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Dell’auto-isolamento di Google Plus

Sto inutilmente cercando da almeno 20 minuti un plugin di WordPress, un tool, una qualche funzionalità che mi consenta di aggiornare (come faccio con twitter nativamente, con Facebook via Twitter e/o NetworkedBlogs) il mio profilo di Google Plus; vorrei che apparissero le cose che dico (solitamente su Twitter) e/o i miei post su questo blog. Quello che, insomma, si vorrebbe far apparire su un Social Network. Invece non trovo nulla, e non è la prima volta che cerco. “Sembra quasi” che a Mountain View abbiano deciso di tenere Google+ il più chiuso possibile in se stesso, esattamente all’opposto di quanto Buzz faceva (integrando in modo piuttosto interessante per la verità post provenienti da un sacco di fonti diverse).

Non mi piaceva particolarmente, Google Buzz ma trovo piuttosto fastidioso Google Plus da questo punto di vista. Non so se sia io ad essere inacidito (leggere “vecchia zitella acida”), ma a distanza di vari mesi dal suo lancio in grande stile, Google Plus è, per quanto mi riguarda, solo “un altro” Social Network, e non un reale rivale di Twitter o (meglio) Facebook.
Ha introdotto features interessanti e soprattutto ha portato ad una revisione e ad una maggior integrazione delle altre Google Apps che uso (il lungo lavoro non è ancora finito, ma non disprezzo la visualizzazione delle “cerchie” in Google Contacts, l’unificazione dei profili di Gmail e via dicendo). Solo che il mio profilo non è aggiornato: non ho alcuna intenzione infatti di inviare il mio post a 15 social network diversi manualmente, quindi ciò che può essere aggiornato automaticamente da una singola fonte ben venga, il resto rimane vuoto.

Fatico in realtà (ed è questa la ragione per cui scrivo qui) a spiegarmi quale sia l’ingrediente mancante in Google Plus. Facebook ha probabilmente “la massa critica” per essere interessante come Social Network: ho faticato per mettere in piedi NetworkedBlogs una volta che i Facebook Developers hanno eliminato la possibilità di inserire Note attraverso il vecchio plugin di WordPress perché ricevo mediamente molti più commenti via Facebook che attraverso i commenti stessi del blog. Che sia solo la “massa critica quindi”? Non saprei: Twitter non ha certo la stessa massa critica di Facebook (per quanto in crescita) e forse neppure di Google Plus… eppure risulta interessante per la qualità dei commenti che si ricevono, per la pervasività che un’informazione riesce a raggiungere.

Finito il post, resto con i dubbi di quando l’ho cominciato. Magari qualcuno dei miei lettori ha una chiave di lettura migliore della mia…

Cinque cose ricordare di questo 2010?

florixc via Flickr

Tra poche ore, come ogni anno, l’anno corrente lascerà il posto al nuovo anno. E’ ormai parecchio tempo che la cosa funziona così e quindi non c’è discussione da fare. Però l’anno che ci lascia ha sicuramente lasciato dei segni, in molti campi: ecco allora qualche fatto saliente che sarà bene ricordare.

