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Israele ha passato il segno

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Il governo israeliano questa volta ha davvero passato il segno: attaccare a colpi d’arma da fuoco (uccidendo diverse persone) una nave carica di pacifisti inermi (si sono difesi usando dei bastoni, figuriamoci che pericolo costituissero) in acque internazionali è un crimine di guerra che non si può tollerare, soprattutto considerando il fatto che si tratta di una strage annunciata.

Già alcuni giorni fa infatti, il governo israeliano aveva fatto pressioni su quello cipriota affinché non consentisse l’imbarco di gruppetto di attivisti, giornalisti e politici europei sulle navi che compongono la “Freedom Flotilla”, una spedizione di pace che ha come obiettivo la consegna di derrate alimentari e beni di prima necessità alla popolazione palestinese, sotto embargo da parte di Israele da oltre 3 anni.

Il viaggio della Freedom Flotilla è quindi proseguito senza le delegazioni europee che dovevano imbarcarsi a Cipro fino a questa notte, quando, come già detto, Israele ha compiuto questo atto di pirateria internazionale.

Le reazioni ovviamente non hanno tardato: Turchia (dei 15 morti accertati, 9 sono turchi), Svezia, Grecia e Spagna (presidente di turno dell’Unione Europea) hanno convocato i rispettivi ambasciatori israeliani ed a fronte di questo improvviso aumento della tensione il governo israeliano ha chiesto il rimpatrio ai propri cittadini residenti in Turchia.

Mentre dall’Italia non perdiamo tempo nel mostrare la nostra pochezza in fatto di relazioni internazionali (la Farnesina commenta dicendo “non ci sono italiani tra le vittime”, come se la cosa avesse una benché minima importanza), mi aspetto una presa di posizione dura da parte dell’Unione Europea e (soprattutto) degli Stati Uniti, “colpevoli” di aver concesso fin troppa libertà d’azione, negli ultimi anni, all’alleato israeliano, che ne ha approfittato non solamente (come lecito) per difendersi dagli attacchi degli estremisti palestinesi, ma anche per perpetuare ai danni del popolo palestinese innocente tutta una serie di crimini e soprusi che hanno decisamente portato lo stato israeliano dalla parte del torto.

Considerando il fatto che Israele boicotta ormai da anni il così detto “processo di pace”, credo che sia ora (e ci siano finalmente le condizioni politiche internazionali) per porre fine, una volta per tutte, a questa inutile carneficina, garantendo la sicurezza di entrambi i popoli.

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La crisi Greca ci restituisce un’Europa monca

Parlamento Europeo

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Ora che sul fronte degli aiuti alla Grecia comincia ad intravvedersi quella che pare essere la strategia definitiva degli Stati Membri, è forse giunto il momento di fare il punto su come questa difficile fase sia stata gestita e sul cosa avrebbe consentito di affrontarla in modo più efficace. Purtroppo il riquadro che ne emerge è tutto fu0rché lusinghiero, mettendo in risalto alcune gravi lacune che sono state (volontariamente) create nel Sistema Europa e che dovranno vedere un impegno ed uno sforzo notevole da parte degli Stati Membri affinché siano colmate.

