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Di libri ed eBook

Libro catena

rosefirerising via Flickr

Vorrei tornare sulla questione degli eBook, di cui ho già parlato qualche tempo addietro. In particolare vorrei esprimere qualche considerazione sul modello promozionale attualmente adottato dalle case editoriali che offrono i libri elettronici tra i loro prodotti.
Molti paragonano (a ragion veduta) gli eBook agli mp3: infatti la riduzione del volume (in primis) a parità di qualità “utile” rendono questi due prodotti dell’evoluzione tecnologica piuttosto simili; due lievissimi dettagli li differenziano: il prezzo e la possibilità di “generarli” comodamente.

La questione del prezzo è un fattore sicuramente primario nel processo di affermazione del prodotto, ed è attualmente piuttosto uniforme in tutto il mondo, da Amazon alle piccole case editrici italiane: il prezzo di un ebook non si discosta in modo significativo dal prezzo del libro. Vi faccio un esempio concreto: attualmente l’ebook di “La Caduta dei Giganti” di Ken Follet (un autore a caso tra quelli conosciuti) costa 15,99€, con un risparmio di meno di 2 euro rispetto alla versione stampata.
A queste condizioni economiche perché dovrei acquistare l’ebook, considerando oltretutto che dovrò dotarmi di un’apposita device (dal prezzo non trascurabile, solitamente di almeno 200 euro) per poterlo leggere comodamente in mobilità (la vera “novità” degli ebook)?

C’è poi la questione della generazione del materiale digitale a partire dal materiale fisico già posseduto; se possiedo un CD originale, nessuno (nessuno!) mi vieta di generarne una versione digitale da utilizzare con il mio lettore mp3. Si tratta di un processo piuttosto banale, gratuito e dal risultato qualitativamente accettabile, che taglia letteralmente fuori dal mercato del “trasferimento digitale” le case discografiche.
Con gli ebook questo processo è indubbiamente più complesso e rischia di avere un risultato molto più scadente. Ecco però che le case editrici potrebbero allora volgere questa difficoltà a loro vantaggio: se io possiedo la copia cartacea del libro non sono certo invogliato ad acquistarne la versione digitale a prezzo pieno, ma sarei magari disposto a spendere qualche euro (3, 4?) che sarebbe praticamente tutto guadagno della casa editrice.
Invece al momento la grande iniziativa di marketing si limita al consentire la vendita del formato digitale allo stesso prezzo del libro, “castrando” un mercato potenzialmente interessante ed in espansione.

E non è da sottovalutare la questione del DRM: la battaglia per impedire la copia e la diffusione degli mp3 è stata persa (dalle major discografiche), dopo una battaglia violenta e sanguinosa, quando finalmente si è accettato di ridurre i propri guadagni per rendere poco conveniente la copia degli mp3 rispetto all’acquisto del brano singolo (ormai standardizzato intorno all’euro circa). Quanto ci vorrà perché questo accada anche con gli ebook? Per quanto tempo non saremo in grado di trasferire un ebook da una device all’altra o peggio, da un software all’altro?

La miopia indotta dal denaro è notevole, e questa sarà l’ennesima occasione per dimostrarlo. Ed a pagarne le conseguenze saranno, come al solito, i consumatori…

Appunti sulla lettura

maury.mccown via Flickr

E’ talmente tanto tempo che non scrivo su questo blog che ho il dubbio di non ricordarmi nemmeno più come si fa’. L’occasione però è ghiotta e viene da una interessante puntata di una nota trasmissione di Radio24 dedicata ai libri. In particolare, riflettendo sul tema della lettura, ci sono tre argomenti chiave che sono stati trattati e sui quali mi piacerebbe condividere con voi qualche considerazione:

