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And the winner is…

Schede elettorali

Ivan Marcialis via Flickr

Bene, dopo una giornata di “silenzio riflessivo”, tormentato dalle (mie) valutazioni contraddittorie e stordito dalle tante (troppe) informazioni di questa tornata elettorale (la prima vista “dall’interno”, come segretario di seggio per la precisione), arrivo a proporre la mia ormai usuale serie di cazzate considerazioni sui risultati.

Cominciamo con il dire che il vero vincitore di queste elezioni è il partito del non voto, che sale fino ad un 35% abbondante. Un segnale che da ogni parte (tranne da quelli che si stanno definendo a destra ed a manca come “i vincitori”) viene segnalato come “estremamente preoccupante”, ma considerando che è “saltato” un altro punto percentuale rispetto al giugno 2009 (ed anche allora lo si definì “preoccupante”), direi che non cambierà granché e presto mi ritroverò da solo a votare e questo risolverà (garantisco io :P) moltissimi problemi.

Al secondo posto, tra i vincitori, troviamo indubbiamente la Lega Nord, ad ulteriore conferma che prendere gli italiani per “lo stomaco”, diffondendo demagogia, paura ed incertezza rende, e rende parecchio: i “Lumbard” (anche se da oggi dovremmo dire “venesiàn”) guadagnano altri due punti percentuale secchi rispetto all’ultima tornata elettorale che già aveva visto un loro importante balzo in avanti.
La Lega diventa il primo partito in Veneto, massacrando letteralmente il proprio alleato (il PDL) al quale affibbia un cocente 11% di distacco, mica noccioline. La vittoria la ottiene soprattutto al Nord (prevedibilmente, anche se avanza anche al centro, nelle poche regioni dove si è presentata) e soprattutto nelle valli: in città infatti (Milano, Venezia…) non solo non sfonda, ma tende a vincere la coalizione opposta.

L’unico altro partito, dopo la Lega, a guadagnare voti è (non sorprendentemente, visto che l’ultima volta non c’erano) il Movimento 5 Stelle. Il valore nazionale del 1,77% non rende onore al “prodigioso” risultato elettorale dei “grillini”, in quanto diluito dalle numerose regioni dove il partito non si è presentato. Per rendere un’idea di ciò che da oggi Grillo ed i suoi rappresenteranno sul panorama politico italiano, vanno citate Emilia Romagna (7,0%) Piemonte (un 4.07% che tanto comodo avrebbe fatto a Mercedes Bresso), Veneto (3,15%) ed un significativo 3% nella popolosa Lombardia; solo in Campania il dato è più basso, attorno al 1,3%. In merito, ho sentito parlare di “voto di protesta”: direi che possiamo considerare una percentuale di “protesta” un po’ troppo elevata per dare adito a questa affermazione. Credo piuttosto che Grillo, con la sua semplicità ed il contatto con il popolo che riesce a raggiungere (internet è una realtà, in Italia, ma resta pur sempre una nicchia), con le liste costruite dal basso, ha incarnato un sincero moto partecipativo che altri partiti non hanno saputo raccogliere; probabilmente hanno ragione nel dire che sono altri punti strappati all’astensione.

Forse a pagare leggermente il prezzo della discesa in campo di Beppe Grillo è stata l’Italia dei Valori, che parzialmente aveva “sopperito” alla sua mancanza negli ultimi anni. Il calo è però piuttosto contenuto, un -0,8% che potrebbe avere spiegazioni diverse e conferma in ogni caso il più che buon risultato conseguito a giugno (quando era una delle grandi “rivelazioni elettorali”). Con il suo 7,2%, quello di Antonio Di Pietro resta il 4° partito italiano, un interlocutore importante (non solo per il Partito Democratico), per quanto fastidioso questo possa essere per Silvio Berlusconi.

Chi invece non era andato granché bene a giugno e perde un altro punto percentuale secco, è l’UDC di Casini. La strategia del “triplo forno” (alleanze con il Pdl, con il Pd o la corsa da soli a seconda della regione) apparentemente non ha pagato come forse avevano sperato, e dal 6,5% delle ultime elezioni scendono al 5.5%. Ancora in quota “sbarramento”, ma con la spia rossa dell’allarme sul “acceso fisso”: se non voglio sparire urge trovare una soluzione. E non sarà quella di allearsi con gli ex-pd (ed ex-Margherita) come la Binetti (che candidata dall’UDC in Umbria ha preso una batosta memorabile) o Rutelli (“Alleanza per l’Italia” si ferma ad un ben misero 0,58% che la relega alla voce “Altri” di molti tabelloni).

Perdono voti, seppure in modo meno pesante, anche i partiti di sinistra: Rifondazione, alleata con i Comunisti Italiani a formare la Federazione della Sinistra, scende dal 3,4 al 2,9%, mentre Sinistra Ecologia e Libertà (ciò che resta della Sinistra e Libertà delle ultime elezioni dopo l’uscita dei Verdi) riesce a contenere in un misero 0,1% il declino di preferenze. Con i Verdi (che valgono lo 0,6% nazionale), sarebbero ora vicini ad un più concreto, sebbene poco appagante, 4,0%. In totale, l’area alla sinistra del PD varrebbe ad oggi più del 7%, se solo riuscissero a trovare la quadratura del cerchio: non poi così distante da quel 12% che facevano segnare ormai alcuni anni fa.