  • In primis, c’è sicuramente la questione del ritorno politico: negli ultimi anni l’Unione Europea è stata culturalmente accantonata in molti Stati Membri (tra cui naturalmente anche l’Italia) a giovamento della politica nazionale; gli esponenti principali ed i leader dei vari partiti nazionali si dedicano essenzialmente alla politica locale, mentre al Parlamento Europeo vengono di solito inviati “giovani a farsi le ossa” o “confinati”. L’Europa perde così d’importanza nel comune sentire dei cittadini europei e diviene difficile spiegare ed ottenere consenso su temi comunitari, come a fagiolo gli aiuti economici alla Grecia, ma lo si era visto non molto tempo addietro con i numerosi “no” referendari alla Costituzione Europea (guarda un po’, proprio uno dei paesi che oggi maggiormente si gioverebbe di una presenza Europea più forte è quell’Irlanda che fu tra le prime a rinnegare l’adesione alla Costituzione Europea).
    Proprio in questi ultimissimi anni, possiamo trovare lampanti esempi di come la politica nazionale abbia cercato di svuotare di potere la politica europea, manovra che oggi si è rivelata drammaticamente errata: la conferma di Barroso, l’elezione della Ashton a Ministro degli Esteri europeo, l’affondamento di alcune parti del Trattato di Lisbona; gli Stati Membri hanno cercato un’Unione che non li disturbasse troppo, e ora che invece servirebbe un potere forte, se ne sente la drammatica mancanza.
    Nel caso Grecia, questo si è visto in modo piuttosto marcato da parte della Germania, dove il cancelliere Angela Merkel ha cercato prima di tutto di massimizzare il consenso elettorale (si è votato in questi giorni in alcuni Lander), con l’unico risultato (le elezioni le ha perse) di agire con meno tempestività, efficacia e saggezza di quanto non fosse necessario (e richiesto ad uno stato forte ed importante per l’Europa come quello che la Merkel guida), portando così ad un ulteriore aggravio della crisi, inizialmente tutto fuorché ingestibile. Solo l’intervento del presidente degli Stati Uniti Obama a favore di un comportamento più responsabile ed unitario da parte dell’Europa ha un po’ rimesso il treno sui binari, facendoci giungere alla creazione del mastodontico fondo di garanzia che ieri ha fatto la gioia degli speculatori in borsa.
    Affinché anche le questioni comunitarie tornino ad avere un ritorno politico, è necessario che in Europa si torni a perseguire la “cultura dell’unità“, che sin dalle scuole primarie venga mostrato quanti e quali benefici hanno portato i vari stadi della costituzione dell’Europa Unita quale oggi la conosciamo.
  • Secondariamente ma legata sicuramente alla questione trattata precedentemente, c’è la totale mancanza di strumenti a disposizione del “Governo Europeo” (che, per l’appunto, non esiste) per agire nell’arginare gli effetti della crisi, aiutare la Grecia ed evitare “il contagio”: il fondo di garanzia viene non per nulla istituito dalla BCE, la quale non può che “raccomandare” agli Stati Membri un maggior controllo sui conti pubblici, suggerendo norme di austerità che consentano di superare “indenni” (pagheranno i cittadini, come sempre, visto che si prevede già un ulteriore aumento della disoccupazione) questo periodo difficile. Non ci sono strumenti efficaci per andare a risolvere alla radice le cause della crisi: non si può stimolare la crescita, non si può intervenire a livello comunitario sulle politiche economiche ed industriali e via discorrendo.
    Il tanto denigrato Romano Prodi sta da anni spingendo per la formazione di istituzioni europee che abbiano il potere di incidere sulle politiche degli Stati Membri, ma queste istanze sono sempre state rifiutate in quanto considerate “scomode” ingerenze. Oggi vediamo per la prima volta gli effetti dell’assenza di questi strumenti. Purtroppo affinché si torni sui propri passi e si imbocchi una via più saggia, bisognerà che i politici alla guida dei vari Stati membri si facciano una profonda analisi di coscienza e rinuncino al loro ruolo di prime donne in favore di una maggior presenza dell’Europa unita all’interno della politica nazionale.

Purtroppo se il panorama politico assomiglia anche solo lontanamente a quello italiano, rischiamo che tutto ciò venga rimandato alle calende greche…

In croce ci siamo noi…

microrama via Flickr

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Se ne sta parlando (con la solita, vuota, superficialità) in lungo e in largo  da giorni; da quando in realtà il pronunciamento della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha sancito il “no” alla presenza del crocifisso in scuole ed uffici pubblici.

Prima di entrare nel merito, però, vorrei sottolineare due aspetti:

  1. la “Corte Europea dei Diritti dell’Uomo” non c’entra niente con l’Unione Europea. Nonostante in molti (antieuropeisti) abbiano utilizzato questa sentenza per “dar contro” all’Unione Europea, resta il fatto che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo è un organizzazione a se stante, e bastava leggere la pagina di Wikipedia per scoprirlo (capisco che collegarsi ad internet possa costare immensa fatica, ovviamente).
  2. Non è assolutamente vero che il valore del crocifisso (ne tanto meno le “radici cattoliche” ) siano in alcun modo presenti nella Costituzione Italiana, come invece qualcuno ha detto: basta andare a scaricarsi il testo completo della costituzione per scoprire che i potenti mezzi informatici messi a nostra disposizione dall’avanzamento tecnologico (la funzione “cerca”) non trovano traccia ne delle lettere “croc”, ne “cris”, e che tutti i risultati di “cattol” sono riconducibili agli articoli 7 ed 8, che paradossalmente sanciscono da un lato l’indipendenza tra Stato e Chiesa Cattolica (e una lettura di queste due righe non farebbero certo male ai nostri politici -.-), dall’altro la libertà ed uguaglianza di tutti i culti: “Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge.”

Ciò detto, mi fanno sinceramente schifo tutti questi “puristi” della religione cattolica che urlano alla distruzione dei valori culturali italiani: io sono italiano (in qualità di nato sul suolo italiano, poco altro) e non mi riconosco minimamente in quei valori culturali che vogliono la prevaricazione di un credo religioso sugli altri. Soprattutto considerando che queste stesse persone, sul rispetto dei “10 comandamenti”, chiudono due o anche tre occhi (su tutti “non rubare” e “non mentire”).
Sono per altro fermamente convinto che coloro che realmente praticano la religione cattolica non hanno certo bisogno di vedere ovunque il simbolo del Gesù in croce: è solo chi cerca lo “scontro culturale” che usa i simboli in mancanza di contenuti concreti…

