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And the winner is…

Schede elettorali

Ivan Marcialis via Flickr

Bene, dopo una giornata di “silenzio riflessivo”, tormentato dalle (mie) valutazioni contraddittorie e stordito dalle tante (troppe) informazioni di questa tornata elettorale (la prima vista “dall’interno”, come segretario di seggio per la precisione), arrivo a proporre la mia ormai usuale serie di cazzate considerazioni sui risultati.

Cominciamo con il dire che il vero vincitore di queste elezioni è il partito del non voto, che sale fino ad un 35% abbondante. Un segnale che da ogni parte (tranne da quelli che si stanno definendo a destra ed a manca come “i vincitori”) viene segnalato come “estremamente preoccupante”, ma considerando che è “saltato” un altro punto percentuale rispetto al giugno 2009 (ed anche allora lo si definì “preoccupante”), direi che non cambierà granché e presto mi ritroverò da solo a votare e questo risolverà (garantisco io :P) moltissimi problemi.

Al secondo posto, tra i vincitori, troviamo indubbiamente la Lega Nord, ad ulteriore conferma che prendere gli italiani per “lo stomaco”, diffondendo demagogia, paura ed incertezza rende, e rende parecchio: i “Lumbard” (anche se da oggi dovremmo dire “venesiàn”) guadagnano altri due punti percentuale secchi rispetto all’ultima tornata elettorale che già aveva visto un loro importante balzo in avanti.
La Lega diventa il primo partito in Veneto, massacrando letteralmente il proprio alleato (il PDL) al quale affibbia un cocente 11% di distacco, mica noccioline. La vittoria la ottiene soprattutto al Nord (prevedibilmente, anche se avanza anche al centro, nelle poche regioni dove si è presentata) e soprattutto nelle valli: in città infatti (Milano, Venezia…) non solo non sfonda, ma tende a vincere la coalizione opposta.

L’unico altro partito, dopo la Lega, a guadagnare voti è (non sorprendentemente, visto che l’ultima volta non c’erano) il Movimento 5 Stelle. Il valore nazionale del 1,77% non rende onore al “prodigioso” risultato elettorale dei “grillini”, in quanto diluito dalle numerose regioni dove il partito non si è presentato. Per rendere un’idea di ciò che da oggi Grillo ed i suoi rappresenteranno sul panorama politico italiano, vanno citate Emilia Romagna (7,0%) Piemonte (un 4.07% che tanto comodo avrebbe fatto a Mercedes Bresso), Veneto (3,15%) ed un significativo 3% nella popolosa Lombardia; solo in Campania il dato è più basso, attorno al 1,3%. In merito, ho sentito parlare di “voto di protesta”: direi che possiamo considerare una percentuale di “protesta” un po’ troppo elevata per dare adito a questa affermazione. Credo piuttosto che Grillo, con la sua semplicità ed il contatto con il popolo che riesce a raggiungere (internet è una realtà, in Italia, ma resta pur sempre una nicchia), con le liste costruite dal basso, ha incarnato un sincero moto partecipativo che altri partiti non hanno saputo raccogliere; probabilmente hanno ragione nel dire che sono altri punti strappati all’astensione.

Forse a pagare leggermente il prezzo della discesa in campo di Beppe Grillo è stata l’Italia dei Valori, che parzialmente aveva “sopperito” alla sua mancanza negli ultimi anni. Il calo è però piuttosto contenuto, un -0,8% che potrebbe avere spiegazioni diverse e conferma in ogni caso il più che buon risultato conseguito a giugno (quando era una delle grandi “rivelazioni elettorali”). Con il suo 7,2%, quello di Antonio Di Pietro resta il 4° partito italiano, un interlocutore importante (non solo per il Partito Democratico), per quanto fastidioso questo possa essere per Silvio Berlusconi.

