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Qualche parola su Mirafiori

Logo FIATBene, eccoci al primo giorno di “riflessione” che segue il referendum della FIAT di Mirafiori. Un referendum che non si può intendere solamente come legato all’azienda in se ed alla proposta di contratto portata da Marchionne ai dipendenti ma, per il comportamento di Marchionne stesso, ha assunto una valenza e delle aspettative di interesse nazionale. Soprattutto considerando il fatto che la vittoria del SI o del NO al referendum non avrebbe in ogni caso spostato l’asse lungo il quale FIAT sta muovendosi: il costo del lavoro incide in modo poco significativo (8-9%) sul costo di produzione delle vetture e gli spostamenti di produzione ci saranno comunque, sia questo per interessi politici (verso gli USA) o economici (verso terzo e secondo mondo).

Vorrei cominciare la mia valutazione del risultato partendo proprio dal perché personalmente non ero apertamente schierato ne con il SI ne con il NO: sono convinto che la scelta di Marchionne di “uscire” dal contratto nazionale del lavoro non sia in se fondamentalmente sbagliata. I contratti nazionali sono espressione di un’epoca industriale ormai praticamente scomparsa (nel bene e nel male): difficile oggi trovare operai che lavorano nel metalmeccanico, difficile allo stesso modo trovare il “padrone” così come era inteso cinquant’anni fa, difficile oggi come allora accomunare i lavoratori dei grandi agglomerati di produzione (come Torino, Milano o Roma) con quelli dei piccoli distretti di periferia. Proprio questo per altro ha portato ad una maggior difficoltà nella tutela dei lavoratori basandosi sui soli contratti nazionali, che a questo punto andrebbero, a mio avviso, superati. Superati perché da un lato è importante adattarli ad un mondo industriale che è cambiato, dall’altro perché vanno garantite ai lavoratori tutele di cui non avevano bisogno anche solo venti anni fa e che oggi invece li rendono schiavi di precariato e sfruttamento: non si può pensare di far competere i lavoratori italiani sullo stesso piano economico di cinesi ed indiani, così come è necessario garantire alle aziende italiane (e non) la possibilità di competere ad armi pari con gli altri stati europei.
Marchionne ha però sbagliato nei modi con cui ha condotto la sua “campagna”: si è comportato da arrogante dittatore ed ha cercato a tutti i costi lo strappo con una certa parte dei sindacati, pensando evidentemente che la spaccatura avrebbe poi portato ad una maggior “malleabilità” dei dipendenti. Ha quindi negato i referendum quando venivano chiesti dai sindacati, ha chiuso la rappresentanza a tutti coloro che non erano allineati al pensiero aziendale (e ditemi se questo non ricorda un particolare arrogante dittatore), mettendo mano a conquiste non negoziabili (quali per l’appunto la democrazia e la rappresentanza sindacale) sanciti persino dalla costituzione. Ora che i SI hanno vinto talmente di misura da far sembrare il risultato un pareggio, Marchionne rischia di vedersi improvvisamente trasformato in Pirro, avendo per le mani un’azienda che dovrà dirigere “nonostante” il 46% dei suoi lavoratori. Probabilmente una contrattazione più accondiscendente avrebbe portato ad un vantaggio anche sul piano economico.

Resta infine da capire se la FIAT ed il suo accordo riusciranno a fare scuola nelle altre aziende nazionali. Ritengo che si tratti di un dubbio infondato: il contratto proposto ai lavoratori di FIAT non è molto diverso dai contratti che in lungo ed in largo per il nostro paese vengono proposti ai lavoratori, firmati ed approvati senza grandi rumori. Quello in cui il caso FIAT ha realmente qualche differenza sta proprio nel modo con cui Marchionne ha scelto di imporre una sua scelta, e da questo punto di vista, più che una vittoria, quella del manager rischia di essere una vera e propria disfatta…

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Senza più alcun ritegno

A prendere per il culo gli Italiani, sembrano averci preso gusto (non serve neppure mettere un soggetto alla frase, tanto è scontato). Al punto che ormai si rasenta la più pura beffa (anche se gli italiani, tra il terremoto e la paura degli “extranegri”, sembrano in catalessi).

L’ultima, ma solo cronologicamente, è quella dell’Election Day: la proposta (avanzata dall’opposizione già diversi mesi fa) è quella di evitare di sperperare inutilmente denaro pubblico e cogliere l’occasione delle Elezioni Europee ed Amministrative del 6 e 7 giugno per tenere anche il referendum sulla legge elettorale. Secondo alcuni calcoli questo porterebbe a risparmiare ben 400 milioni di euro, secondo altri sono “solo” 300: poco importa per altro, anche solo 1 euro di denaro pubblico che si può risparmiare è un euro delle mie tasse che può essere speso meglio.
Il fatto che se ne renda conto persino il presidente della Camera Gianfranco Fini (che ultimamente va la voce laico-comunista della compagine governativa), la dice lunga su quanto trasversale e “di buon senso” sia la proposta.

