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Viva le primarie

Bersani

Senzaaggettivi via Flickr

Come spesso capita, non sono proprio “sul pezzo” per quanto riguarda la questione delle dichiarazioni di Bersani di qualche giorno fa, che vorrebbero il Segretario intenzionato a concludere l’esperienza delle primarie. Per questo cercherò di essere non breve, di più.
Ci tengo però a dire ad alta voce che sono profondamente contrario a questa ipotesi, come per altro altri esponenti del Partito, ben più titolati hanno avuto modo di affermare prima di me.

Il motivo è presto detto: l’istituto delle Primarie è al momento non solo una delle grandi novità democratiche e partecipative che legano il PD alla sua base ed attraggono la cittadinanza facendola finalmente sentire “partecipe” delle scelte (che per altro sono ulteriormente limitate da questa infame legge elettorale), ma rappresenta anche uno degli strumenti di unità e democrazia che consentono di tenere insieme un partito che altrimenti andrebbe (a mio avviso) rapidamente allo sfascio.

Sono convinto che se il Partito Democratico vuole diventare davvero un partito di maggioranza e tornare al governo, ciò non possa prescindere da due fattori fondamentali: dibattito e primarie. In sintesi: partecipazione.

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La vittoria di Vendola non è una sconfitta del PD

Nichi Vendola

Sinistra e Libertà via Flickr

Leggo sui giornali (online e non) che il Partito Democratico esce “sconfitto” dal risultato delle primarie pugliesi, che hanno visto un plebiscito (si parla di un dato finale vicino al 73%) per Nichi Vendola.
Questa visione di quanto accaduto in Puglia ieri mi trova profondamente in disaccordo. Innanzi tutto perché (come ho già avuto modo di dire) ritengo che l’essere capaci di appoggiare un candidato esterno al partito sia un importante segno di maturità. Scegliere un candidato sulla base di valori meritocratici e non sulla base della sfumatura di colore politico che si rappresenta non sarà nelle corde dell’attuale direzione del partito (che si vorrebbe a vocazione maggioritaria ma senza aver chiaro in mente come raggiungere il risultato), ma l’ampia partecipazione alle elezioni primarie (oltre 250.000 persone si sono messe in coda, al freddo, per votare) dimostra come sia invece nelle corde della base, del popolo del Partito Democratico, di coloro che si sentono sempre meno rappresentati da un partito che si voleva nuovo ed innovativo,  ed invece si ritrova oberato da pesanti retaggi e vincoli, diviso in se stesso (prima tra ex partiti, ora tra “mozioni”), incapace di trovare una linea efficace sia in tema di proposte sia nel ruolo di opposizione ad un governo che ormai fa il bello e (soprattutto) cattivo tempo.

Chi esce veramente sconfitto da questo risultato è la “classe politica”: sconfitta prima di tutto perché il “risultato popolare” ha radicalmente sconfessato un’alleanza praticamente già fatta con l’UDC, risultato di una “statica somma di consensi”, visione che sarebbe bene che il Partito Democratico superasse (gli altri facciano un po’ quello che vogliono). Sconfitta poi perché alle primarie si è giunti dopo innumerevoli richieste e tentennamenti, quando ormai si era con l’acqua alla gola (e questo nonostante l’istituzione delle primarie sia sancita addirittura dallo statuto del Partito come un mezzo chiave dell’attività del partito): in altri posti (come la Lombardia) il ricorso alle primarie è stato evitato con determinazione, nonostante avrebbe consentito di dare una maggiore “spinta” a Penati (e ne avrebbe davvero bisogno…).

Ora è importante che il segnale arrivi forte e chiaro alla dirigenza: il popolo del Partito Democratico ha deciso di essere più politicamente coerente del proprio “establishment” e sarà bene che questo si adatti alla nuova condizione democraticamente imposta; Vendola va appoggiato e sostenuto senza eccezioni e con il vigore che serve, perché in Puglia si deve vincere.