Va inoltre assolutamente aggiunto che in un mondo che abbiamo voluto sempre più globalizzato, questo genere di problemi si presenteranno sempre più frequentemente; vista la continuità con cui si cerca di riproporre lo scontro culturale tra cristiani e musulmani, quando si parla di simboli religiosi la nostra immaginazione vola dritta al burka ed alle centinaia di persone inginocchiate in preghiera nelle moschee, ma la questione dei simboli religiosi si pone anche con i nostri cugini di fede protestante, o valdese, o semplicemente gli ebrei che potrebbero trovare poco gradevole vedere esposto il simbolo di una religione che si è macchiata di  un palese appoggio al regime nazista tedesco durante la seconda guerra mondiale, non condannando (sebbene in condizione di farlo) i massacri che si svolgevano nei campi di concentramento…

Il pronunciamento della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo trova nel sottoscritto  pieno appoggio: la libertà di culto in Italia non può e non deve essere limitata alle parole. Integrazione vuol dire anche questo…

Opinioni a “tiepido” sul voto europeo

riepilogo-elezioniPassata la mattinata a rimuginare e discutere sul risultato elettorale, passo a buttare giù qualche valutazione da condividere con voi in merito ai risultati delle Elezioni Europee (le amministrative sono in fase di spoglio in questo momento e dovrebbero in ogni caso essere lette con un’altra ottica).

Possiamo ricavare alcuni temi chiave, in buona parte interconnessi tra loro, dall’analisi del voto:

  1. La sconfitta dell’ipotesi bipolaristica: dopo le ultime politiche si era da molti fronti gioito della palese vittoria del bipolarismo. Avevo già allora espresso dubbi sulla bontà di quel risultato e pare che il tempo abbia finito con il dare ragione alla mia idea di fondo: la politica non è una cosa semplice e tentare di renderla tale (fornendo solo una scelta tra “bianco” e “nero”) non aiuta neppure quei cerebrolesi degli italiani. Oltre ad esserci un palese problema di rappresentanza delle minoranze (vedere punto 8), il sistema bipolare puro porta a dipendere radicalmente dalle scelte di due interlocutori solamente, riducendo di fatto il potere democratico delle elezioni; se poi uno (o entrambi) i poli finisce con il trovarsi in difficoltà, praticamente si finisce con il mandare in crisi tutto il sistema, soprattutto se è l’opposizione a trovarsi “a piedi”…
    Le elezioni Europee, nonostante l’astensionismo crescente (vedere punto 7), vede ridursi la forza dei partiti principali (vedere punti 2 e 3) e l’avanzare dei partiti “intermedi” (vedere punto 4), incarnazione di posizioni “alternative” a quelle proposte (o non mantenute) dei partiti di maggioranza dei relativi schieramenti.
  2. La bastonata al Partito Democratico: che che ne dica Franceschini, il Partito Democratico perde un 5% secco rispetto alle ultime europee ed un 7% rispetto alle politiche dello scorso anno (nelle quali va detto risultavano anche i Radicali, oggi al 2.4%). Considerando però l’andamento del resto del panorama politico italiano, la disfatta del Partito Democratico appare più consistente, soprattutto alla luce di una superficiale analisi dei flussi elettorali, che sembrerebbero collocare nell’Italia dei Valori e nella Sinistra e Libertà i voti persi (e soprattutto quelli non guadagnati) dal Partito Democratico. A mio avviso si tratta della diretta conseguenza del latitare del partito stesso nel ruolo di opposizione al governo (a sua volta diretta conseguenza delle pesantissime spaccature interne al partito, che ne paralizzano l’iniziativa).
  3. Lo stop al Popolo delle Libertà:  se di “stop” si può parlare, Berlusconi ha di che essere deluso da questo risultato elettorale. Come ogni volta, le scuse più o meno demagogiche non mancheranno: aumento dell’astensionismo (come se si astenessero solo i suoi elettori), il fare tutto da solo, la pioggia, le cavallette, gli alieni. In ogni caso, la compagine di governo perde solamente lo 0.3%, passando alla Lega Nord l’interezza dei voti lasciati sul campo dal Popolo delle Libertà (che perde in valore assoluto un paio di punti percentuale su scala nazionale). La vera sconfitta è che mentre tutta l’Europa sembra “virare a destra”, in Italia questa deriva pare essere limitata: colpa di Travaglio e Grillo, di Franceschini o di Berlusconi, di Palermo o della crisi, di Noemi, di Kaka o delle p**** di Frà Giulio difficile dirlo; probabilmente di tutto un po’.
  4. L’avanzare dei partiti “medi” (IdV e Lega): sull’onda demagogica ed antipolitica, i partiti “di mezzo” recuperano abbondantemente ciò che i partiti maggiori lasciano sul campo. E’ stato il tema delle ultime politiche (che hanno visto l’exploit della Lega Nord soprattutto) ed è il tema centrale di queste europee: particolarmente sconcertante è riscontrare come dal 2004 ad oggi, ad ogni tornata elettorale l’Italia dei Valori abbia sostanzialmente raddoppiato il proprio risultato precedente. In questo frangente, la stragrande maggioranza dei nuovi elettori dell’IdV vengono probabilmente dalla schiera di delusi del Partito Democratico che non trovano al centro (o a sinistra) nulla di altrettanto convincente rispetto ad un Di Pietro che, pur tramite l’abbondante uso di demagogia e sensazionalismo, incarna al momento l’unica opposizione alla compagine di governo in Italia.
  5. La sinistra latitante: il risultato della sinistra (e riguarda sia Sinistra e Libertà che Rifondazione/Comunisti Italiani) è una via di mezzo tra l’ennesima batosta e la magra consolazione; nonostante infatti il risultato di questa tornata elettorale veda raddoppiare nel complesso (unendo cioè ipoteticamente i risultati di Rifondazione/Comunisti Italiani e Sinistra e Libertà) i voti, rispetto al tracollo di un anno fa’, i partiti della sinistra italiana non ottengono neppure un rappresentante in Europa (causa la divisione in due liste e lo sbarramento al 4%). Inoltre, mentre in tutto il resto dell’Europa i partiti ambientalisti sembrano essere oggetto di un crescente interesse (in Francia superano quota 16%, in Germania arrivano al 14%, in Svezia raggiungono da soli il 10%, in Finlandia i due diversi schieramenti verdi raggiungono insieme il 26%), in Italia questa tendenza non trova riscontro: la colpa potrebbe essere trovata nella mancanza di un progetto politico forte in quest’area, nelle continue divisioni e nei frazionamenti che hanno caratterizzato la sinistra italiana. Meno probabile invece mi sembra, a ormai due anni di distanza, un’incidenza della questione Pecoraro Scanio / Napoli, sebbene i riflessi di quella questione (e della guida del partito da parte della fazione di Pecoraro Scanio in particolare) continuino a vedere spezzato il partito, almeno a livello nazionale.
  6. Il risultato dell’estrema destra: la destra estrema italiana continua il trend positivo fatto registrare alle ultime tornate elettorali. Il 2% del 2004 si è trasformato in quest’occasione in un sonante 3,5% (che considera riunite tutte le formazioni di quest’area politica). Parte della ragione potrebbe stare nel tentativo di trovare un’alternativa conservatrice al PdL che non sia la Lega Nord, ma il mio personale timore è che questa sia piuttosto la naturale conseguenza della “politica della paura” messa in atto negli ultimi anni dalla destra di governo, in particolar modo in riferimento alle tematiche legate all’immigrazione (o “sicurezza”, come la chiamano).
  7. L’avanzare dell’astensionismo. Uno dei dati più eclatanti, in ogni caso, di queste elezioni europee è indubbiamente il crescere dell’astensionismo. Le ragioni sono molte, a cominciare dal fatto che in molti paesi non si votava per provincia e comune, riducendo l’interesse di questa tornata elettorale. D’altra parte va constatato come il tema dell’Europa sia stato lasciato piuttosto in disparte dalla campagna elettorale, che si è concentrata su temi ben più futili (Noemi su tutti), ad ennesima dimostrazione della mancanza di professionalità ed idee dell’attuale classe politica. L’impressione è che gli italiani non capiscano (e conoscano) l’incidenza delle scelte dell”Unione Europea nella nostra vita quotidiana, e vivano questa dimensione come una sorta di questione “di palazzo”, complice anche la tendenza della nostra classe politica ad attribuirsi la paternità delle azioni legislative imposte dall’Unione Europea che riscuotono successo nell’opinione pubblica (vedi alla voce “Patente a punti”).
  8. Il problema della rappresentanza delle minoranze: con lo sbarramento al 3%, in occasione delle ultime elezioni politiche, aveva tagliato fuori dalla rappresentanza politica l’11% circa degli elettori italiani. La situazione si è ulteriormente aggravata in occasione di queste elezioni, che vedono quasi il 15% degli italiani non avere un rappresentante al Parlamento Europeo. Lo sbarramento al 4% infatti (voluto dai partiti di maggioranza, gli unici rappresentati in parlamento per altro) ha mietuto vittime importanti, sia a sinistra che a destra. Se la democrazia rappresentativa deve essere reale, non si può tagliare fuori un sesto della popolazione nazionale…

Ciò detto, spazio ai commenti. Di spunti ce ne sono parecchi credo… 🙂

La cordata della salvezza

Hangman's noose Berlusconi ha vinto la sua campagna elettorale marciando sulle questioni “sicurezza” (quella che riguarda gli immigrati, beninteso, non quella sul lavoro) ed Alitalia: si era gridato, cinque mesi fà, allo scandalo del voler svendere la compagnia alla Francia (AirFrance), allarmati dalla volontà di chiudere Malpensa (ma quando mai!), di “questo governo che non ha neppure analizzato le altre proposte” (soprattutto quelle che non c’erano). Era stato detto sin dalla campagna elettorale (poi smentito, poi ridetto, poi rismentito) che una “cordata italiana” era pronta e si sarebbe palesata a ore, poi a giorni, poi quattro settimane.

