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In Italia c’è un’emergenza Giustizia

glamismac via Flickr

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In Italia c’è un’emergenza Giustizia. Assolutamente vero, quasi lampante oserei dire. Purtroppo per il nostro Presidente del Consiglio però, l’emergenza non sono le “toghe rosse” (mi si faccia il piacere!), l’emergenza non riguarda i processi che da anni sta tentando di bloccare facendo danni a destra ed a manca (ma se è innocente, perché non farsi processare? I costi giudiziari vengono poi rimborsati, solitamente, dal condannato…).

L’emergenza giustizia in Italia è proprio il contrario di quanto Silvio Berlusconi vorrebbe far passare: il problema in Italia è l’uguaglianza di tutti davanti alla legge, e questo non solo in riferimento alla persona di Silvio Berlusconi, ma anche in molti altri frangenti dove si usano due pesi e due misure (mi riferisco ad esempio alle sentenze di condanna per i fatti di Genova).

Il problema giustizia in Italia è la giustizia sociale: agli imprenditori amici del Cavaliere è stata donata la parte buona di Alitalia (che comunque riescono a far andare male -.-), mentre la crisi sta lasciando a casa 46.000 lavoratori a tempo indeterminato (ovviamente sui contratti a progetto ed a tempo determinato che non vengono rinnovati, oltre a tutti gli extracomunitari in nero lasciati a casa, non ci sono dati certi) e le famiglie faticano sempre di più a tirare la fine del mese.

Il problema giustizia in Italia sono i 1000 morti l’anno sul lavoro (la Guerra Bianca), dei quali nessuno sa nulla e che tra “prescrizione”, “errore umano” e “fatalità” non vedono quasi mai condanne degne di questo nome, soprattutto se a lasciarci le penne sono cittadini extracomunitari clandestini, che vengono “ritrovati” in qualche campo a chilometri di distanza…

Il problema giustizia in Italia sono le morti in mano alla Polizia, che cominciano con Carlo Giuliani, passano per Federico Aldrovandi, arrivando a Stefano Cucchi tramite migliaia di altri carcerati e/o fermati pestati da “componenti deviate” delle forze dell’ordine, di cui queste però non riescono a liberarsi. Anche in questo caso, le sentenze sono quasi ridicole (per Aldrovandi, ai quattro poliziotti riconosciuti colpevoli sono stati dati 3 anni e 6 mesi, per aver lanciato una bottiglia molotov contro la porta di un carcere durante gli scontri del G8 a Genova, Marina Cugnaschi si è presa 16 anni di reclusione) ed è solo grazie alla testimonianza di un clandestino che (forse) riusciremo ad avere un po’ di verità su quanto accaduto (ed insabbiato) a Stefano Cucchi.

L’emergenza Giustizia, in Italia, c’è eccome; e sarebbe ora che il Governo (e l’opposizione) pensasse(ro) a risolverla seriamente, anziché tentare di tirare fuori Berlusconi dai suoi processi…

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Mi dispiace, Italia

Genova 2001: No G8 Superata la rabbia per le sentenze del processo sulla Diaz (e ben coscente che le motivazioni della sentenza non sono ancora pubbliche), mi sento essenzialmente deluso e dispiaciuto. Dispiaciuto perché abbiamo perso l’ennesima occasione.

L’ennesima occasione di fare luce su una delle pagine nere della nostra storia. Così come per tanti altri episodi la verità, che pure emerge lampante dal processo, è stata frantumata, ridotta, ignorata e fatta a pezzi per proteggere quei pochi che “non devono”. Perché abbiamo rinunciato ancora una volta a prenderci le nostre responsabilità di nazione nei confronti dei nostri concittadini (e non) che alla Scuola Diaz hanno subito soprusi che solo una nostra mancanza legislativa ci impedisce di dichiarare “tortura”.
Ancora una volta sono stati condannati solo coloro che il fatto lo hanno eseguito materialmente, i capisquadra che nella Diaz, a spaccare le teste, ci entrarono. I veri responsabili politici, quelli che il massacro alla Diaz quantomeno lo coprirono e lo avvallarono, sono stati tutti rigorosamente assolti.