L’estrema destra, dopo il “balzo” de “La Destra” alle ultime elezioni (avevano incassato il 2,2%), torna su dati “ragionevoli”: 0,7% per il partito di Storace e Forza Nuova rimandata a raccogliere briciole. Un dato per lo meno rassicurante.

Veniamo quindi ai due principali (numericamente) partiti italiani. Quello che (paradossalmente) esce meglio da queste elezioni è il Partito Democratico. Percentualmente parlando, infatti, gli elettori del PD restano il 26,1%: l’emorragia di voti che si era verificata nei primi anni di vita del partito sembra essersi arrestata e questo è già, di per se, un dato positivo. Soprattutto considerando che solo qualche tempo fa si cercava di capire cosa potessero incedere le fuoriuscite di tutta una serie di personaggi che in seguito all’elezione di Bersani segretario avevano deciso di fare valige e “migrare al centro” (vedi alla voce “Rutelli” prima e “Binetti” poi); ora lo sappiamo, fondamentalmente nulla.
Le voci di una sconfitta del Partito vengono essenzialmente dalla Destra, che cerca di far passare il messaggio che vincere in 7 regioni su 13 è una sconfitta, in quanto se ne perdono 4 prima governate; non v’è alcun dubbio che non si tratti di una vittoria, ma dobbiamo assolutamente ricordare che il precedente dato di 11 contro 2 era emblema di un periodo politico piuttosto particolare, preludio della vittoria elettorale di 5 anni fa. Nel frattempo molte cose sono cambiate, ma soprattutto le elezioni Regionali non sono (a differenza delle comunali) tornate in cui conta particolarmente il “radicamento sul territorio”, ma da questo punto di vista più simili alle Politiche quindi il confronto andrebbe fatto con le ultime Politiche. A livello comunale, infatti, il PD non sta sfigurando (gli scrutini sono ancora in corso e molti andranno al ballottaggio, come al solito). Se il calcolo delle regioni perse e vinte si fosse fatto sulla base dei dati delle ultime Europee, il PD ne avrebbe prese solo 4. E parliamo di sconfitta? Come dopo ogni elezione che non sia una chiara vittoria, naturalmente, ora si chiede la testa di qualcuno: il fatto è forse è che Bersani non è ancora riuscito a dare quella svolta netta che qualcuno si attendeva; la “approfondita riflessione” che tutti ora vanno chiedendo, io la sollecito ormai da diversi anni: è necessario riprendere il contatto con la gente, com’è che altri riescono ed il PD no? “La strada è lunga” dice a ragione Bersani, il non aver perso ulteriori voti dopo le “debacle” degli ultimi appuntamenti elettorali è già un primo segnale. Guardiamo avanti.

Ultimo tra i partiti (perché è quello che ha perso più voti), il Popolo della Libertà. Sia chiaro (perché qualcuno lo penserà), niente di personale, in questo caso parlano i numeri: alle ultime Politiche il partito di Berlusconi aveva il 35,3%, oggi incassa un amaro 26,7, al quale si possono aggiungere un 3-4 punti dovuti alla mancata presenza della lista a Roma (punti che sono quindi andati ad “altre liste del centrodestra”). Ciò detto, il Pdl perde per lo meno 5 voti su 100, che mi sembra un dato tutt’altro che positivo. Ora, per altro, la Lega si fa decisamente più “ingombrante” come alleata, e può cominciare a pretendere, tenendo il coltello dalla parte del manico, un po’ ciò che gli pare (ricordiamo i piccoli partiti del governo Prodi?). Questa è indubbiamente una situazione pericolosa: lasciare le redini del paese in mano al 12% dell’elettorato non è un segnale positivo. Se poi, come credo, Berlusconi aveva in mente di tornare prossimamente alle urne per un “prolungamento” del suo mandato politico (giusto quanto basta per arrivare alla fine del mandato di Napolitano, ora che i numeri li dovrebbe avere ancora), ora avrà molte più difficoltà politiche: non perché perderebbe le elezioni, ma perché regalerebbe molti senatori e deputati alla Lega…

Per concludere, un pò di gratuito ottimismo: la differenza in termini di voti tra le due coalizioni (Pdl+Lega e Pd+IdV) è di 1 milione 700 mila voti, tutto sommato nemmeno troppi, no? Forza, rimbocchiamoci le maniche…

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Buongiorno, opposizione!

Walter Veltroni in Trento Poco più di un mese è durato l’idillio tra il Partito Democratico di Walter Veltroni e la maggioranza di Governo guidata da Silvio Berlusconi, con la quale era stato aperto un “periodo di dialogo”. Sembra infatti che nel Partito Democratico abbiano alla fine deciso di “arrabbiarsi” (mi lascia molto perplesso il fatto che ci sia bisogno di deciderlo), uscire dall’ombra e di passare ad una fase di reale opposizione. Nel frattempo, il Cavaliere, ha avuto modo di farsi bello con misure demagogiche, inefficaci se non addirittura controproducenti, prolungando la “luna di miele” del Governo a beneficio delle imminenti settimane, in cui pensa di far approvare un pacchetto di provvedimenti che lo salveranno dai pericolosi processi in cui è attualmente coinvolto (disse una volta a Montanelli “Scendo in politica per non finire fallito o in carcere”, mai obiettivo fù meglio raggiunto).