  • L’imposizione della lettura: chi più chi meno durante il nostro periodo scolastico, siamo stati invogliati alla lettura. Spesso ciò significa banalmente imporre la lettura di un libro (in genere un classico della letteratura) a tutta la classe, per poi leggerne alcune parti durante le lezioni, facendo analisi e commenti sul testo e sulla situazione socio-economo-politica descritta nel romanzo. In questo modo, durante i lunghi anni della mia infanzia, si è riusciti a farmi odiare libri nobili come “I promessi sposi”, o “La divina commedia”: giuro, ho un ricordo pessimo di questi libri, nessuna voglia di rileggerli, poche nozioni in croce di ciò che riguarda trama, personaggi, contenuti notevoli. I libri di cui serbo invece ricordo migliore sono quelli che risalgono all’epoca della fine delle medie, quando un avveduto professore aveva preso l’abitudine di costringerci a leggere, ma senza imporre il titolo: si poteva scegliere un libro a piacere, lo si leggeva e si presentava alla classe un (breve) riassunto della trama, correlato ad una (altrettanto breve) ricerca sui riferimenti sociali, politici ed economici di quanto raccontato, mentre il professore poteva fare domande durante la presentazione e cogliere spunti per approfondire alcuni argomenti piuttosto che altri. Terminato il tutto, si ripartiva da capo, con un nuovo libro (del quale bastava comunicare il titolo, e sulla base del numero di pagine veniva stabilita una data di massima per la presentazione dei risultati della lettura).
    Come si può d’altra parte pensare di far apprezzare ai giovani (e non solo) la lettura, quando si rende il loro approccio ai libri un’imposizione? I libri sono fantasia, sono libertà d’immaginazione, sono un viaggio in territori sconosciuti della mente, della storia, della geografia… E’ più importante una diffusa “conoscenza” della Divina Commedia oppure una diffusa abitudine alla lettura che accompagnerà gli studenti per tutta la vita?
  • Come leggere? Altro argomento chiave, riguarda l’evoluzione dei metodi di vendita e utilizzo dei libri: negli ultimi dieci anni si è cercato a più riprese di lanciare il fenomeno degli eBook. Si è visto un proliferare di formati, device, idee più disparate, va detto generalmente con scarso successo per altrettanti e variegati motivi. Ancora oggi, nonostante la forte pressione esercitata da Amazon e Apple (con Kindle, iPad ed iPhone vari), il fenomeno degli eBook non è realmente decollato, soprattutto non in Italia, dove le case editrici stentano a comprendere quali vantaggi possa portare l’adozione dei formati digitali nella vendita e nella fruizione di libri. Ma in effetti, quali sono i motivi che dovrebbero spingerci a leggere libri in formato digitale anziché nel classico ed amato formato cartaceo?
    1. In primis viene generalmente citato il fattore economico: l’eliminazione della stampa fisica infatti riduce i costi fissi legati alla distribuzione sia essa intesa come creazione del supporto (stampa) sia come trasferimento dello stesso dalla “fabbrica” alla libreria (o biblioteca) di destinazione, che è effettivamente la parte più onerosa del processo. Il prezzo dei libri potrebbe così calare dagli attuali 10-20 euro a libro a 2-5 euro a libro senza intaccare sensibilmente il ritorno economico dell’editore (taglierebbe eccome invece i guadagni di tutti gli intermediari della catena). Mi chiedo ogni volta se si tratti effettivamente di una motivazione reale: gli italiani acquisterebbero davvero più libro se costassero meno? Se si, perché non si fa man bassa allora dei libri usati e/o in ristampa economica, i cui prezzi sono grossomodo allineati a quelli che abbiamo citato?
    2. Altro argomento chiave è la quantità dei libri disponibili: riduzione dei costi di stampa significa aumentare i libri distribuibili, in quanto non ci sarebbero più quantità minime di copie da stampare e da inviare alle librerie. Questo potrebbe spingere gli editori a pubblicare molti libri anche interessanti e che al momento vengono scartati in quanto anti-economici o “troppo di nicchia” per vedere un riscontro effettivo sul mercato. Con il passaggio al digitale e l’azzeramento dei costi di duplicazione, vedremmo crescere esponenzialmente il numero di libri a disposizione per la vendita. Considerando che già oggi, nella sola Italia ci sono più autori che lettori, che senso avrebbe tutto ciò? Ci sarà ancora più confusione di quella che già attualmente vediamo e questo certo non gioverebbe alla qualità media di ciò che si vede pubblicato (già adeguatamente scarsa per quanto mi riguarda). Ci troveremmo grossomodo nella condizione in cui si trova chi vuole cercare informazioni in internet: come fare a destreggiarsi nell’immensa mole di dati a disposizione senza utilizzare un buon motore di ricerca? Che garanzie potremo avere da parte di questa o quella casa editrice, come distingueremo prima dell’acquisto un buon libro da uno scadente?
    3. Certo, ci sarebbero le migliorie tecnologiche: i libri digitali possono consentire di prendere appunti senza rovinarli, esportare e condividere gli appunti stessi tra più lettori, possono vedere l’inserimento di contenuti aggiuntivi (audio e video, ma non solo) ed approfondimenti a richiesta del lettore (sto pensando a quanto più semplice sarebbe la gestione e la fruizione delle note a piè di pagina), ci sarebbe la non trascurabile possibilità di aggiornare i contenuti del libro, correggendo errori di digitazione, o per i libri “da consultazione”, i contenuti stessi. Ci sono ovviamente i vantaggi in termini di dimensione: potremmo portarci dietro, nello spazio di un libro cartaceo, intere biblioteche, con tutti i vantaggi che possono derivarne (io poi continuerei a leggere un libro alla volta, ma poco importa), così come potremmo acquistare libri ovunque ci troviamo (grazie alle reti di comunicazione senza fili come l’UMTS o il WiFi), scaricandoli direttamente sui dispositivi portatili che abbiamo acquistato (e questo porterebbe forse una ventata di freschezza nel languente settore delle “vendite”). Non dobbiamo dimenticare la questione dell’accessibilità: libri digitali significa compatibilità possibile con dispositivi che ne facilitino la fruizione da parte di persone diversamente abili: un libro digitale si può facilmente ascoltare, o leggere attraverso uno schermo braille, senza per questo comportare alcuna modifica al formato originale.
      Per contro, le device attualmente in commercio, per quanto decisamente migliori e più economiche di quelle delle generazioni passate (le batterie cominciano ad avere durate accettabili e la tecnologia degli schermi tattili rende tutto molto più semplice), restano ben lontane dalla fruibilità fisica di un libro cartaceo: insomma, non è la stessa cosa leggere su uno schermo LCD (meglio quelli e-Ink, ma ancora non ci siamo) rispetto ad un foglio di carta, mentre vincoli di marketing ed alcuni accordi commerciali rendono difficile la rapida messa in opera di molti di quei vantaggi di cui andavo farneticando poco fa.
  • Infine, ma non in ordine di importanza, c’è la questione più importante, la domanda che troppo spesso mi viene posta quando si parla di lettura, soprattutto in Italia: “ma perché leggere?“. Anche qui, le risposte sono molte (moltissime) e spesso del tutto personali, ma cercherò di sintetizzarne le tre principali che mi viene in mente:
    1. L’apprendimento: leggere migliora il proprio lessico, la propria padronanza della lingua italiana, l’uso che facciamo di certi concetti e di certi passaggi logici. Leggere aiuta a praticare certi meccanismi linguistici che poi ci scopriremo ad utilizzare in contesti anche molto diversi. Considerando quella che è la conoscenza media della lingua italiana da parte dei nostri concittadini (che rasenta l’analfabetismo, purtroppo), non è un argomento da sottovalutare.
    2. L’arricchimento in termini di emozioni ed esperienze: leggere significa viaggiare, accompagnati dall’autore, in luoghi sconosciuti della mente e della realtà. Significa fare esperienze nuove, vivendole tramite gli occhi dei protagonisti o dell’autore. Significa percorrere sentieri logici e della conoscenza (penso ai saggi) che ci arricchiscono, formano e deformano la nostra mente, il nostro modo di ragionare, il modo stesso in cui conduciamo, analizziamo la vita. Perché negarsi un tale patrimonio?
    3. La fantasia: un libro è un po’ come un film, ma senza i vincoli legati alle immagini, all’audio. Leggere ci permette di farci guidare si dall’autore del libro, ma ci lascia una notevole libertà di interpretazione, di immaginazione (lo dimostra il fatto che lo stesso libro può presentare recensioni anche molto diverse le une dalle altre). Se pensiamo al mondo sempre più grigio e monotono nel quale viviamo