Chi invece non era andato granché bene a giugno e perde un altro punto percentuale secco, è l’UDC di Casini. La strategia del “triplo forno” (alleanze con il Pdl, con il Pd o la corsa da soli a seconda della regione) apparentemente non ha pagato come forse avevano sperato, e dal 6,5% delle ultime elezioni scendono al 5.5%. Ancora in quota “sbarramento”, ma con la spia rossa dell’allarme sul “acceso fisso”: se non voglio sparire urge trovare una soluzione. E non sarà quella di allearsi con gli ex-pd (ed ex-Margherita) come la Binetti (che candidata dall’UDC in Umbria ha preso una batosta memorabile) o Rutelli (“Alleanza per l’Italia” si ferma ad un ben misero 0,58% che la relega alla voce “Altri” di molti tabelloni).

Perdono voti, seppure in modo meno pesante, anche i partiti di sinistra: Rifondazione, alleata con i Comunisti Italiani a formare la Federazione della Sinistra, scende dal 3,4 al 2,9%, mentre Sinistra Ecologia e Libertà (ciò che resta della Sinistra e Libertà delle ultime elezioni dopo l’uscita dei Verdi) riesce a contenere in un misero 0,1% il declino di preferenze. Con i Verdi (che valgono lo 0,6% nazionale), sarebbero ora vicini ad un più concreto, sebbene poco appagante, 4,0%. In totale, l’area alla sinistra del PD varrebbe ad oggi più del 7%, se solo riuscissero a trovare la quadratura del cerchio: non poi così distante da quel 12% che facevano segnare ormai alcuni anni fa.

L’estrema destra, dopo il “balzo” de “La Destra” alle ultime elezioni (avevano incassato il 2,2%), torna su dati “ragionevoli”: 0,7% per il partito di Storace e Forza Nuova rimandata a raccogliere briciole. Un dato per lo meno rassicurante.

Veniamo quindi ai due principali (numericamente) partiti italiani. Quello che (paradossalmente) esce meglio da queste elezioni è il Partito Democratico. Percentualmente parlando, infatti, gli elettori del PD restano il 26,1%: l’emorragia di voti che si era verificata nei primi anni di vita del partito sembra essersi arrestata e questo è già, di per se, un dato positivo. Soprattutto considerando che solo qualche tempo fa si cercava di capire cosa potessero incedere le fuoriuscite di tutta una serie di personaggi che in seguito all’elezione di Bersani segretario avevano deciso di fare valige e “migrare al centro” (vedi alla voce “Rutelli” prima e “Binetti” poi); ora lo sappiamo, fondamentalmente nulla.
Le voci di una sconfitta del Partito vengono essenzialmente dalla Destra, che cerca di far passare il messaggio che vincere in 7 regioni su 13 è una sconfitta, in quanto se ne perdono 4 prima governate; non v’è alcun dubbio che non si tratti di una vittoria, ma dobbiamo assolutamente ricordare che il precedente dato di 11 contro 2 era emblema di un periodo politico piuttosto particolare, preludio della vittoria elettorale di 5 anni fa. Nel frattempo molte cose sono cambiate, ma soprattutto le elezioni Regionali non sono (a differenza delle comunali) tornate in cui conta particolarmente il “radicamento sul territorio”, ma da questo punto di vista più simili alle Politiche quindi il confronto andrebbe fatto con le ultime Politiche. A livello comunale, infatti, il PD non sta sfigurando (gli scrutini sono ancora in corso e molti andranno al ballottaggio, come al solito). Se il calcolo delle regioni perse e vinte si fosse fatto sulla base dei dati delle ultime Europee, il PD ne avrebbe prese solo 4. E parliamo di sconfitta? Come dopo ogni elezione che non sia una chiara vittoria, naturalmente, ora si chiede la testa di qualcuno: il fatto è forse è che Bersani non è ancora riuscito a dare quella svolta netta che qualcuno si attendeva; la “approfondita riflessione” che tutti ora vanno chiedendo, io la sollecito ormai da diversi anni: è necessario riprendere il contatto con la gente, com’è che altri riescono ed il PD no? “La strada è lunga” dice a ragione Bersani, il non aver perso ulteriori voti dopo le “debacle” degli ultimi appuntamenti elettorali è già un primo segnale. Guardiamo avanti.