L’ennesima occasione per chiarire che la magistratura non si presta ai depistaggi: come accadde per Ustica, anche per la Scuola Diaz si è mossa una parte dello stato contro l’altra. E’ il falso è stato dapprima simulato (le molotov che sono state portate dentro la Scuola per poi fingerne il rinvenimento), poi dichiarato (che nella Diaz ci fù resistenza, dichiarando nel verbale tra le altre cose anche la presenza di bottiglie molotov); sono state cancellate le prove (le molotov che sono sparite durante il processo), le indagini sono state depistate, i colpevoli coperti (ancora oggi, di fatto, non si ha l’elenco delle persone che firmarono il verbale ne quello degli agenti che entrarono alla Diaz).

L’ennesima occasione di fare una figura quantomeno dignitosa in Europa, dato il fatto che nella Diaz c’erano moltissimi giornalisti e manifestanti stranieri, e che l’Europa intera stava con le orecchie puntate in questa direzione, aspettando il verdetto.

Mi dispiace soprattutto per coloro che manifesteranno l’anno prossimo al G8, che sarà nuovamente in Italia, perché si troveranno (beffa delle beffe) nuovamente come responsabili delle forze dell’ordine gli stessi che del massacro alla Diaz almeno seppero e tacquero.

Conviene spaccare teste che devastare

Quarantaquattro gatti in fila per tre col resto di due In Italia, con le leggi vigenti, conviene decisamente spaccare teste tra i militanti della “sinistra antagonista”, “dissidenti” e “no-global” di ogni forma e colore, che commettere reati di devastazione. Sono le logiche conclusioni a cui si arriva mettendo sui due piatti della bilancia le pene richieste dai pubblici ministeri per i “dissidenti” del G8 di Genova che, sebbene siano poi state dimezzate dalle sentenze, venivano così commentate nell’articolo di Repubblica:

La pena più pesante, 16 anni, la procura l’ha richiesta per Marina Cugnaschi, 41 anni di Lecco, “l’eroina” anarchica del centro sociale milanese Villa Okkupata, ripresa in un video mentre lancia una bottiglia incendiaria contro il portone di ingresso del carcere di Marassi.

E’ ovvio, ma voglio ribadirlo, che condanno fermamente qualsiasi atto di violenza, compreso quello commesso dai “dissidenti” che hanno messo a ferro e fuoco Genova (e non scenderò nell’argomentare la precisazione del fatto che si tratti di una risicata minoranza perché questo esula dal contesto di questo post): la violenza non è mai un modo per raggiungere una soluzione positiva ad un problema, neppure quando questo provoca rabbia; non è civile.

Se invece andiamo a vedere le condanne chieste per i responsabili delle abominevoli violenze della caserma di polizia di Bolzaneto (definita dagli stessi comandanti “una notte cilena”, un “mattatoio”, “un girone infernale”), le richieste arrivano ad un massimo di cinque anni ed otto mesi di reclusione, decisamente meno rispetto a quanto richiesto per i reati di devastazione. Riporto dall’articolo del Corriere:

La pena più pesante è stata chiesta per Antonio Biagio Gugliotta, ispettore della polizia penitenziaria in servizio a Bolzaneto come responsabile della sicurezza. Tra le accuse nei suoi confronti, le percosse con calci, pugni, sberle e manganello in dotazione di arrestati e fermati per identificazione.

Una delle ragioni di questa disparità eclatante, è che sebbene ai fermati di Bolzaneto siano state inflitte almeno quattro delle “metodologie di interrogatorio” che la Corte Europea sui Diritti Umani definisce “inumane, crudeli e degradanti” (se basta a definire “dita spezzate, pugni, calci, manganellate su persone inermi, bruciature con accendini e mozziconi di sigaretta, bastonate alle piante dei piedi, teste sbattute contro i muri, i volti spinti nella tazza del water”), e sebbene la definizione di questi trattamenti sia “molto vicina” (come fatto rilevare dagli stessi pm) al concetto di “tortura”, in Italia questo reato non è previsto perché il nostro paese è tutt’ora inadempiente a quanto previsto dalle convenzioni internazionali, con particolare riferimento ai trattati firmati presso le Nazioni Unite nel 1988: le pene richieste quindi, non si è potuto contestare altro che un “abuso d’ufficio”.

