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15 dicembre 2010: scenario.

Parlamento

agenziami via Flickr

La data del 14 dicembre si avvicina a gran velocità e vorrei mettere a fattor comune con tutti voi due scenari che secondo il mio modesto parere potremmo trovarci ad affrontare il giorno seguente il voto di fiducia. Naturalmente i commenti sono aperti proprio per consentire il dibattito su queste due ipotesi, che non essendo suffragate da altro che non dalle mie personali impressioni, non troveranno necessariamente l’accordo di voi lettori.

Se passa la mozione di sfiducia, la palla torna in mano a Napolitano. E’ dovere del Capo dello Stato (istituzionale prima che morale, di responsabilità) verificare l’esistenza di una maggioranza alternativa in Parlamento; vorrei a questo proposito ricordare che il popolo italiano elegge i Parlamentari, non il Capo del Governo (anche se forse questa abominevole legge elettorale che impedisce l’elezione diretta dei componenti del Parlamento ce lo sta facendo dimenticare), e pertanto la ricerca di una nuova maggioranza in Parlamento non è un tradire il voto popolare, anzi, è esaltarne il valore. Stando alle dichiarazioni degli ultimi giorni, una possibilità di intesa tra “dissidenti di destra”, centro e centrosinistra parrebbe esserci, quindi è facile che al termine delle consultazioni, Napolitano metta il mandato di formare un nuovo governo in mano a qualcuno. Si dovrebbe trattare naturalmente di un governo tecnico, non politico (d’altra parte come si potrebbe, con un simile calderone di idee discordanti), con un mandato chiaro e definito: (immagino) applicazione della finanziaria, riforma della legge elettorale (quale migliore occasione di un governo tecnico per affrontare quelle riforme che nessuno vuole fare) e risposte urgenti alla crisi economica.
Personalmente, tra tutti i nomi che sono venuti a galla nelle ultime settimane,  vedo tra i primi della lista l’attuale governatore della Banca d’Italia Draghi, soprattutto perché una sua nomina garantirebbe qualche punto in più di fiducia da parte delle istituzioni finanziarie e dei mercati (i mitici “speculatori”), consentendo un più ampio respiro e margine di manovra al neonato Governo soprattutto sul campo della risposta alla crisi.
A queste condizioni potremmo aspettarci le elezioni politiche verso l’estate-autonno 2011, una volta terminato il più lungo dei lavori del programma, la riforma elettorale. Potrebbe essere l’occasione giusta anche per dare finalmente seguito alla riforma della pubblica amministrazione, ma non credo che ci siano al momento le forze per giungere a qualcosa di concreto in tempi accettabili.

Se invece non dovesse passare la mozione di sfiducia, sarebbe verosimilmente perché la “campagna acquisti” del PDL ha giocato il suo ruolo, e stando agli equilibri dichiarati alla vigilia, per pochi voti. Viene allora spontaneo chiedersi: può (e quanto a lungo) un governo stare in piedi grazie a due o tre voti? La memoria corre all’ultimo Governo Prodi, dilaniato non tanto dalle divisioni interne, ma dalla necessità di tenere coesa per intero una maggioranza in cui un solo voto di scarto poteva far crollare il castello di carte.
Con queste premesse, è facile ritenere che la crisi di governo sarebbe, in questa seconda ipotesi, solamente rimandata di qualche settimana, o mese. Soprattutto considerando il fatto che, con il ridursi del consenso popolare e del margine parlamentare, anche l’appeal del “leader maximo” Silvio Berlusconi va calando e c’è già chi, anche tra i ministri, prende timidamente le distanze dall’operato del Governo.
Credo che questa seconda ipotesi sia da considerare un po’ come un “accanimento terapeutico” assolutamente dannoso per l’Italia, che si ritroverebbe con il timone bloccato, in balia delle correnti della crisi economica.

And the winner is…

Schede elettorali

Ivan Marcialis via Flickr

Bene, dopo una giornata di “silenzio riflessivo”, tormentato dalle (mie) valutazioni contraddittorie e stordito dalle tante (troppe) informazioni di questa tornata elettorale (la prima vista “dall’interno”, come segretario di seggio per la precisione), arrivo a proporre la mia ormai usuale serie di cazzate considerazioni sui risultati.

Cominciamo con il dire che il vero vincitore di queste elezioni è il partito del non voto, che sale fino ad un 35% abbondante. Un segnale che da ogni parte (tranne da quelli che si stanno definendo a destra ed a manca come “i vincitori”) viene segnalato come “estremamente preoccupante”, ma considerando che è “saltato” un altro punto percentuale rispetto al giugno 2009 (ed anche allora lo si definì “preoccupante”), direi che non cambierà granché e presto mi ritroverò da solo a votare e questo risolverà (garantisco io :P) moltissimi problemi.