Un Partito che si vorrebbe “democratico”

Bossanostra via Flickr

Bossanostra via Flickr

Il Partito Democratico è nato con l’intento di costituire, sul panorama politico italiano, una novità: chi di noi non ricorda lo slogan del lancio, “non un nuovo partito ma un partito nuovo”. Poco dopo la fusione tra Margherita e Democratici di Sinistra che portò alla nascita del partito, il governo allora in carica (Prodi) cadde e il neonato partito, ancora in preda alle “convulsioni da fusione” (che tutt’ora non lo abbandonano, purtroppo), si ritrovò a dover fare opposizione ad un governo che invece fa dell’unità e dell’obbedienza al proprio leader maximo (Silvio Berlusconi) la propria carta principale. Va detto che l’opposizione avrebbe potuto essere fatta meglio, eccome: sarebbe stato necessario alzare di più la voce, mostrarsi più risoluti, evitare di cadere come pere cotte nella tela del ragno (con un cartello con su scritto “dialogo” grande così). Purtroppo a tutt’oggi (con il beneficio del dubbio per Bersani, al quale va dato un minimo di tempo) le spaccature interne al partito (ma anche più banalmente l’organizzazione interna ancora “in divenire”) sono pesanti e profonde al punto da pregiudicarne, su alcuni frangenti, l’azione politica stessa.

E’ però necessario che proprio gli stessi militanti del partito (ed i dirigenti di riflesso) si rendano conto di tutta una serie di contraddizioni che piagano i buoni propositi di pochi anni fa. La più palese di tutte riguarda la “democraticità” del partito stesso: si è ampiamente (e giustamente) condannato, da parte di molti esponenti del Partito Democratico e non solo, la nomina dei parlamentari tramite liste bloccate (meccanismo che tende a rafforzare casta e status quo politico) presente nella legge elettorale con la quale il precedente governo Berlusconi (a fine mandato) aveva cercato di rendere più difficile la probabile vittoria dell’allora opposizione di centro-sinistra guidata da Romano Prodi (al punto che lo stesso leghista Calderoli, firmatario della legge, l’aveva poi definita “una porcata” durante la puntata di Matrix del 16 marzo 2006).
La lodevole (seppur poco “efficace”) opposizione al principio delle liste bloccate si scontra oggi però con le nomine “politiche” interne al partito, che aggirano il democratico meccanismo delle elezioni primarie (non necessariamente allargate a tutti i cittadini, naturalmente) che invece ha caratterizzato l’elezione del segretario nazionale solo poco tempo fa. Esempio lampante è la nomina di Penati come candidato unico del Partito Democratico per le ormai imminenti elezioni regionali: niente naturalmente contro Penati, ma in un partito che si vuole Democratico e vuole ristabilire il contatto con la base, non era proprio possibile far seguire alla candidatura dell’ex presidente della Provincia di Milano (sconfitto alle ultime elezioni provinciali) l’iter delle elezioni primarie, supportando con il riconoscimento “meritocratico” e “popolare” la candidatura. Certo i tempi non sono ampissimi, ma più che “inibire la democrazia”, questo dovrebbe insegnare al Partito la necessità di costruire con più continuità il proprio progetto politico: se è importante (e a mio avviso necessario) passare dalle primarie, non si poteva partire prima?

Purtroppo questa cattiva abitudine è piuttosto diffusa tra i partiti italiani (a destra come al centro ed a sinistra), ma l’intento del Pd non è proprio quello di distinguersi? Da quantomeno fiducia il fatto che il problema è ampiamente riconosciuto dalla base militante del partito, che non dubito si prodigherà (compatibilmente con le altre difficoltà che ne intralciano l’attività politica) per risolverlo…

Come cambierà ora il Partito Democratico?

Pier Luigi Bersani è il nuovo segretario del Partito Democratico. A decretarlo (per una volta) è stato il democratico meccanismo delle elezioni primarie, che hanno visto affluire al voto nel 3 milioni di italiani e sancire l’elezione di Bersani con oltre il 50% delle preferenze, contro il 30% dell’uscente Franceschini e l’ottimo 16% di Marino. Al di la delle percentuali di preferenze ottenute dai singoli candidati, il grande tema del giorno è indubbiamente l’affluenza alle urne. Non che i 3 milioni di cittadini che hanno preso parte al voto non fossero attesi (si prevedevano tra i 2 milioni ed i 2 milioni e mezzo di votanti), ma la conferma dei numeri delle primarie precedenti (quelle di Prodi e Veltroni, per intenderci) dà certamente un’iniezione di fiducia ai militanti. Non si deve però commettere l’errore di scambiare questa affluenza per un’approvazione dell’attuale andamento del partito, anzi… Andrà inoltre approfondita (ed affrontata) la questione della disaffezione dei giovani: pochissimi a detta di tutti quelli che si sono recati alle urne.

