamo mai la corsia libera a destra. Se proprio proprio va male, siamo piantati su quella centrale, e ci incazziamo pure quando qualcuno ci lampeggia o, esasperato, ci sorpassa a destra (perché a sinistra ci sono quelli ch, fighi, vanno a 160 per far prima). A questo proposito voglio citare un amico: “la quarta corsia in autostrada è il modo più costoso che si possa trovare per far usare agli italiani la terza corsia”. Ha ragione, davvero. Pienamente ragione.

E degli specchietti retrovisori ripiegati, vogliamo parlarne? Non mi capita spesso a Milano, ma in altri posti è decisamente un’abitudine: automobilisti che vanno in giro con i retrovisori completamente ripiegati su se stessi, oppure regolati per guardare il passeggero sul sedile posteriore. Quando li vedo e li devo sorpassare, mi vengono i brividi, chissà perché…

Non parliamo poi delle precedenze ai pedoni: da noi se un pedone solo si azzarda a mettere un piede giù dal marciapiedi,  sulle striscie, rischia di essere falciato “per rappresaglia”. In Belgi, Germania e Lussemburgo, ho visto gente fermarsi anche quando non dovevo attraversare, e scusarsi poi per avermi messo in imbarazzo chiedendomi se dovevo passare: allucinante.

E quando andiamo ad una velocità normale? Quando parliamo al cellulare, naturalmente senza auricolari ne vivavoce. Tanto non mi vede nessuno, è una chiamata breve, sono quattro parole, non mi chiama mai nessuno… E invece è provato che anche con le mani libere, il cellulare distrae notevolmente il guidatore dalla strada, quindi figuriamoci tenendolo con una mano (la sinistra ovviamente, cosi si fa tutto il resto, volante-cambio-autoradio-climatizzatore con la sola destra).

Altro argomento interessante sono i rifiuti nelle aree di servizio. All’estero le aree di servizio sono tutte belle pulite ed in ordine. Le nostre sembrano degli immondezzai, piene di rifiuti un po’ ovunque (soprattutto vicino ai parcheggi delle auto, guarda caso), nonostante esistano i cestini e siano svuotati con sufficiente regolarità.
Oppure i parcheggi! Nelle aree di servizio o in città, il tipico parcheggio all’italiana è quello riportato nella foto allegata a questo post: una merdaviglia. Auto parcheggiate di sbieco, in seconda (o terza, capita) fila, sulle striscie pedonali, in mezzo agli incroci, che prendono quattro o cinque posti (anche quando non sono di sbieco, per carità), impedento a chiunque altro di parcheggiare. Le “lische di pesce” queste sconosciute…

Infine, per chiudere in bellezza, la cintura di sicurezza. Io ormai la do’ per scontata (me la metto anche per infilare la macchina nel box, scendendo dalla rampa). E’ un istinto: entro in macchina, metto la cintura, accendo i fari, avvio l’auto. E invece pare che tra gli italiani l’abitudine di non mettere la cintura sia piuttosto diffusa, al punto che molti danni derivanti dagli incidenti stradali sono aggravati dall’esplodere dell’airbag quando il guidatore non ha la cintura inserita. Ben vengano allora dispositivi come quello della Grande Punto che continua a suonare finché non si è allacciata la cintura: io non consentirei nemmeno di disattivarlo, tanto c’é l’obbligo per legge di metterla, davanti e dietro…

Insomma, noi italiani proprio in macchina non ci sappiamo andare. O meglio, ci sappiamo andare a modo nostro: giusto quel che basta per farci il più male possibile ogni qualvolta ci sia un imprevisto.

Che bel lavoro che fai…

** Nota: quanto raccontato in questa lunga pagina è un fatto reale, anche se potrebbe non sembrare cosi. Posso fornire prove. **

Mobo Che bel lavoro che faccio? Ma tu sei fuori come un balcone… mo’ ti racconto io cosa mi è successo negli ultimi 4 giorni, cosi ti rendi un po’ conto di cosa significhi fare il consulente informatico.

Tutto comincia mercoledi, quando a fronte della richiesta di essere venerdi a Treviso per tenere alcuni esami EUCIP IT Administrator, chiamo $cliente di Magenta per chiedere se posso spostare la settimanale giornata del venerdì al giovedì.

A risposta affermativa, confermo la mia presenza a Treviso e comincio a pianificare la giornata di giovedi da $cliente. Visto che a seguito di un aggiornamento del sistema (obbligato dalla necessità di utilizzare openvpn come richiesto da $cliente), da quattro giorni ricevo una telefonata quotidiana, all’apertura dell’azienda, perché non riuscono a fare il login nel dominio (samba che gestisce il dominio con gli utenti su mysql, mysql per qualche motivo si riavviava e bisognava riavviare samba), decido che è l’occasione buona per dare un’occhiata al problema e metterlo a posto. L’elenco delle cose da fare comunque non è breve, quindi una giornata piena la passerò a Magenta.