Al secondo posto, tra i vincitori, troviamo indubbiamente la Lega Nord, ad ulteriore conferma che prendere gli italiani per “lo stomaco”, diffondendo demagogia, paura ed incertezza rende, e rende parecchio: i “Lumbard” (anche se da oggi dovremmo dire “venesiàn”) guadagnano altri due punti percentuale secchi rispetto all’ultima tornata elettorale che già aveva visto un loro importante balzo in avanti.
La Lega diventa il primo partito in Veneto, massacrando letteralmente il proprio alleato (il PDL) al quale affibbia un cocente 11% di distacco, mica noccioline. La vittoria la ottiene soprattutto al Nord (prevedibilmente, anche se avanza anche al centro, nelle poche regioni dove si è presentata) e soprattutto nelle valli: in città infatti (Milano, Venezia…) non solo non sfonda, ma tende a vincere la coalizione opposta.

L’unico altro partito, dopo la Lega, a guadagnare voti è (non sorprendentemente, visto che l’ultima volta non c’erano) il Movimento 5 Stelle. Il valore nazionale del 1,77% non rende onore al “prodigioso” risultato elettorale dei “grillini”, in quanto diluito dalle numerose regioni dove il partito non si è presentato. Per rendere un’idea di ciò che da oggi Grillo ed i suoi rappresenteranno sul panorama politico italiano, vanno citate Emilia Romagna (7,0%) Piemonte (un 4.07% che tanto comodo avrebbe fatto a Mercedes Bresso), Veneto (3,15%) ed un significativo 3% nella popolosa Lombardia; solo in Campania il dato è più basso, attorno al 1,3%. In merito, ho sentito parlare di “voto di protesta”: direi che possiamo considerare una percentuale di “protesta” un po’ troppo elevata per dare adito a questa affermazione. Credo piuttosto che Grillo, con la sua semplicità ed il contatto con il popolo che riesce a raggiungere (internet è una realtà, in Italia, ma resta pur sempre una nicchia), con le liste costruite dal basso, ha incarnato un sincero moto partecipativo che altri partiti non hanno saputo raccogliere; probabilmente hanno ragione nel dire che sono altri punti strappati all’astensione.

Forse a pagare leggermente il prezzo della discesa in campo di Beppe Grillo è stata l’Italia dei Valori, che parzialmente aveva “sopperito” alla sua mancanza negli ultimi anni. Il calo è però piuttosto contenuto, un -0,8% che potrebbe avere spiegazioni diverse e conferma in ogni caso il più che buon risultato conseguito a giugno (quando era una delle grandi “rivelazioni elettorali”). Con il suo 7,2%, quello di Antonio Di Pietro resta il 4° partito italiano, un interlocutore importante (non solo per il Partito Democratico), per quanto fastidioso questo possa essere per Silvio Berlusconi.

Chi invece non era andato granché bene a giugno e perde un altro punto percentuale secco, è l’UDC di Casini. La strategia del “triplo forno” (alleanze con il Pdl, con il Pd o la corsa da soli a seconda della regione) apparentemente non ha pagato come forse avevano sperato, e dal 6,5% delle ultime elezioni scendono al 5.5%. Ancora in quota “sbarramento”, ma con la spia rossa dell’allarme sul “acceso fisso”: se non voglio sparire urge trovare una soluzione. E non sarà quella di allearsi con gli ex-pd (ed ex-Margherita) come la Binetti (che candidata dall’UDC in Umbria ha preso una batosta memorabile) o Rutelli (“Alleanza per l’Italia” si ferma ad un ben misero 0,58% che la relega alla voce “Altri” di molti tabelloni).

Perdono voti, seppure in modo meno pesante, anche i partiti di sinistra: Rifondazione, alleata con i Comunisti Italiani a formare la Federazione della Sinistra, scende dal 3,4 al 2,9%, mentre Sinistra Ecologia e Libertà (ciò che resta della Sinistra e Libertà delle ultime elezioni dopo l’uscita dei Verdi) riesce a contenere in un misero 0,1% il declino di preferenze. Con i Verdi (che valgono lo 0,6% nazionale), sarebbero ora vicini ad un più concreto, sebbene poco appagante, 4,0%. In totale, l’area alla sinistra del PD varrebbe ad oggi più del 7%, se solo riuscissero a trovare la quadratura del cerchio: non poi così distante da quel 12% che facevano segnare ormai alcuni anni fa.

L’estrema destra, dopo il “balzo” de “La Destra” alle ultime elezioni (avevano incassato il 2,2%), torna su dati “ragionevoli”: 0,7% per il partito di Storace e Forza Nuova rimandata a raccogliere briciole. Un dato per lo meno rassicurante.

