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Interessante intervista sui tè Pu’er

Leggo da Nazione Indiana e riporto la segnalazione di questa interessante intervista a Livio Zanini, presidente dell’Associazione Italiana Cultura del Tè , ospite alla trasmissione “Cara Alice”. Durante i due spezzoni dell’intervista Zanini parla in linea generale del tè, e pone l’attenzione sul crescente successo dei tè Pu’er, che mi auguro possano cominciare a godere, anche in Italia, dell’attenzione che meritano.

Sono giusto una decina di minuti di video, se avete un po’ di tempo da dedicarvi ne vale davvero la pena…

Prima parte…

Seconda parte…

Tè della serata: Earl Gray

earlgrey.jpgQuesta sera parliamo di uno dei tè piu classici che esistano, l’Earl Gray. Si tratta di un tè aromatizzato tramite l’olio estratto dalla scorza del bergamotto, un agrume la cui produzione è tipica italiana, ed in particolare legata alla zona della costa ionica vicina a Reggio Calabria, dove si sarebbe originato spontaneamente combinando l’arancio amaro con un altro agrume, forse il cedro. In realtà ci sono tracce di olio di bergamotto già in alcune tombe egizie, e frutti simili possono essere trovati in diverse regioni dell’Asia Orientale (in India e Cina soprattutto).

Tradizionalmente, il nome “Earl Grey” veniva associato al solo tè nero, anche se con il passare degli anni si sono aromatizzati allo stesso modo anche alcuni tè verdi (che prendono allora il nome di “Earl Green”) e bianchi, che non sono però cosi diffusi.

Il nome di questa bevanda deriva da Charles Grey, primo ministro inglese nel 1830, che ne avrebbe importato dalla Cina la ricetta, per poi offrirla alla casa da tè “Jacksons of Picadilly”, la quale avrebbe poi dato alla miscela il nome Earl Grey in segno di ringraziamento. In realtà, essendo l’Earl Grey composto essenzialmente da miscele di tè indiani, essendo i cinesi da sempre poco propensi alla produzione (e consumazione) di tè neri, e non avendo Charles Grey mai messo piede in Cina, pare piuttosto difficile dar credito a questa leggenda.

La miscela di tè che la Twinings inserisce nel suo Earl Grey (il primo ad essere commercializzato in Inghilterra e, tra l’altro, la stessa varietà in mio possesso) è composta da tè neri cinesi, indiani (dalla provincia del Darjeeling), Sri-Lanka (Ceylon), e una punta ( si tratta di un tè molto raro) di Lapsang souchong, un tè nero cinese, della provincia di Fujian, particolarmente forte e corposo.

Ancora oggi le due case da tè (Twinings e Jacksons) si contendono la paternità di questa miscela di tè, particolarmente nota ed apprezzata in Inghilterra, nonostante oggi siano entrambe legate alla stessa casa madre.

Il colore del liquore prodotto da questa miscela è come ci si può aspettare, scuro e “fumoso” come tutti i tè neri. Il sapore è forte e non particolarmente amaro, come invece la presenza di olio di bergamotto potrebbe far pensare.

Tra i grandi estimatori dell’Earl Grey, si possono annoverare Douglas Adams, autore della nota serie “Guida galattica per gli autostoppisti“, cosi come Jean-Luc Picard, di Star Trek e piu recentemente, Sir Leigh Teabing, personaggio del noto libro “Il Codice Da Vinci” di Dan Brown.

Tè della serata: Gunpowder

gunpowder.jpgQuesta sera, piu che di un tè, parliamo di una tipologia di lavorazione. Si ritiene infatti che il Gunpowder prenda il suo nome Inglese dalla forma con cui le foglie vengono arrotolate dopo la lavorazione, in piccole sferette che richiamano la forma tipica della polvere da sparo utilizzata per i cannoni. L’etimologia del termine è in ogni caso piuttosto discussa: potrebbe prendere il suo nome dalla somiglianza tra il suo nome in cinese mandarino (gāng paò dè) e il nome inglese della polvere da sparo, oppure dal fatto che le sue foglie “esplodono” in una foglia di dimensioni piu grandi una volta a contatto con l’acqua calda.