Una proposta di legge, che proprio a fronte dei fatti accaduti a Genova, introduceva nel codice penale il reato in questione era in fase di discussione in Parlamento proprio nei giorni della caduta del governo Prodi. Così, al danno, si aggiunge la beffa, con il principale candidato alle elezioni politiche di aprile, Silvio Berlusconi, che non solo era già capo del governo durante i fatti di Genova, non solo ha partecipato, da politico, alle coperture ed alla difesa degli autori di questi abominevoli reati, ma parla esplicitamente di contrasto ai dissidenti nel primo punto della terza missione del suo programma elettorale.

Ci sarà mai giustizia per Genova?

G8 Genova, prime condanne

Génova 15.JPG Abbiamo i primi condannati per le devastazioni del G8 di Genova. Sono 24 persone, alle quali sono state assegnate pene che vanno dai 6 mesi agli 11 anni di reclusione, per un totale di 102 anni (meno della metà di quelli chiesti dall’accusa), per i quali sono state necessarie oltre 7 ore di camera di consiglio.

Voglio credere che le le pene comminate siano giuste. Mi voglio fidare della giustizia, voglio credere che i dubbi sulla falsa testimonianza di quattro ufficiali di polizia giudiziaria, due dirigenti della questura e due ufficiali dei carabinieri verranno verificati, ed eventualmente perseguiti penalmente, come da norma di legge. Voglio crederci.

Non voglio parlare di “giustizia sociale”, di “vendetta”. Ognuno commette azioni, più o meno dettate dalla foga del momento, dall’euforia, più o meno in balia degli eventi, e di queste azioni è responsabile. Durante il G8 di Genova c’è stato di tutto, purtroppo anche degli atti violenti da parte di alcuni individui (che devono essere identificati ed estratti dal “mucchio” nel quale si cerca di far cadere tutta la vicenda), per i quali le accuse di “devastazione e saccheggio” possono avere un senso. Per questo, voglio credere nella giustizia, nei magistrati, che li hanno ascoltati e giudicati colpevoli dei reati. La responsabilità penale è personale, quindi sono queste 24 persone ad aver commesso reati, che non si cerchi di farle passare come una condanna “globale” che coinvolga tutti i manifestanti presenti a Genova in quei giorni. Purtroppo certi politici non fanno che cogliere questa occasione per cercare ancora una volta di far passare menzogne per verità; cito testualmente dall’articolo di Repubblica:

Sull’altro fronte politico Isabella Bertolini, vicepresidente dei deputati di Forza Italia, replica: “Le forze di polizia risposero a questa furia incontrollata per assicurare l’incolumità dei cittadini e il rispetto dell’ordine pubblico”. E Francesco Storace le fa eco chiedendo che sia rimossa la lapide intitolata a Carlo Giuliani in Senato.

Proprio perché voglio credere alla correttezza delle pene inflitte, perché voglio credere in una magistratura che non funzioni a due velocità, che faccia il proprio dovere con correttezza, proprio per questo penso che sia arrivato il momento di chiedere a gran voce che anche i due processi nei confronti delle forze dell’ordine che durante il G8 commisero abusi ed ingiustizie (alla Caserma di Bolzaneto e durante l’irruzione alla Scuola Diaz) arrivino alla loro giusta sentenza (prevista per la fine dell’estate).

Che si faccia veramente luce sui fatti di quei giorni e di quelli successivi, sugli insabbiamenti, sui depistaggi, sulle false testimonianze, sulle responsabilità dei politici che hanno cercato di nascondere la verità parlando di terrorismo e che ancora oggi cercano di far passare quella vicenda come una “furia incontrollata” contro la quale le forze dell’ordine reagirono per “assicurare l’incolumità dei cittadini”: l’ordine pubblico non è fatto di teste spaccate.

Perché è vero che la giustizia non è sempre “dalla tua parte”, ma è altrettanto vero che deve essere uguale per tutti.