Ultimo tra i partiti (perché è quello che ha perso più voti), il Popolo della Libertà. Sia chiaro (perché qualcuno lo penserà), niente di personale, in questo caso parlano i numeri: alle ultime Politiche il partito di Berlusconi aveva il 35,3%, oggi incassa un amaro 26,7, al quale si possono aggiungere un 3-4 punti dovuti alla mancata presenza della lista a Roma (punti che sono quindi andati ad “altre liste del centrodestra”). Ciò detto, il Pdl perde per lo meno 5 voti su 100, che mi sembra un dato tutt’altro che positivo. Ora, per altro, la Lega si fa decisamente più “ingombrante” come alleata, e può cominciare a pretendere, tenendo il coltello dalla parte del manico, un po’ ciò che gli pare (ricordiamo i piccoli partiti del governo Prodi?). Questa è indubbiamente una situazione pericolosa: lasciare le redini del paese in mano al 12% dell’elettorato non è un segnale positivo. Se poi, come credo, Berlusconi aveva in mente di tornare prossimamente alle urne per un “prolungamento” del suo mandato politico (giusto quanto basta per arrivare alla fine del mandato di Napolitano, ora che i numeri li dovrebbe avere ancora), ora avrà molte più difficoltà politiche: non perché perderebbe le elezioni, ma perché regalerebbe molti senatori e deputati alla Lega…

Per concludere, un pò di gratuito ottimismo: la differenza in termini di voti tra le due coalizioni (Pdl+Lega e Pd+IdV) è di 1 milione 700 mila voti, tutto sommato nemmeno troppi, no? Forza, rimbocchiamoci le maniche…

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La mia opinione sul “No Cav Day”

http://www.flickr.com/photos/coundown/2653879062/La polemica sul ribattezzato “No Cav Day” ferve. Come accadde ad esempio per i V-Day ed altre manifestazioni di piazza, attacchi giungono indiscriminatamente da tutti i fronti: mass media (televisioni, radio e giornali), governo, partiti, tutti. Come spesso accade, l’informazione che passa è superficiale e massimalista, mentre a me piace ascoltare prima di pronunciarmi. Così, visto che a Piazza Navona non potevo andare (a prescindere dai contenuti), mi sono andato a guardare i video (Guzzanti #1, Guzzanti #2, Grillo #1, Grillo #2, Travaglio, Camilleri, Ovadia, Di Pietro, D’Arcais) gentilmente messi a disposizione da RaiNews24 su YouTube (facendo per altro le tre di notte), che invito tutti i lettori che non l’avessero già fatto a vedere, perché è il miglior modo per farsi un’idea dell’oggetto del contendere, senza la quale è anche inutile argomentare.

Ciò premesso, passiamo alle considerazioni: di alcuni interventi non condivido né i toni, né i modi. In alcuni casi neppure le vittime degli attacchi stessi, anche se nel caso del papa e di Napolitano, qualche appunto sarebbe da fare: al papa è corretto far notare (forse con più moderazione) che alcuni aspetti di intolleranza sociale vedono una discreta parte di responsabilità della Chiesa che ha passato gli ultimi due anni a contrastare ad esempio il movimento omosessuale, conducendo addirittura in alcuni casi (vedi il referendum sulla fecondazione assistita) manovre di vera antipolitica con l’obiettivo di ottenere quello stesso astensionismo che oggi viene additato con il nome di “distacco dalla politica”; a Napolitano va assolutamente ricordato (anche in questo caso, con maggior moderazione indubbiamente, ma con sufficiente fermezza) il suo ruolo di garante costituzionale, soprattutto quando si piega a firmare decreti legge come quelli che in questo momento sono sul suo tavolo in nome di un fantomatico dialogo che la fazione preponderante decisamente vuole unilaterale (“chi non è d’accordo con me, significa che non vuole dialogare”).

Non condivido, dicevo, toni, modi, vittime. Eppure qualcuno mi deve spiegare dove sta l’errore sui temi. Dove sta l’errore nel denunciare il controllo dei media (come hanno fatto la Guzzanti e Travaglio), le leggi ad personam più o meno nuove (come hanno fatto un po’ tutti, a turno), le ondate razziste, le responsabilità morali e politiche di un’opposizione che dorme (per non dire peggio)?
No, l’errore non è nei temi, l’errore è ancora una volta sui modi. Modi che catalizzano l’attenzione dei mass media, distogliendo l’attenzione dal messaggio. E allora si parla e si discute dell’attacco al papa ed a Napolitano, anziché dei contenuti della manifestazione contro il Governo, anziché del boicottaggio del principale partito di centrosinistra, lasciando alla fine la vittoria nelle mani del contestato, Silvio Berlusconi, uscito non solo intonso, ma rafforzato nell’opinione pubblica che da sempre preferisce la vittima al carnefice.