Originariamente, si trattava di un tè verde cinese, proveniente da una zona piuttosto anomala, costiera, piuttosto lontana dalla ormai familiare catena montuosa del Nepal, quella della provincia di Zhejiang, non lontano dalla contesa isola di Taiwan e confinante a nord con la municipalità di Shanghai. Mentre la sua caratteristica lavorazione veniva inizialmente applicata solamente ad alcuni tè verdi asciutti e ad alcune tipologie di tè Oolong, si è successivamente estesa ed oggi possiamo trovare dei Gunpowder provenienti, oltre che dalla zona di Zhejian (che prendono il nome di Pingshui) da Ceylon (Sri-Lanka) e Formosa (Taiwan), ed applicata a diverse tipologie di tè.

La sua coltivazione è stata iniziata durante la dinastia Tang (che terminò nell’anno 907 d.c.), ma per la sua esportazione sull’isola di Taiwan (che ne ha fatto un vero culto) dovremo attendere il XVIII secolo. E’ stato inoltre esportato nella zona del Maghreb, dove viene utilizzato per la preparazione del tipico tè alla menta nord africano. Il rituale di preparazione di questo tè è particolarmente rigido, al punto che per non offendere l’oste, è bene avere l’accortezza di berne almeno due tazze.

Un tempo l’arrotolamento veniva fatto manualmente, trattamento oggi riservato ai soli Gunpowder di qualità elevata. Per gli altri, vengono utilizzate apposite macchine che ne rendono piu rapida ed economica la lavorazione. Il vantaggio di questo particolare arrotolamento (in sfere anzichè nel piu classico senso logitudinale) sta essenzialmente nella maggior resistenza ai danni fisici che le foglie possono subire e nella capacità di conservare meglio aroma e sapore, anche per alcune decine di anni (come nel caso di alcuni Oolong particolarmente ben conservati). Proprio le caratteristiche delle foglie cosi arrotolate danno una efficace misura della qualità del tè: quelle piu lucide piu fresche e meglio conservate.

In tazza, il liquore a chiaro, il sapore e l’aroma delicati. Quello in mio possesso, è un banalissimo Twinings, di quelli che si possono acquistare in comode scatole metalliche al supermercato, per pochi euro. Secondo le pagine web della nota azienda inglese, dovrebbe essere importato direttamente dalla zona di Zhejiang, ma non saprei quanto fidarmi. Verificherò.

Tè della serata: Tuó Chá

tuo_cha.jpgTè enigmatico quello assaggiato questa sera. L’ho infatti acquistato in un’erboristeria vicino a piazza Oberdan (porta Venezia), e sul sacchetto è riportata la dicitura “Toucha”. Peccato che non esista alcuna varietà di tè di mia conoscenza con questo nome.

Più probabile è che si tratti di un tè “tuo cha”, ovvero di un tè post fermentato ed a volte poi compattato in “mattonelle”. In questo secondo caso, l’indicazione sull’etichetta è tutto fuor che completa, visto che manca perfino l’indicazione del paese di provenienza. Daremo in ogni caso per buona questa seconda ipotesi, anche perchè avremo modo di raccontare qualche aspetto di questa strana categoria di tè.

Va detto, in primis, che quelli che in Europa chiamiamo “tè neri” sono in realtà dei tè rossi. I veri tè neri infatti, sono i tè maturi o post-fermentati, come il Pu-Erh. Questi tè vengono sottoposti, una volta terminata la comune fase di lavorazione, ad una fermentazione in apposito ambiente, la cui durata influenza la qualità ed il sapore della bevanda, che perde in teina ed acquista corpo e legnosità. Si arriva a fermentazioni di diversi anni, al punto che è ancora possibile reperire sul mercato qualità fermentate per oltre 50 anni, o addirittura risalenti alla tarda dinastia Qing, che ha termine nel 1912.
Sta lentamente prenendo corpo l’abitudine di segnalare l’anno e la piantagione di provenienza di questa varietà di tè, proprio come succede con i vini. Proprio come il vino, una qualità fermentata a lungo incrementa il suo valore, arrivando anche a diverse centinaia di dollari a “torta”.

Terminata la fermentazione, questi tè possono essere alternativamente compressi in “mattoncini” di tè oppure lasciati sfusi.
Proprio la qualità compressa in mattoncini di tè costituiva la maggior produzione di tè nell’era precedente la dinastia Ming, nell’antica Cina. I mattoncini cosi ottenuti infatti, potevano essere più agevolmente trasportati (e resistevano meglio ai danneggiamenti fisici) dalle carovane che percorrevano l’Antica Via del Tè (o “via meridionale del sale”), che attraversava le montagne dello Yannan, regione della Cina meridionale. Proprio a questo “network” di carovane sarebbe da ricondurre l’iniziale diffusione delle piantagioni di tè, a partire dalla provincia cinese di Pu-Er.
All’epoca, veniva usato anche come moneta franca di scambio (un po come l’oro oggi) o come alimento (proprio per le sue capacità di conservazione), abitudine che si tramanda ancora oggi in alcune regioni dell’Asia centrale e nel Tibet.