Giovedi mattina, arrivato da $cliente, a Magenta, alle 8:00 e posto che non c’è ancora quasi nessuno in ufficio, opto per un riavvio del server, in modo da partire ad analizzare la situazione da una base chiara e consolidata (sono ormai 200 giorni di uptime, con aggiornamenti, anche di librerie, successivi).
Passano 5 minuti ed il server (che gestisce TUTTO al cliente, se esistessero le fognature IP gestirebbe anche il cesso) non torna su. Vado in sala macchine, accendo il monitor, e mi trovo di fronte la richiesta di password per accedere alla console di manutenzione. Motivo? Sul sistema (una gentoo, per scelta del precedente amministratore di sistema, $admin) manca device-mapper, indispensabile per gestire il raid “dmraid” (altra scelta di $admin…).

Passo la mattinata a fare debugging (prima di scoprire che il raid era gestito da device-mapper, ci ho messo quasi 2 ore), e poi a cercare di districare il casino, armato di live-cd e santa pazienza (in sala macchine non c’è che una sedia e non mi consente di arrivare alla tastiera, posizionata sopra una scaffalatura). Alle 16:00, ormai disperato, dopo innumerevoli installazioni di device-mapper, dmraid, kernel e initrd vari, decidiamo (di comune accordo con i responsabili dell’azienda) di portare il server “da noi”, e verificare cosa si possa fare. Nel frattempo, l’attività di $cliente è completamente ferma dalla prima mattinata (possono usare solo il telefono, e solo perchè l’ho allacciato altrove), ci vogliono alcune ore di lavoro, e quindi mi vedo costretto a rinunciare alla giornata a Treviso. Cerco un sostituto all’ultimo secondo (per fortuna c’è gente disponibile), e dico $cliente, uscendo, che avrei cercato di avere la macchina pronta per la mattina successiva, al massimo nel primo pomeriggio.

L’idea è quella di prendere il sistema, fare un bel backup (i backup remoti ci sono, ma non si sa mai), comprare due dischi nuovi e rifare la macchina. Acquistati i due dischi in CDC, mi appresto a fare un bel backup. Avvio da live-cd, lancio il riconoscimento del raid, monto tutte le partizioni nel loro ordine, e parte una bella copia ricorsiva dal sistema installato ad un disco usb-2 acquistato per l’occasione. Passa un’ora e mezza, e vado quindi a controllare che tutto sia in ordine.
Verifico lo spazio occupato sui due dischi, ed è diverso. La cosa comincia a puzzare. Esploro le directory e scopro che manca parecchia roba. Riprovo a fare un backup, stavolta andando di rsync. Passa 1 ora e finalmente i dati sono stati copiati. Necessaria una verifica, naturalmente: diff ricorsiva delle due partizioni (ci impiega 1 ora buona), tutto in ordine, i files ci sono tutti.

Prima di lanciarmi a rifare la macchina da zero, dovendo lavorare sotto pressione con $cliente che vuole lavorare (ormai è venerdì mattina, non c’è speranza di avere la macchina rifatta e riconfigurata in tempo utile), proseguo con i tentativi di recuperare il sistema installato, nella speranza di mettere una pezza al problema e poter lavorare al nuovo sistema con maggior calma. Nel frattempo, riesco a mettere il cliente in condizione di proseguire con le attività: la mail è accessibile tramite una webmail dal provider, i siti web vengono rapidamente migrati su una macchina di fortuna e giro i dns su di quella, al web accedono dopo una veloce riconfigurazione (al telefono) del router in modo che consenta l’accesso dalla rete dei client anzichè dalla dmz. Nel frattempo la giornata di venerdì è quasi terminata, e visto che sabato mattina ho da fare non uno ma due deploy di server da altri clienti ($cliente2 e $cliente3), devo assolutamente terminare un altro paio di cose. Sospendo i lavori, e alle 3:00 riesco ad andare a dormire (dopo aver tra l’altro scoperto che il database mysql di $cliente4 a cui devo fare un preventivo non è raggiungibile dall’esterno della loro rete).