  • Il 2010 è sicuramente stato un anno importante sul fronte delle difficoltà che la Natura, più o meno provocata, ha posto al “cammino” dell’uomo. Non dimentichiamo il terremoto di Haiti (200.000 morti), quello di Qinghai (Cina, 2064 morti), quello in Cile (800 morti), spesso passati nella totale indifferenza del nostro informatissimo mondo occidentale. Anche la dove ci si è mobilitati (come per Haiti) il risultato è stato piuttosto deludente (considerando che il colera, negli ultimi mesi, ha mietuto oltre 2000 morti nella piccola isola caraibica, facilmente evitabili con della banale acqua potabile).
    Sotto il fronte del clima, abbiamo assistito ad una maggior violenza dei fenomeni: caldo torrido e freddo intenso (che ha letteralmente paralizzato l’Europa e gli Stati Uniti, la dove non ci ha pensato l’eruzione del vulcano islandese Eyjafjallajokull), transizioni repentine dall’uno all’altro sono indubbiamente indice di un clima sempre più energico ed instabile. Da questo punto di vista sono da accogliere con gioia le numerose adesioni al trattato di Copenaghen registrare sopratutto all’inizio dell’anno ed il nuovo vertice (nel complesso piuttosto positivo) tenutosi in Messico a fine anno.
    Purtroppo non è da annoverare tra i fatti positivi l’esplosione della piattaforma petrolifera della BP nel Golfo del Messico: in 85 giorni sono stati riversati in mare oltre 800 milioni di litri di petrolio.
  • Anche sotto il profilo dei diritti civili il 2010 è stato un anno significativo: in Europa sono ormai la maggioranza i paesi che accettano i matrimoni tra persone dello stesso sesso (quest’anno si sono aggiunti Islanda e Portogallo, portando il conteggio a 11 contro 16), la Danimarca ha persino reso legali le adozioni; sotto il profilo della giustizia sono numerosi gli Stati che hanno aderito alla moratoria delle Nazioni Unite contro la pena di morte e che stanno più o meno velocemente mettendo un punto finale alle operazioni del boia.
    Altra nota importante (catalogabile con un po’ di forzatura tra i “diritti civili”) è il no degli Stati Uniti alla brevettabilità del codice genetico, che ha così sconfessato coloro che avevano già provveduto a coprire di brevetti oltre il 20% del genoma umano.
  • Sicuramente il 2010 verrà ricordato anche per essere l’anno chiave della crisi economica mondiale. Nata nel 2008 e confermata dal 2009, la Crisi ha sicuramente colpito duramente (soprattutto i nostri concittadini) quest’anno: mentre purtroppo altri paesi sembrano sulla strada dell’uscita, l’Italia naviga ancora in cattive acque anche a causa dell’inazione del governo e dell’avidita incontrollata di parte dei suoi industriali. La Grecia prima, l’Irlanda poi, con Portogallo, Spagna ed Italia a fare da spettatori interessati, l’Unione Europea  ha dovuto affrontare una crisi monetaria importante, dimostrando in fin dei conti una solidità inaspettata (e sostenuta, seppur controvoglia, da Germania e Francia).
  • Il 2010 è stato un anno importante anche sul fronte della geopolitica: nonostante l’impunità apparente di cui ha goduto Israele nell’attacco alla “Freedom Flotilla” (che ha causato nove morti alla fine di maggio), a settembre la commissione d’inchiesta dall’ONU ha stabilito che lo stato mediorientale ha agito in violazione del diritto internazionale; si tratta di una dichiarazione importante che per una volta svincola l’azione dell’ONU dal volere delle grandi potenze mondiali, restituendo (parzialmente) fiducia ai piccoli stati, spesso costretti al silenzio di fronte agli abusi di queste grandi potenze. L’ONU si è reso protagonista anche di un lungo braccio di ferro con la Francia contro le espulsioni dei ROM dal paese transalpino, così come con l’Italia per evitare l’inumana pratica dei respingimenti.
    Sul fronte delle guerre, sicuramente il 2010 dovrà essere ricordato come l’anno del ritiro americano dall’Iraq (l’ultimo reparto combattente ha lasciato il paese il 19 agosto). Purtroppo lo stesso non è accaduto in Afghanistan, dove tutt’ora il conteggio dei morti innocenti continua a salire.
    La fine dell’anno è stata poi caratterizzata dalla “scoperta” di WikiLeaks: le rivelazioni sui cablogrammi che hanno “sconvolto la diplomazia internazionale” (e condotto all’inutile arresto di Julian Assange) seguono in realtà rivelazioni ben più “profonde” legate alle guerre (in Iraq soprattutto) in corso nel mondo.
  • Infine il 2010 è stato un anno importantissimo sotto il segno delle scienze, in particolare grazie agli esperimenti condotti al super acceleratore di particelle del Cern di Ginevra. Grazie a collissioni tra particelle in grado di generare energie record (7.000 miliardi di elettronvolt) si è potuto studiare da vicino la nascita dell’universo, ricreando in laboratorio le temperature ed alcuni degli effetti del Big Bang che ha dato origine, migliaia di miliardi di anni fa, all’universo che conosciamo.
    Sul piano dell’astronomia, al Cern si è riusciti a creare ed imprigionare per alcune frazioni di secondo alcuni atomi di antimateria, così come esemplari del plasma che si generò immediatamente dopo il Big Bang.
    Sempre sul campo astronomico, si é per la prima volta avuta una misura precisa dell’effetto dell’energia oscura (che costituisce il 73% dell’Universo), grazie alla quale si può dedurre che l’universo sia piatto e che continuerà ad espandersi sempre più velocemente (con tutto ciò che questo implica in termini di previsioni sulla sua evoluzione).
    Sul fronte medico, un vaccino italiano ha posto un altro ostacolo all’espansione della malattia conosciuta come AIDS:la sperimentazione condotta da Barbara Ensoli, giunta alla seconda fase della sperimentazione, è infatti in grado di aiutare il corpo umano a rigenerare il sistema immunitario distrutto dal retrovirus.