C’è allora da chiedersi quale sia il valore reale della benefica agitazione sociale portata avanti da Beppe Grillo, da Marco Travaglio e da Sabina Guzzanti. Uno spettacolo comico divenuto quasi senza intenzioni movimento politico, capace di raccogliere attorno a se forze e voti che l’intero sistema (seppur ormai in decadenza) della Sinistra italiana non disdegnerebbe. Un mix di politica (quella di Piazza Navona, come giustamente sottolineava Di Pietro) ed antipolitica (quella di alcune invettive generaliste e populistiche) che miete successi oggi più che mai, nutrendosi della profonda crisi tra cittadini e potenti, spesso più ai danni della sinistra che della destra, che anzi dell’antipolitica e degli istinti più bassi ha fatto ragion d’essere.

Spetterebbe ai movimenti di sinistra (o di centro-sinistra se vogliamo allargare l’orizzonte) dare una risposta a questo messaggio, al bisogno di politica seria, di movimento, di azione. Invece la Sinistra, sconfitta alle elezioni, è tutt’ora incapace di reagire, di risollevarsi mentre il Partito Democratico non trova di meglio da fare che dissociarsi dal popolo, dal suo stesso elettorato e persino intimare a Di Pietro di fare lo stesso, pena la rottura.

E così Di Pietro diviene nella parcezione di alcuni, un politico “di sinistra”, qualcosa che non è mai stato. Di Pietro infatti non è un uomo di sinistra, ma soltanto un politico che fa di cose basilari una bandiera; cose basilari come giustizia, coerenza, trasparenza, rispetto per la costituzione e per i cittadini. Cose basilari, appunto, che dovrebbero costruire le fondamenta sulle quali costruire i programmi politici ed elettorali sui quali poi chiedere l’approvazione del popolo.

Invece no, si tratta di valori che vengono sistematicamente calpestati nel nome di interessi personali e particolari: si torna ai tempi della Rivoluzione Francese, con l’unica differenza che questa volta il popolo non è rivoluzionario, ma un branco di pecore addormentate.

Negli altri paesi non è così.

Interessante analisi di Al Jazeera

Sono stati pubblicati sull’account YouTube di Al Jazeera English le due parti di un’interessante trasmissione realizzata sulla politica itailana ed in particolare sull’impatto che vi sta avendo Beppe Grillo ed il movimento dei MeetUp, Liste Civiche e V-Days che ci gravita intorno. Un punto di vista esterno che ha il merito di guardare le cose con “un passo di distacco”, cosa che noi italiani fatichiamo spesso ad avere (i due video sono purtroppo in inglese).

Travaglio al V2-Day

Ieri a Torino non c’ero. Alberto mi aveva invitato, poi la stanchezza accumulata nelle ultime settimane mi ha spinto a concedermi (finalmente) una mattinata di riposo. In parte, di non essere andato, me ne sono pentito. A contribuire al pentimento, di sicuro, l’intervento di Marco Travaglio, che consiglio a tutti di ascoltare: ecco la prima parte, in attesa della seconda.

La denuncia ad un giornalismo asservilito al potere (e non sempre solo quello politico) è partita diverse volte anche da queste pagine, quindi non posso esimermi dal dare risalto, in questa occasione, alla campagna lanciata da Beppe Grillo.