Gianni Biondillo – Nel nome del Padre

Nel nome del padre

E’ un bel pezzo che non scrivo recensioni di libri sul blog: un po’ perché il tempo per la lettura ultimamente è stato sacrificato rispetto ad altri impegni (siamo passati dalle oltre 10.000 pagine lette del 2007 alle poco più di 4000 del 2008, alle nemmeno 3300 del 2009), un po’ perché l’attività di pubblicazione sul blog si è concentrata su altre tematiche. Colgo però l’occasione di un libro da “cinque stelle” del “solito” Gianni Biondillo, “Nel nome del padre” per tornare a dare suggerimenti sulle Vostre letture.

Nel nome del padre” è l’ultimo romanzo in ordine cronologico (settembre 2009, sempre da Guanda) di Gianni Biondillo; a differenza delle prime opere di Biondillo e nel pieno rispetto dell’impostazione stilistica che questo autore sta dando ai suoi romanzi, questo volume va ad incastonarsi nel mosaico dei vari personaggi che gravitano attorno al personaggio dei primi romanzi dell’autore, l’ispettore Michele Ferraro, che in questo volume è relegato ad un ruolo secondario, quasi di comparsa. La dimostrazione che un autore di successo non può essere succube dei personaggi che gli hanno regalato la notorietà, ma anzi deve avere il coraggio di cambiare, reinventarsi: altri autori di ben più ampia popolarità ci hanno provato senza successo, a sottolineare la bravura dell’autore milanese.
Il tema affrontato dal romanzo è delicato: in un susseguirsi di colpi di scena, con un tratto da esperto autore di noir come è Biondillo, veniamo guidati nelle difficoltà quotidiane, nella solitudine, nei dubbi e nelle incertezze di un padre “non affidatario”, tra visite alla figlia negate, difficoltà economiche, il tentativo di rifarsi una vita (ed una famiglia), di riprendere a vivere. Anche quando tutto sembra concludersi, Biondillo non ci risparmia altri colpi di scena, che trascinano il lettore dalla prima all’ultima pagina in un soffio.

Sicuramente un libro che mi sento di consigliare a quanti hanno voglia di una lettura facile e coinvolgente, così come a coloro che volessero “assaggiare” qualcosa di questo autore.