Veniamo quindi ai due principali (numericamente) partiti italiani. Quello che (paradossalmente) esce meglio da queste elezioni è il Partito Democratico. Percentualmente parlando, infatti, gli elettori del PD restano il 26,1%: l’emorragia di voti che si era verificata nei primi anni di vita del partito sembra essersi arrestata e questo è già, di per se, un dato positivo. Soprattutto considerando che solo qualche tempo fa si cercava di capire cosa potessero incedere le fuoriuscite di tutta una serie di personaggi che in seguito all’elezione di Bersani segretario avevano deciso di fare valige e “migrare al centro” (vedi alla voce “Rutelli” prima e “Binetti” poi); ora lo sappiamo, fondamentalmente nulla.
Le voci di una sconfitta del Partito vengono essenzialmente dalla Destra, che cerca di far passare il messaggio che vincere in 7 regioni su 13 è una sconfitta, in quanto se ne perdono 4 prima governate; non v’è alcun dubbio che non si tratti di una vittoria, ma dobbiamo assolutamente ricordare che il precedente dato di 11 contro 2 era emblema di un periodo politico piuttosto particolare, preludio della vittoria elettorale di 5 anni fa. Nel frattempo molte cose sono cambiate, ma soprattutto le elezioni Regionali non sono (a differenza delle comunali) tornate in cui conta particolarmente il “radicamento sul territorio”, ma da questo punto di vista più simili alle Politiche quindi il confronto andrebbe fatto con le ultime Politiche. A livello comunale, infatti, il PD non sta sfigurando (gli scrutini sono ancora in corso e molti andranno al ballottaggio, come al solito). Se il calcolo delle regioni perse e vinte si fosse fatto sulla base dei dati delle ultime Europee, il PD ne avrebbe prese solo 4. E parliamo di sconfitta? Come dopo ogni elezione che non sia una chiara vittoria, naturalmente, ora si chiede la testa di qualcuno: il fatto è forse è che Bersani non è ancora riuscito a dare quella svolta netta che qualcuno si attendeva; la “approfondita riflessione” che tutti ora vanno chiedendo, io la sollecito ormai da diversi anni: è necessario riprendere il contatto con la gente, com’è che altri riescono ed il PD no? “La strada è lunga” dice a ragione Bersani, il non aver perso ulteriori voti dopo le “debacle” degli ultimi appuntamenti elettorali è già un primo segnale. Guardiamo avanti.

Ultimo tra i partiti (perché è quello che ha perso più voti), il Popolo della Libertà. Sia chiaro (perché qualcuno lo penserà), niente di personale, in questo caso parlano i numeri: alle ultime Politiche il partito di Berlusconi aveva il 35,3%, oggi incassa un amaro 26,7, al quale si possono aggiungere un 3-4 punti dovuti alla mancata presenza della lista a Roma (punti che sono quindi andati ad “altre liste del centrodestra”). Ciò detto, il Pdl perde per lo meno 5 voti su 100, che mi sembra un dato tutt’altro che positivo. Ora, per altro, la Lega si fa decisamente più “ingombrante” come alleata, e può cominciare a pretendere, tenendo il coltello dalla parte del manico, un po’ ciò che gli pare (ricordiamo i piccoli partiti del governo Prodi?). Questa è indubbiamente una situazione pericolosa: lasciare le redini del paese in mano al 12% dell’elettorato non è un segnale positivo. Se poi, come credo, Berlusconi aveva in mente di tornare prossimamente alle urne per un “prolungamento” del suo mandato politico (giusto quanto basta per arrivare alla fine del mandato di Napolitano, ora che i numeri li dovrebbe avere ancora), ora avrà molte più difficoltà politiche: non perché perderebbe le elezioni, ma perché regalerebbe molti senatori e deputati alla Lega…

Per concludere, un pò di gratuito ottimismo: la differenza in termini di voti tra le due coalizioni (Pdl+Lega e Pd+IdV) è di 1 milione 700 mila voti, tutto sommato nemmeno troppi, no? Forza, rimbocchiamoci le maniche…

L’esame di maturità del Partito Democratico

Emma Bonino

Le Elezioni Regionali saranno per il Partito Democratico una sorta di esame di maturità. Dopo la scelta di Bersani di addolcire” la “vocazione maggioritaria” del partito (che non significa che non freghi niente di avere la maggioranza, ma di tollerare delle alleanze per giungere al risultato), questa tornata elettorale dovrà sancire la capacità del Partito di scegliere responsabilmente i propri candidati, anche alla luce proprio delle alleanze in essere.

Dopo la scelta “imposta” (alla base ed agli alleati) di Penati per la Regione Lombardia e la partita (ancora tutta aperta) con Vendola in Puglia (dove non capisco il perché di un rifiuto dello strumento delle primarie, in altre occasioni osannato), in queste ultime ore un nuovo caso va delineandosi: la Regione Lazio. Dopo lo scandalo Marrazzo (continuo a non capire perché non lo si possa proporre candidato, visto che ha lavorato piuttosto bene), tutto è nelle mani del “mandato esplorativo” di Zingaretti: se non sarà possibile trovare un altro candidato di rilievo nazionale, il Partito Democratico si troverà nel dover scegliere se appoggiare la candidatura (di indubbio spessore) della Bonino (che precluderebbe l’alleanza con l’UDC di Casini, che ha già annunciato l’appoggio alla candidata del PDL Poverini, nell’eventualità il PD scegliesse questa strada), o proporre una propria cadidatura (circola il nome della Binetti, che nel pieno spirito di unità del partito avrebbe già minacciato di lasciare il partito nel caso in cui il partito optasse per il sostegno alla Bonino) che possa maggiormente compiacere gli alleati di centro.