Sono naturalmente molte le notizie importanti che in altri campi varrebbe la pena citare, ma dovendo scegliere cinque argomenti cardine, queste sono secondo me le più importanti.

Che siate d’accordo o meno, concedetemi di concludere quest’anno con un augurio di cuore a tutti, affinché il 2011 sia almeno migliore dell’anno che volge al termine.

Lettera aperta a Radio Popolare

Car Radio

nedrichards via Flickr

Cara Radio Popolare,

sono ormai diversi anni che seguo con interesse le tue trasmissioni.

Ho scelto, un paio d’anni fa e nonostante le ristrettezze economiche, di sostenerti con un abbonamento; non solo perché ritengo che sia dovere di ogni cittadino fare il possibile per sostenere la libertà e l’indipendenza dell’informazione (soprattutto in momenti bui come quelli in cui viviamo), ma anche perché ho sempre riscontrato nelle vostre trasmissioni (e informazioni pubblicitarie) una serietà ed una coerenza che difficilmente si riscontra in altre emittenti.
Tutto questo l’ho fatto più che volentieri, così come volentieri aderirò all’Operazione Primavera 2011.

Nell’ultimo periodo però una macchia è venuta a deturpare la limpida immagine che avevo di Radio Popolare: la pubblicità dell’omeopatia.
Come saprete l’omeopatia non ha a suo supporto alcuno studio scientifico che ne dimostri un’efficacia superiore a quella dell’effetto placebo, perciò pubblicizzarla attraverso i mass media rasenta l’incitamento alla truffa. Immagino che in redazione ci siano state (come per le altre pubblicità) approfondite discussioni in materia e mi piacerebbe sapere quale in particolare è stato il dato che ha fatto propendere per l’accettazione di una simile campagna pubblicitaria.

Riponendo in una vostra risposta tutta la fiducia di un fervente ascoltatore, colgo l’occasione per augurare a tutti voi un felice natale ed nuovo anno migliore di quello che volge a conclusione.

Come cambia ora WikiLeaks?

Mi è stato chiesto come cambierà WikiLeaks dopo l’arresto di Julian Assange. Non avendo io la “palla di vetro” posso solo fare qualche ipotesi, basandomi ne più ne meno su quello che vedo, leggo, sento.

Cominciamo dal punto di vista di WikiLeaks: l”arresto di Assange non rappresenta per l’organizzazione di WikiLeaks un grosso problema. Non solo perché a differenza di quello che i media lasciano trapelare, WikiLeaks non è composta dal solo hacker australiano, ma soprattutto perché ritengo che un suo arresto potesse essere prevedibile tanto quanto il rifiuto della scarcerazione su cauzione e (non è ancora giunto il momento ma credo che non mancherà molto), l’estradizione (vedremo se verso la Svezia o direttamente negli USA). Sicuramente Assange ha negli ultimi giorni dato adeguate istruzioni al board di WikiLeaks sia riguardo l’elezione di un suo successore sia riguardo la politica da seguire per difendere lui e l’organizzazione stessa.
Negli ultimi giorni infatti molti sono stati gli esempi di aziende e/o organizzazioni che hanno deciso di schierarsi apertamente contro WikiLeaks (quindi contro l’idea di un’informazione libera e della possibilità di una democrazia più diretta basandola sulla trasparenza forzata di governi, aziende e società varie): PayPal, Visa, MasterCard sono solo alcuni dei grandi nomi che nelle ultime ore hanno apertamente deciso per questa strada (ed io sto ponderando le mie decisioni in proposito).
WikiLeaks continua naturalmente ad essere apertamente supportato dalla stragrande maggioranza della comunità hacker mondiale (che sulla trasparenza e la libera circolazione delle informazioni ha basato la propria filosofia esistenziale) e che che ne dica Libero, non credo proprio che ad esultare per l’arresto di Assange sia “mezzo mondo”, forse non arriviamo nemmeno alla metà dei quattro scannagatti che leggono la testata (tralasciando poi il ministro Frattini che parla di “processo”, visto che il nostro primo ministro è il primo a non farsi processare da ormai alcuni lustri).