Voto su Anobii.com: 5/5 (Bellissimo)
Recensione su Anobii.com:

La dimostrazione che un autore di successo non è succube del proprio personaggio: in questo libro Biondillo si slega dal solito Michele Ferraro (c’è, ma è poco più di una comparsa) senza per questo perdere di efficacia.
Un altro libro che va ad incastonarsi in un mosaico di rimandi e riferimenti con gli altri volumi dello stesso autore.
Ho letteralmente divorato questo libro: letto dalla prima all’ultima pagina tutto d’un fiato, senza interruzioni.

aNobii.com out of beta!

Books E’ appena arrivata la notizia che aNobii.com, il social network di condivisione di libri più usato in Italia, esce ufficialmente dalla “beta” dopo aver raggiunto oltre 7.000.000 di libri. Si tratta di un passo importante (anche se non propriamente epocale, come si può facilmente dedurre dal post sul blog degli sviluppatori).

Sarebbe bello vedere aNobii.com sempre maggiormente integrato tra gli altri strumenti di social network, su tutti FriendFeed, che nonostante le numerose e ripetute richieste, non lo ha ancora aggiunto tra le fonti ufficiali (è vero che si può usare un classico feed rss, però…): gli sviluppatori infatti continuano ad affermare che stanno lavorando ad un supporto più ampio, customizzabile, da offrire gli utenti affinché ognuno possa aggregare le proprie fonti a prescindere dal supporto che FriendFeed offre.

Vedremo, nel frattempo… beh, scegliete uno di quei 7.000.000 di libri e buon viaggio 🙂

IKEA – O. Bailly, J.M. Caudron, D. Lambert

Immagine di Ikea

Per i miei standard, questo libro è stato acquistato e letto piuttosto in fretta: complice il volume piuttosto ridotto (125 pagine) è stato “selezionato per la lettura” e terminato in meno di 2 mesi (di cui 10 giorni netti per la lettura).

Catalogare questo libro è forse la parte più complessa dello scrivere questa recensione: per semplificare potremmo dire che è un libro di denuncia, perché cerca di portare all’attenzione del grande pubblico alcuni comportamenti ed anomalie del “colosso IKEA” che pur non essendo nuove di per sé, sembrano non essere state recepite e raccolte dalla clientela del gigante svedese, che continua a ritenerla un’impresa “verde, trasparente ed etica”. Tutto questo senza necessariamente dover dire “male” di IKEA in sé (anzi, onestamente l’azienda di Ingvar Kamprad ne esce piuttosto bene), ma dividendo la propaganda commerciale che ogni azienda fà (e quindi anche quella in oggetto) e la verità dei fatti, che gli autori del libro (membri di una ONG belga, “Oxfam-Magasins du monde“) sono andati a controllare sul campo (ove possibile) o hanno commissionato ad altre organizzazioni presenti sui territori. E’ così che scopriamo che nonostante IKEA chieda ai suoi fornitori il rispetto di un codice etico e procedurale (IWAY), questo è troppo largamente dimenticato, soprattutto in certi frangenti, quando “gli occhi del cliente” non sono puntati loro contro; oppure che IKEA è un’azienda tutt’altro che trasparente, al punto da impedire ai suoi dipendenti di rilasciare dichiarazioni alla stampa, o al punto da non sapere (probabilmente nemmeno in IKEA) quale sia l’assetto societario del colosso scandinavo, che nonostante questo muove un giro d’affari che supera i 15 miliardi di euro (nel 2005); o ancora che il principale concorrente di IKEA, Habitat, è in realtà una sua controllata.

Questo libro propone prima di tutto una profonda riflessione sulla nostra società, che prenda in considerazione anche quegli aspetti che forse ci passano meno sotto gli occhi (condizioni di lavoro nel terzo mondo, conseguenze dei prezzi stracciati, omologazione culturale), che valuti le conseguenze, sull’ambiente e sulla società, dei nostri acquisti e dei modelli di comportamento che adottiamo (siete mai usciti a mani vuote dall’IKEA?).

Un libro indubbiamente interessante, che non vi farà passare (non temete) la voglia di andare a mangiare polpette svedesi tra mobili smontabili e ornamenti gialli e blu, ma che vi farà riflettere sul modello culturale e sociale che IKEA propone, forse facendovi consumare in modo più responsabile.

Commento su Anobii.com:

Questo veloce pamphlet propone un’analisi piuttosto ampia sia di IKEA in quanto azienda, sia (soprattutto) del modello sociale, economico e culturale che ci propone, delle conseguenze che questo modello ha sul mondo e sull’ambiente. Un libro che non attacca futilmente IKEA (che anzi, esce piuttosto bene da questa indagine), ma ne mette in risalto alcuni aspetti (a volte comprensibili, altre meno) che potremmo contribuire attivamente a cambiare.