Onestamente trovo pesante il ricatto della Binetti (ma la mia personale contrapposizione con la teodem non nasce certo da qui), e sebbene mi renda conto che il’6% (stimato) dell’elettorato che l’UDC rappresenta possa fare gola (ed essere poi l’ago della bilancia), credo che il Partito Democratico debba scegliere sulla base dei propri valori e non sulla base della convenienza delle alleanze. Se il valore è “governare”, allora ben vengano la Binetti e l’UDC; se il valore è “fare bene” (e questo implica il non essere ricattabili da chi, come accaduto per il Governo Prodi, pesa poco e pretende molto), allora deve essere valutata seriamente l’opzione dell’appoggio politico alla Bonino, considerando tra l’altro che per l’UDC, schierarsi con il PDL significherebbe (stando ai dati dei sondaggi elettorali) perdere un 2% secco di voti…

Per il Partito Democratico sarebbe inoltre un ulteriore segno di maturità proprio la capacità di saper appoggiare un candidato esterno al proprio organico (vale lo stesso per Vendola in Puglia, per altro), che segnerebbe il significativo passaggio da una logica di potere ad un impegno per far bene.

Purtroppo il tempo stringe: l’esame di maturità si avvicina e si sta ancora studiando….

Come cambierà ora il Partito Democratico?

Pier Luigi Bersani è il nuovo segretario del Partito Democratico. A decretarlo (per una volta) è stato il democratico meccanismo delle elezioni primarie, che hanno visto affluire al voto nel 3 milioni di italiani e sancire l’elezione di Bersani con oltre il 50% delle preferenze, contro il 30% dell’uscente Franceschini e l’ottimo 16% di Marino. Al di la delle percentuali di preferenze ottenute dai singoli candidati, il grande tema del giorno è indubbiamente l’affluenza alle urne. Non che i 3 milioni di cittadini che hanno preso parte al voto non fossero attesi (si prevedevano tra i 2 milioni ed i 2 milioni e mezzo di votanti), ma la conferma dei numeri delle primarie precedenti (quelle di Prodi e Veltroni, per intenderci) dà certamente un’iniezione di fiducia ai militanti. Non si deve però commettere l’errore di scambiare questa affluenza per un’approvazione dell’attuale andamento del partito, anzi… Andrà inoltre approfondita (ed affrontata) la questione della disaffezione dei giovani: pochissimi a detta di tutti quelli che si sono recati alle urne.

Inoltre, questa tornata di primarie dovrà necessariamente sancire l’inizio di una fase di “cambiamento” per il partito. Se così non fosse, dubito fortemente che l’elettorato del Partito Democratico darà nuovamente “carta bianca” alla dirigenza come è capitato in questa occasione. In particolare sarà assolutamente necessario che Bersani conduca il partito sulla via della compattezza politica, dell’individuazione di una linea politica, di valori di riferimento concreti e condivisi, di proposte concrete per portare da un lato il paese a rispondere alla situazione di difficoltà in cui si trova, dall’altro (naturalmente) a vincere le prossime tornate elettorali, a partire dalle regionali di marzo.

  1. La prima cosa che l’elettorato del Partito Democratico chiede a Bersani è di tornare a fare politica efficacemente, risolvendo le divisioni interne che hanno paralizzato l’azione del partito sino ad oggi. Questo non significa (non deve significare!) uniformare le posizioni di tutti gli aderenti al partito o l’imposizione di una linea specifica (la molteplicità di vedute deve essere convertita in un valore aggiunto), bensì utilizzare il dibattito democratico, a partire dai circoli fino ai livelli più alti, sulla scelta delle azioni da intraprendere, chiedendo poi ferma coerenza sulle decisioni democraticamente ottenute. Coloro che non si adegueranno a questa linea, dovranno necessariamente essere allontanati dal partito (ogni riferimento all’ambiente dei teodem in tema di laicità dello stato e diritti è puramente casuale): se si vuole un’opposizione efficace è importante che sia unita e compatta.
  2. Proprio nell’intento di individuare una concreta linea politica, vanno sin da subito affrontati, discussi e chiariti alcuni temi chiave: immigrazione, ecologia, lavoro economia e precariato, laicità dello stato, parità di diritti per tutti, giustizia, scuola e ricerca, conflitto d’interessi, radicamento sul territorio. Nessuno di questi temi deve essere lasciato indietro, perché “fare opposizione” non può significare solo urlare e sbraitare, ma deve concretizzarsi nella proposta di alternative concrete ed efficaci a quelle proposte dal governo.

Buon lavoro allora a Bersani ed a tutti gli attivisti del partito: i prossimi mesi saranno cruciali…

Critica “ragionata” alle analisi di A. Bottoni

Daquella manera via Flickr

Daquella manera via Flickr

Candidato per “Sinistra e Libertà” alle Europee e propostosi come leader del “Partito Pirata Italiano”, Alessandro Bottoni ha trovato lungo l’ultima campagna elettorale il sostegno ed il consenso di numerosi appartenenti della comunità dell’hacking e del software libero, al punto che per un momento ho considerato io stesso l’ipotesi di accordargli una delle tre preferenze a mia disposizione (occasione poi sfumata per incompatibilità di sezione).