Finalmente, pare che la mitica (ne parlavano già gli antichi Greci, pensate un po’) “cordata italiana” sia in effetti venuta fuori e trasformerà il buco nero chiamato Alitalia (alla quale nel frattempo abbiamo donato 300 milioni di euro rubati, pare, alla Ricerca ed alle forze dell’ordine) in una nuova compagnia, la “Compagnia Aerea Italiana” (un’altro CAI?), che vedrà come presidente il buon Roberto Colaninno e tra i sedici investitori (per un totale di un miliardo di euro, che la vecchia Alitalia avrebbe macinato in alcuni mesi) niente popò di meno che Banca Intesa (ma sono gli stessi dell’affaire AirFrance? Ma dai! Guarda tu il caso…), Benetton, Ligresti (come il prezzemolo), Caltagirone (prezzemolo è poco), AirOne (nella persona di Toto, ma non erano “gli altri”?), Tronchetti Provera (non contento di aver affondato Telecom) ed il Gruppo Macegaglia (guarda guarda, un’altra novità!).

I grandi nodi cruciali dell’operazione saranno la fusione della flotta di Alitalia ed AirOne (che pare non navigasse in ottime acque, o sbaglio?), il mantenimento del nome della compagnia (vorrei anche vedere, con quello che hanno speso per lasciare immutati i loghi, non molto tempo fà…), un taglio del personale con almeno cinque o seimila esuberi (AirFrance, alcuni mesi fà, parlava di duemila…), la “donazione” dei debiti ad un’altra società (alla quale presto donerò anche io i miei debiti) della quale non si conosce ancora il nome, ma potrebbe essere un’entità da destinare al fallimento, curata da un commissario (tanto chi se ne frega se c’è della gente che ci rimetterà migliaia di euro, no?) oppure verranno sbolognati al Ministero del Tesoro (tramite la controllata Fintecna, proprietà interamente statale), ricaricandoli praticamente sui cittadini. Naturalmente nessuna delle due opzioni piacerà ne all’Unione Europea (ma chi se ne frega alla fine, viviamo benissimo anche fuori dall’Europa no?) ne tantomeno alle altre compagnie aeree, che verranno in qualche modo messe a tacere (magari semplicemente minacciando un “controllo di compatibilità con gli aeroporti italiani” come capitato a RyanAir non troppo tempo fà?).
Tutto questo, tra l’altro, subordinato alla modifica della legge Marzano, perché tecnicamente Alitalia è già fallita.

Inutile dire che trattative per avere AirFrance come partner non sono ufficialmente neppure state valutate, ma i giornali già riferiscono di un cda speciale della compagnia aerea franco-olandese per giovedi, e domani alcuni esponenti della cordata dovrebbero essere a Parigi. Sarà un caso, dovranno discutere dei nuovi menu sui voli intercontinentali…

Insomma, in cinque mesi hanno ribaltato l’opinione sulla proposta di AirFrance (non era stata definita addirittura una mossa di “insider trading” dall’attuale Presidente del Consiglio?), “regalano” alle spalle dei cittadini italiani i debiti della compagnia e mandano a casa il triplo delle persone che avrebbero perso il posto di lavoro se il Governo Prodi avesse portato a termine il suo lavoro, infischiandosene delle leggi per la concorrenza e del parere dell’Unione Europea.

A “salvare” Alitalia in questo modo, ero capace anche io…

Ou và l’Europe?

Europe TowerOn refait le monde” si sta rivelando una fonte davvero interessante di spunti per scrivere su queste pagine. L’altro ieri sera, la trasmissione radiofonica condotta, su RTL France, da Nicolas Poincaré vedeva ospiti (in una puntata speciale pensata per “festeggiare” degnamente l’inizio del semestre francese di presidenza dell’Unione) niente meno che Jean-Claude Juncker, primo ministro lussemburghese e già presidente della Commissione Europea, Laurent Fabius (ex primo ministro francese, paladino del “fronte del no” al referendum di ratifica della Costituzione Europea del 2005, nonché avversario di Ségolène Royal alle primarie per la presidenza della Repubblica del 2007) e Michel Barnier, già commissario europeo ed attuale importante consigliere del presidente Sarkozy, del cui governo riveste anche la carica di Ministro dell’Agricoltura.
Come spesso accade durante l’interessante trasmissione francese, i “toni dello scontro” si sono rivelati piuttosto accesi (soprattutto tra i due politici francesi, come prevedibile), rendendo il dibattito particolarmente vivace e costruttivo, sotto un certo profilo.