Un elogio alla Polizia

Alfa Romeo 159 Polizia Ebbene si, vado controcorrente. Lo faccio spesso, lo farò anche stavolta. Questa mattina, il ministro Amato, durante la sua relazione di fronte alla Camera dei Deputati, ha dichiarato che ieri la Polizia ha reagito come poteva alla inaudita violenza espressa dagli ultras, “controllando la situazione” ed “evitando la mattanza”. Naturalmente la Destra ha definito questa una posizione “di resa”: certo, loro avrebbero volentieri spaccato tutte le teste, soprattutto quelle di coloro che non fossero stati abbastanza veloci da fuggire, salvo poi negare tutto, spudoratamente, per anni (Genova insegna).

Ebbene io credo che il ministro Amato abbia profondamente ragione. Non voglio però portare questo discorso sul piano politico, perchè sarebbe profondamente ingiusto nei confronti proprio di quei poliziotti che domenica sono stati fermi, in attesa, sotto la sassaiola dei violenti, protetti da risibili scudi di plastica rigida, a rischiare la vita; per cosa? Per 1300 euro al mese? No, per vocazione, per senso del dovere, per proteggere tutti coloro che con quei violenti nulla avevano a che spartire.

Domenica la Polizia è stata unilateralmente identificata con Luigi Spaccatorella il poliziotto che ha sparato il colpo che è costato la vita a Gabriele Sandri, il quale certamente pagherà (e caro, purtroppo per lui) le eventuali colpe. In alternativa, la Polizia è quella che a Genova, nel 2001, manganellava manifestanti inermi, o compiva soprusi nelle diverse caserme e scuole della città ligure. Il rapporto tra i cittadini italiani e l’istituzione della Polizia non è mai stato estremamente positivo (retaggio forse di ricordi, non poi cosi lontani, del primissimo dopoguerra, forse dei troppi interventi violenti che rendono il reparto Celere cosi famoso), e certo questi eventi non aiutano a migliorare la situazione.

Ma è importante ricordarsi che al fianco dei poliziotti di Genova, del violento, ci sono tanti poliziotti che rischiano ogni giorno la propria vita per una paga da fame, per puro senso del dovere. Poliziotti che lottano tutti i giorni contro i tagli al bilancio che impediscono alle pattuglie di pattugliare perché senza benzina, che impediscono di fare fotocopie nei commissariati, che devono gestire il problema dell’immigrazione e della sicurezza del territorio facendo affidamento su leggi inutili quando non addirittura idiote.

Ebbene a tutti questi uomini va questa sera il mio ringraziamento, ed un appello: uscite dall’ombra, fate vedere ai cittadini che della Polizia ci si può fidare, che ci protegge, che le pecore nere sono in minoranza; cacciateli fuori, fate piazza pulita e, per favore, sorridete ai posti di blocco… 🙂

Dov’è la Polizia pulita?

Dov’è la Polizia pulita? Quella che non ha spaccato teste alla Diaz? C’è qualche poliziotto che, per dio, non condivide quelle azioni?
Mi ponevo queste domande, qualche ora fa.

Me le ponevo ascoltando le intercettazioni telefoniche fatte durante quelle ore.

Me le ponevo perchè sembra che questa Polizia non esista, se non nelle esposizioni di qualche dirigente, di tanto in tanto.

Io credo che se fossi un poliziotto, dopo quanto è accaduto alla Diaz (ma a Genova in generale), mi sarei sentito talmente fuori posto che avrei posto un ultimatum: o io, o loro. E probabilmente avrebbero scelto “loro”. E io me ne sarei andato sbattendo la porta.

Mi chiedo: nessuno l’ha fatto? E’ stato messo a tacere? Non se ne è parlato? Possibile. Tutto è possibile. Ma alla Diaz c’erano (esagerando) 300 uomini. A Genova potevano essere 10.000 (bum)? La Polizia in Italia non ha 10.000 uomini. Perchè gli altri non hanno fatto sentire la propria voce, preso le distanze da quei fatti, da quei colleghi? Perchè condividono?