Oggi leggo (a malincuore per la verità) la sua analisi del voto delle Elezioni Europee, in merito alla quale vorrei proporre qui una risposta, punto per punto, ai temi che Bottoni solleva nel suo post. Perdonerete per altro i toni forse un po’ “pesanti”, ma credo che ogni tanto sia giusto mettere sul tavolo tutte le carte, se si vuole far proseguire il gioco…

  1. Il successo del Partito Pirata svedese. Sono estremamente contento del risultato ottenuto dal Partito Pirata svedese e parzialmente condivido la valutazione di Bottoni: il caso ThePirateBay, in una nazione culturalmente evoluta come la Svezia, ha prodotto un effetto boomerang che ha portato il Partito Pirata ad ottenere un importantissimo seggio al Parlamento Europeo. Quel voto non era a mio però così inaspettato come Bottoni ritiene: la (civilissima) Svezia ha da parecchio tempo ormai un fortissimo movimento legato alle libertà digitali ed il Partito Pirata ha costituito l’occasione giusta (al momento giusto) per rendere unito e palese questo movimento. Il nocciolo della questione ora (come giustamente sottolinea Bottoni) sarà capire cosa potrà fare il Partito Pirata in Europa (un seggio su 736 è davvero poco per aspettarsi qualcosa di più concreto della “facoltà di parola”) ed in Svezia (dove ricordiamo dovrà essere nuovamente celebrato il processo ThePirateBay).
  2. Il Partito Pirata Italiano. Argomenterò con una frase già più volte ripetuta in svariate discussioni sull’argomento: la scelta di un nome come “Partito Pirata”, conoscendo la natura dei mass-media italiani, è stata a dir poco masochistica (le “simpatiche provocazioni”, nella politica italiana, non esistono).
    Ha sicuramente costretto Bottoni (e non solo lui) a perdere moltissimo tempo nel contrastare critiche infondate piuttosto che discutere delle reali iniziative che si riproponeva di portare avanti. E’ inoltre mancato il coinvolgimento forte della comunità delle libertà digitali, che invece avrebbe potuto contribuire a sostenere maggiormente, rendere organica ed efficace l’azione politica in campagna elettorale, possibilmente garantendo a Bottoni un risultato meno magro del pungo di mosche che ora si trova a far volare.
  3. Sinistra e Libertà. E qui veniamo al sodo: se Bottini afferma di non aver mai seriamente creduto nel progetto elettorale di “Sinistra e Libertà”, perché ha accettato di farne parte? Se poi la conclusione è che per vincere le elezioni ci si deve necessariamente alleare con il PD, perché non contemplare l’ipotesi di un’unica grande alleanza politica italiana, all’insegna dell’opportunità politica? Sono fermamente convinto, ad esempio, che un’alleanza tra Pd e PdL porterebbe ad una vittoria elettorale; Bottoni, è una strada che possiamo considerare di percorrere, secondo Lei?
    Purtroppo il Partito Democratico ha scelto una via per molti versi incompatibile con le posizioni di una parte della sinistra italiana (ed a giudicare dai risultati ottenuti, anche da una larga parte del suo stesso elettorato “dal naso turato”), e paradossalmente la salute della frammentatissima Sinistra rischia oggi di essere migliore di quella del suo “partito di maggior rappresentatività“.
    Condivido il fatto che la democrazia non abbia bisogno di 200 partiti, ben inteso, ma ho già avuto modo di criticare diverse volte il sistema bipolare, che a mio avviso porta ad una inutile (ed idiota) iper semplificazione del panorama politico; vogliamo la semplicità? Cominciamo a considerare allora l’ipotesi di avere un unico enorme pulsantone da premere, per esprimere il proprio voto… non sarebbe più semplice?
    Sulla questione della “sicurezza” (e già il fatto che si usi il termine incongruo usato dalla destra, mi pare chiarificatore), vorrei sottolineare come i valori della Sinistra siano quelli dell’accoglienza e dell’integrazione, che non impediscono (e non devono impedire, naturalmente) il controllo ed il rispetto della legge (in primis da parte degli italiani stessi!): se questa posizione porta ad un calo di voti, non è necessario rivederla, ma comunicarla con più efficacia! O stiamo discutendo di sostenere posizioni più o meno credibili per rastrellare voti?
  4. La sinistra in generale. Assolutamente non condivido. Il suddividere in classi gli “amici” di una fantomatica sinistra italiana, escludendone poi, uno dietro l’altro, i suoi sostenitori non vedo come possa portare ad un ritrovamento della sua identità. Bottoni mi saprà certamente spiegare perché mai non si dovrebbero cercare elettori nei centri sociali, tra i pacifisti o tra gli ambientalisti: forse che diritti civili, pace e rispetto dell’ambiente non sono temi che dovrebbero rientrare tra quelli della sua sinistra ideale? Di cosa si dovrebbe quindi occupare: di contrasto all’immigrazione, rafforzamento delle dogane (vogliamo parlare di dazi?), lotta ai diritti civili? Ho un suggerimento, allora, sulla collocazione sua possibile prossima candidatura: sono sicuro che li troverà condivisione su diversi punti strategici citati in questa analisi…