In attesa che il Partito Democratico vesta gli abiti del vero oppositore (l’unico ad avere realmente i numeri per fare un’opposizione degna di cotanto nome), l’unica opposizione fino a ieri sembrava essere quella di Antonio Di Pietro, la cui Italia Dei Valori si batte in parlamento, con la ferocia che i suoi 29 deputati e 14 senatori le consentono. Da oggi invece, pare che la maggioranza di Governo abbia una nuova forma di “opposizione interna”, forse più assimilabile ad un “rimorso di coscienza”: la rappresentanza parlamentare del Movimento Per le Autonomie ha infatti deciso ieri all’unanimità di non poter votare la fiducia al Governo sul taglio dell’ICI in quanto la copertura finanziaria per questo provvedimento passa da tagli alle infrastrutture del mezzogiorno. Tagli al Nord mai, tagli al Sud men che meno, alla fine i nodi vengono al pettine (se di nodo si può parlare, con 8 deputati e ancor meno senatori) …

Economia e cavalleria

Arrivo forse un po’ in ritardo (forse), ma volevo segnalare queste slides proposte da un gruppo di studenti di un master in economia.

Si tratta di un documento piuttosto interessante: le spiegazioni sono semplici anche per coloro che non conosce in profondità i meccanismi dell’economia. Impressionanti i dati raccolti e mostrati dai grafici: da soli valgono una scorsa alle slides…

Un paese razzista (o leghista?)

LeghistiIl mattino ha l’oro in bocca, ed i tiepidi raggi che questa mattina baciano gli abitandi della “Verde Padania” portano con se le prime riflessioni ed i primi bilanci post-elettorali. Dopo lo shock della debacle della Sinistra Arcobaleno (perdere 10 punti percentuale non è attribuibile al solo PD, siamo seri), l’analisi si sposta sul tema chiave di queste elezioni: il risultato elettorale ottenuto dalla Lega, che ha proiettato Berlusconi al Quirinale.

Purtroppo il discorso è semplice: demagogia a parte, la Lega ha da sempre un orientamento politico piuttosto chiaro, mutato davvero poco, per altro, nel tempo. Si tratta di un partito profondamente razzista (basta pensare a Salvini, che su Radio Padania che dice “Purtroppo è più facile derattizzare i topi che debellare gli zingari”), che fa di false radici e di valori inattuati la propria bandiera, ed il fatto che abbia ottenuto un risultato elettorale così importante (soprattutto in Lombardia e Veneto, dove ha toccato il 25%) la dice lunga non tanto sulla voglia del nord di secedere da “Roma Ladrona”, ma soprattutto sul razzismo latente che impregna come una spugna la nostra società.

E posso parlare con cognizione di causa, visto che intorno a me posso individuare almeno un paio di persone che sono decisamente “di sinistra” come ideali, ma che in fatto di razzismo, immigrazione ed integrazione la vedono esattamente come le truppe di Borghezio. I motivi che hanno spinto a questo problema (perché di un problema si tratta, ne converrete) sono sicuramente da ricercare indietro nel tempo (non è dissimile da quello che accadeva 30 anni fa con i “terroni” e che tra l’altro non si è ancora estirpato), sicuramente è condiviso con altri paesi europei e non, ma è altrettanto sicuramente oggetto di una strategia del terrore e dell’insicurezza, attuata (con grande efficacia) dalla Destra negli ultimi anni e colpevolmente assecondata da una sinistra da un lato incapace di introiettare secondo i propri schemi storici dei valori presenti tra le priorità dei cittadini e anzi colpevole di reazioni “dissennate” come quella di Veltroni contro i rumeni ed i rom solo pochi mesi fa.

Alla Lega va dato atto di aver avuto la capacità di parlare (per anni in realtà) alla pancia dei cittadini del nord del paese (e non solo) fomentando a proprio uso e consumo la xenofobia di cui sopra. Sorprende in particolare la presenza ai banchetti “verdani” di giovani e giovanissimi attivisti, dimostrazione purtroppo palese delle conseguenze drammatiche che una sbagliata politica di integrazione provoca: l’ulteriore aumento di xenofobia, in un circolo vizioso che non può che portare dritto come un fuso a leggi razziali e pulizia etnica.
Potremmo sperare in una posizione più “moderata” da parte del Partito delle Libertà, ma la presenza di “molta destra” (come diceva ieri pomeriggio La Russa su Rai3) all’interno del partito, ed i numeri di camera e senato, che decretano l’impossibilità, per Berlusconi, di governare senza la Lega (60 seggi alla camera e 25 al senato non lasciano margini al Cavaliere) fanno rabbuiare rapidamente l’orizzonte.

Il popolo, in ogni caso, sarà contento: panem et circenses non mancheranno…

A Berlusconi «serve» Ciarrapico

[ Fonte: Ciarrapico «ci serve» ]
«Noi dobbiamo fare una campagna elettorale e si deve vincere. L’editore Ciarrapico ha giornali importanti a noi non ostili ed è assolutamente importante che questi giornali continuino ad esserlo visto che tutti i grandi giornali stanno dall’altra parte». È con queste parole che il leader del Pdl, Silvio Berlusconi, ha spiegato il senso della candidatura di Giuseppe Ciarrapico, il controverso imprenditore ciociaro che con la sua discesa in campo da due giorni sta agitando le acque nel centrodestra.

Almeno fino a qualche tempo fà non era così sfrontato… Non ci sono più i monopolisti di una volta…

Il programma del Popolo delle Libertà

logo-pdl.jpgProsegue la serie delle mie personali analisi ai programmi dei principali partiti candidati per le elezioni politiche di aprile.

