Il giorno dopo, eccoci qua a commentare; lo sapevamo, ce la aspettavamo, è arrivata: la scoppola rimediata da Soru (e da tutto il Pd) alle regionali sarde è l’ennesima conferma che l’elettorato non gradisce (o non comprende, poco via) l’impostazione politica dell’opposizione.
Ora naturalmente scatta il terremoto: Veltroni rimette il mandato, critiche a non finire, polemiche, accuse e recriminazioni. Polemiche sterili, visto che la situazione del Partito Democratico è sotto gli occhi di tutto da un pezzo: un partito profondamente diviso, con fazioni che cambiano di composizione a seconda degli argomenti da affrontare (etica, collocamento politico in Europa, scelte politiche strategiche).
Un partito immobile, inerme ed imbelle, che non contrasta (non, neppure “inefficacemente”) una maggioranza sempre più audace (al punto da arrivare allo “scontro istituzionale” con il Capo dello Stato). Un partito per il quale si ptrebbe cominciare ad usare pertinentemente la locuzione “accanimento terapeutico”.
All’orizzonte (cupo), le elezioni europee di giugno, in nome della cui “proposta politica unitaria” si è rimandato ad ottobre il Congresso del partito (occasione che avrebbe probabilmente consentito di fare chiarezza sullo stato di salute del Pd al limite dichiarandolo “clinicamente morto”), oggi più che mai necessario: le divisioni e le spaccature interne al partito, acuite da questa ennesima sconfitta, avrebbero forse potuto essere arginate e rimarginate con un atteggiamento più responsabile ed una terapia di lungo corso; l’attesa delle elezioni europee ed il risultato che ci possiamo aspettare (piuttosto magro, visto l’andazzo) potrebbero non lasciare via di scampo all’unità del Partito…
Lodevole il gesto di Soru, che a giochi ormai fatti ha dichiarato che “il suo futuro è nel Partito Democratico”. Il dubbio che rimane è se il Partito Democratico sarà qui ancora a lungo per darglielo, un futuro…
Io in effetti non ho mai capito il senso di questa unione, ma ora è ovviamente troppo tardi per tornare indietro, visto che dall’altra parte si fanno meno scrupoli ideologici e fanno meno fatica stare insieme (o se fingono, lo fanno bene).
Non so se sia un bene o un male, ma quello che è chiaro è che in Italia (almeno a sinistra) non siamo capaci di avere un sistema bipartitico, perché si formano correnti interne nei partiti troppo forti, che portano inevitabilmente al “fork :)”. D’altra parte, se si va al Governo con una coalizione troppo “variegata”, inevitabilmente il Governo tende a durare poco (come insegna la nostra Storia…).
Personalmente pensavo che Veltroni fosse un leader capace e un buon comunicatore, il problema però è l’incoerenza del suo rapporto con gli avversari politici: prima tende la mano, poi non li nomina nei suoi discorsi, ora è in una fase in cui attacca il Governo qualsiasi cosa facciano.
Soru è il nuovo che avanza… dove andrà, si vedrà 😀
Bersani sinceramente non mi è dispiaciuto come ministro ed è un discreto comunicatore, purtroppo la politica in Italia è una gara tra tronisti e non so se sarebbe in grado di tenere botta a Berlusconi…
Non capisco poi perché D’Alema si nasconda dietro altri candidati, per me il leader della Sinistra più credibile è proprio lui, a guida di una coalizione tra DS, Radicali e Sinistra Radicale (io magari lascerei fuori i Verdi…un giorno poi mi spiegheranno cosa hanno in comune Verdi e Comunisti…). Quelli della Margherita potrebbero anche decidere se sono di sinistra o se vogliono stare con l’UDC.
Comunque sia, possono anche prendersela comoda, passerà un bel po’ di tempo prima che rivedremo un Governo non di Destra (non mi azzardo a dire di Sinistra, che se no qualcuno si offende) in Italia… mai come in questo caso spero di sbagliarmi.
Inizio col dire che, da riadioamatore, di ‘comunicatori’ ne ho piene le balle.
‘azzo comunichi a fare, se non sai cosa fai ?
Poi: il PD aveva un senso: era il senso dell’alleanza fra ceti produttivi (E.Berlinguer XV congresso del PCI).
Faccio un esempio: un professionista come me, o anche una micro impresa, è fortemente legato alle condizioni dei lavoratori dipendenti (se puoi pagarli niente, tenerli in nero, ecc… certo non pagherai bene dei professionisti, piuttosto schiavizzi dei neolaureati)
Ma c’è anche una condivisione di valori: il lavoro, la pace, l’ambiente…
Però per far questo occorreva:
1) resuscitare il ‘centralismo democratico’: ci si scanna *dentro*, si vota *tutti* e poi *tutti*, come un sol uomo (donna), sulle barricate. Era *la forza* del vecchio PCI, è stato buttato nel cesso.
2) vaccinarsi contro il settarismo (PdCI che si scinde da Rifondazione che si divide…)
3) evitare gli estremismi (parte di Rifondazione che vuole rifare la rivoluzione d’ottobre, molti teodem che vogliono uno stato islamico (pardon…cattolico), alcuni verdi che preferirebbero tornare alle caverne)
4) educare gli elettori, coinvolgendoli (sarà un caso che la coalizione arcobaleno non è stata votata ? io che l’ho votata credo di no, che non sia stato un caso: ogni elettore si guardava l’ombelico.
5) fare politica, ca**o, opposizione in parlamento, stare fra la gente in strada, nelle fabbriche, nelle scuole …
6) tagliare le palle a certi ducettini di periferia (ask Guido che saprebbe chi vaporizzare – anche se è un democratico e si è limitato ad andarsene)
In sostanza bastava *partire dalla base* e *dai valori condivisi*. Invece si è partiti dal vertice e si è inseguito il centro.
Walter, te lo sei voluto. I voti dei vecchi come me ti facevano schifo ? Bene, hai raccolto quel che hai seminato.
Che dire poi di Soru? in queste condizioni non ci si dimette, era logico che perdeva, meno logico che tutte le teste … d’uovo di laggiù non lo abbiano capito (speravano nelle armi segrete come baffetto – vedi la gioiosa macchina da guerra di Ochetto ? ma che si sono fumati ?)
Concludendo: il PD è morto di sterzata al centro, di poca chiarezza, di troppi leaderini, di correnti, di *troppo poco coinvolgimento della gente* (ha fatto una fine *sovietica* da *partito di quadri*.
Una prece (per i teodem), ed un fiore (no garofani/mimose che sembrano creare allergia).
Giovanni – che sente molto la mancanza di un partito non estremista ma nemmeno riunciatario.