Dal punto di vista della diplomazia internazionale invece, si tratta di una “vittoria di Pirro”: in primis perché l’arresto di Assange non è legato alla divulgazione del materiale diplomatico, ma sul palliativo di una accusa di stupro e violenza carnale in Svezia, che ricorda fin troppo da vicino il trucchetto dell’evasione fiscale utilizzato per arrestare Al Capone. Secondariamente perché questo non fermerà WikiLeaks, che già stanotte rilascerà un’altra quota parte del materiale in via di vaglio. In terza battuta, perché un’altra volta si è persa l’occasione (a livello internazionale ma non solo) di comprendere ed analizzare le reali ripercussioni che un mezzo di informazione orizzontale e libero, come internet è, ha sul mondo reale; un’altra volta si è cercato di mettere un bavaglio, di cassare, di censurare. Questa strategia si è già dimostrata ampiamente fallimentare: pensiamo alla questione del diritto d’autore, della Cina che censura i siti web dei dissidenti (e non).

Alla fine di tutto il ragionamento, credo che si possa dire che l’arresto di Assange costituirà, per qualche giorno, il bianconiglio estratto dal cilindro e fatto correre di fronte alla stampa internazionale, per sviarne l’attenzione. Non cambierà nulla della sostanza e le prossime rivelazioni (di WikiLeaks o chissà di chi altri, nella marea di informazioni che internet è in grado di generare) riporteranno il tema alla ribalta.
Chissà che la prossima non sarà la volta buona di farci su un pensiero un po’ più profondo di “vendetta e sangue”…

WikiLeaks, Assange e la libertà d’informazione

Julian Assange

Julian Assange (biatch0r via Flickr)

In questi ultimi giorni, il nome “WikiLeaks” è sulla bocca di tutti, anche tra le parole di qualcuno che, senza alcuna cognizione di causa, pretende di dare pareri definitivi a riguardo. E non mi riferisco solo a politici, sia chiaro.
Non vorrei dilungarmi troppo neppure su cosa sia WikiLeaks e sulle rivelazioni che ha pubblicato negli ultimi giorni.

Quello su cui invece mi piacerebbe spendere qualche parola è ciò che WikiLeaks rappresenta, ossia l’emblema (attuale) della libera circolazione dell’informazione, potenziata enormemente dal mezzo che internet è.
Vorrei sottolineare come ciò che oggi si cerca di fare con WikiLeaks (ovvero, sostanzialmente, impedire la diffusione di conoscenze non gradite al potente di turno) si è cercato di fare, ed a volte “riuscito”, a rotazione con molti dei “fenomeni” che il web ha proposto: YouTube, Facebook, Wikipedia e via discorrendo. Noi italiani poi abbiamo particolarmente a cuore questo genere di pratiche, visto che a tutt’oggi impediamo l’accesso ai nostri concittadini a tutti quei siti di scommesse che non pagano il pizzo all’AAMS (esattamente come se vi impedissero di andare a Montecarlo perché li c’è un Casinò).

Nella fattispecie, quest’oggi abbiamo assistito al blando ed inefficace tentativo di bloccare l’accesso al sito di WikiLeaks dirottandone e filtrandone le entry DNS. Il sito ha rapidamente consentito un accesso da altri IP, con altri URL e i nostri amici di EveryDNS, che hanno così raccolto, come unico risultato, una ben magra figura. Si era precedentemente tentato (“non si sa” per mano di chi) un DDoS (Distributed Denial of Service), domani si tenterà con l’arresto di Assange grazie al primo mandato internazionale della storia spiccato a seguito di un’accusa di violenza carnale (non voglio difendere Assange, sia ben chiaro da buon principio). Senza per altro considerare il fatto che Julian Assange (che non è certo uno sprovveduto) avrà organizzato tutta una serie di ritorsioni che scatteranno proprio nel momento in cui egli venga messo sotto fermo.