Ancora oggi, le qualità post-fermentate di tè provenienti dalla regione di Pu-Er, vengono lavorati e compressi in “blocchetti” di forma circolare che ricordano le nostre ciambelle, salvo il fatto di essere chiusi da uno dei due lati (vedere la foto). Nella regione dello Yannan, viene venduto ancora oggi come souvenir ai turisti, soprattutto nella versione “a nido di rondine”, detta “tuóchá“, che può arrivare ad un peso di circa 100g (ne esistono però versioni da 3 e 5g, dette “xiǎo tuóchá“, dove il primo termine sta per “piccolo”). La versione piu grande, invece, che arriva ad un peso di 375g viene detta “bǐngchá” che letteralmente significa qualcosa come “torta di tè”. La versione a forma di mattoncino invece, larga e piatta, viene detta “fángchá” (tè quadrato): non è raro che su quest’ultime venga praticata dalla pressa “un’impronta” simile ad un’incisione, un disegno, o un logo della piantagione o del luogo dove è stato pressato.

Quando compresso, questo tè viene solitamente consumato sbriciolato a formare una finissima polvere. Quando invece sciolto (come nel caso di quello che ho acquistato) si può infondere come un qualsiasi altro tè.

Il tè post-fermentato è caratterizzato da un colore marrone molto scuro, quasi nero. Già nei primissimi secondi di infusione, il liquore prende in un primo momento il colore mattonella tipico dei “tè neri” per poi intorbidirsi, scurendosi. Il sapore al palato è forte e persistente, che ricorda quasi il terriccio, gradevolmente dolce.

Tè della serata: Sri Lanka

Il tè di questa sera ha come tratto principale la storia che ha portato alla sua coltivazione. Si tratta infatti di un tè nero proveniente dallo Sri Lanka, stato dell’India (occupa l’isola che ne porta il nome), noto come Ceylon fino al 1972 (e tutt’ora utilizzato per indicare la varietà di tè nero prodotto in questa regione). “La lacrima d’india” (cosi detto per la forma a goccia dell’isola) è stato per quasi 20 anni dilaniato da una guerra etnica, conclusasi ufficialmente alla fine del 2001, ma di fatto tutt’ora in corso. Neppure il maremoto provocato dalla nota scossa di terremoto indonesiana, che ha provocato oltre 40.000 morti sulle coste di questa nazione (che vanta il piu alto reddito pro-capite di tutta l’Asia meridionale, con 1000 US$) ha fermato gli scontri tra le Tigri Tamil ed il governo del paese.

Nonostante la guerra però, l’economia dello Sri Lanka è in forte crescita, soprattutto nel mercato degli alimentari, quello tessile, quello assicurativo, quello bancario e quello delle telecomunicazioni. La produzione di tè, una volta principale fonte di sostentamento del paese, si attesta oggi al 20% delle esportazioni, con 303.000 tonnellate nel 2003.

Interessante sapere che l’introduzione delle piantagioni di tè nello Sri Lanka si deve ad una epidemia di Hemileia vastatrix, un fungo che distrusse tutte le piante di caffé, la coltura predominante nell’isola, alla fine del 1800. Grazie al coraggio ed alla perseveranza di James Taylor, che per primo lo coltivò e lo vendette sul mercato inglese di Londra (e divenne poi famoso per la collaborazione con Thomas Lipton), Ceylon è stata per moltissimi anni uno dei maggiori produttori di tè al mondo.

Oggi viene coltivato in 6 diverse regioni dello stato, essenzialmente nella parte meridionale dell’isola, ad altezze che variano tra i 900 ed i 2000 metri. I raccolti dipendono pesantemente dal passaggio dei monsoni: nei distretti orientali i raccolti migliori si effettuano tra giugno e settembre, mentre in quelli occidentali tra febbraio e marzo.
A seconda della regione (e della piantagione), cambiano moltissimo anche il gusto ed il profumo del liquore prodotto dalle foglie raccolte in Sri Lanka, cosi come la varietà e la tipologia di tè che viene prodotto.