Perchè si cerca di nascondere e proteggere, anzichè denunciare, quei poliziotti che, infiltrati e travestiti tra i BlackBlock, partecipavano ai disordini anzichè prevenirli (o quanto meno, chiarire il perchè di tanta oggettiva inefficenza nella loro prevenzione)?

Perchè ancora oggi, ai processi sui fatti di Genova, alcuni dirigenti della Polizia non si presentano in aula (notizia data ieri da un giornalista presente alla Diaz, durante un’intervista rilasciata a Radio Popolare)? Non è forse una mancanza di rispetto verso uno Stato che loro dovrebbero proteggere?
Manganelli, di recente posto a capo della Polizia e vice-capo all’epoca dei fatti del G8 ci è stato passato come “completamente estraneo” alla vicenda. Ma durante la riunione tenutasi all’interno della Diaz, quella delle molotov, era o non era al telefono con le persone presenti?

Perchè nessuno parla, perchè nessuno spiega. Come si può mantenere una fiducia nelle istituzioni e nelle forze dell’ordine, quando queste non prendono in maniera netta le distanze dai responsabili di quegli atti criminali?

Silenzio e riticenza: questi i nostri media

Ormai al silenzio mediatico ci stiamo abituando.

Le persone che mi stanno vicine, non si stupiscono nemmeno piu quando riporto loro l’ennesimo caso di censura mediatica. Il mondo della televisione italiana (praticamente “il media” per oltre 30.000.000 di italiani) è molto peggio di quello della prostituzione. Non solo per denaro, anche per potere o per semplice ricatti, ma alla fine quello che non deve passare non passa.

Il mondo di internet sta cercando, in qualche modo, di cambiare questo stato delle cose, ma l’informazione su internet (e lo stesso accesso alla rete) rimane un privilegio di pochi (pochissimi) eletti. Qui si entrerebbe nel campo del “digital divide”, e non è il caso (stavolta) addentrarvici.

Il mio intento invece è quello di fare “informazione”, nel mio piccolo. Di segnalare un interessantissimo documento della BBC che riguarda Chiesa e pedofilia, coinvolgendo in prima persona anche il cardinale Joseph Ratzinger, noto anche come papa Benedetto XVI, il quale ha avuto un ruolo fondamentale nella vicenda, rinnovando il Crimen Sollicitationis (di cui si parla ampiamente nel video che riporto), documento vaticano che vieta ai cattolici di denunciare e testimoniare reati sessuali da parte di esponenti della Chiesa, pena la scomunica. Un video di una mezz’oretta, davvero interessante, pubblicato non da un pinco pallino qualsiasi, ma dall’autorevolissima BBC, che non ha trovato alcuno spazio sui media nazionali. Strano eh? Beh, trova spazio (anche) qui.

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Altra notizia da dare, è quella della condanna dello Stato Italiano (della quale potete trovare alcuni riferimento in questo articolo di Matteo Flora) per i fatti del G8 di Genova, anche questa passata assolutamente in sordina. Il 4 maggio infatti, il Ministero dell’Interno è stato condannato dal giudice Angela Latella, del tribunale di Genova, in relazione al pestaggio dell’attivista della rete Lilliput Marina Spaccini da parte di due polizziotti, il pomeriggio del 20 luglio 2001, in Via Assarrotti. La Spaccini, pacifista cinquantenne che si trovava tra quelle persone con le mani dipinte di bianco ad urlare “Non violenza!”, non vedrà altro che un misero risarcimento (5000 euro), ma il fatto è di quelli che lasciano il segno; viene infatti condannato il pesante velo di omertà che ha coperto i fatti del G8, vengono condannate le reticenze ed i depistaggi. Un estratto della sentenza:

Se risulta chiaramente che la Spaccini sia stata oggetto di un atto di violenza da parte di un appartenente alle forze di polizia non si può neppure porre in dubbio che non si sia trattato né di un’iniziativa isolata, di un qualche autonomo eccesso da parte di qualche agente, né di un fatale inconveniente durante una legittima operazione di polizia volta e riportare l’ordine pubblico gravemente messo in pericolo.