Davvero pensano che, anche cadesse WikiLeaks, riuscirebbero a fermare la diffusione del sapere su Internet? Per questi potenti, abituati a giocare sottobanco le proprie carte, WikiLeaks ed internet sono una sorta di Vaso di Pandora. Per noi internauti, ormai, un qualcosa di irrinunciabile.

Prima i governi del mondo capiranno che internet significa “libertà di scambio” nella sua accezione più pura, prima questo smetterà di essere una minaccia per la società e diventerà invece una fonte di progresso e conoscenza.

Informazione dal basso? “Usare con cautela”

Anni '70 La bozza di questo post ha ormai una certa età: diciamo alcuni mesi. In tutto questo tempo l’ho aperta spesso, l’ho riletta, riscritta, stravolta, ripensata, ogni volta tentennando sul pubblicarla o meno. Stavolta ci provo, lo pubblico.

L’argomento è delicato: la sempre maggior diffusione di Internet nella case dei nostri concittadini (ma il discorso vale analogamente allargato al mondo intero, in qualche modo), l’incremento di notorietà ed uso di strumenti quali social network e blogs stanno portando alla luce una nuova fonte di informazione, costruita dal basso stavolta, ma pur sempre “media”. Non voglio entrare nel merito, stavolta, della difficoltà di districare da questa immensa matassa le informazioni di qualità (aspetto per altro che ho già avuto modo di toccare in diverse occasioni), ma puntare piuttosto il dito sulla responsabilità che questa parola (“media”) comporta e di quanto spesso si fatichi a prenderne coscienza.
Il sogno (utopia?) di un’informazione realmente partecipata, imparziale, umana si trova oggi di fronte alla necessità di fare un “salto di qualità” al fine di poter acquisire lo status di “media”: si tratta proprio della presa di coscenza della responsabilità, del potere che l’informazione ha nella nostra società.

La chiamiamo “Era dell’Informazione” non a caso: al giorno d’oggi l’informazione ha ripercussioni incredibili e dirette sulla società. Pensiamo semplicemente ai rifiuti di Napoli: c’è stato, appena prima delle elezioni, un battage insistente e violento sulla questione. Poi il Governo Berlusconi è stato eletto, ha dichiarato di aver risolto la questione e la copertura mediatica si è praticamente azzerata. Nelle menti di tutti c’è la sensazione che, in un modo o nell’altro, tra scontri e imposizoni, la questione sia risolta nel suo complesso. Basta però fare una telefonata ai nostri conoscenti nella zona, magari in periferia, o semplicemente fare qualche ricerca su Google News, per scoprire che la realtà è un’altra, che la spazzatura è ancora la (tranne nel centro storico). Lo stesso discorso vale per il problema “sicurezza”, tema sul quale l’attuale Governo ha (stra)vinto le elezioni e che oggi passa in secondo piano, apparentemente risolto, senza che vi sia stato, in realtà, alcun apprezzabile miglioramento.

Questo è il potere dell’Informazione ed è importante che chi, nel mondo dei blog ma non solo, ha velleità di fare informazione ne prenda profondamente (e rapidamente) coscienza. Le fonti da cui attingere sono tante, tantissime, ma il problema è sempre li: verificare, usare la testa, cercare conferme, essere prudenti.

La linea che divide il Giornalismo e la Demagogia è sottilissima. E’ importante imparare a comprenderla e individuarla; solo allora potremo sperare di dare al nostro Paese un’informazione impariziale e partecipata. Prima, non proviamoci nemmeno.