Ho la brutta impressione che sia proprio di candidati come Bottoni che la Sinistra abbia bisogno di liberarsi, per poter sperare di ritrovare una sua identità, moderna e concreta, dalla quale ripartire per costruire qualcosa di utile… Temo che condividere i punti del programma dei Partito Pirata Italiano (l’ho letto e sostanzialmente lo condivido) non basti per ipotizzare un’azione politica efficace… esattamente per lo stesso motivo per cui il programma del Partito Pirata Svedese (sostanzialmente “aboliamo il copyright”) difficilmente riuscirà a superare il già ottimo risultato ottenuto, se non verrà integrato da una coerente proposta politica globale…

Opinioni a “tiepido” sul voto europeo

riepilogo-elezioniPassata la mattinata a rimuginare e discutere sul risultato elettorale, passo a buttare giù qualche valutazione da condividere con voi in merito ai risultati delle Elezioni Europee (le amministrative sono in fase di spoglio in questo momento e dovrebbero in ogni caso essere lette con un’altra ottica).

Possiamo ricavare alcuni temi chiave, in buona parte interconnessi tra loro, dall’analisi del voto:

  1. La sconfitta dell’ipotesi bipolaristica: dopo le ultime politiche si era da molti fronti gioito della palese vittoria del bipolarismo. Avevo già allora espresso dubbi sulla bontà di quel risultato e pare che il tempo abbia finito con il dare ragione alla mia idea di fondo: la politica non è una cosa semplice e tentare di renderla tale (fornendo solo una scelta tra “bianco” e “nero”) non aiuta neppure quei cerebrolesi degli italiani. Oltre ad esserci un palese problema di rappresentanza delle minoranze (vedere punto 8), il sistema bipolare puro porta a dipendere radicalmente dalle scelte di due interlocutori solamente, riducendo di fatto il potere democratico delle elezioni; se poi uno (o entrambi) i poli finisce con il trovarsi in difficoltà, praticamente si finisce con il mandare in crisi tutto il sistema, soprattutto se è l’opposizione a trovarsi “a piedi”…
    Le elezioni Europee, nonostante l’astensionismo crescente (vedere punto 7), vede ridursi la forza dei partiti principali (vedere punti 2 e 3) e l’avanzare dei partiti “intermedi” (vedere punto 4), incarnazione di posizioni “alternative” a quelle proposte (o non mantenute) dei partiti di maggioranza dei relativi schieramenti.
  2. La bastonata al Partito Democratico: che che ne dica Franceschini, il Partito Democratico perde un 5% secco rispetto alle ultime europee ed un 7% rispetto alle politiche dello scorso anno (nelle quali va detto risultavano anche i Radicali, oggi al 2.4%). Considerando però l’andamento del resto del panorama politico italiano, la disfatta del Partito Democratico appare più consistente, soprattutto alla luce di una superficiale analisi dei flussi elettorali, che sembrerebbero collocare nell’Italia dei Valori e nella Sinistra e Libertà i voti persi (e soprattutto quelli non guadagnati) dal Partito Democratico. A mio avviso si tratta della diretta conseguenza del latitare del partito stesso nel ruolo di opposizione al governo (a sua volta diretta conseguenza delle pesantissime spaccature interne al partito, che ne paralizzano l’iniziativa).
  3. Lo stop al Popolo delle Libertà:  se di “stop” si può parlare, Berlusconi ha di che essere deluso da questo risultato elettorale. Come ogni volta, le scuse più o meno demagogiche non mancheranno: aumento dell’astensionismo (come se si astenessero solo i suoi elettori), il fare tutto da solo, la pioggia, le cavallette, gli alieni. In ogni caso, la compagine di governo perde solamente lo 0.3%, passando alla Lega Nord l’interezza dei voti lasciati sul campo dal Popolo delle Libertà (che perde in valore assoluto un paio di punti percentuale su scala nazionale). La vera sconfitta è che mentre tutta l’Europa sembra “virare a destra”, in Italia questa deriva pare essere limitata: colpa di Travaglio e Grillo, di Franceschini o di Berlusconi, di Palermo o della crisi, di Noemi, di Kaka o delle p**** di Frà Giulio difficile dirlo; probabilmente di tutto un po’.