Inoltre, questa tornata di primarie dovrà necessariamente sancire l’inizio di una fase di “cambiamento” per il partito. Se così non fosse, dubito fortemente che l’elettorato del Partito Democratico darà nuovamente “carta bianca” alla dirigenza come è capitato in questa occasione. In particolare sarà assolutamente necessario che Bersani conduca il partito sulla via della compattezza politica, dell’individuazione di una linea politica, di valori di riferimento concreti e condivisi, di proposte concrete per portare da un lato il paese a rispondere alla situazione di difficoltà in cui si trova, dall’altro (naturalmente) a vincere le prossime tornate elettorali, a partire dalle regionali di marzo.

  1. La prima cosa che l’elettorato del Partito Democratico chiede a Bersani è di tornare a fare politica efficacemente, risolvendo le divisioni interne che hanno paralizzato l’azione del partito sino ad oggi. Questo non significa (non deve significare!) uniformare le posizioni di tutti gli aderenti al partito o l’imposizione di una linea specifica (la molteplicità di vedute deve essere convertita in un valore aggiunto), bensì utilizzare il dibattito democratico, a partire dai circoli fino ai livelli più alti, sulla scelta delle azioni da intraprendere, chiedendo poi ferma coerenza sulle decisioni democraticamente ottenute. Coloro che non si adegueranno a questa linea, dovranno necessariamente essere allontanati dal partito (ogni riferimento all’ambiente dei teodem in tema di laicità dello stato e diritti è puramente casuale): se si vuole un’opposizione efficace è importante che sia unita e compatta.
  2. Proprio nell’intento di individuare una concreta linea politica, vanno sin da subito affrontati, discussi e chiariti alcuni temi chiave: immigrazione, ecologia, lavoro economia e precariato, laicità dello stato, parità di diritti per tutti, giustizia, scuola e ricerca, conflitto d’interessi, radicamento sul territorio. Nessuno di questi temi deve essere lasciato indietro, perché “fare opposizione” non può significare solo urlare e sbraitare, ma deve concretizzarsi nella proposta di alternative concrete ed efficaci a quelle proposte dal governo.

Buon lavoro allora a Bersani ed a tutti gli attivisti del partito: i prossimi mesi saranno cruciali…

Desistere e combattere?

(kromeboy via Flickr)

(kromeboy via Flickr)

Siamo alle porte delle primarie del Partito Democratico e come ogni vigilia che si rispetti, è occasione per riflessioni ed analisi politiche. La mia posizione politica ormai dovrebbe essere piuttosto chiara, ma credo che stavolta stupirò qualcuno. La mia riflessione muove i passi dalla considerazione che in politica, come del resto in molti altri aspetti della vita, le scelte sono fondamentalmente due: parlare o agire.

Da un lato ci sarebbe la (comoda) possibilità di desistere, accettare l’attuale condizione di minoranza della Sinistra italiana; da questa posizione sarebbe si facile criticare l’operato del resto dello schieramento politico (impossibilitati ad agire, è fin troppo facile, non trovate?).
L’alternativa, l’unica alternativa, è quella di agire. E affinché gli sforzi profusi non vadano dispersi inutilmente, bisogna (volenti o nolenti) portare il maggior numero possibile di persone sulle proprie posizioni. E’ quasi futile a questo punto dire che per arrivare a ciò, si deve necessariamente andare ad agire sulla fetta di elettorato di maggioranza relativa più “vicina” alle proprie posizioni che (nel mio caso) altri non può essere che il Partito Democratico. Piaccia o meno, si tratta dell’unico partito di centro-sinistra in grado di ambire, in condizioni ottimali, ad un ruolo di governo, alla possibilità di trasformare in azioni efficaci idee e proposte.