Dal colore particolarmente scuro e dal gusto intenso e con alcune note acidule simili al sapore del limone, la varietà in mio possesso presenta sulla confezione la dicitura “Tè bio”. Nessuna ulteriore indicazione viene purtroppo fornita relativamente alla zona di coltivazione.

Tè della serata: Darjeeling

darjeeling.jpgQuesta sera si va sul classico. E’ infatti venuto il momento di parlare del famoso tè di Darjeeling, città indiana del Bengala Occidentale, che può essere raggiunta tramite la “strada ferrata himalayana di Darjeeling” (il cosi detto “Toy Train”, “Treno giocattolo”), che parte dalla città di Siliguri, ad oltre 80 chilometri di distanza e che è stata dichiarata patrimonio dell’umanità dall’UNESCO, oppure tramite una strada che ne segue il cammino e lo attraversa in più punti.

Si tratta di un tè nero particolarmente pregiato e rinomato (soprattutto in Inghilterra e nei paesi dell’ex impero britannico), al punto che negli anni si è guadagnato il soprannome di “champagne dei tè neri”, dal gusto particolarmente fruttato e delicato, poco tanninico e dal liquore color giallo intenso, con un retrogusto spesso identificato come “muschiato”, piuttosto persistente e gradevole (per questo motivo bisogna prestare attenzione a non lasciare troppo a lungo in infusione le foglie per evitare di renderlo amaro e sgradevole).

Cresce in un ambiente particolarmente piovoso e ventoso, ed a quote piuttosto elevate (intorno ai 2000-3000 metri) in enormi giardini particolarmente belli da vedere, coltivati a terrazze, le cui foto si trovano piuttosto facilmente anche su internet. Viene raccolto in 3 diversi periodi dell’anno, ed a seconda del raccolto, presenta qualità (e prezzi) piuttosto diversificati. A metà marzo si ha un primo raccolto, il piu pregiato e costoso, dal colore ed aroma particolarmente delicati.  Il secondo raccolto, che avviene intorno alla metà di giugno, produce un liquore maggiormente ambrato e dal sapore piu forte e tanninico. Infine vi è un raccolto autunnale, che segue la stagione delle pioggie, è quello di qualità inferiore, che presenta anche un sapore meno delicato. A volte viene effettuato un ulteriore raccolto intermedio tra il primo ed il secondo, che mescola le caratteristiche di queste due “flush”.

Questa qualità di tè, è tra le altre cose vittima di una forte falsificazione. La produzione infatti, che si aggira tra le 8.000 e le 11.000 tonnellate a seconda dell’annata, non basta a coprire la quantità venduta annuale, che ammonta a circa 40.000 tonnellate, che provengono di conseguenza da altri luoghi e vengono spacciate come originarie della famosa città indiana. Per cercare di porre rimedio a questo problema, la Tea Board of India ha creato un logo ed una certificazione di qualità che possono garantire la provenienza del prodotto.

Quella in mio possesso, è una varietà non particolarmente pregiata: una GFOP di seconda raccolta, dal colore piu scuro e dal gusto maggiormente tanninico e meno fruttato, ma comunque estremamente piacevole.

Tè della serata: Sencha

sencha.jpgEccoci arrivati ad un classico della cultura del tè, il giapponese Sencha.

Il Giappone è da molti considerato uno dei maggiori (soprattutto a livello qualitativo) produttori di tè a livello mondiale, e non a torto. C’è però da far notare come non vi si produca altro che tè verde e che la stragrande maggioranza della produzione nazionale venga più consumata sul mercato interno.

I giardini giapponesi si caratterizzano tra l’altro perchè le piante vengono tenute basse, a ‘mo di cespuglio, e lavorate “a onde” rendendo particolarmente gradevole l’aspetto del giardino nel suo insieme.

Il Sencha è sicuramente il più comune tra i tè giapponesi: rappresenta infatti oltre il 75% della produzione nazionale ed è di gran lunga il più apprezzato dai giapponesi stessi (nonostante il periodo utile per il raccolto sia la sola primavera inoltrata, quasi fino all’estate). La lavorazione di questo tè è davvero caratteristica: come tutti i tè verdi, il Sencha viene inizialmente riscaldato rapidamente (tramite torrefazione a vapore, secondo il metodo giapponese appunto) per inibire il processo di ossidazione della foglia essiccata. In seguito, la foglia viene lavorata (ancora a mano nelle varietà piu pregiate) ed arrotolata fino a diventare simile ad un ago di pino.