  4. L’avanzare dei partiti “medi” (IdV e Lega): sull’onda demagogica ed antipolitica, i partiti “di mezzo” recuperano abbondantemente ciò che i partiti maggiori lasciano sul campo. E’ stato il tema delle ultime politiche (che hanno visto l’exploit della Lega Nord soprattutto) ed è il tema centrale di queste europee: particolarmente sconcertante è riscontrare come dal 2004 ad oggi, ad ogni tornata elettorale l’Italia dei Valori abbia sostanzialmente raddoppiato il proprio risultato precedente. In questo frangente, la stragrande maggioranza dei nuovi elettori dell’IdV vengono probabilmente dalla schiera di delusi del Partito Democratico che non trovano al centro (o a sinistra) nulla di altrettanto convincente rispetto ad un Di Pietro che, pur tramite l’abbondante uso di demagogia e sensazionalismo, incarna al momento l’unica opposizione alla compagine di governo in Italia.
  5. La sinistra latitante: il risultato della sinistra (e riguarda sia Sinistra e Libertà che Rifondazione/Comunisti Italiani) è una via di mezzo tra l’ennesima batosta e la magra consolazione; nonostante infatti il risultato di questa tornata elettorale veda raddoppiare nel complesso (unendo cioè ipoteticamente i risultati di Rifondazione/Comunisti Italiani e Sinistra e Libertà) i voti, rispetto al tracollo di un anno fa’, i partiti della sinistra italiana non ottengono neppure un rappresentante in Europa (causa la divisione in due liste e lo sbarramento al 4%). Inoltre, mentre in tutto il resto dell’Europa i partiti ambientalisti sembrano essere oggetto di un crescente interesse (in Francia superano quota 16%, in Germania arrivano al 14%, in Svezia raggiungono da soli il 10%, in Finlandia i due diversi schieramenti verdi raggiungono insieme il 26%), in Italia questa tendenza non trova riscontro: la colpa potrebbe essere trovata nella mancanza di un progetto politico forte in quest’area, nelle continue divisioni e nei frazionamenti che hanno caratterizzato la sinistra italiana. Meno probabile invece mi sembra, a ormai due anni di distanza, un’incidenza della questione Pecoraro Scanio / Napoli, sebbene i riflessi di quella questione (e della guida del partito da parte della fazione di Pecoraro Scanio in particolare) continuino a vedere spezzato il partito, almeno a livello nazionale.
  6. Il risultato dell’estrema destra: la destra estrema italiana continua il trend positivo fatto registrare alle ultime tornate elettorali. Il 2% del 2004 si è trasformato in quest’occasione in un sonante 3,5% (che considera riunite tutte le formazioni di quest’area politica). Parte della ragione potrebbe stare nel tentativo di trovare un’alternativa conservatrice al PdL che non sia la Lega Nord, ma il mio personale timore è che questa sia piuttosto la naturale conseguenza della “politica della paura” messa in atto negli ultimi anni dalla destra di governo, in particolar modo in riferimento alle tematiche legate all’immigrazione (o “sicurezza”, come la chiamano).
  7. L’avanzare dell’astensionismo. Uno dei dati più eclatanti, in ogni caso, di queste elezioni europee è indubbiamente il crescere dell’astensionismo. Le ragioni sono molte, a cominciare dal fatto che in molti paesi non si votava per provincia e comune, riducendo l’interesse di questa tornata elettorale. D’altra parte va constatato come il tema dell’Europa sia stato lasciato piuttosto in disparte dalla campagna elettorale, che si è concentrata su temi ben più futili (Noemi su tutti), ad ennesima dimostrazione della mancanza di professionalità ed idee dell’attuale classe politica. L’impressione è che gli italiani non capiscano (e conoscano) l’incidenza delle scelte dell”Unione Europea nella nostra vita quotidiana, e vivano questa dimensione come una sorta di questione “di palazzo”, complice anche la tendenza della nostra classe politica ad attribuirsi la paternità delle azioni legislative imposte dall’Unione Europea che riscuotono successo nell’opinione pubblica (vedi alla voce “Patente a punti”).
  8. Il problema della rappresentanza delle minoranze: con lo sbarramento al 3%, in occasione delle ultime elezioni politiche, aveva tagliato fuori dalla rappresentanza politica l’11% circa degli elettori italiani. La situazione si è ulteriormente aggravata in occasione di queste elezioni, che vedono quasi il 15% degli italiani non avere un rappresentante al Parlamento Europeo. Lo sbarramento al 4% infatti (voluto dai partiti di maggioranza, gli unici rappresentati in parlamento per altro) ha mietuto vittime importanti, sia a sinistra che a destra. Se la democrazia rappresentativa deve essere reale, non si può tagliare fuori un sesto della popolazione nazionale…