Oltretutto nel Partito Democratico, a compensare la presenza dei Teodem della Binetti, devono (DEVONO) esserci anche gli elettori dei vecchi DS, che come il sottoscritto vedranno con il fumo negli occhi l’immobilità nella quale le spaccature interne ed il “melange” di correnti incompatibili del PD lo trattengono. Tra gli altri, rincuora la presenza di un politico come Marcello Saponaro, che proprio in questi giorni ha definito ufficialmente la sua adesione al progetto del Partito Democratico.

Lo ammetto candidamente: ho sperato fino a poco fa che qualcuno degli esperimenti di creare qualcosa di concreto a sinistra del PD potesse prendere forma. Ci ho sperato perché ritengo l’attuale PD una scelta strategico-politica profondamente sbagliata, e la penso così da ben prima del congresso che ne sancì la nascita. Purtroppo la sinistra italiana ha avuto la straordinaria abilità di auto-distruggersi a suon di spaccature, dialoghi sterili ed iniziative falsamente condivise, e con il misero 3% di voti che oggi raccoglie non può essere che (dolorosamente) definita un malato terminale.

Ciò detto, non si può ignorare ciò che non va nel Partito Democratico, la profonda inadeguatezza dell’attuale partito all’importante ruolo che gli si vuole assegnare: sarebbe ancora più irresponsabile che rimanere nell’ozio, accettando la sconfitta e la minoranza cronica. Diventa allora imprescindibile intraprendere una strada attiva, che cerchi almeno di correggere quelle evidenti problematiche.

Se bisogna morire, meglio morire combattendo: questa domenica andrò a votare alle primarie (sul chi, tra Bersani e Marino, devo ancora decidere e davvero tra i due ci sono pochi spunti positivi in base ai quali scegliere) e poi valuterò quali altre azioni sono alla mia portata…

PD e primarie, qualche considerazione

Le Primarie del PD a Carpi Di Partito Democratico e del risultato delle primarie di ieri, ne stanno parlando un po’ tutti, e per questo mi sarei volentieri astenuto dal commentare ulteriormente (ho ben poco di nuovo ed originale da aggiungere, temo, anche perchè non sono andato a votare), ma visto che avevo gettato il sasso e non sono solito nascondere la mano, qualche considerazione va’ fatta, alla luce di quanto accaduto negli ultimi mesi, e “del risultato”.

Il primo argomento da toccare, è certamente quello dell’affluenza alle urne. Se la vittoria di Veltroni sembrava piuttosto scontata già alla vigilia, un’affluenza di (stima) 3,3 milioni di persone è decisamente qualcosa che andava al di là delle più rosee aspettative, triplicando di fatto il numero di persone attese alle urne. I motivi che hanno portato a questo risultato sono diversi, ma ne voglio citare uno in particolare che mi sembra particolarmente importante: la voglia di cambiare, di partecipare. Indipendentemente che si voglia cambiare anche l’attuale governo, sono convinto che molti degli elettori che ieri si sono recati alle urne delle primarie del Partito Democratico siano stati guidati da una forte volontà di cambiamento, d’innovazione. Sicuramente la costituzione di un nuovo partito, nel quale si vedono facce nuove (ancora poche, ma cominciano ad esserci) e che si pone proprio il rinnovamento della politica e del rapporto con gli elettori come valore importante, è una buona occasione per dimostrare voglia di partecipare. Per questo motivo non c’è alcuna contraddizione nel fatto che molti degli elettori delle primarie di ieri abbiano anche partecipato al V-Day di Beppe Grillo…
Per una volta, tra l’altro, mi trovo a dissentire da quello che afferma Marco Travaglio, che questa mattina scriveva di una differenza di 1 milione di persone tra le primarie che hanno dato a Prodi la leadership dell’attuale maggioranza di governo e le primarie di ieri: alle primarie di due anni fà infatti, si presentarono al voto anche tutti coloro che, militanti o meno, erano interessati a votare l’attuale governo, che invece non venivano interessati dal voto interno al nuovo Partito Democratico.
Piuttosto ci sarebbe da interrogarsi sul valore assoluto dell’interesse degli italiani nella politica: se infatti possiamo dare per assodato che il nuovo Partito Democratico vada ad aggregare almeno un 15% dei 40.000.000 di elettori italiani, ci si chiede che scarso interesse possano avere per la politica i restanti 3 milioni di elettori che questo nuovo partito dovrebbe attrarre a se… La gente chiede di cambiare, di rinnovare, ma non è disposta a muoversi in prima persona, nemmeno quando si tratta di andare ad infilare una scheda in un’urna… Mi auguro per Veltroni e per il Partito Democratico che si tratti di disaffezione alla politica, e non di “fuge” in altre aree politiche (verso sinistra ad esempio, come capita al sottoscritto)…