Dopo aver visto (blandamente) il programma dell’Italia dei Valori e (più approfonditamente) quello del Partito Democratico, ecco giunto il turno di quello del Popolo delle Libertà, l’alleanza Berlusconi-Fini attualmente data per favorita da tutti i sondaggi.

Il Programma del Popolo delle Libertà è stato presentato ormai da qualche giorno (siamo ormai in vista del termine per la presentazione delle liste dei candidati) ed è disponibile direttamente sul sito di Forza Italia sotto forma di pdf che riprende una serie di 33 slides fitte di punti.

Si tratta di un documento a dir poco mastodontico (le valutazioni in materia le trovate nelle conclusioni di questo post), che sotto questo profilo è fin troppo simile alle 300 pagine del programma del governo Prodi, che a differenza di questo programma erano però eccessivamente dettagliate, e non eccessivamente numerose.

Il programma, per entrare in tema, è suddiviso in “sette missioni”, alcune delle quali sono poi ulteriormente suddivise in più punti.

  1. La prima missione, porta il titolo “Più sviluppo, più infrastrutture”. I punti previsti sono
    1. “Un nuovo fisco per le imprese”, naturalmente dal punto di vista di coloro che le imprese le guidano e che ne ricavano i profitti. Questo punto del programma prevede in prima battuta la detassazione (graduale o meno) di straordinari, tredicesime e incentivi di produzione. Ho già avuto modo di commentare questa posizione discutendo del programma finanziario del Partito Democratico, sottolineando un principio: detassare le rivenute “straordinarie” porta un notevole vantaggio a sovrasfruttare i dipendenti già a contratto piuttosto che assumerne di nuovi. Può essere conveniente per gli industriali, ma è un grosso problema per il mondo del lavoro. Meglio sarebbe invece detassare l’assunzione a tempo indeterminato, avendo cura di stabilire un salario minimo.
      Sempre nel primo punto ricade l’idea di posticipare i versamenti iva a 60-90 giorni dall’incasso effettivo della fattura. Si tratta di un punto interessante anche alla luce del fatto che la pubblica amministrazione solitamente paga “a babbo morto”, e nel frattempo chi ha fatturato deve pure versare l’iva su soldi mai incassati. L’importante è capire come coprire questo ritardo negli incassi da parte dello Stato.
      Stesso discorso vale per l’idea di una sperimentazione “no tax” per le nuove imprese dei giovani; ottima idea che inventiva notevolmente l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, ma che ha bisogno di una copertura finanziaria da parte dello Stato: da dove pensa Berlusconi di prendere i soldi che non entreranno da queste fonti?
      Altro punto interessante, è quello che prevede la semplificazione, ove possibile, della burocrazia fiscale: lodevole iniziativa, ma non dimentichiamoci che proprio la burocrazia ha in parte contribuito alla lotta all’evasione fiscale (i controlli incrociati sono stati fondamentali) e che quindi questa semplificazione deve tenere in mente la necessità di proseguire sul cammino tracciato.
      Gli altri punti (abolizione dell’IRAP, riforma degli studi di settore “dal basso”, riduzione dell’iva sul turismo) sono altri punti interessanti e condivisibili in linea di principio, ma come già detto mancano indicazioni sulle (imprescindibili) coperture finanziarie: nei cinque anni dell’ultimo Governo Berlusconi questo non è stato sufficientemente preso in considerazione, al punto che i primi due anni di governo Prodi sono stati investiti quasi completamente nel “rimettere in piedi il paese” dopo le devastazioni economiche che i condoni del governo precedente avevano generato.
    2. “Infrastrutture e nuove fonti di energia” è il titolo del secondo punto della prima missione. Questo punto prevedere il rifinanziamento delle grandi opere (in particolare Pedemontana lombarda e veneta, Ponte sullo Stretto, TAV), la promozione della raccolta differenziata e dei necessari termovalorizzatori (la questione partenopea ha almeno avuto il merito di puntare il dito sul problema), la promozione di impianti di cogenerazione ed energie rinnovabili. Si tratta di un punti non certo “innovativi” (tutti i governi, di sinistra e di destra, li hanno elencati nei loro recenti programmi) ma la domanda è sempre la stessa: il debito pubblico italiano è alle stelle, con che soldi si pensa di fare le “grandi opere”? E soprattutto, questo verrà fatto indipendentemente dall’emergere di questioni “locali” (petrolieri, popolazioni contrarie, e via dicendo)?
      Il rilancio del “traffico aereo” con la valorizzazione degli hub di Malpensa e Fiumicino è una chiara dichiarazione di guerra all’acquisto di Alitalia da parte di AirFrance, su cui ho già abbondantemente discusso: i neo-liberisti del Popolo delle Libertà vogliono la liberalizzazione di mercato, ma non le conseguenze della liberalizzazione stessa (il fatto che Alitalia possa volare dove più economicamente interessante).
      Punto chiave relativo alle nuove fonti di energia, è l’adesione ai progetti nucleari europei, con l’introduzione del nucleare in Italia. Non sono sfavorevole al nucleare in se (la tecnologia è ormai sufficientemente matura da potersi dimenticare di eventi terribili come quelli capitati a Cernobyl), ma viste le modalità con cui vengono realizzate le “infrastrutture” in Italia (vogliamo parlare della Salerno Reggio-Calabria? Della diga del Vayont? Sulla sabbia nei cementi armati di tante costruzioni?) i dubbi rimangono, e forti, sulla parte “costruttiva” e sulla “manutenzione”.
      Anche la questione delle telecomunicazioni è contenuta in questo punto del programma. Trovo positivo che “diffusione della larga banda” e “liberalizzazione delle telecomunicazioni” siano incluse anche nel programma del Popolo delle Libertà, mentre trovo piuttosto (comprensibilmente) vuoto di contenuti il punto relativo alla liberalizzazione dei media: con Berlusconi al governo, come si può pretendere la seria risoluzione delle questioni “indipendenza dei media”, “conflitto di interessi” e “Rete 4”?