Liquida: valorizzare i contenuti del web (reloaded)

Bubbles Non è la prima (e non sarà certo l’ultima volta) che mi trovo a scrivere di internet e del valore dei suoi contenuti, della rivoluzione che la produzione personale (i blog e quello che vi gira attorno) rappresenta. Per inquadrare il fenomeno, citiamo qualche dato: una stima indica che in Italia ci siano oltre un milione di blog, di cui 300.000 attivi. 1500 nuovi blog nascono ogni giorno (ed una certa quantità ne muore, ovviamente). I contenuti prodotti da questo nuovo media (testi, foto, video, musica) sono letteralmente un fiume in piena, in grado di travolgere senza possibilità di salvezza coloro che anche solo pensassero di poterne leggere una parte consistente.
Inutile dire che non tutto il contenuto prodotto è di valore, anzi. La stragrande maggioranza di ciò che viene quotidianamente scritto sul web è di valore infimo, praticamente nullo: si tratta di contenuti “ripresi da altre fonti” (quotati), si tratta di argomentazioni futili (“bella zio!”), non pertinenti, o semplici contenuti prettamente personali (“ieri sera sono andato al cinema e mi sono molto divertito. Bella zio.”). In mezzo a questo rumore, però, si cela contenuti interessanti, in alcuni casi anche di notevole artistico e culturale, il cui accesso è reso di più in più difficoltoso dalla massa di informazioni che ci sommerge.

Gli approcci per risolvere il problema (quello di far emergere dal rumore i contenuti di valore, e solo quelli) sono essenzialmente due: un approccio “algoritmico” ed un approccio “sociale”.

  • L’approccio algoritmico consiste nel collezionare e catalogare tutto il contenuto del web, utilizzando algoritmi automatici (tramite degli spider). Il compito di affinare la ricerca in mezzo alla massa di contenuti indicizzati, viene lasciata all’utente, che deve inserire una serie di parole chiave al fine di estrarre dal “flusso” i contenuti che l’algoritmo ritiene pertinenti. Il vantaggio di questo approccio sta nell’automatismo con il quale il lavoro “sporco” (l’indicizzazione) viene compiuto. Lo svantaggio sta in parte nella probabile imprecisione dell’algoritmo, ma soprattutto nella difficoltà di proporre all’utente dei contenuti che non cerca, di essere propositivo. Per di più, l’algoritmo non è in grado di discernere di per sé un contenuto di qualità, o originale da una citazione: non fa altro che “incasellare”, classificare, ordinare e riproporre a richiesta. Un classico esempio di questo genere di approccio sono i motori di ricerca.
  • L’approccio sociale, da questo punto di vista, funziona molto meglio: agli utenti viene chiesto di rendere “computazionalmente intellegibile” il proprio contenuto (tramite ad esempio l’uso di tag, in questo caso in grado anche di aiutare un eventuale algoritmo automatico) e/o di provvedere a catalogare “manualmente” il contenuto del web: non solo quello prodotto dagli utenti stessi, ma anche quello che non fosse stato eventualmente catalogato dall’autore. Il vantaggio principale di questo approccio sta nell’intelligenza umana, in grado di discernere tra contenuti di qualità differente, di marcarli adeguatamente (aggiungendo pertinentemente ai tag persino parole che non sono contenute all’interno del testo) ed infine di proporli propositivamente, magari tramite un sistema di votazione. Lo svantaggio, purtroppo, emerge sempre più chiaramente: se qualcosa costa fatica, saranno in pochi (pochissimi) a farla, mentre per catalogare l’enorme mole di informazioni che il web propone servirebbe una massa critica decisamente importante. Di sistemi che usano un approccio sociale all’organizzazione dei contenuti in rete ne troviamo molti, da Digg a Delicious, ma tutti si scontrano con il problema del necessario, ma “scarso”, intervento umano.

Come sappiamo però, la virtù sta nel mezzo ed ecco allora un interessante esperimento che cerca di trarre dai due approcci il meglio: Liquida.
Si tratta di un “valorizzatore di contenuti“, uno strumento che punta non solo a far emergere dal “mare magnum” della blogopalla (blogosfera, “blog” o “nuovi media” che dir si voglia) i contenuti di maggior valore, ma punta anche ad affermarsi come strumento facile da usare, in grado di essere utilizzato e sfruttato in tutte le sue potenzialità anche dagli utenti meno esperti (e qui è un po’ una lotta contro i mulini a vento, sigh).