Il colore in tazza è di un giallo paglierino tendente leggermente al verde, mentre il sapore è molto delicato, leggermente amarognolo e fruttato (per questo va zuccherato pochissimo!). Davvero ottimo.

Tè della serata: Donyi Polo

Il tè di questa sera (che mi aiuterà a recuperare dalle fatiche di un lungo viaggio incolonnato tra i miei concittadini di ritorno dalle vacanze pasquali) è un tè nero proveniente dalla regione di Arunachal Pradesh, di nome Donyi Polo.

L’Arunachal Pradesh è uno degli stati di nord-est dell’India, e confina a sud con il già citato Assam, a nord con il Tibet ed a sud-est con la Birmania. La zona di coltivazione non è particolarmente diversa da quella dove viene prodotto l’Assam di qualche sera fà, anche se la struttura particolarmente montuosa porta le piantagioni a quota maggiore, rendendo piu elevata di conseguenza (cosa frequente, anche se non ovvia) anche la qualità del tè, che viene prodotto dall’unica coltivazione della zona.

Il Donyi Polo è infatti un tè molto particolare: si tratta di un tè raro, che alla corposità tipica dei tè della regione dell’Assam, combina il sapore e la sottigliezza dei tè provenienti dalla regione di Darjeeling (di cui avremo modo di parlare diffusamente proprio in queste pagine). Il colore rosso rubino, vivo ed invitante, come il suo profumo (che potrebbe essere preso come riferimento per il profumo ideale del tè nero) sono davvero incredibili. Il sapore è notevolmente piu delicato di quello tipico degli Assam, ma non leggero come quello dei Darjeeling, in un connubio persistente che avvolge il palato anche a lungo dopo averlo gustato.

Quello in mio possesso (il terzo dei tre acquistati con Corrado presso la Teiera Eclettica) è un tè ancora piu prezioso: si tratta infatti della varietà FTGFOP1. Chiaro no? No? Spieghiamo.

I tè neri prevedono una particolare classificazione “a sigle, derivante dalla tipologia di foglie e/o germogli utilizzati per la sua preparazione. Partendo da P (pekoe, la varietà che contiene sole foglie e adulte), si aggiungono risalendo la “scala” lettere (OP, FOP, GFOP…) fino ad arrivare al SFTGFOP (Special Finest Tippy Golden Flowery Orange Pekoe) che indica un raccolto speciale. La sigla FTGFOP sta ad indicare il miglior TGFOP (composto da un elevatissimo numero di germogli dalle punte dorate) prodotto da una specifica piantagione. Inoltre, la cifra “1” finale indica che quel raccolto è il migliore per quella tipologia (il tè viene infatti raccolto piu volte durate l’anno).

Per la cifra che l’ho pagato, non posso che consigliare a tutti di andare a farsi un giro in quel di Piazzale Bacone ad acquistarne un po ed assaggiarlo, avendo cura di zuccherarlo il meno possibile per poterne gustare appieno le qualità (e non intasate il colino di foglie!!)

Tè della serata: nero all’arancia amara

arancia.jpgAnche il tè di questa sera è uno di quelli acquistato ieri con Corrado a Milano. Si tratta del tè nero aromatizzato all’Arancia amara (Orange Amère).

Si tratta di un tè particolarmente diffuso in Russia e nel nord Africa (l’ho assaggiato la prima volta in un ristorante marocchino di Bruxelles, paradossi della tradizione globalizzata), che spesso viene ulteriormente mescolato con cardamone, limone ed altri agrumi (soprattutto in Russia).
Curiosità di questo tipo di tè, e’ che viene spesso servito in bicchieri di vetro (soprattutto nella tradizione marocchina) anzichè nelle piu classiche tazze di ceramica/cotto.

Anche di questo tè, non conosco la provenienza precisa (dovrò assolutamente informarmi), anche se sapendo che si tratta di un tè nero, si può immaginare che la provenienza delle foglie sia Ceylan e/o l’India. Parleremo quindi dell’arancia amara (o Citrus Arantium). Si tratta di una pianta del genere Citrus (cosi come l’arancia comune), particolarmente usate per la produzione di olii essenziali e in campo medicinale. Una delle caratteristiche dei frutti di questa pianta, è quello di avere una buccia piu ruvida e piu scura rispetto alla varietà comune. Questa buccia viene fatta essiccare e poi mescolata in pezzi al tè, o utilizzata per la produzione di liquori, digestivi e tonici. La polpa invece, viene utilizzata principalmente per la produzione di marmellate all’arancia e di frutta candita. Per questo motivo è particolarmente difficile trovare arance amare sul mercato.