    3. “Incentivi alle imprese”. Così si può sintetizzare il punto “Lavoro” del programma del Popolo delle Libertà. Incentivi per la sicurezza su lavoro, incentivi per la stabilizzazione, incentivi per la realizzazione di nuovi posti di lavoro. Mi preoccupa un po la riforma degli ammortizzatori sociali secondo i principi del “Libro Bianco” di Marco Biagi: non ho trovato indicazioni su Wikipedia e l’idea che siano i proprietari di aziende a fare le riforme agli ammortizzatori sociali non mi fa ben sperare…
    4. Sul fronte “Liberalizzazioni”, le proposte sono vaghe: liquidazione delle società pubbliche non essenziali (mi chiedo che sono state fondate a fare, ma ho paura di non volerlo sapere) e liberalizzazione dei servizi (pubblici e privati). L’impressione è che si voglia seguire il lavoro già cominciato dal governo Prodi sotto questo profilo, ma temo (forse a causa di una certa dose di pregiudizio) una liberalizzazione selvaggia, che più che ai cittadini (tramite la concorrenza) porti vantaggi agli imprenditori…
    5. Il punto “Sostegno al made in Italy” potrebbe chiamarsi tranquillamente “protezionismo”. Ho già affrontato il discorso nel post di domenica: non sono convinto che il protezionismo serva a qualcosa. E’ un po’ come la storia di Malpensa: la destra vuole il “mercato libero” ma non ne vuole pagare lo scotto. Lodevole ad ogni buon conto l’idea di certificare il “made in Italy” (bisogna sempre capire cosa si intende per made in Italy, ma sorvoliamo) e di accorciare le filiere produttive: mi sembrano idee un po’ troppo “di sinistra” però… curioso…
    6. La “riorganizzazione e digitalizzazione della pubblica amministrazione” è in ballo ormai da parecchio tempo. L’idea in se non è malvagia, ma l’applicazione (mi dicevano dei dipendenti statali non molto tempo fà) è spesso la semplice duplicazione del lavoro: prima quello cartaceo, poi quello digitale. Si tratta di un processo non semplice da affrontare, e con risvolti spesso inattesi per i politici: si va a parlare di formati, di libertà di sviluppo del software (compresa l’analisi di apparati coperti da brevetti al fine di “liberarne” i principi di funzionamento…), di interoperabilità reale… temi che Forza Italia non ha sempre visto esattamente in quest’ottica…
  2. La seconda missione si intitola “Più aiuti alla famiglia”
    1. “Meno tasse” è un po’ il nodo cruciale di tutta la campagna elettorale del partito. Dopo aver battuto il ferro del “rubare dalle tasche degli italiani” contro il governo Prodi per due anni, Berlusconi non poteva che lanciare un segnale forte in questa direzione. Peccato che poi abbia già cominciato a ritrattare, facendo presente che la situazione economica internazionale non è delle migliori, e che “si farà quel che sarà possibile“. Se a questo aggiungesse il fatto che c’è un debito pubblico da tenere sotto controllo, ed un’economia che stenta a decollare, arriverebbe a ridurre la pressione fiscale esattamente nel modo in cui lo stava facendo il governo Prodi, a piccoli passi, garantendo la copertura finanziaria degli incentivi sociali ed economici elargiti dal governo.
      Abolizione dell’ICI sulla prima casa, su successioni e donazioni sono interventi demagogici, che non incidono realmente sulla qualità della vita dei cittadini.
      Divertente il fatto che come ultimo punto di questa missione si legga: “rafforzamento delle misure di contrasto all’evasione fiscale gia contenute nella legge finanziaria del governo Berlusconi“. Ma come, non si era parlato di sciopero fiscale, di “sinistra che mette le mani nelle tasche dei cittadini”? La lotta all’evasione fiscale del precedente governo Berlusconi è stata fallimentare, visto che Mediaset ha “risparmiato” 5 milioni di euro in 5 anni e che in due anni di governo “di sinistra” è stato possibile raggiungere obittivi inaspettati (il mitico “tesoretto” deriva proprio dalla lotta all’evasione fiscale). Il fatto che non ci sia alcun riferimento all’ottimo lavoro svolto dal governo Prodi su questo fronte (sul quale sono i numeri a parlare chiaro), mette in chiara luce quale sia il contenuto reale di questo programma politico.
    2. Il punto “Una casa per tutti” prevede la costruzione di alloggi pubblici attraverso lo scambio di proprietà dei terreni e concessioni di edificabilià, un piano di riscatti per gli alloggi pubblici, una riduzione del costo dei mutui bancari (immagino non solo quelli relativi alle case, vero?), detassazione di riscaldamento ed interventi di difesa termina, costruzione di nuovi parcheggi sotterranei nelle grandi città. Tutto molto bello, gran poco di originale. La questione degli alloggi si trascina ormai da anni nonostante i continui “investimenti” e “piani”. Il problema è che nella realtà, l’applicazione dei principi sanciti “a parole” è praticamente nulla.
    3. Terzo punto, prevede “migliori servizi sociali”, a cominciare dalla reintroduzione del “bonus bebè” (perché reintroduzione, visto che era in Finanziaria 2006?) e la riduzione dell’iva su latte e alimentari per l’infanzia: meno tasse, meno tasse, meno tasse, ma i soldi da dove pensano di prenderli?
      Ottima l’idea di fornire gratuitamente i libri scolastici alle famiglie disagiate (ancora una volta si pone il problema della copertura finanziaria di questo intervento), mentre meno condivisibile è il sostegno alle famiglie (ancora soldi) per consentire “libertà di scelta tra scuola pubblica e privata“: perché incentivare la scuola privata quando quella pubblica presenta carenze sulle quali sarebbe possibile investire?
      Altro aspetto importante di questo terzo punto, è il rilancio (rilancio???) del ruolo dei consultori anti-aborto. Il punto è delicato, eppure estremamente vago. Si tratta a mio avviso di un contentino per qualcuno, soprattutto considerando che lo stesso punto è ripetuto due volte su due pagine, affiancato nel secondo caso all’esclusione di ogni ipotesi di leggi che permettano o comunque favoriscano pratiche mediche assimilabili all’eutanasia.
