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Tra arrabbiati e infiltrati, botte e violenza

Scontri Roma

ziopilo via Flickr

La polemica sugli scontri di martedì a Roma è su tutti i blog, tutti i giornali, tutte le bocche. Potrei mai esimermi dall’aggiungere la mia (futile) opinione al mare di commenti che già vi sono piovuti addosso? Se la risposta che vi siete dati è si, passate pure qui.

Dicevamo dunque; Roma, 14 dicembre 2010: le manifestazioni di protesta indette da numerose organizzazioni (tra cui sindacati e gruppi studenteschi), che durante la mattinata hanno sfilato per le vie della capitale in un atteggiamento assolutamente pacifico, vengono improvvisamente colte da una spinta violenta e facinorosi venuti da mezza Italia cominciano a spaccare vetrine, dare fuoco ad automobili e blindati delle forze dell’ordine. Al di la della schizofrenia dimostrata dai manifestanti, sono molti gli elementi da analizzare e considerare.

Cominciamo dalla gestione mediatico-politica che è stata fatta della notizia in se: da destra e da sinistra si è immediatamente gridato contro la parte avversa, portando a supporto della propria tesi le più disparate ragioni; il PD accusa il Governo per la condizione di disperazione a cui ha portato una parte della popolazione, il Governo accusa il FLI per “aver scatenato la crisi” e via discorrendo. Nessuno ha considerato che dei 20.000 manifestanti, gli scontri sono stati portati avanti da un’esigua minoranza di loro, quindi è demagogico manipolare l’intera folla che si trovava a Roma martedì pomeriggio a fini politici.
Altrettanto errato è considerare in modo semplicistico quanto è accaduto: le motivazioni che hanno spinto taluni alla violenza è probabilmente diversa da quella che vi ha spinto taluni altri.

Secondo fattore da considerare è la gestione della risposta alle violenze da parte delle forze dell’ordine: come già accaduto numerose altre volte, Polizia, Finanza e Carabinieri si sono trovati a dover gestire le cariche dei violenti con forze esigue (si parla di cariche fatte da un pugno di poliziotti contro decine di manifestanti, chiaramente miseramente fallite). Oltre a mettere a rischio l’incolumità stessa degli agenti (pensate a quel finanziere che ha persino dovuto difendere la propria arma nel momento in cui, durante una fuga di fronte alla carica respinta, è caduto a terra ed è stato letteralmente assalito dai manifestanti), questo genere di gestione porta ad un ulteriore violenza nella reazione dei poliziotti, unico modo a loro disposizione per provare a “gestire” gli aggressori. Ecco allora che si arriva ad episodi che non avrei mai più voluto vedere e che ricordano fin troppo da vicino gli scontri al G8 di Genova (fissati purtroppo indelebilmente nella memoria di molti di noi).
Altra cosa che ricorda da vicino Genova è l’istituzione di una “zona rossa” (per altro mal collocata, visto che lasciava scoperta una vasta parte del centro di Roma per concentrare la protezione sola sola zona istituzionale), che è immediatamente diventata (come a Genova) un obiettivo dei manifestanti, un punto da raggiungere, una barriera da abbattere.
Pochi agenti quindi, mal collocati, la mancanza di coordinamento tra le varie forze dell’ordine schierate e l’individuazione di un ottimo bersaglio per i violenti: come si poteva pensare di gestire una manifestazione di 20.000 persone “che volge al peggio” in queste condizioni? Ritengo che questa sia un’accusa piuttosto pesante nei confronti del ministero dell’interno, dei vertici della polizia romana, sul cui comportamento e responsabilità sarà necessario fare un’indagine approfondita. Soprattutto considerando che durante i due anni di Governo Prodi ci sono state manifestazioni anche delicate senza alcuno scontro violento (ricordo una visita di Bush a Roma che si portava dietro parecchia tensione e che si risolse invece in una manifestazione pacifica e molto sentita).