Sabato mattina: ore 9:00 appuntamento da $cliente2. Programma: installazione del firewall di rete e deploy del server (LAMP+mail) in azienda. Collego il firewall, lo avvio e mi appresto a configurarlo per le esigenze della rete del cliente (non potevo farlo prima perché mancavano una serie di dati). Utente root, password, accesso negato. Riprovo, stesso risultato. Chiamo il mio collega che ha preparato l’installazione, e nemmeno lui si ricorda quale password avesse il sistema installato su quella flash-card. Ok, pazienza, vedrò come fare più tardi. Deploy del server, collego, configuro per gestire la mail, tutto funziona correttamente. Mi appresto a configurare il router Pirelli fornito da $monopolista_dell’ultimo_miglio_in_in_Italia, e scopro che quando cerco di impostare un “virtual server” (devo girarmi una serie di porte sul server), il sistema non risponde. Bon, rogne del provider, li chiamerò. A questo punto, inutile anche mettere in piedi il firewall, tanto non servirebbe a nulla: me lo riporto in ufficio, e ci metto le mani con calma. Riordino tutto (ricablo “l’armadio”) ed esco (13:15) per andare a fare il deploy da $cliente2 (4 server carrozzati, solo da collegare a rete ed alimentazione, in pratica). Nel frattempo prendo accordi con $admin (quello di $cliente) perché venga in ufficio da me alle 15:00, in modo da progettare insieme il nuovo sistema per $cliente.

Sono le 13:45 quando arrivo alla sede di $cliente2 ed il collega che mi ha commissionato il lavoro non tarda a raggiungermi. Pochi minuti dopo arriva anche $cliente2, e portiamo le macchine in ufficio, dove però l’elettricista a dato buca in settimana e quindi non c’è ne rete ne alimentazione. Depositiamo le scatole, prendiamo appuntamento per la prossima volta, e mi avvio verso l’ufficio. Per strada, compro da McDonalds (drive-in) un panino volante, che mangerò in ufficio.
Entro in sede, e scopro che la rete non funziona. Vado a verificare il router fornito da $concorrente_del_monopolista_di_prima ed effettivamente non viene su. Dopo quattro o cinque tentativi, desisto e provo a chiamare l’assistenza. Peccato che per parlare con un operatore in carne ed ossa, bisogna inserire il numero di telefono della linea (che ne è sprovvista) oppure il numero di cellulare segnato sul contratto di fornitura (che io non ho, e non risulta essere nessuno di quelli aziendali a me noti). Ciccia.

Riconfiguro il portatile in modo da uscire da un’altra linea (dalla quale si esce solo sulla porta 80, fatto sul quale non posso intervenire), e guardo l’orologio: le 16:00. Devo andare a prendere Laura fuori dal lavoro. Toccata e fuga, la porto a casa, ed al mio rientro trovo (finalmente) $admin ad attendermi. Entriamo (cestino il panino ormai freddo, pazienza), e ci mettiamo al lavoro sul server. Smontiamo i dischi, montiamo quelli nuovi, avviamo la netinstall di Debian, partizioniamo, e il sistema si pianta. Ottimo. Console? WriteError. Sarà il cassettino estraibile? Proviamo a montare i dischi (serial-ata) direttamente sul controller.
Riproviamo, niente. Sdb continua a dare errori di scrittura. Provo a switchare i due canali, ed ora è Sda che da errori. Deve essere fottuto il disco (nuovo!). Pazienza: che si fa? Usciamo per andarne a comprare un altro (sono le 17:30), altrimenti dovremo fare l’installazione con il raid su un disco solo per poi aggiungere l’altro più tardi, con tutte le rogne che questo comporta. Dove andiamo? CDC? E’ sabato, sono chiusi. Computer Discount, ce n’è uno su Viale Fulvio Testi. Dieci minuti per arrivarci, e scopriamo che si sono trasferiti su Viale Marche, a Milano. Ottimo. MediaWorld? Figurati se ha dei dischi serial-ata uguali a questi… vabbeh, proviamo. Venti minuti fumati (è sabato, la gente dorme in auto), ed ovviamente la previsione era fondata. $admin telefona ad un conoscente di Computer Discount che scopriamo lavora in Viale Marche. Tra una chiacchiera e l’altra, pare che siano aperti. Ottimo, andiamo? $admin ha un impegno, quindi deve rientrare. Lo riporto in ufficio, e parto per Viale Marche. Trenta minuti per arrivarci, e naturalmente scopro che è chiuso. Pazienza. Rientro in ufficio, lancio l’installazione con un disco solo nel raid, lo partiziono, e scopro che debian esige di uscire in ftp per scaricare i pacchetti dal mirror, e quindi (posto che la linea principale è giù e da quella di backup si esce solo in http) non c’è niente da fare, dovrò lavorarci domani.