      Altri soldi usciranno dal promesso “aumento delle pensioni più basse”, dal “rafforzamento della previdenza”, dall’utilizzo delle Poste Italiane (che sono state privatizzate tempo addietro) per fornire servizi “a domicilio”.
      Positivo l’allargamento dei destinatari del “cinque per mille”, comprendendo (nuovamente) le associazioni non-profit e gli enti di ricerca.
    4. Nel punto “dare ai giovani un futuro” viene ripreso il già citato punto della sperimentazione “no tax” per le aziende dei giovani, gli incentivi per le assunzioni e stabilizzazioni (in questo caso con particolare riferimento ai giovani). Nuovi (ma non originale) i punti relativi al “bonus locazione” per le giovani coppie ed all’introduzione di “prestiti d’onore” (ancora una volta relativi all’avvio di nuove imprese). Quello che al Popolo delle Libertà non è chiaro, è che ai giovani manca la formazione, non le opportunità di fare impresa: senza conoscenza, non c’è agevolazione che tenga!
  3. La terza missione, intotolata “Più sicurezza, più giustizia”
    1. “Più sicurezza” secondo Berlusconi significa più poliziotti per strada e persecuzione di nomadi, clandestini (anche agendo a livello europeo contro le sanatorie), fondamentalisti e terroristi (nazionali ed internazionali): pare che si troveranno anche soldi per un’equipe specialmente addestrata nella rincorsa al babau ed all’uomo nero. Incentivi all’installazione di sistemi di sicurezza nei pubblici servizi, incremento delle pene per le violenze contro le forze dell’ordine (dalle cui violenze invece nessuno difenderà i cittadini) da parte dei “vari disobbedienti“. Costruzione di nuovi CPT, conferma della Bossi-Fini, incentivi per la formazione in tema di leggi, lingua e cultura italiana agli stranieri.
      Come ogni volta che si parla di “sicurezza”, la destra finisce nel più demagogico razzismo, ignorando completamente i principi di accoglienza ed integrazione che renderebbero estremamente più semplice il superamento delle difficoltà che spingono alcuni clandestini a delinquere. Molto meglio fomentare l’odio della popolazione nei confronti del “diverso”, decisamente.
    2. Altro tema scottante per Berlusconi (in prima persona) è quello della “giustizia”. Avendo già fatto le leggi “ad personam” che gli servivano con l’ultimo suo governo, stavolta può promettere una razionalizzazione delle leggi vigenti, la ristrutturazione delle carceri (e costruzione di nuove), ed applicazione della “tolleranza zero“: inasprimento delle pene per i reati di “allarme sociale” (tutti, basta che ne parlino i media), certezza della pena.
      Interessante notare la struttura sintattica delle promesse che Berlusconi propone nel suo programma in questa sezione: una frase oscura e sintatticamente complessa, seguita da un’affermazione rassicurante:
      rafforzamento della distinzione delle funzioni nella magistratura, come avviene in tutti i paesi europei
      – confronto con gli operatori della giustizia per una riforma di ancor maggiore garanzia per i cittadini, che riconsideri l’organizzazione della magistratura, in attuazione dei principi costituzionali
      Non poteva naturalmente mancare la questione intercettazioni: limitazione dell’uso delle intercettazioni ai reati più gravi (quali non si sà), e divieto di pubblicazione con pesanti sanzioni in caso contrario.
  4. Quarta missione del programma, prevede “più servizi ai cittadini”:
    1. Si comincia con la “sanità”: incentivi per la ristrutturazione delle strutture ospedaliere (soldi che escono per infrastrutture che poi finiranno in televisione a Striscia la Notizia), inasprimento della lotta alla droga (naturalmente quelle leggere, perché quelle pesanti le usano in Parlamento), riforma del trattamento obbligatorio per i disturbati psichici (internamento?).
      Interessante la richiesta di trasparenza nelle nomine dei manager delle aziende pubbliche sanitarie.
    2. Per quel che riguarda la scuola, si punta sulle “3 i”: industria, inglese ed informatica (chi se ne frega se poi agli studenti manca tutto il resto). Difesa del nostro patrimonio linguistico e culturale (dall’assalto dell’uomo nero e del babau già citati in precedenza). Aumento della competizione (tra insegnanti o atenei universitari che sia) come forma di incremento delle competenze e di premiazione delle eccellenze, detassazione degli investimenti in ricerca ed innovazione tecnologica (e son soldi che vanno).
    3. Nel capitolo “ambiente” troviamo nuovamente l’allargamento del “cinque per mille” (stavolta comprendendo anche l’ambiente, anche se non sono chiare le modalità), e poi tutta una serie di iniziative volte alla salvaguardia del territorio (che non arriveranno a nulla, visto che non devono mettere a repentaglio quello scempio ambientale che è il “Ponte sullo Stretto” e le “Grandi Opere”).
  5. “Più sostegno al sud” è il tema centrale (ed unico) della quinta missione elencata nel programma, che si riassume banalmente con un piano decennale per la realizzazione di infrastrutture. Vengono poi ripresi i punti del “federalismo fiscale” (in questo frangente sotto forma di “solidarietà nazionale” alle regioni svantaggiate) e della “sicurezza”, con un piano d’emergenza per “la sicurezza e la legalità” (anche qui qualche dettaglio non avrebbe fatto male).
  6. “Più federalismo” (con particolare riferimento al federalismo fiscale) è l’obiettivo della sesta missione del programma, che prevede sostanzialmente lo spostamento su base regionale della scelta delle fonti di finanziamento garantite dall’articolo 119 della Costituzione, fermo restando il bisogno di “solidarietà nazionale”.
  7. Settima ed ultima missione, “un piano straordinario di finanza pubblica con la riorganizzazione dello Stato”, che prevede di immettere sul mercato quota parte del patrimonio pubblico, per cercare così di ridurre il debito pubblico a fronte di investimenti da parte dei cittadini e delle imprese: in pratica, “vendere le infrastrutture statali”. Lo trovo assolutamente allucinante.