Mi chiedo se sono ancora in tempo a firmare per i referendum…

DDL Editoria (Levi-Prodi)

CensuraNe hanno parlato in lungo ed in largo, un po’ tutti. Potevo forse astenermi dallo scrivere qualcosa anche io? Certo. Lo faccio? No :P. Perchè? Perchè ho qualche considerazione che vorrei esprimere, e posto che tutti muovo la bocca e cambiano l’aria alle corde vocali, non vedo perchè non potrei farlo anche io, nel mio piccolo 🙂

Tema, per l’appunto, il tanto blaterato “DDL sull’editoria”, che pareva in un primo momento equiparare i blogger (in realtà la maggior parte dei siti web parevano racchiusi nella definizione apparsa all’interno del documento pubblicato su governo.it) alle testate giornalistiche, imponendo quindi la registrazione al ROC (Registro Operatori di Comunicazione), con tutti gli oneri burocratici (pare nessun onere economico, ma il tempo perso per l’espletazione delle pratiche è sempre economicamente quantificabile), ma soprattutto con tutte le conseguenze civili e penali che questo ruolo comporta (in aggiunta ad una serie di ambiguità del testo proposto, i blogger sarebbero diventati responsabili persino del contenuto dei commenti, costringendo quindi ad una feroce moderazione [la dove possibile]).
Il caso in realtà è stato gonfiato e sgonfiato (con un gran sospiro di sollievo) nell’arco di poche ore. Non appena infatti è montata la protesta dei blogger italiani, a partire dallo spunto di Valentino Spataro, di civile.it, c’è stata una immediata inversione di rotta da parte dei rappresentanti del governo, con interventi (anche sui blog personali di alcuni politici) volti a “discolparsi”; da Antonio Di Pietro che dice che il testo proposto non era conforme a quello precedentemente proposto (ed ha quindi, desumo, votato ad occhi chiusi) minacciando la crisi di governo nel caso in cui si volesse proseguire con questo testo, fino a Pecoraro Scanio, che non era presente a quel Consiglio dei Ministri perchè impegnato altrove, o ancora Paolo Gentiloni, che candidamente (ed onestamente) ammette di non aver letto il testo proposto, e conferma la necessità di rivederne e migliorarne il contenuto.
Infine, poche ore fa, Gianni Cuperlo è riuscito a sentire per telefono Ricardo Franco Levi, che si è occupato di stendere il testo di legge, e che ha tenuto a precisare i fini del testo proposto, che prevedono l’azione del garante a definizione di quali realtà saranno soggette a quest’obbligo di registrazione, e quali no.

Alla fine, quindi, è stato tutto un errore, un malinteso, un grosso equivoco. Il testo era vago, è stato mal interpretato, ed in ogni caso si trattava di un Disegno di Decreto Legge, non di una legge fatta e finita (anche se poi sappiamo bene che questa non è una garanzia, ed il decreto “Pisanu” la dice lunga). In questo caso quindi, tanta paura per nulla, tutto è bene quel che finisce bene. Rimangono però un paio di considerazioni da fare:

1- E’ ammissibile che i politici che votiamo ed eleggiamo, siano messi nelle condizioni (sono sicuro che non viene fatto in mala fede) di non poter leggere i decreti che firmano e sostengono? Comprendo gli impegni, l’impossibilità di leggere carte su carte, tutto quello che si vuole. Ma allora (permettete il francesismo: “cazzo!”) non sarebbe il caso di dotare i nostri politici di tecnici degni di portare questo nome, e pagarli per verificare l’attendibilità (su vari aspetti, mica solo quello informatico, ovviamente) dei testi di legge che vengono proposti? Il Decreto Pisanu (fortunatamente poi modificato almeno sotto questo aspetto), che richiedeva dai provider il dump di tutto il traffico passante, non ha dunque insegnato proprio nulla?

2- Questa discussione, evidentemente montata “inutilmente”, ha almeno avuto il merito di dimostrare, per la prima volta forse, il potere mediatico dei blogger. E’ vero che moltissimi riferimenti sono stati fatti a Beppe Grillo (ormai eletto dai mass media a capo del fantomatico “popolo del web”, cosa che mi irrita non poco in quanto Grillo, pur essendo simpatico e autore di uno dei blog più letti del web non può certo aspirare ad aggregare tutti i punti di vista delle migliaia di blogger italiani), ma è anche vero che i riferimenti sono stati fatti a realtà molto diverse tra loro e le critiche non sono piovute solo dal comico genovese.
Questo primo successo potrebbe creare nel movimento dei blogger una diversa consapevolezza del proprio potere mediatico, con conseguenze tutte da valutare (e non necessariamente solo positive, purtroppo: i montati ci sono anche in questo ambiente…)