A questo punto, mi accingo a scrivere questo post (al quale tanto non crederà nessuno) che mi telefona $client1 dicendomi che il monitor lcd che avevamo collegato al nuovo server da problemi di refresh.

Fanculo. Vado a Lourdes. Ah no… non posso…

ps: questa mattina, la rete di $concorrente_del_monopolista_di_prima è ancora giù, poi si parla di connettività in Italia, di garanzia del servizio… bah. Mi porto il server a casa e vedo di installarlo da li…

Una piccola incomprensione…

buy nothing day Domani è sabato 24 novembre 2007. Una data importante perché oggetto di due diverse ed equivalentemente lodevoli iniziative, che purtroppo fanno a pugni nel significato.

Se per certi versi la cosa potrebbe sembrare simpatica, dobbiamo pensare a quanto impegno venga profuso nell’organizzazione di eventi di portata nazionale (o ancora peggio quando internazionale), con volontari che gratuitamente mettono a disposizione il proprio tempo (che nel nostro mondo assume un valore sempre crescente) nell’obiettivo di perseguire un lodevole ideale.

I due eventi in questione, sono i seguenti:

Il “giorno del non acquisto” è un’iniziativa, promossa dalle associazioni dei consumatori, che vuole dimostrare come l’uomo sia in grado di vivere anche senza acquistare, senza essere schiavo del consumismo. L’iniziativa ha come data fulcro il 23 novembre negli Stati Uniti, ed il 24 novembre (appunto) a livello internazionale.

L’altra lodevolissima iniziativa che si svolge questo sabato, è la “colletta alimintare”, iniziativa promossa dalla onlus Banco Alimentare, che tramite l’adesione di una serie di supermercati in tutta Italia fa sì che i clienti vengano invitati da volontari ad acquistare alcuni generi di prima necessità che vengono poi devoluti ai bisognosi.

Appare piuttosto chiaro il controsenso: se da un lato si invita a non comprare e dall’altro a farlo, non c’è il vago rischio che questo porti ad un magro risultato da ambo le parti? Anche in Italia questo è stato ampiamente pubblicizzato: la 220 ha fatto passare numerosi messaggi pubblicitari radiofonici sul “giorno del non acquisto”, sensibilizzando nell’occasione anche in materia di risparmio energetico, mentre per la colletta alimentare ci ha pensato essenzialmente la televisione ad annunciare l’evento.

E’ un vero peccato che due iniziative cosi importanti non siano state tra loro coordinate in modo da non danneggiarsi vicendevolmente, come invece sta capitando… Nel tentativo di trovare una soluzione, propongo quanto segue: comprate solo i prodotti della colletta alimentare! Può funzionare?

Gnome non “vede” più le periferiche removibili?

IMGP4662 Se la vostra installazione di Gnome ha improvvisamente smesso di “vedere” le periferiche removibili (chiavette USB, Memory Card e via dicendo) la colpa potrebbe essere di gparted. L’installazione del noto software di partizionamento per la piattaforma GNU/Linux infatti, porta alla creazione di un file di configurazione di HAL che per disabilitare il montaggio automatico delle periferiche removibili, le disabilita in modo generale (quindi anche se non avete impostato l’automount).

Il suggerimento mi arriva da crackedboy, che ci ha sbattuto la testa su una Debian, che (ho letto tramite Persone) riportando la sua “scoperta”: il file gparted-disable-automount.fdi, contenuto nella directory /usr/share/hal/fdi/policy/.

E’ sufficiente rimuovere (o spostare, fate un po’ voi, io l’ho banalmente rimosso) quel file e riavviare il servizio hald, perchè Gnome ricominci a rilevare le devices inserite, e potrete controllarne il comportamento tramite la configurazione disponibile in gnome-volume-manager.

Mi sembra onestamente un comportamento un po’ invasivo da parte di Gparted, di cui tra l’altro fatico a capire le ragioni…

I problemi dei mass media?

Throw Away Your Television Dalle pagine di questo blog, capita spesso di leggere poco costruttive ed a volte incivili invettive contro i giornalisti. Sono però anni che mi dico che dovrei fermarmi un attimo a riflettere sui meccanismi che portano a questi risultati cosi, a mio avviso, scarsi e deludenti. Il problema è che non essendo vicino a nessun giornalista in particolare, fatico molto a comprendere parte dei meccanismi (e sicuramente ce ne sono) che governano la produzione dei giornalisti (i loro articoli) e ne determinano la qualità; su questo specifico aspetto, lancio un appello: se qualcuno di voi, miei pochi miseri lettori, è o conosce un giornalista disposto a fare quattro chiacchiere sull’argomento con il sottoscritto davanti ad una buona birra, sarei veramente felice di potergliela offrire (astenersi perditempo :P).