E non finisce qui: perché un’altra notizia che è passata in assoluto silenzio (fatta eccezione per alcuni paragrafetti sull’Unità ed il Corriere) è quella della condanna in appello a 2 anni per Marcello Dell’Utri (braccio destro di Berlusconi) e Vincenzo Virga per tentata estorsione. Marco Travaglio, come al solito, non si tira in dietro quando c’è da parlare, ed ecco il suo articolo che spiega sicuramente meglio di quanto non potrei farlo io le implicazioni ed il silenzio che circondano questa condanna.

Una diversa territorialità

Ieri ero presenta al greenCamp, organizzato dai Verdi presso Palazzo Ducale, a Genova. Al di la della mera cronistoria di quanto accaduto, il cui senso sarebbe davvero dubbio, forse vale la pena esprimere un paio di considerazioni.

Il punto forte della manifestazione è stato sicuramente la sua collocazione politica. L’idea di inserire una “non conferenza” (quale dovrebbe essere un barCamp) in un evento formale come un convegno di matrice politica è sicuramente un’idea interessante ed un atto di coraggio da non sottovalutare. Sono contento che si sia trovata la forza di farlo e che l’idea sia piaciuta anche “ai piani alti“.

Il punto debole della manifestazione è stato un derivato dal suo punto forte. Proprio per via della collocazione politica particolare, si è trattato di un barCamp piuttosto strutturato (addirittura finendo con il rispettare una precisa scaletta, in quanto nessuno si faceva avanti per proseguire con il proprio intervento dopo averne sentito un’altro) e questo ha portato a “saltellare” tra argomenti anche particolarmente diversi e slegati tra di loro (si aprivano filoni di discussione che però poi non avevano seguito e si passava quindi ad un altro filone completamente slegato dal precedente). Sicuramente gli organizzatori faranno tesoro di questa esperienza, tanto quanto i partecipanti stessi, che si troveranno maggiormente a loro agio ad un altro barCamp, magari organizzato in un ambito meno “formale”.

Una ulteriore nota va fatta pervenire in qualsiasi modo agli organizzatori: ragazzi, almeno un cartello, una freccina, ad indicare dove stava il barCamp, valeva la pena metterla… Nel seminterrato i cellulari non prendevano e noi abbiamo vagato per Palazzo Ducale almeno 30 minuti prima di immaginare che il barCamp potesse stare al piano 0 (ovvero il -1) insieme agli workshop…

Al di la del barCamp in se, comunque,  mentre pensavo a cosa dire (ovviamente non sapevo di dover intervenire fino a 2 ore prima dell’evento, di cui si erano occupate altre persone in Associazione :P), mi sono balenate in mente una serie di idee alle quali, ripensandoci, trovo comunque utile dare un seguito al di la del mero intervento di Genova (che comunque non le ha viste rientrare nel poco tempo a mia disposizione).

In particolare, mi interessa approfondire il discorso della “territorialità” (vista, presa, presenza sul “territorio” e significato del termine “territorio” stesso) legato alle associazioni del panorama del Software Libero, piuttosto atipiche sotto questo profilo.
Infatti se la territorialità tipica dell’associazionismo spicciolo (quindi quello politico, ad esempio, o legato al volontariato) ha una connotazione territoriale molto geografica (gruppi che si riconducono ad un quartiere, una via, o addirittura un condominio), esiste una “diversa territorialità” che è quella del Web. In questo ambiente, le persone si incontrano per interessi comuni, più che per “geografia comune”: esiste allora un “luogo blogsfera” (proprio quel non-luogo che si definisce autoreferenziale in una ormai annosa quanto inutile diatriba), esiste un “luogo YouTube” (che raccoglie i visitatori dell’omonimo sito-community), un “luogo del.icio.us) e perché no, anche un “luogo Second-Life”. In questa “geografia degli interessi” le persone si incontrano virtualmente come prassi, e si emozionano nel momento dell’incontro fisico. Esattamente l’opposto di quello che accade nel mondo fisico: come dicevo a gizm0 (che ho incontrato proprio al greenCamp di Genova), se da una parte si dice, al primo incontro standard (in questo caso, fisico) “Ciao gizm0! Che figo ho visto il tuo sito web!”, dall’altra parte si dice “Ciao gizm0, che figo, ti ho incontrato di persona!”.
Si tratta di due realtà diverse, con le quali siamo ormai abituati a convivere (al punto che sono ormai anni e anni che si (s)parla di “vita nel cyberspazio”.