C’è poi la questione degli infiltrati: pare confermato che tra i manifestanti ci fossero dei poliziotti in borghese che sebbene da un lato abbiano aiutato gli agenti in difficoltà, parrebbero dall’altro aver fomentato i violenti (in particolare ci sarebbe un agente in borghese, con una giacca a vento color senape, che ha a più riprese “aggredito” i propri colleghi con una pala ed un bidone della spazzatura). Mi chiedo l’utilità di questi agenti infiltrati, in quanto il loro numero sarebbe troppo esiguo per consentire una reale “influenza” sulla manifestazione stessa (comunque miseramente fallita, visti i risultati). Curioso oltretutto come lunedì sera, un ministro aveva cominciato ad attaccare il FLI e Fini affermando che il giorno seguente la città sarebbe stata messa “a ferro e fuoco” dagli autonomi. Quantomeno profetico ed inquietante, anche se non vi fosse nessun legame concreto tra le parole ed i fatti.

Infine c’è la questione della rabbia; dalle “analisi del giorno dopo”, fatte in assemblea dai manifestanti stessi, emerge una “spaccatura” importante: c’è chi accusa un manipolo di “violenti” estranei alla manifestazione che avrebbe dato origine e praticamente condotto in modo autonomo la parte violenta della manifestazione (al punto che, questo pare confermato, in Piazza del Popolo i manifestanti cercavano di fermare i violenti, piuttosto che di unirsi alla sommossa) mentre altri rivendicano in qualche modo l’esito violento della manifestazione, parlando di rabbia repressa, situazioni intollerabili, nessuna alternativa.
Ai primi vorrei dire che fa parte del gioco e proprio per questo va messa in conto la necessità di fermare queste persone sul nascere: l’alternativa è quella di venire strumentalizzati da una parte politica e dall’altra, diventando tutti “i violenti” e consentendo così di accantonare il messaggio che la manifestazione (pacifica) voleva trasmettere.
Ai secondi basta dire che non è questo il modo: capisco rabbia e disperazione ma la violenza è sempre dalla parte del torto.

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Manifestazione e pestaggi a Torino

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Ormai pare quasi una prassi, al punto che non fa il titolo principale sui giornali: quando c’è una manifestazione che coinvolge il G8, si finisce con teste rotte in ospedale. “Cariche di alleggerimento” si chiamano, ma nel frattempo servono a mettere in discussione il diritto a manifestare (quando le manifestazioni sono scomode, naturalmente, visto che di cariche non ce ne sono state in occasione dell’ormai nota manifestazione di estrema destra a Milano…). Puzza di regime?

Eppure trovo importante guardare, capire: le parole spesso non bastano a descrivere quello che invece la vista è in grado di trasmettere… cariche di alleggerimento…

133: la Risposta della Piazza

Dopo gli scontri di Piazza Navona, lo ammetto, avevo perso la fiducia: la strategia che ci stava dietro era fin troppo chiara, limpida, cristallina. Infiltrare, colpire, dividere, vedere, “informare”; era in qualche modo stato persino predetto in una (avventata probabilmente) intervista all’ex presidente Cossiga.
Avevo preventivato danni incalcolabili all’immagine del nascente movimento sociale, lo vedevo già distrutto e disgregato dall’interno come accadde (sigh) con il movimento no-global di Genova, rovinato dall’immagine violenta che nell’immaginario collettivo rappresenta ancora oggi.

La reazione invece è stata di quelle che tolgono il fiato: oltre un milione di persone hanno sfilato pacificamente a Roma il giorno dopo gli scontri (con un corteo che faticava persino a muoversi, tanto era imponente), accompagnato da altre migliaia di manifestanti in molte altre città d’Italia (si parla di altre 40.000 persone circa a Milano). Numeri del genere, associati ad una manifestazione “spontanea” ed organizzata dal basso (è vero, c’era il corteo dei sindacati, ma quanti erano?) non si vedevano dal G8 di Genova, figuriamoci se avessimo potuto immaginare nulla di simile all’epoca della Riforma della Scuola voluta dalla Moratti.