Il funzionamento di Liquida è piuttosto semplice da descrivere (anche se tecnicamente è tutta un’altra cosa): utilizza una serie di spider che (tramite l’analisi semantica di una elaborata intelligenza artificiale) provvedono a “marcare” (applicare tag, parole chiave) i post presenti nei blog censiti. L’intelligenza artificiale stessa provvede ad una prima “scrematura” dei contenuti: vengono eliminati quelli troppo corti (come esprimere qualcosa di seriamente interessante in meno di 200 battute?) e quelli che presentano contenuti osceni o offensivi. Il servizio per il momento dovrebbe essere limitato ai post in lingua italiano, ma mi è capitato di trovarci dentro anche post in inglese, quindi su questo non metterei la mano sul fuoco.
Proprio questa parte di “scrematura” algoritmica è il cuore pulsante di Liquida: il motore semantico provvede in più passaggi ad analizzare vari fattori (dai classici “page rank” e “link in ingresso” all’analisi dei commenti ricevuti) in modo da valorizzare maggiormente i contenuti che rispecchiano tutti quegli aspetti tipici dei “post interessanti”. Inutile dire che qualcosa andrà inevitabilmente perso in questo processo di “macinazione”, ma il fatto che il motore sia stato appositamente tarato per questo compito (e non sia invece “adattato”, come accade per i più comuni motori di ricerca) rappresenta un punto di originalità.

E’ possibile navigare Liquida per tag, utilizzando il motore di ricerca integrato (ed in questo frangente si comporta sostanzialmente come un motore di ricerca), oppure appoggiandosi all’analisi dei “temi del giorno” che consente di proporre agli utenti gli articoli che affrontano gli argomenti di attualità.
La struttura a “portale” di Liquida, inoltre, dovrebbe consentire di guidare in modo intuitivo gli utenti che si avvicinano per la prima volta al mondo dei blog, composto al momento da oltre 6500 blog ed oltre 260.000 post, cifre di tutto rispetto.

Infine (ma non per importanza, anzi!), Liquida propone una versione originale e “redazionale” dei contenuti, il Magazine: i contenuti di maggior valore vengono quotidianamente raggruppati in articoli che ne riporta stralci ed opinioni, aggregati in un collage propositivo (eseguito da redattori in carne ed ossa, corretto e controllato come la tradizione giornalistica vuole). Il livello attuale del Magazine mi lascia onestamente ogni tanto perplesso, ma l’idea è buona e ci sono prospettive concrete di miglioramento.

Quello che a mio avviso manca ancora su Liquida è la parte “sociale” del sistema (anche se viene parzialmente introdotta in queste ore, purtroppo in una pagina dedicata e non direttamente in home page), che consenta di integrare gli algoritmi prettamente automatici (che soffrono, nonostante l’intelligenza artificiale, della classica “miopia da elettronica stupida”) aumentando così il valore dei contenuti proposti e/o suggeriti. D’altra parte proprio la mancanza (ma sarebbe forse lo stesso anche tramite l’assegnazione di un peso ridotto) è il fattore che consente di valorizzare anche i contenuti prodotti da autori meno “noti” dei soliti protagonisti…
Interessante e da sottolineare anche l’aspetto di “business” legato a Liquida, che nasce e si propone con un chiaro piano aziendale, forse uno dei primi legati all’analisi dei contenuti generati dagli utenti.

Nel complesso, Liquida è un progetto interessante (non dimentichiamo che è ancora in beta): nulla di innovativo (non sò ovviamente cosa ci sia “sotto la carrozzeria”), ma un utile strumento per districare ancora un po’ quella matassa che sono gli User Generated Contents, con buone prospettive per il futuro.

Internet sul lavoro è sempre una perdita di tempo?

Slaving for The Man™ Lavoro ormai da qualche anno a diretto contatto con le infrastrutture informatiche di aziende di dimensione e filosofie piuttosto variamente assortite. Mi sono occupato (sempre per conto dei clienti ed in base a ciò che mi veniva di volta in volta richiesto) di limitare o consentire la navigazione web dei dipendenti nei e con le considerazioni più disparate.

Qualche tempo fà, poi, mi sono trovato di fronte ad un dato statistico riportato da downloadblog (che a sua volta cita Arstechnica) che ci dice che mediamente il 25% del tempo lavorativo viene utilizzato per “navigazione personale su internet”. Ora, al di là dell’assurdità del dato in sé (considerando tutti i lavoratori che non hanno accesso ad internet, dovremmo concludere che quelli che ce l’hanno lo usino “a scopo personale” per ben oltre il 100% del proprio tempo lavorativo), voglio provare a porre una questione di fondo, magari dando uno spunto per un minimo di discussione: dove sta il confine tra “personale” e “per lavoro”?