Nel panorama dell’associazionismo legato al software libero però (almeno per quella che è l’esperienza legata all’Associazione Culturale OpenLabs) ci sono dei richiami ad entrambe le realtà, con un miscuglio di caratteri davvero strano e che merita di essere analizzato attentamente (imho). L’area di azione dei LUG (o simili, visto che OpenLabs non è [solo] un LUG) è piuttosto ristretta geograficamente: proprio per loro connotazione caratteriale, i LUG nascono in un comune, provincia o comunque in una zona geograficamente delimitata come punto di aggregazione fisica di una serie di persone che condividono una stessa passione/interesse nei confronti di Linux e del software libero in senso più ampio (quindi caratterizzati da una territorialità prettamente fisico/geografica).
D’altro canto, i LUG sono formati da utilizzatori di software, che oggi significa (nella quasi totalità dei cosi) anche utilizzatori della rete e degli strumenti che questa mette a disposizione (mailing-lists, siti web, wiki e via dicendo), che le danno quindi anche una caratteristica territorialità “virtuale”, proprio come una comunità web.
Quella più forte delle due però (quindi quella che poi ne caratterizza maggiormente l’aspetto territoriale) è quella “online”. Se infatti lo stesso gruppo trovasse sede due o tre quartieri “più in la”, non cambierebbe nulla, perché il numero di gruppi sul territorio italiano è tale da non riuscire a coprirlo in maniera cosi capillare (fortunatamente, in un certo senso).

A questo punto, abbiamo gruppi che raccolgono “in un luogo relativamente vicino” persone che vengono da “tutta una vasta regione geografica” (la Provincia di Milano ad esempio). Ma il contatto con il territorio geografico allora? OpenLabs ad esempio non ha quasi nessun contatto con il territorio geografico più vicino alla propria sede. Non conosciamo gli inquilini dei palazzi limitrofi, non organizziamo incontri a loro dedicati, non ci facciamo vedere ne ci pubblicizziamo particolarmente.

Questo è senza dubbio un limite (e non voglio credere che sia solo legato ad OpenLabs) e quindi, in prospettiva, un ambito di miglioramento. Il succo del discorso sta nella domanda: “Come migliorare il contatto con il territorio geografico? Come entrare maggiormente in contatto con vie, quartieri, palazzi, senza snaturare la realtà che fa di OpenLabs un esponente di spicco del panorama del software libero italiano?”. Forse parte della soluzione l’abbiamo involontariamente trovata e compresa con la partecipazione alla manifestazione Fa La Cosa Giusta! di qualche mese fa a Milano. In quell’ambiente, non direttamente legato al mondo dell’OpenSource (come invece accade per la quasi totalità delle altre manifestazioni a cui un LUG normalmente partecipa), ci siamo trovati di fronte alla possibilità di entrare in contatto con persone “non interessate” dal Free Software in se, ma che si sono scoperte tali nel momento in cui, incuriosite dal pinguinone presente al nostro stand, si sono avvicinate per chiedere.

Le fiere di paese, potrebbero essere un modo “non convenzionale” di dare visibilità al mondo del software libero che può funzionare molto piu efficacemente di tutti i LinuxDay che vengono organizzati in Italia e che hanno nella ristretta cerchia dei “già interessati/incuriositi” il loro target principale.

In questo specifico esempio, il problema della territorialità più spicciola (vie, quartieri, palazzi) ovviamente rimane, ma una bancarella al mercato rionale non potrebbe fare al caso? O andare a distribuire cd in quelle realtà locali per eccellenza (biblioteche, centri culturali, negozi, parchi)?

Potrebbe essere una strada interessante per diffondere il software libero, sulla quale invito “tutti i miei lettori” (me stesso?) a riflettere ulteriormente, ed eventualmente approfondire in una sede opportuna (se c’è interesse, potremmo organizzare anche un barCamp tematico presso la sede di OpenLabs :P)