In ogni caso, il principale problema dei mass media per quel che riguarda le tematiche che vengono trattate e lo spazio che si va assegnando loro, secondo il mio modesto parere, è quello di dover rispecchiare la società alla quale si relazionano.
Se il pubblico della televisione vuole vedere il Grande Fratello, beh è quello che andrà in onda. Se il pubblico vuole avere notizie sull’ultima trombata della velina, o un approfondimento di 2 ore sul perché quel singolo episodio fosse fuorigioco o meno, allora la televisione si adatterà e provvederà a trasmettere quello che il pubblico chiede.
Un discorso analogo, naturalmente, vale per i mass media su carta stampata: viene dato maggior risalto alle notizie che in qualche modo fanno vendere più copie (anche se in questo caso c’è la forte concorrenza dei giornali scandalistici a ridurre il capo dei temi trattabili “con successo”).

Rimane il problema di comprendere con quali sistemi viene valutato il “volere del pubblico”: l’auditel e la statistica sono ancora dei parametri applicabili e veritieri? Il successo di La7 (che è particolarmente attenta al livello culturale dei suoi “prodotti”) e l’incremento recente dello share di Rai3 rispetto alle altre emittenti statali, dice che forse cosi non è…

Tutto sembrerebbe quindi legato irrimediabilmente alla pubblicità: i giornali e la televisione si sostentano con i proventi della pubblicità, e quindi i loro guadagni sono strettamente vincolati allo share, non alla qualità dei programmi. Non è proprio possibile formulare una controproposta economica che porti all’indipendenza delle redazioni dai problemi prettamente economici? Ad esempio, degli stanziamenti statali per le 5 reti che producono programmi di qualità migliore (rimane ovviamente da definire, e non è poco, cosa sia migliore)?

Oltre a questo problema, quello della tipologia degli argomenti trattati e del peso che viene dato loro sul palinsesto (contiamo che trasmissioni come Voyager o L’Isole dei Famosi hanno pero maggiore di Report o Geo&Geo, in palinsesto), rimane il problema delle notizie gonfiate, della continua e pressante ricerca dello scoop a tutti i costi, anche a costo di mentire, di parlare a metà, di non essere precisi e veritieri, ma in questo caso, gli unici che possono fare qualcosa, sono i giornalisti stessi, quindi non posso che fare appello alla loro coscienza.

La “coda lunga” di OpenXML

Poteva sembrare che le questioni legate ad OpenXML fossero sospese dal giorno della votazione da parte dell’ISO, in attesa che, a febbraio, si dia luogo al tanto discusso “ballot”; ed infatti, per quel che riguarda strettamente il formato OpenXML proposto da ECMA sotto la spinta di Microsoft, il lavoro è ora relegato dietro le quinte, nel tentativo di “aggiustare” un formato nato storto, ma questa è un’altra questione.

Purtroppo però, la questione di OpenXML sta avendo uno strascico tutt’altro che glorioso, sulle attività del comitato SC34 all’interno dell’ISO/IEC JTC1 (quello che si occupa, per l’appunto, della valutazione dei formati documentali). Questo comitato infatti, è completamente bloccato dal giorno della votazione su OpenXML, in quanto non è più riuscito a raggiungere il quorum (50%) necessario alle varie votazioni che nel silenzio mediatico si susseguono di giorni in giorno. Perchè? Semplice, banale.

Durante la indecente battaglia condotta per “comprare” lo standard OpenXML, una numerosa serie di aziende si sono iscritte (oltre ai vari National Bodies) al comitato SC34 come osservatori (O-Members), mentre altre aziende, membri osservatori del comitato da più tempo, hanno modificato la propria iscrizione, diventando Principal Members (P-Members), in modo da avere maggior influenza sul risultato finale della votazione. E fin qui, nulla di nuovo.
Il problema nasce nel momento in cui tutti questi nuovi membri (in particolar modo i nuovi P-Members) non danno seguito al proprio obbligo di voto/astensione nelle altre votazioni, quelle che non riguardano OpenXML, impedendo il raggiungimento del quorum, e bloccando, di fatto, il lavoro del comitato SC34.

A queste aziende vanno i miei complimenti per la serietà dimostrata (mi piacerebbe che fossero resi pubblici i nomi…), e mi auguro che questa situazione faccia riflettere tutti, Microsoft compresa, sulle conseguenze delle proprie azioni…

[Fonte: http://www.consortiuminfo.org/standardsblog/article.php?story=20071016092352827