Un programma, quello di Berlusconi, assolutamente mastodontico: basta guardare la lunghezza di questo post e paragonarla a quello sul programma del Partito Democratico e considerare che in questo caso mi sono limitato a riprendere i punti citati nelle 33 slides presenti sul sito di Forza Italia (anche perché sono talmente assurdi e demagogici che spesso e volentieri non serve far altro che citarli), mentre nel caso del Partito Democratico ho argomentato punto su punto quasi tutti gli aspetti.

L’impressione che deriva dalla lettura è di un enorme calderone che racchiude tutto ed il contrario di tutto, nell’intento di dare a tutti il contentino necessario a garantirsi i voti necessari per andare al governo: Berlusconi è troppo impegnato ad attaccare l’ex
governo Prodi e Veltroni per potersi concentrare su un programma realmente convincente.
Il programma del Popolo delle Libertà è tutto uno spendere e non c’è un singolo punto che spieghi da che cilindro pensano di tirare fuori i soldi necessari a tutti questi “investimenti”, “incentivi” e “sovvenzioni”.

Siamo alle solite…

Devono essersi sbagliati…

cocci anno passato Pare che tutti gli sforzi di Berlusconi per risollevare il capo dopo le aspre critiche lanciate dai suoi “alleati” negli ultimi tempi non siano serviti a molto. Con i sondaggi (quali?) che lo danno “in discesa” sotto il 30% (bum…), il Cavaliere si è trovato costretto a lanciare negli ultimi giorni un appello all’unità del centrodestra ed a invertire la rotta scelta per il suo “nuovo” partito, Forza-Italia-2.0, ma i suoi alleati hanno accolto questa retromarcia con l’euforia di un tronco d’albero…

Per Silvio la situazione pare davvero grigia: i suoi alleati cominciano a rendersi conto che possono cominciare a camminare con le proprie gambe (sicuri?), o semplicemente si sono stufati di fare la “seconda ruota del carro” (a turno).

Ora cosa farà Silvio? Tenterà il colpo di stato di scena, o si limiterà a continuare a tentare di rimettere insieme un’opposizione che pare sempre più in pezzi? Si sarà reso conto di averla fatta grossa? Di aver messo a rischio anni di politica aggressiva in meno di cinque minuti, con un gesto d’impulso?

L’altro giorno, tra l’altro, passavo per la piazza principale di Cinisello, e mi sono trovato di fronte al gazebo locale di Forza Italia 2.0, completamente deserto. Che abbia capito anche la gente? No eh?

D’altra parte, mi torna in mente un proverbio: “chi rompe paga, ed i cocci sono suoi” (quando glieli lasciano)…

“Macchine indietro tuttaaa!”

And I'm Proud! Ta dah! Colpo di scena dopo colpo di scena, la politica va avanti. Se ieri la rotta era “disfiamo la Casa delle Libertà”, sciogliamo Forza Italia e raccogliamo il cento per cento dei voti degli italiani, ecco che oggi il panorama è completamente diverso. Forza Italia non si scioglie più.

Evidentemente Berlusconi si deve essere reso conto (faccio notare che io l’avevo fatto presente già qualche tempo addietro) che al potere ci potrà tornare solo (e solamente) grazie ai voti di An, Lega ed UDC (ogni volta che penso alla compagine di governo mi viene la pelle d’oca per la quantità di “cime” raccolte in queste formazioni politiche), e che andare in fuga a 1000 giorni dal traguardo non è esattamente assimilabile a quella che viene definita “accortezza tattica”.