Gli Arabi hanno coltivato questa pianta sin dal IX secolo. La presenza della pianta in Sicilia è anche merito loro, che ve la importarono all’inizio del secondo millennio. Proprio da questa loro coltivazione deriva il largo uso che si fa del tè cosi aromatizzato nelle regioni del Nord Africa.  Le arance aggiunte alla miscela in mio possesso, però, vengono da Siviglia, Spagna.

L’infuso di questo è, basandosi su un tè nero, ha un colore particolarmente scuro, quasi color mattone. Il sapore è reso ancora più aspro dalla presenza dell’arancia, e non zuccherarlo può diventare davvero difficile se non si è abituati a gustare il tè “al naturale”. Una modesta quantità di zucchero può aiutare ad assaporarlo senza rovinarne il gusto. Il retrogusto fruttato che questo infuso lascia in bocca, vale sicuramente l’investimento di quei pochi euro necessari per questo acquisto.

Tè della serata: verde alla menta

verdeementa.jpgRieccoci all’appuntamento serale con il tè. L’ora è quasi sempre la stessa (dovrei andare a dormire prima, eh?), ed il tè che abbiamo provato questa sera è un tè verde, mescolato a foglie di menta.

L’ho acquistato a prezzo davvero modico (ho comprato 3 varietà diverse di tè, per un totale di 200gr  ed ho speso appena 13 euro)  questa mattina, in compagnia di Corrado, presso “La Teiera Eclettica“, a Milano, tra corso Buens Aires e viale Abruzzi (Piazzale Bacone 2, l’indirizzo preciso). Si tratta del posto che Corrado mi aveva indicato negli ultimi giorni. E’ un piccolo negozio, molto ben fornito, e la cui commessa si è dimostrata davvero gentile e competente (arrivando a suggerirmi un paio di blend a cui non avevo pensato).  Ci tornerò sicuramente, anche perchè ho bisogno di comprarmi una teiera decente, visto che la mia fidata comincia a lasciar colare prezioso liquido lungo il beccuccio…

Purtroppo non ho la più pallida idea della tipologia di tè verde che è stato mescolato alla menta, quindi non potrò dilungarmi eccessivamente sulla realtà geografica di questo giardino, e non potrò quindi che concentrarmi sulle caratteristiche tipiche di tutti i tè verdi. A differenza infatti di quello che la gente comune pensa, infatti, la classificazione del tè non si fa in base al colore dell’infuso (anche, ma non in questi termini), ma principalmente in base alle modalità di raccolta e (soprattutto) di lavorazione delle foglie. Quelle del tè verde, vengono dapprima fatte appassire (come qualsiasi tipo di tè), e poi riscaldate, in modo da inibire il processo di ossidazione che caratterizza invece le tipologie di blend noti in occidente come “tè neri” (tra cui l’Assam).
Il riscaldamento delle foglie appassite può essere fatto in due diverse modi: quello cinese, piu classico, prevede l’uso diretto del calore, mentre quello giapponese si caratterizza per l’uso di vapore acqueo.

Alla fase di riscaldamento, viene fatto seguire l’arrotolamento e la finale essiccazione. Classici esempi di questi tipi di tè sono il “Gunpowder”, o il più pregiato “Lung Ching”.

Questa sera avevo un pochino di tempo in più, e ho cercato di fare le cose per bene, riscaldando prima la teiera con acqua calda, non lasciando bollire l’acqua nel bollitore, ma fermandone il riscaldamento subito prima (la temperatura ideale per questo genere di tè dovrebbe essere intorno ai 95°C, avessi un termometro…), e poi lasciando in infusione solo per quei 5-6 minuti durante i quali il tè verde rilascia i suoi sapori.  Il risultato è piuttosto soddisfacente, anche se il mio palato continua a far fatica ad abituarsi a bere il tè non zuccherato (ormai sono arrivato a 3/4 di cucchiaino da tè, un po alla volta sparirà…), ma sono ben coscente dei danni che il sapore dello zucchero fa al delicato sapore dell’infuso.

Tornando all’infuso, chiaro come caratteristica dei tè verdi, si rivela al palato molto fresco e delicato, mettendo in risalto il sapore amaro della menta. Un tè di indubbia qualità, nemmeno lontanamente paragonabile a quelle che in bustina vengono spacciate per “tè alla menta” a detta di Laura, che le aveva provate ed ha quindi un oggettivo metro di giudizio.