La domanda di fondo, alla luce di tutta una serie di eventi recenti, primo tra tutti il “no” irlandese alla ratifica del trattato di Lisbona, non riguarda solo i francesi, ma gli europei tutti: quale futuro per un’Europa sempre più immobile e divisa? Il dibattito in Italia è ovviamente (e fortunatamente per certi versi) concentrato su altre tematiche, ma non si deve assolutamente perdere di vista il fondamentale ruolo che l’Unione Europea riveste nella nostra vita, anche quella quotidiana.
Ecco che in quest’ottica, il “no” irlandese assume, almeno ai miei occhi, un significato che va ben al di là del mero problema “tecnico – politico” legato all’adozione del trattato, rimettendo invece in discussione il concetto e le modalità stesse che oggi costituiscono ciò che chiamiamo Unione Europea.

Se i nostri concittadini italiani fossero oggi chiamati alle urne per pronunciarsi sulla ratifica del trattato di Lisbona da parte del nostro governo, quale sarebbe il risultato? Quali paesi godono ad oggi di un tale sentimento europeista da poter essere ragionevolmente certi di un’approvazione popolare a simili provvedimenti (spesso complessi come quello in questione)? Naturalmente c’è poi da considerare il problema delle modalità referendarie: in Irlanda è stato accorpata l’approvazione dell’intero trattato di Lisbona (che presenta al suo interno oltre 40 diversi argomenti), subordinandolo ad un singolo voto binario, “si” o “no”, il che ha (a mio avviso) ridotto ulteriormente le già flebili probabilità che un simile referendum potesse giungere a felice conclusione, tenendo a mente anche i numerosi affondi dati dai referendum popolari alla Costituzione Europea (su tutti il “no” francese).

Ecco allora che diviene giustificata e comprensibile la proposta francese (ed in parte inclusa proprio nel trattato di Lisbona attualmente in fase di ratifica dai vari stati) di concepire un’Europa a “più velocità”, in cui sia cioè possibile che ogni stato decida a quali trattati aderire (Schengen ad esempio non è stato ratificato da alcuni paesi europei, tra cui l’Inghilterra, che non ha aderito finora neppure all’Euro), eventualmente restando “un passo indietro”, ma consentendo allo stesso tempo agli altri paesi di “procedere più velocemente” sulla strada scelta.
I problemi legati ad una simile soluzione sono essenzialmente di ordine pratico, con trattati che possono andare in conflitto tra di loro o dipendenze tra trattati differenti. I vantaggi invece, sarebbero decisamente importanti: immaginate cosa vorrebbe dire sbloccare finalmente la collaborazione a livello europeo (simile a quella già felicemente adottata per libera circolazione di cittadini e merci, l’Euro e via dicendo) su aspetti chiave quali ricerca ed innovazione, energia, ambiente, difesa, politica estera, persino sugli aspetti sociali e di politiche del lavoro. Tutto questo senza cancellare le identità nazionali (non è nelle intenzioni di nessuno quella di creare gli Stati Uniti d’Europa), senza rinunciare alle diversità, ma uniformando una piattaforma comune su questi aspetti, consentendo così la nascita di effetti “traino” e di scala.

Con l’inaugurazione (piuttosto colorita per altro) del semestre di presidenza francese alla guida dell’Unione Europea, si apre una fase cruciale: la presidenza infatti di un paese grande e importante come la Francia (così come vale per la Germania, ad esempio) consente un’azione decisamente più incisiva sul piano politico rispetto ad altri momenti della vita comunitaria. Sarkozy sembra lanciato nel tentativo di dare una “scossa” all’Unione, a poche settimane dalla “crisi” legata al “no” irlandese, una scossa che potrebbe non fare così male all’Unione.

Naturalmente nel frattempo noi italiani siamo troppo intenti a discutere sul come cancellare la magistratura…

Ancora soldi pubblici per Alitalia

Money money money (ABBA)C’era da aspettarselo. La cordata italiana promessa per “dopo le elezioni” da Berlusconi non c’è (o non c’è mai stata?), in compenso c’è l’accordo con la “neo-opposizione” per gettare nel baratro della compagnia aerea di bandiera altri 100 milioni di euro.

Spiccioli, per carità, ma spiccioli che avrebbero potuto trovare una più indicata destinazione, in un periodo di crisi internazionale come quello che stiamo vivendo: suddividendoli in blocchi da 2000 euro e tramutandoli in sgravi fiscali avrebbero agevolmente aiutato quasi 50.000 famiglie, con un risparmio di 166 euro al mese: niente male no? E invece no: bisogna “salvare Malpensa” (qualcuno mi spiegherà cosa rischia Malpensa dal fallimento di Alitalia), costi quel che costi e quindi appare legittimo (a tutti) rubare altri 100 milioni dalle tasche degli italiani. Poi parlano di “governo ladro” riferendosi al governo Prodi…

Oltretutto l’ennesimo versamento di liquidi nelle ormai vuote casse di una compagnia in fallimento (voi prestereste soldi a qualcuno che sapete già li brucerà in un mese senza prospettive di rientro?) era stato già stigmatizzato settimane fa dall’Unione Europea, che ora tiene naturalmente “sotto la lente” la decisione presa.