Allora viene spontaneo domandarsi se il vero motivo della protesta sia la sola protesta al decreto Gelmini, o se questo non abbia rappresentato altro che un catalizzatore, una scintilla, quasi un pretesto che ha dato fuoco ad uno scontento latente, popolare, diffuso, di persone che non si riconoscono più nel sistema politico, nei suoi interpreti (tutti, dalla sinistra antagonista alla destra estrema), nel modello bipolare che oggi sfoggia tutta la sua debolezza (e di questo dobbiamo, purtroppo, essenzialmente ringraziare Veltroni ed il Partito Democratico).
Quello stesso scontento che forse aveva inseguito negli ultimi anni Grillo, molto meno schierato di politici che hanno poi cercato di far fruttare il patrimonio da lui raccolto (con discreto successo, indubbiamente, ma non con i numeri che oggi vediamo in piazza). Quando Grillo si è presentato al corteo, offrendo il suo appoggio, è stato semplicemente allontanato con uno sdegnato declino e rispedito sulla sua via: tornerà alla carica Beppe, non ho dubbi su questo frangente, ma la risposta data dalla piazza è importante e ne marca una maturità inaspettata, una presa di coscienza netta e decisa delle forze in campo e del proprio ruolo.

Una piazza che si dice “anti politica” per bocca degli studenti che ne compongono una discreta parte, eppure una piazza che della politica sta facendo il proprio pane. Una piazza rumorosa eppur pacifica, che cercheranno di distruggere e zittire con le polemiche legate agli episodi di Piazza Navona (in questo momento persino su Repubblica il titolo principale su quel frangente riguarda gli scontri e null’altro). Ma come fingere di non sentire un milione di persone che urlano la loro rabbia?

L’importante ora sarà non strumentalizzare al vicenda, tentazione che potrebbe venire soprattutto dalla sinistra oggi “extra parlamentare” cercando di ricondurre la protesta ai propri schieramenti. Questo per due ragioni:

  • Da un lato perché questo significherebbe esporre il fianco agli attacchi della fazione opposta (che nel caso del Presidente del Consiglio sono già cominciati)
  • Dall’altro perché ha poco senso costringere in un vaso troppo piccolo un movimento che non vuole essere strumentalizzato: molto più proficuo sarebbe attendere che l’opposizione portata avanti in questo frangente si rincoduca da sola all’opposizione più classica, fornendo loro solo un sussurrato appoggio

Comincio a pensare che qualcosa stia cambiando, o al limite che si possa nuovamente pensare ad un cambiamento. L’importante è non restare con le mani in mano ad attendere il susseguirsi degli eventi, ma accompagnare la protesta facendo (nel nostro piccolo e per quelle che sono le nostre possibilità) tutto il possibile per tornare a fare Informazione, quella vera, quella con la I maiuscola.

E se fosse?

Idee chiare Troppe volte mi sono trovato a scrivere male dei miei coetanei su queste pagine. Troppe volte mi sono lasciato demoralizzare da atteggiamenti infantili, dall’osservazione di alcuni “giovani esemplari di razza umana” e dalla generalizzazione (sempre sbagliata) delle loro azioni. Questo venerdì mi sono persino trovato a discutere del problema culturale a Pisa, durante il convegno “Occasione perduta”.

Eppure la riforma Gelmini sembra aver ottenuto almeno un effetto positivo: svegliare la latente “next generation”. In effetti in questi giorni si sente di manifestazioni (anche piuttosto vigorose), occupazioni, contrasto sociale.
Pare tornare ad emergere quella quota parte di giovani che qualche valore (e forse un minimo di cultura) ce l’hanno, ma che sono rimasti nascosti per anni, lasciando campo aperto ai telespettatori di “Amici”, ai candidati del “Grande Fratello”, alle aspiranti veline ed ai “futuri calciatori” che tanto (mi) hanno demoralizzato.

Mi auguro che non si tratti solo di una “nuova moda”, ma che effettivamente la nuova generazione (l’unica sulla quale si può fare oggettivo affidamento per riformare la sinistra la politica italiana) cominci a farsi carico delle proprie responsabilità.

Non sarà certo un nuovo sessantotto (non siamo in grado, oggettivamente…), ma è già un inizio…

Questo weekend è Linux Day!

Ebbene sì. E’ passato un altro anno ed è nuovamente ora di Linux Day. Gli organizzatori delle varie edizioni del territorio italico se ne sono ampiamente resi conto (siamo in ballo da mesi con l’organizzazione, sigh), ma sarà utile ricapitolare ancora una volta di cosa si tratta, ad uso e consumo dei poveri alienati (;]) che ancora non lo sanno.