Donald A. Norman – La caffettiera del masochista

Immagine di La caffettiera del masochista

Il secondo libro delle mie vacanze estive (dopo quello di Michal Zalewski) è anche il secondo libro segnalatomi da un professore del Politecnico di Milano (il primo fù Segmenti e Bastoncini, di Lucio Russo): si tratta di un libro a metà tra la psicologia ed il design, un libro che cerca di esplorare l’interazione della mente umana (e dei suoi limiti) con gli oggetti di tutti i giorni, dalle porte, alle autoradio, ai videoregistratori.

Quante volte vi è capitato di sentirvi stupidi perché incapaci di usare un oggetto apparentemente banale da usare? O perché continuate ostinatamente a non capire se una porta vada tirata o spinta? Beh, probabilmente ad essere stupidi non siete voi, ma il designer che ha realizzato quell’oggetto.

A tratti un po’ pesante per via del linguaggio che si fà un pochino più tecnico, o di qualche concetto un po’ meno immediato da capire, nel suo insieme questo libro è decisamente semplice ed abbordabile anche a coloro che sono a digiuno di psicologia. Va dato merito a Norman di trattare l’argomento con una semplicità e una schiettezza davvero impagabili.

Commento su Anobii.com:

Un libro che cambierà il vostro modo di guardare gli oggetti che vi stanno davanti, rivalutando quelli semplicemente pensati, progettati e disegnati male, a volte anche peggio.

Michal Zalewski – Il rumore dell’hacking

Immagine di Il rumore dell'hacking
Il più grande errore che un informatico di professione possa commettere, è ritenere (ad un certo punto) di aver capito qualcosa della materia della quale si occupa; ci si fossilizza su alcune idee, si cominciano a trattare sempre le stesse tipologie di problemi e via dicendo, correndo verso quel baratro di noia che è la routine. E’ tanto più facile incorrere in questo errore, tanto più approfondite sono le competenze che si possono vantare e l’umiltà di continuare a cercare in giro, in mezzo alla montagna di argomenti “obsoleti” o “già noti” alla ricerca di qualcosa di nuovo ed interessante, a volte scoraggia, lo ammetto.

Poi capita che un amico ti segnali (e ti presti) un libro del cui autore non conosci neppure il nome (e in realtà scoprirai che è solo la maledetta abitudine acara di usare il nickname) e ti capita che questo libro di faccia accendere tante di quelle lampadine nella mente, a rischiarare il buio che il tempo ci ha portato, che puoi solo sperare di non dover pagare la bolletta all’Enel.

Michal Zalewski è uno dei mostri sacri del fingerprinting, un “white hat” estremamente giovane (è dell’81, in Polonia) eppure già oggetti di stima ed ammirazione. In questo libro, Zalewski mette banalmente a disposizione del lettore parte della sua conoscenza, conducendolo per mano nel mondo del fingerprinting passivo (ed attivo), tra cose stupefacenti ed incredibili eppure ogni volta giungendo a dimostrarne la fattibilità.

Un libro assolutamente consigliato a tutti coloro che si occupano di informatica, di sicurezza e di telecomunicazioni e che non lo annoverino già nella propria biblioteca.

Commento su Anobii.com:

In questo libro, il giovane polacco, mostro sacro del fingerprinting, Michal Zalewski mette banalmente a disposizione del lettore parte della sua conoscenza, conducendolo per mano nel mondo del fingerprinting, tra cose stupefacenti ed incredibili eppure ogni volta giungendo a dimostrarne la fattibilità.
Un libro assolutamente consigliato a tutti coloro che si occupano di informatica, di sicurezza e di telecomunicazioni e che non lo annoverino già nella propria biblioteca.

Alberto Angela – Roma

Immagine di Una giornata nell'antica RomaHo terminato di leggere “Roma”, di Alberto Angela, già una decina di giorni fà. La mancanza di tempo che ha trascinato questa breve recensione fino al 5 luglio è la stessa che ne ha prolungato il periodo di lettura ben oltre le previsioni, portandolo addirittura oltre il mese (che per 240 pagine è davvero tanto).

Il libro in sé non è male: Alberto Angela, da buon divulgatore, ci guida con coinvolgimento lungo una giornata nell’antica Roma, spiegandone aspetti poco noti ed angoli misteriosi. Il metodo è originale ed interessante, il risultato forse a tratti più “pesante” dell’auspicabile, alle volte un po’ troppo “ispirato” al mondo della televisione. Tutto sommato accettabile e ben digeribile, anche se non condivido completamente alcuni commenti entusiastici lasciati su Anobii.com.