Alitalia è stata usata, come da più parti già fatto notare, come bandiera in campagna elettorale; ora che, fuggito l’unico serio acquirente, AirFrance, non ha più alcuna alternativa concreta, viene abbandonata al suo destino.

Come già detto diverse volte negli ultimi giorni, “cominciano bene”…

L’Europa vuole estendere il copyright

Sta rapidamente facendo il giro della blogsfera il simpatico video della musica realizzata solamente utilizzando i suoni (o parte di essi) dei sistemi operativi Windows XP e 98.

L’idea è molto carina, ma fornisce il destro per parlare di tutt’altro argomento, ossia di copyright: i suoni sui quali infatti il nostro simpatico compositore basa la sua realizzazione, sono naturalmente soggetti a copyright (come tutte le altre opere dell’ingegno umano d’altra parte) e l’espressione della fantasia su materiale prodotto da terzi può essere impedito tramite l’imposizione di restrizioni in materia di sfruttamento del copyright (pensiamo banalmente alla clausola “no derivs” delle licenze Creative Commons).

Il compromesso che è da sempre stato immaginato per tutelare da un lato l’opera dell’ingegno umano e dall’altra consentire derivati creativi delle opere (che entrano quindi a far parte del patrimonio culturale di un popolo), è stato quello di dare una scadenza al copyright: in Europa, questa scadenza è attualmente fissata a 50 anni, negli Stati Uniti, dopo forti pressioni da parte delle major discografiche e cinematografiche (tra cui notoriamente la Disney che stava vedendo sfumare il copyright sul personaggio di Topolino), si aggira intorno al secolo se non ricordo male.

Recentemente però assistiamo anche in Europa a pressioni a favore dell’allungamento del periodo di copertura da diritto d’autore su un’opera, al punto che pochi giorni fa il “Commissario Europeo per il mercato interno” Charlie McCreevy ha proposto di estenderlo a 95 anni. Le motivazioni che spingono a questa proposta, sono naturalmente sempre le stesse:

  1. tutela dell’artista “in pensione” le cui rendite di opere composte da giovane non sono garantite:
    “I am talking about the thousands of anonymous session musicians who contributed to sound recordings in the late 50s and 60s. They will no longer get airplay royalties from their recordings. But these royalties are often their sole pension.”
  2. a differenza del compositore (i cui diritti d’autore sono tutelati per tutta la vita, più 70 anni), l’esecutore (il cantante) della musica può contare su una tutela molto inferiore, pur essendo poi la parte più visibile della coppia.

Il primo punto, pare piuttosto debole: un artista che compone un singolo brano di successo all’età di 20 anni, ne incasserà i diritti sino all’età di 70, non oltre, e pertanto la pensione non è garantita. Grazie: vogliamo anche darli un sussidio di disoccupazione? Il copyright ha l’obiettivo di incentivare la creatività, non di arricchire qualche fortunato, quindi se qualcuno pensa di campare di rendita tutta la vita grazie ai proventi dei diritti di un singolo pezzo di successo, ha sbagliato continente. Un’artista degno di questo nome continuerà a comporre e sperimentare, e quindi a produrre ed a incassare; nel momento in cui l’età non gli consentirà più di comporre, potrà godere dei diritti d’autore per altri 50 anni, il che probabilmente lascerà anche un discreto gruzzoletto alla diretta discendenza. Il problema serio, piuttosto, è legato alla spartizione dei diritti, visto che la logica di distribuzione attuata in Italia dalla SIAE prevede l’arricchimento di pochi eletti e la mungitura di tutti gli altri…

Il secondo punto è decisamente più condivisibile: non è corretta una simile disparità. Solo che non condivido la soluzione: non è più corretto ridurre il periodo di copertura da copyright anche di coloro che scrivono testi e musica delle canzoni, e riportarli a livelli di pudica decenza?

Per altro, una analoga proposta, proposta al governo inglese, fu bocciata lo scorso anno dopo ampio dibattito. Sconfitte in Inghilterra, le lobbies tentano ora la via Europea. Le grandi multinazionali della musica (quelle che poi i soldi li incassano per davvero), ringraziano: della cultura, infondo, “chi se ne frega”.

Frequenze tv: e ora che si fa?

Fede La Corte di Giustizia Europea ha dato ragione, con una sentenza di ieri, a Europa7 sulla questione dell’assegnazione delle frequenze televisive in Italia: come se non lo sapessimo già sufficientemente bene, come se tutta la menata del digitale terrestre avesse altro scopo rispetto a quello di consentire a Rete 4 (che occupa abusivamente da 9 anni le frequenze nazionali di Europa7) di continuare a trasmettere una volta che qualcuno si deciderà finalmente a restituire all’emittente di Francesco Di Stefano le frequenze che giustamente gli spettano.