Ualter Il secondo argomento è relativo al risultato ottenuto da Walter Veltroni. Con questo (annunciato) plebiscito infatti, Veltroni ha reso molto più facile la vita al neonato partito: infatti oltre ad essere una faccia relativamente “nuova” del panorama politico, oltre ad aver (da quel poco che so’) fatto un discreto lavoro come sindaco di Roma, questo largo consenso potrebbe consentirgli di tenere “incollate” tra loro, sotto il suo “controllo”, le diverse aree del partito, guidandole in un processo di avvicinamento che porti al tanto agognato meticciato politico di quest’area del centro sinistra.
Per di più, in un’ottica biecamente utilitaristica, sono contento della scelta di Veltroni, perchè è sufficientemente a sinistra da farmi sperare che riesca a tenere a bada la parte più cristiano-integralista che la Margherita ha portato all’interno del Partito Democratico, assumendo una posizione moderata, al centro del nuovo partito, e non cedendo alle provocazioni che la destra lancia, cercando di costringerlo a schierarsi con l’area di estrema sinistra o con il centro, volte essenzialmente a metterlo in difficoltà all’interno del partito in questa fase cosi delicata.
D’altra parte, non mi dispiaceva neppure la candidatura di Enrico Letta, ed il suo 10% ne fa comunque una voce importante all’interno del partito, il che è un ulteriore segnale positivo sulle posizioni che il nuovo partito assumerà.

I dubbi che mi rimangono, alla luce di quanto accaduto negli ultimi tempi, sono essenzialmente 3:
Logo PSE – L’ingresso o meno nel PSE: ricordiamoci infatti che all’ultima assemblea dei Democratici di Sinistra, quando questo partito si sciolse (perdendo il “correntone” di Mussi) per dar vita al nuovo partito, era presente anche Martin Schulz, uno dei più importanti esponenti del Partito Socialista Europeo, che era la collocazione più naturale per i Democratici di Sinistra, ma non vedeve la Margherita tra i suoi aderenti, la quale al contrario, proprio durante il suo ultimo congresso, aveva fatto dichiarare di non essere intenzionata a consentire che il nuovo Partito Democratico rientrasse in quest’area politica.

DSCN1205.JPG – La posizione riguardo alla laicità della politica (dico, ricerca…): mettere insieme l’area della sinistra progressista con l’onorevole Binetti, che fa un vanto del portare il cilicio e da dei malati agli omossessuali, non è e non sarà mai facile. Quello del rapporto con la Chiesa, con l’etica scientifica, con la ricerca ed i patti sociali saranno gli argomenti più spinosi sui quali dovrà presto confrontarsi il neocostituito partito. Sarà una prova senza appello, e auguro sinceramente a Veltroni di poter passare indenne questa fase. A me stesso invece, auguro che in quella che si preannuncia una dura lotta, la spuntino le aree progressiste…

– Le conseguenze per l’attuale governo di questo plebiscito a Veltroni: Prodi ieri sembrava piuttosto teso, e lo capisco. Veltroni si è comportato con molto tatto, ed in “campagnia elettorale” ha detto più di una volta che è sua intenzione sostenere questo governo. Ma fino a quando gli verrà consentito, dal suo neoacquisito elettorato, di non far pressioni su Prodi? E se e quando capiterà, quali saranno le conseguenze di questo gesto?