Un libro consigliato per “spezzare”, magari, tra un “La Casta” ed un “Shock Economy”, cercando rifugio in un passato lontano ma (scopriremo) alle volte molto più vicino di quanto immaginiamo…

Commento su Anobii.com:

Alberto Angela, da buon divulgatore, ci guida con coinvolgimento lungo una giornata nell’antica Roma, spiegandone aspetti poco noti ed angoli misteriosi. Il metodo è originale ed interessante, il risultato forse a tratti più “pesante” dell’auspicabile, ma tutto sommato accettabile e ben digeribile.

Mauro Paissan – Il mondo di Sergio

Immagine di Il mondo di SergioQualche settimana fà, durante una delle puntate di “Che tempo che fà”, venne intervistato Mauro Paissan (giornalista e deputato per tre legislature, ha fatto parte della commissione di vigilanza Rai ed è componente, dal 2001, del Garante per la Privacy), che presentava il suo ultimo libro, “Il mondo di Sergio”. Il semplice fatto che fosse introdotto da Stefano Rodotà mi spinse a comprarlo, ed oggi, finito di leggere in un paio di settimane, sono qui a commentarlo.

“Il mondo di Sergio” è un libro al contempo “soffice” e angosciante. E’ soffice nei toni, nella pacatezza con cui Paissan racconta le vicende di Salvatore, Elvira e Sergio Piscitello: niente urla, niente strepiti, solo impressioni, fatti, vita comune, dolore. E’ angosciante, invece, nei contenuti: una famiglia lasciata sola di fronte ad un problema più grande dell’immaginabile, lasciata sola per 39 anni dalle istituzioni, dalla medicina, dalla scienza, dallo Stato, a combattere quotidianamente con il dolore.

Sergio è un ragazzo autistico. Nasce quando l’autismo non è ancora conosciuto approfonditamente, e la diagnosi tardiva porterà non pochi problemi, nel seguito della sua storia. Sergio è un ragazzo autistico e violento, le sue aggressioni ai genitori diventano piuttosto presto un fatto quotidiano, quasi ineluttabile. Sergio è un ragazzo capace di amore ed affetto, al contempo amato e seguito dai genitori, che alternano persino il lavoro (una la mattina, uno il pomeriggio) per poter accudire un figlio tanto sfortunato. Alla soglia dei 40 anni, Sergio viene ucciso dal padre, in un estremo atto d’amore, quando diviene chiaro e lampante il problema del “dopo di noi”, che affligge senza soluzioni le famiglie dei portarori di handicap così gravi. Il libro ci narra la vita quotidiana della famiglia Piscitello, i tentativi di trovare aiuto, soluzioni, cure, la solitudine in cui vengono costantemente rigettati da chi dovrebbe dare loro assistenza. Una storia che non è unica nel suo genere, ma coinvolge tante famiglie che, nel silenzio, trascinano il loro profondo ed angosciante dolore.

Questo libro vuole aprirci gli occhi sul mondo dell’handicap (prima ancora che su quello dell’autismo) e ci mostra come la nostra società sia ancora profondamente inadeguata, come la Giustizia non sia pronta a comprendere, come la medicina non sia pronta ad aiutare. Il dibattito politico su questi argomenti (che sfociano poi anche nell’eutanasia, se vogliamo) è spesso sterile, visto e gestito da “non coinvolti”, che spendono parole e tempo mentre dall’altra parte della barricata c’è gente che soffre.
Lo fa con toni pacati, senza dare giudizi e senza pretesa di convincere; è un modo di raccontare a cui non siamo più abituati, e che dovremmo forse ritrovare anche nel quotidiano.

Commento su Anobii.com:

Questo libro vuole aprirci gli occhi sul mondo dell’handicap (prima ancora che su quello dell’autismo) e ci mostra come la nostra società sia ancora profondamente inadeguata, come la Giustizia non sia pronta a comprendere, come la medicina non sia pronta ad aiutare. Il dibattito politico su questi argomenti (che sfociano poi anche nell’eutanasia, se vogliamo) è spesso sterile, visto e gestito da “non coinvolti”, che spendono parole e tempo mentre dall’altra parte della barricata c’è gente che soffre.

Una (lunga) domenica alla Fiera del Libro

Fiera Internazionale del Libro 2008 Portare il sottoscritto in una libreria è come accompagnare un bambino al negozio di caramelle. Se poi vado alla Fiera del Libro e per di più da solo, senza alcun controllo, le cose rischiano di mettersi davvero male. In realtà sono riuscito a contenere le pulsioni più basse e mi sono limitato ad acquistare 4 libri per me e uno per Laura.