Cerco di spiegarmi: non voglio nascondermi dietro un dito, una significativa parte del mio tempo “lavorativo” è spesa controllando e rispondendo a mail personali, leggendo feed rss tra i più disparati (compresi alcuni fumetti, video più o meno divertenti, articoli di politica), seguendo in modo più o meno assiduo (in modo inversamente proporzionale alla mole di lavoro arretrata, solitamente) alcuni tra i più usati social network. Non solo non voglio nascondermi dietro ad un dito, in realtà, ma anzi non faccio assolutamente nulla per nascondere questa mia attività: spesso e volentieri è tornata comoda in prima battuta proprio ai miei clienti, che hanno usufruito di contatti personali, conoscenze, spunti, idee per migliorare la loro produttività, o semplicemente per ottenere un servizio migliore, da o attraverso di me.

La mia è indubbiamente una posizione felice, sotto questo punto di vista: facendo il consulente, mi occupo essenzialmente di vendere “conoscenza” ed è quindi ipotizzabile un’assimilazione del tempo passato “a zonzo per internet” come parte di un investimento in “formazione professionale”; meno vero potrebbe risultare per un operaio il cui compito sia quello di avvitare lo stesso bullone 8 ore al giorno (anche se in questo caso mi chiedo dove sarebbe l’accesso ad internet ed a che aspetto del lavoro gioverebbe).

Eppure fatico ad entrare in quest’ottica: non sono convinto che nella “società dell’informazione” si possa ancora catalogare l’accesso alle notizie, alla conoscenza, alla Rete come “personale”, scindendo questo in modo netto e puntuale rispetto a quella che invece è parte dell’attività lavorativa.
Si tratterebbe a mio avviso di una concezione piuttosto miope, considerando la direzione che il mondo del lavoro và imboccando… d’altra parte, non sarebbe l’unica…

Sia ben chiaro: non voglio giustificare l’occupazione di risorse aziendali per fini personali. Ciò che intendo dire è che potrebbe risultare poco lungimirante considerare non interconnesse (soprattutto dal punto di vista dell’informazione e della conoscenza) la sfera privata e quella lavorativa…

Travaglio al V2-Day

Ieri a Torino non c’ero. Alberto mi aveva invitato, poi la stanchezza accumulata nelle ultime settimane mi ha spinto a concedermi (finalmente) una mattinata di riposo. In parte, di non essere andato, me ne sono pentito. A contribuire al pentimento, di sicuro, l’intervento di Marco Travaglio, che consiglio a tutti di ascoltare: ecco la prima parte, in attesa della seconda.

La denuncia ad un giornalismo asservilito al potere (e non sempre solo quello politico) è partita diverse volte anche da queste pagine, quindi non posso esimermi dal dare risalto, in questa occasione, alla campagna lanciata da Beppe Grillo.

Mi chiedo se sono ancora in tempo a firmare per i referendum…

L’umanità dimenticata: quanta informazione?

La qualità dell’informazione dei nostri mass media è al limite della decenza: non lo dico io, è stato più volte ribadito da fonti autorevoli. Per di più, è in “peggioramento”, almeno secondo un’indagine di Medici Senza Frontiere che denuncia una copertura mediatica inferiore all’8% del totale per quanto riguarda le crisi umanitarie, spazio che si è ridotto rispetto allo scorso anno (era il 10%).
La qualità del rapporto di Medici Senza Frontiere è resa ancora più attendibile (almeno per quanto mi riguarda) dalle conferma di alcuni dati sui quali nutrivo già qualche sospetto:

Nell’affrontare le notizie relative alle crisi umanitarie, la pubblica Rai mostra interesse maggiore (9,96% sul totale delle notizie trasmesse), mentre la privata Mediaset registra uno score del 5,65%.

All’interno delle varie reti, l’attenzione maggiore a questi temi viene da Rai3, con il 13,49%, mentre Italia Uno (il canale giovanilista Mediaset) è al palo col 3,56%.

A questo punto, voglio provare a tirare insieme due dati anche io: naturalmente vi chiedo di rispondere al sondaggio prima di andarvi a documentare 😛

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