Speravo che lo facesse il Governo Prodi, insieme alla legge sul conflitto d’interessi e quella sulla regolamentazione del settore radio-televisivo, ma è caduto prima di poter mettere realmente mano su un campo che vede concentrati gli interessi del principale leader dell’opposizione (guarda un po’).

La sentenza della Corte di Giustizia naturalmente ci fa fare la solita magra figura:

L’applicazione in successione dei regimi transitori strutturati dalla normativa a favore delle reti esistenti ha avuto l’effetto di impedire l’accesso al mercato degli operatori privi di radiofrequenze. Questo effetto restrittivo è stato consolidato dall’autorizzazione generale, a favore delle sole reti esistenti, ad operare sul mercato dei servizi radiotrasmessi. Tali regimi hanno avuto l’effetto di cristallizzare le strutture del mercato nazionale e di proteggere la posizione degli operatori nazionali giá attivi su questo mercato

Ora cosa speriamo: che con il nuovo Governo Berlusconi dia seguito alla questione, restituendo il mal tolto? E’ più probabile che “per protesta contro queste intollerabili violazioni di libertà” (anche in Europa ci sono le toghe rosse, cavaliere?) l’Italia lasci l’Unione Europea… che poi ci sono anche l’euro e il babau…

Naturalmente le dichiarazioni di Mediaset non lasciano dubbi sul come proseguirà la questione. A Cologno Monzese infatti sono tutti convinti che per Rete4 non ci siano problemi: pare infatti che la sentenza della Corte si riferisca solo ad una richiesta di risarcimento da parte di Europa7, e non alla riassegnazione delle frequenze (anche se Di Stefano, interrogato in proposito, non è dello stesso parere). Quindi nessun problema per Rete4: potrà continuare tranquillamente a trasmettere su frequenze non sue (anche se ovviamante Mediaset ritiene di avere tutti i diritti per trasmettere), in barba alle direttive comunitarie, perché nessuno ha fatto esplicita richiesta di prenderli a calci nel culo…

Regolamentazione della Telefonia Mobile in pericolo

Traliccio with Parabola Sto leggendo, cercando di capirci qualcosa nella marea di informazioni senza background che si trovano in giro, a proposito della proposta di cancellare l’obbligo di regolamentazione dell’accesso alle reti mobili.

Quello che mi sembra di aver capito, finora, è che attualmente esista un obbligo di regolamentare l’accesso alle reti mobili, in pratica, definendo le tariffe che un operatore può applicare per consentire agli altri operatori di accedere alla sua rete. Se andasse a cadere quest’obbligo, ogni stato europeo sarebbe libero di decidere di non applicare ulteriormente questa regolamentazione, liberando il mercato da questo “giogo” e di fatto consentendo agli operatori più grandi ed importanti (anche a livello europeo) di schiacciare, sotto il peso dei loro costi d’accesso e di accordi internazionali tra grandi operatori, gli operatori secondari o non fortemente incentrati sulla telefonia mobile.

Il motivo che spingerebbe il presidente Barroso a questa decisione, è una non meglio chiarita serie di attriti tra Viviane Reding (commissario per la Società dell’Informazione) e Neelie Kroes (commissario alla Concorrenza). A fronte infatti della creazione (auspicabile soprattutto in Italia dove il controllo è praticamente nullo) di un’Autorità TLC sovranazionale (ETMA – European Telecom Market Authority), Neelie Kroes ha chiesto la “deregulation” del mercato, che tante polemiche sta sollevando.

Sulle conseguenze di questa decisione, si sono espressi numerosi esperti di telecomunicazioni, ma molto interessante è la valutazione che Stefano Quintarelli riporta sul suo blog. Quintarelli fa notare come dal 1999 ad oggi, i prezzi di una telefonata di 3 minuti fatta su rete fissa (dove l’operatore principale, Telecom, è tenuto a fornire all’ingrosso ed ad un prezzo regolamentato) si siano ridotti del doppio (87%) rispetto a quelli della stessa telefonata su telefonia mobile (i cui prezzi all’ingrosso non sono regolamentati).

A fronte di questa decisione, AIIP (Associazione Italiana Internet Provider) sta promuovendo una campagna di protesta e sensibilizzazione, alla quale ognuno può contribuire inviando la mail proposta agli indirizzi proposti.

Mi rimane un dubbio, ma probabilmente è legato più alla poca chiarezza di cui parlavo: se come riporta Quintarelli il mercato è attualmente “libero” (al punto che, abbiamo detto, le tariffe mobili si sono ridotte solamente del 42%), cosa cambia rispetto al provvedimento che l’Unione Europea starebbe per approvare?

Il tempo, in ogni caso, è poco. Mi fido di AIIP, di Quintarelli e di AltroConsumo che ha riportato la notizia.
Io la mia email l’ho inviata. Voi?