Ma procediamo per ordine, cominciando dalla Fiera in sé: come era prevedibile, l’interesse medio per un visitatore “non del settore”, per quel che riguarda gli espositori, è praticamente nullo. Gli espositori sono quasi esclusivamente editori, molti dei quali piccoli e/o di nicchia, alcuni dei quali intenzionati a vendere libri in grande quantità (soprattutto gli espositori più grandi). Non è dissimile, per intenderci, dal recarsi in libreria, con la differenza che alla Fiera del Libro ci si trova immersi in una folla vociante dieci volte superiore a quella a cui siamo esposti andando quotidianamente in libreria. Insomma, roba che non fa per me.
La nota positiva, sotto questo profilo, è indubbiamente la quantità di gente presente in Fiera: davvero considerevole. Soprattutto ho notato la presenza di molti, moltissimi giovani, alle volte presenti anche agli incontri con gli autori. Un segnale positivo, in netta controtendenza rispetto a quello che da tempo si va dicendo sul mondo dei libri, e sul quale bisognerebbe probabilmente indagare più a fondo: che siano stati solo ed esclusivamente ragazzi portati “a spasso” dalle famiglie? La Fiera Internazionale del Libro è certamente una forma di spettacolarizzazione del mercato del libro, un evento che attrae (tra gli altri) migliaia di persone interessante poco o nulla all’argomento centrale dell’esposizione, quanto dalla “mondanità” dell’evento: una sorta di Smau della scrittura. Fiera Internazionale del Libro 2008Il problema è, come al solito, discernere le varie componenti della ressa presente: nelle sale, durante gli incontri con gli scrittori (gratuiti), raramente ho visto gente distratta o intenta a fare altro che non seguire l’intervento dell’autore, il che potrebbe individuare, nel pubblico di questi incontri, quella componente colta e/o interessata di cui sopra. A questo punto la cifra: agli incontri non erano mai presenti più di 500 persone, nonostante le sale (in particolare quella gialla) ne potessero contenere decisamente di più: se paragoniamo questo valore alle migliaia di persone che ho visto entrare in Fiera, direi che si torna abbondantemente all’interno delle statistiche che costantemente ci dicono che in Italia si legge poco, e sempre meno (solo cinque milioni di italiani leggono più di 7 libri l’anno).

Per quel che mi riguarda, l’aspetto indubbiamente più interessante della Fiera (e motivo che mi ha spinto alla sfacchinata di 400 chilometri ed all’estenuante giornata passata quasi sempre in piedi) è stato quello degli incontri con gli scrittori. Vedere in carne ed ossa persone che conosciamo quasi intimamente tramite la loro prosa, poterci alle volte persino parlare, avvicina moltissimo le persone alla lettura. Sentir descrivere dall’autore le intenzioni che lo hanno portato a certe scelte, a certe rinunce, a certi meccanismi narrativi, a certe strade professionali, cambiano il modo di vedere anche il singolo libro che si tiene in quel momento tra le mani (magari in attesa, perché no, di una firma con dedica, aspetto indubbiamente della spettacolarizzazione di cui sopra).
Avevo programmato la mia giornata in Fiera: la mattina visita ai padiglioni (tre più uno, benché piuttosto ampi), al pomeriggio una serie di interventi da seguire: Carlo Lucarelli, Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo ed infine Giorgio Faletti (dalle 20:00, sempre che mi restasse voglia, visto il mio atteggiamento a volte fin troppo critico nei confronti delle scelte narrative del noto autore). A questi si sono aggiunti, strada facendo, il doppio incontro con Clive Cussler, quello con il giudice Imposimato ed un intervento comico di Natalino Balasso (questi ultimi due organizzati da Ibs.it), scoperti al momento di andare a ritirare il biglietto d’accesso agli altri eventi già menzionati.

Immagine di Doveva morireIl primo incontro in ordine cronologico è stato quello con il giudice Ferdinando Imposimato che ho sorpreso, a discussione già in corso, presso lo stand di Ibs.it (vero punto d’attrazione di tutta la Fiera, complimenti). Il tema, naturalmente, il suo libro sulla vicenda Aldo Moro (della quale si è occupato professionalmente sin dal giorno successivo la scomparsa del noto politico) dal titolo “Doveva morire”. Imposimato ha una certa età, eppure vederlo ribattere con forza e veemenza alle domande del pubblico, andando a trattare tasti dolenti della storia italiana, lascia affascinati. Il suo libro (che ho già acquistato qualche tempo addietro, ma che non avevo portato in Fiera, altrimenti me lo sarei fatto autografare) sarà certamente uno dei prossimi libri in lettura.