E cosi, dopo un braccio di ferro durato alcuni giorni, ecco che il Silvio nazionale inverte la rotta, trasformando il neonato (e già defunto) “Partito delPopolo delle Libertà” in un “partito network”, aperto ad associazioni, movimenti, circoli (delle libertà) ed altre formazioni politiche, che non vogliono però snaturare le proprie identità (alcuni esempi a caso, non citati: AN, Lega, UDC).

Io non avevo mai detto che avrei sciolto Forza Italia. Me l’avevano chiesto e avevo risposto “forse”

ha detto Berlusconi al termine della conferenza stampa in cui annunciava la “road-map” del nuovo partito.
Poco importa che fosse il sito ufficiale di Forza Italia stesso a dare l’annuncio.

Visto che noi cittadini siamo dei babbei, che non riusciamo a ricordare quello che un politico dice da una settimana all’altra (si parlava di Editto Bulgaro negato no?), deve sembrare facile al sign. Berlusconi prenderci per i fondelli… peccato che nell’era di internet, cancellare l’informazione è più difficile che togliere i link in homepage…

E ora che faranno Bossi, Fini e Casini?

italian election Che Berlusconi non sia uno sprovveduto, lo avevamo già ampiamente capito tempo addietro. Si possono esprimere dubbi sulla sua integrità morale e/o politica, se vogliamo, ma sulla sua intelligenza politica (e non solo) ci possiamo davvero mettere la mano sul fuoco. Con la mossa di teatro di ieri sera, con l’annuncio della nascita del partito del popolo delle libertà, con l’inverosimile annuncio dei 7 milioni di firme contro Prodi, Berlusconi ha disperatamente tentato di sottrarsi ad una situazione che cominciava a farsi davvero pesante, tanto sul fronte nazionale, quanto all’interno della maggioranza stessa.

Perché un annuncio disperato?

Quando fu annunciata la nascita di Forza Italia, nel 1994, si trattò di una vera e propria svolta nel mondo della politica. In un panorama politico sconquassato da Tangentopoli (che provocò sostanzialmente la fine della DC) ed in piena crisi di consenso elettorale, lo scendere in campo di un personaggio come Berlusconi non poteva far altro che catalizzare una certa quantità di voti, risollevando le sorti di un centro-destra ormai dato per spacciato, arrivando persino a vincere le elezioni di quell’anno (grazie anche all’incapacità di organizzarsi in una coalizione del centro-sinistra).
La mossa di ieri invece, appare decisamente più azzardata da parte di Berlusconi: già il nome scelto per il nuovo partito “Partito del Popolo delle Libertà” è meno brillante dell’ormai noto Forza Italia ed il risibile ricorso a cifre da campagna elettorale, quei 7 milioni di firme che sarebbero state raccolte, fanno sentire in sottofondo lo stridere degli specchi. Negli ultimi giorni Berlusconi era stato attaccato persino dai propri alleati, che cercavano di guadagnare consenso ringalluzziti dalle “bastonate” raccolte dal leader della coalizione d’opposizione che continua (inutilmente) a far ostruzionismo politico ed a parlare di caduta imminente di un Governo che invece oggi pare più forte che mai (soprattutto se paragonato alla compattezza dell’opposizione). Proprio questa perdita di consenso anche tra i suoi “intimi” deve aver fatto prendere a Berlusconi la decisione del “colpo di teatro” a cui abbiamo assistito ieri e del quale non tarderemo a vedere le conseguenze.

Ed adesso che succederà?

La proposta di Berlusconi ha ricevuto sulle prime un univoco coro di bocciature: sia da parte del centro-sinistra (che questa mattina parla di “ammissione di una sconfitta” per bocca di Walter Veltroni), sia soprattutto da parte dei suoi alleati, con le reazioni di An, UDC e Lega che addirittura parla per bocca del suo leader, Umberto Bossi, di “un favore a Prodi”.
Ma finita la battaglia, viene il momento di contare morti e feriti: senza l’aiuto catalizza-voti di Berlusconi, il centro-destra è fisiologicamente incapace di andare nuovamente al governo. Alle ultime elezioni politiche (di maggior successo per i partiti “alternativi” della Casa delle Libertà), la somma dei voti dei tre partiti “dissidenti”, fatica a raggiungere un misero 23% (esattamente il peso di Forza Italia all’interno della coalizione) senza poter contare su ulteriori reali fonti di elettori a destra; a sinistra, Casini potrebbe provare a far razzia dell’UDEUR e dei fuoriusciti della Margherita scontenti del neonato Partito Democratico, ma senza trovare numeri sufficienti (l’UDEUR non ha raccolto più del 1.3% dei voti alle elezioni 2006).

Assisteremo quindi ad un ennesimo balletto di avvicinamento alla linea politica di Berlusconi, o Fini e Casini ritengono di poter tentare il colpaccio? La seconda possibilità mi sembra piuttosto improbabile, conoscendo l’intelligenza politica di entrambi i leader.
La Lega nel frattempo ha già annunciato colloqui con l’Unione sulle riforme (per favore tenete fuori quei razzisti dal Governo e da qualsiasi proposta elettorale futura!!), tanto per chiarire il proprio interesse nella nuova formazione politica (che comunque scarso interesse susciterebbe sul medio elettorale del carroccio)