Ciò detto, spazio ai commenti. Di spunti ce ne sono parecchi credo… 🙂

Senza più alcun ritegno

A prendere per il culo gli Italiani, sembrano averci preso gusto (non serve neppure mettere un soggetto alla frase, tanto è scontato). Al punto che ormai si rasenta la più pura beffa (anche se gli italiani, tra il terremoto e la paura degli “extranegri”, sembrano in catalessi).

L’ultima, ma solo cronologicamente, è quella dell’Election Day: la proposta (avanzata dall’opposizione già diversi mesi fa) è quella di evitare di sperperare inutilmente denaro pubblico e cogliere l’occasione delle Elezioni Europee ed Amministrative del 6 e 7 giugno per tenere anche il referendum sulla legge elettorale. Secondo alcuni calcoli questo porterebbe a risparmiare ben 400 milioni di euro, secondo altri sono “solo” 300: poco importa per altro, anche solo 1 euro di denaro pubblico che si può risparmiare è un euro delle mie tasse che può essere speso meglio.
Il fatto che se ne renda conto persino il presidente della Camera Gianfranco Fini (che ultimamente va la voce laico-comunista della compagine governativa), la dice lunga su quanto trasversale e “di buon senso” sia la proposta.

Per altro politicamente avrebbe potuto essere giocata ad enorme vantaggio del nostro caro Silvio Berlusconi, che dopo essere andato a farsi fotografare con le maniche rimboccate a L’Aquila, oppure con caschetto ed aria mistica ad abbracciare anziane terremotate, avrebbe potuto destinare i milioni risparmiati alla ricostruzione dell’Abruzzo e far poi passare il tutto come l’ennesimo atto di magnanimità del governo verso la popolazione abruzzese tragicamente provata (tanto chi mai avrebbe fatto notare che lo si era già detto più e più volte anche prima che il terremoto fornisse una reale destinazione ai soldi risparmiati).

Invece la Lega ha paura che il referendum elettorale non sia adeguatamente boicottato (chi pensate che andrà a votare per un referendum elettorale il 21 giugno, dopo essere già stati alle urne il 6 e 7?) se dovesse capitare in concomitanza con delle elezioni Amministrative (i piccoli comuni sono la vera forza della Lega Nord) e delle Europee (dove invece si gioca una delle battaglie campali di Berlusconi). Quindi riunione al vertice, appoggio incondizionato (immagino) sulle prossime votazioni in parlamento e scelta di non cambiare nulla, lasciando i tre appuntamenti: Europee ed Amministrative il 6 e 7 giugno, referendum elettorale il 21 giugno e poi il ballottaggio. “Se proprio si vuole risparmiare” – dice Gasparri – “si può fare il ballottaggio delle amministrative il 21 insieme al referendum”: certo, tanto a dover andare al ballottaggio saranno quei tre o quattro comuni sfigati che non rischiano di portare al quorum il referendum elettorale. Inutile dire che per la stragrande maggioranza degli italiani (quella che in gergo tecnico viene chiamata “gelatina” o “massa decerebrata”) tutto questo è un discorso eccessivamente complicato da comprendere, per cui si limiteranno ad andare al mare tutto il mese di giugno (alternativamente possono chiedere un’edizione straordinaria de “Il Grande Fratello”, magari ambientato alle urne).

Ma la ciliegina sulla torta, la beffa, è la mossa di Cicchitto, che afferma con convinzione che sulla scelta tra il 14 ed il 21 sarà consultata l’opposizione: ah,la democrazia!
Pare che verrà consentito anche di decidere se morire con il cianuro o con l’arsenico…

Terremoto Sardegna

Pd Alghero via Flickr

"Pd Alghero" via Flickr

Il giorno dopo, eccoci qua a commentare; lo sapevamo, ce la aspettavamo, è arrivata: la scoppola rimediata da Soru (e da tutto il Pd) alle regionali sarde è l’ennesima conferma che l’elettorato non gradisce (o non comprende, poco via) l’impostazione politica dell’opposizione.
Ora naturalmente scatta il terremoto: Veltroni rimette il mandato, critiche a non finire, polemiche, accuse e recriminazioni. Polemiche sterili, visto che la situazione del Partito Democratico è sotto gli occhi di tutto da un pezzo: un partito profondamente diviso, con fazioni che cambiano di composizione a seconda degli argomenti da affrontare (etica, collocamento politico in Europa, scelte politiche strategiche).

Un partito immobile, inerme ed imbelle, che non contrasta (non, neppure “inefficacemente”) una maggioranza sempre più audace (al punto da arrivare allo “scontro istituzionale” con il Capo dello Stato). Un partito per il quale si ptrebbe cominciare ad usare pertinentemente la locuzione “accanimento terapeutico”.
All’orizzonte (cupo), le elezioni europee di giugno, in nome della cui “proposta politica unitaria” si è rimandato ad ottobre il Congresso del partito (occasione che avrebbe probabilmente consentito di fare chiarezza sullo stato di salute del Pd al limite dichiarandolo “clinicamente morto”), oggi più che mai necessario: le divisioni e le spaccature interne al partito, acuite da questa ennesima sconfitta, avrebbero forse potuto essere arginate e rimarginate con un atteggiamento più responsabile ed una terapia di lungo corso; l’attesa delle elezioni europee ed il risultato che ci possiamo aspettare (piuttosto magro, visto l’andazzo) potrebbero non lasciare via di scampo all’unità del Partito…

Lodevole il gesto di Soru, che a giochi ormai fatti ha dichiarato che “il suo futuro è nel Partito Democratico”. Il dubbio che rimane è se il Partito Democratico sarà qui ancora a lungo per darglielo, un futuro…

Domenica sera non prendete impegni

20070701 - TvReport è una delle trasmissioni più apprezzate del nostro panorama televisivo. Una delle poche trasmissioni, per altro, che ingenerano reazioni nella popolazione (basta vedere quanto accaduto in seguito al servizio sull’ecologia e quello dai discutibili contenuti legato al WiFi).

Detto questo, l’anticipazione della puntata di domenica prossima, che come al solito è stata lanciata sui titoli di coda della puntata di ieri, è particolarmente ghiotta: come si vincono le elezioni? Un viaggio nel mondo della “creazione del consenso”, tramite la scelta di temi, modi e luoghi, anche grazie all’uso della televisione.

La puntata raccoglierà con tutta probabilità una serie di nozioni che sono assolutamente fondamentali per il recupero della democrazia nell’era della rivoluzione mediatica.

Non prendete impegni per domenica: ore 21:00 su Rai Tre, c’è Report.