Ho poi colto l’occasione per assistere, dalle 14:30 in poi, all’incontro con Natalino Balasso: assolutamente esilarante. Il tempo era poco e sono potuto rimanere poco più di un quarto d’ora, ma ne è decisamente valsa la pena. Subito dopo (praticamente ho attraversato la Fiera di corsa) è stata la volta di Clive Cussler (sala gialla, enorme e piena a metà), alle 15:00. Sapevo di potermi trattenere poco (alle 15:30 cominciava l’incontro con Carlo Lucarelli, quello a cui tenevo maggiormente, dall’altra parte della Fiera), sebbene confortato dal fatto che ci sarebbe stato un secondo incontro, più ravvicinato, alle 16:30 presso lo stand di Ibs.it, ma quando l’incontro è cominciato con un quarto d’ora di ritardo mi sono detto che sarei potuto rimanere davvero poco.Immagine di Il tesoro di Gengis Khan
Quando poi l’introduzione di Marco Buticchi (dovrò provare a leggere qualcosa di suo, a proposito) ha cominciato ad andare per le lunghe, ho deciso che avrei atteso almeno che Cussler cominciasse a parlare, prima di andarmene. La prima domanda a Cussler è stata fatta alle 15:20, ed io sono schizzato fuori per correre alla sala Rossa che mancavano cinque minuti all’inizio, arrivando ovviamente che la piccola saletta (per la quale non erano state previste prenotazioni a biglietto) era già piena. Occasione persa, tanta rabbia, torno da Cussler che la sua conferenza è quasi terminata.

A quel punto, altra corsa verso lo stand di Ibs.it, acquistata in gran fretta una copia di “Il tesoro di Gengis Khan”, sono riuscito a mettermi in coda tra i primissimi (il terzo per la precisione) per l’autografo. Cussler è stato assolutamente strabiliante: ha guardato ognuno dei suoi lettori negli occhi, ringraziandolo subito dopo avergli autografato la copia portagli. Sicuramente dimostra una grande esperienza nel trattare (e gratificare) i suoi lettori, ma la contentezza che ho visto negli occhi di questo anziano scrittore mi hanno lasciato qualcosa dentro. Grazie Clive.
Immagine di L'ottava vibrazione

In attesa che cominciasse l’incontro successivo, alle 18:30, ho colto l’occasione per appostarmi all’uscita della Sala Rossa, dove doveva ormai aver terminato la sua lettura il buon Carlo Lucarelli. Arrivato nelle vicinanze, me lo trovo praticamente di fronte, riuscendo a scambiarci due parole dalle quali scopro che il libro tra i suoi che mi è piaciuto di più è poi quello che a lui è più caro, “Almost Blue”. In mancanza d’altro (anche il suo ultimo libro, “L’ottava vibrazione”, era rimasto a casa), gli porgo il mio fido tacquino che ora riporta una piccola dedica a firma di uno dei più grandi giallisti italiani. Peccato non essere riuscito a seguire la lettura in sala, ci tenevo.

Immagine di La derivaFattesi le 18:00 girovagando per la Fiera (incrociando per altro Travaglio, Gomez, Santoro e la bella Beatrice Borromeo), entro nella Sala Gialla dove sarebbe cominciato l’incontro con Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella con una buona mezz’ora di anticipo, godendomi un interessante spezzone di discussione sulla diaspora ebraica.
Inutile dire che Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella hanno riempito la sala dove ci trovavamo (oltre la metà in più di Clive Cussler, per altro). Dopo l’importante introduzione di Ferruccio de Bortoli, le domande sono state davvero tante, interessanti e (quasi tutte) pertinenti. Il nuovo libro dei dure giornalisti ed autori, “La deriva” (che io ho acquistato il giorno della sua pubblicazione, pur non avendo ancora avuto tempo e modo di leggerlo), deve essere il degno successore di “La casta”, a giudicare da quanto i due autori sono riusciti ad anticipare durante l’incontro. Più che la presentazione di un libro, in ogni caso, è stata una profonda discussione sulle problematiche che i due libri mettono in risalto, non diversamente da quanto accadde qualche tempo fà con “Mani Sporche”, di Travaglio, Gomez e Barbacetto.

Immagine di Pochi inutili nascondigliInfine, abbandonato con leggero anticipo (verso le 20:50) la Sala Gialla, mi sono presentato all’ingresso della Sala dei 500 dove avrebbe dovuto cominciare, alle 20:00, la presentazione del nuovo libro di Giorgio Faletti, “Pochi inutili nascondigli” (da me acquistato nella mattinata, tra mille perplessità), alla presenza dell’autore stesso e di Antonio Ricci. Ho scoperto troppo tardi (altrimenti sarei rimasto fino alla fine da Rizzo e Stella) che la “lectio magistralis” di Sgarbi che precedeva l’incontro con Faletti, era cominciata con quasi 45 minuti di ritardo. Siamo così riusciti ad entrare in sala solo alle 21:00, dopo un’attesa al caldo della folla e senza potersi sedere (ne cenare) di oltre un’ora.
La presentazione in sé è stata piuttosto divertente: a Faletti manca molto il teatro ed il palcoscenico, si vede e si sente a pelle (oltre che averlo lui stesso affermato più e più volte). Sul libro, purtroppo, nessuna novità: sette racconti, ricchi di quel dettaglio “sovrannaturale” che mi ha fatto amare ben poco gli ultimi due libri di Giorgio. Lo leggerò, naturalmente, ma senza troppa fretta.

Nel complesso, una giornata davvero “importante”: sia sotto il profilo della fatica, sia sotto quello della soddisfazione.