Per altro politicamente avrebbe potuto essere giocata ad enorme vantaggio del nostro caro Silvio Berlusconi, che dopo essere andato a farsi fotografare con le maniche rimboccate a L’Aquila, oppure con caschetto ed aria mistica ad abbracciare anziane terremotate, avrebbe potuto destinare i milioni risparmiati alla ricostruzione dell’Abruzzo e far poi passare il tutto come l’ennesimo atto di magnanimità del governo verso la popolazione abruzzese tragicamente provata (tanto chi mai avrebbe fatto notare che lo si era già detto più e più volte anche prima che il terremoto fornisse una reale destinazione ai soldi risparmiati).

Invece la Lega ha paura che il referendum elettorale non sia adeguatamente boicottato (chi pensate che andrà a votare per un referendum elettorale il 21 giugno, dopo essere già stati alle urne il 6 e 7?) se dovesse capitare in concomitanza con delle elezioni Amministrative (i piccoli comuni sono la vera forza della Lega Nord) e delle Europee (dove invece si gioca una delle battaglie campali di Berlusconi). Quindi riunione al vertice, appoggio incondizionato (immagino) sulle prossime votazioni in parlamento e scelta di non cambiare nulla, lasciando i tre appuntamenti: Europee ed Amministrative il 6 e 7 giugno, referendum elettorale il 21 giugno e poi il ballottaggio. “Se proprio si vuole risparmiare” – dice Gasparri – “si può fare il ballottaggio delle amministrative il 21 insieme al referendum”: certo, tanto a dover andare al ballottaggio saranno quei tre o quattro comuni sfigati che non rischiano di portare al quorum il referendum elettorale. Inutile dire che per la stragrande maggioranza degli italiani (quella che in gergo tecnico viene chiamata “gelatina” o “massa decerebrata”) tutto questo è un discorso eccessivamente complicato da comprendere, per cui si limiteranno ad andare al mare tutto il mese di giugno (alternativamente possono chiedere un’edizione straordinaria de “Il Grande Fratello”, magari ambientato alle urne).

Ma la ciliegina sulla torta, la beffa, è la mossa di Cicchitto, che afferma con convinzione che sulla scelta tra il 14 ed il 21 sarà consultata l’opposizione: ah,la democrazia!
Pare che verrà consentito anche di decidere se morire con il cianuro o con l’arsenico…

La Lega: pro e contro il referendum

Join Our Watches In questi giorni è in corso, a Pontida, l’ennesimo ritrovo dei Razzisti Verdi, che quest’anno raccoglierebbe (a sentire gli organizzatori) 50.000 persone.
I temi sono sostanzialmente sempre gli stessi, quindi tralascerò una trattazione già abbondantemente coperta in altri contesti (vi invito comunque a leggere l’articolo per intero, perché è significativo del clima italiano). Mi voglio invece soffermare su una dichiarazione di Calderoli, citando l’articolo di Repubblica.it:

Calderoli ha chiarito che il federalismo fiscale sarà incluso nella prossima legge finanziaria e quindi approvato entro dicembre 2008. Un percorso, ha precisato ricordando il precedente della Devolution, che non potrà però non tener conto della necessità del dialogo con l’opposizione perché “non succeda di nuovo che una riforma approvata dal Parlamento ci venga fregata dal referendum“.

Una riforma che viene “fregata dal referendum”? Il referendum è la massima rappresentazione della democrazia, dopo il voto elettorale, è il pronunciamento del sovrano volere del popolo italiano su quanto deciso dal Parlamento. Se il Popolo boccia una legge che piace ai padani, dobbiamo sospendere la democrazia per consentire a lor signori di giocare a “costruisci la nazione”? Ed a dirlo è un Ministro del governo in carica?

Ma la cosa più divertente è che pochi minuti prima, all’interno dello stesso discorso, riferendosi all’opposizione del partito leghista al recepimento delle direttive comunitarie di Lisbona, lo stesso Calderoli aveva detto:

Noi vogliamo solo che sia il popolo a decidere. Il referendum si fa in Irlanda, non vedo perché non si possa fare da noi. Il trattato toglie sovranità al popolo e allora su questo deve decidere il popolo. Questa è la democrazia.

Mi sfugge qualcosa?

Dopo i fucili imbracciati e le bandiere bruciate, possibile che non ci sia modo per fermare questi pazzi scatenati?