Il Linux Day è una manifestazione patrocinata dalla Italian Linux Society ed organizzata su tutto il territorio nazionale dai Linux User Group, le associazioni che promuovono e sostengono la diffusione di Linux e del software libero vicino a voi.

La manifestazione di Milano si svolgerà nella splendida sede di Villa Ghirlanda, Via Frova 10, Cinisello Balsamo organizzata dai vari gruppi attivi sul milanese (tranne OpenLabs, che ha un suo chapter organizzato al Parco Trotter), tra cui LIFOS (della quale mi onoro di essere il presidente) che si è occupata delle relazioni con il Comune di Cinisello Balsamo (che offre la sede, paga le spese, patrocina la manifestazione e partecipa attivamente con numerosi interventi, soprattutto nel convegno dedicato all’uso del software libero nella Pubblica Amministrazione).

Come lo scorso anno, il programma della due giorni (a Milano in effetti, storicamente, usiamo l’intero weekend) si preannuncia ricco ed interessante: sabato mattina si terranno i seminari dedicati alla Pubblica Amministrazione (come detto), durante il quale, prima delle conclusioni del Consigliere Regionale Marcello Saponaro, Lombardia Informatica annuncerà il supporto per Linux dalla CRS (Carte Regionale dei Servizi) ed alle Scuole, durante la quale insieme al Comune di Cinisello Balsamo tireremo le prime conclusione del progetto che vede LIFOS ed il settore socio educativo impegnati nella migrazione a Linux delle scuole pubbliche elementari e medie cinisellesi.

Al sabato pomeriggio, da un lato si terrà il convegno dedicato all’introduzione a Linux (nel quale interverranno i vari gruppi milanesi, con una panoramica volta a guidare i nuovi utenti di Linux dalla scelta consapevole dell’hardware alla selezione del software da installare), dall’altro un convegno dedicato all’uso di Linux nell’Impresa, durante il quale aziende come Red Hat, IBM o Funambol, insieme da aziende locali e da liberi professionisti, analizzeranno le prospettive future di Linux nel mondo del business.

Nella notte di sabato (19:00 – 0:00) ci sarà la Linux Night, presso la sede di Ada Stecca, (Vicolo De Castilla, 21, Quartiere Isola [MM Gioia]), alla quale, inutile dirlo, siete tutti invitati.

Domenica mattina, si comincia subito forte, con l’intervento di Paolo Attivissimo, seguito a distanza ravvicinata da quello di Christian Biasco e dalla presentazione del libro Il computer sostenibile di Giovanna Sissa.
Al pomeriggio, una sessione tecnica durante la quale cercheremo di proporre interventi interessanti anche se di livello tecnico un po’ più elevato (tra gli altri, Vincenzo Ampolo ci parlerà di OpenMoko).

Un programma davvero degno di nota, che diventa persino difficile descrivere per noi che lo abbiamo messo in piedi e che mi auguro sinceramente sia di gradimento del pubblico che parteciperà.

A fare da degno corollario a tutta la manifestazione, il gruppo studentesco universitario POuL si occuperà dell’Install Fest, durante la quale potrete ricevere un concreto aiuto all’installazione di Linux sui vostri computer, anche mantenendo attiva l’installazione di Windows. Inutile suggerire un bel backup di tutti i dati, prima di queste delicate operazioni, vero? 😉

Infine (ma non in ordine di importanza), và detto che l’ingresso alla manifestazione è assolutamente libero e gratuito (la registrazione è suggerita), quindi… non prendete impegni per sabato e domenica!! 😉

Contro la violenza sulle donne

Stattene con le mani in mano Sembra che la giornata di sabato 24 novembre sia uno dei punti nevralgici del calendario eventi italiano: oltre al “buy nothing day” ed alla “colletta alimentare” di cui ho appena scritto infatti, si terrà una importantissima manifestazione a livello nazionale, con un corteo che avrà luogo a Roma, a partire dalle ore 14, che da seguito ad un appello ormai in linea da parecchio tempo: si tratta della giornata nazionale contro la violenza sulle donne.

Purtroppo quello della violenza contro le donne, sia essa sessuale fisica o psicologica, è un fenomeno molto più diffuso di quello che normalmente si (vuole) crede(re): oltre 14.000.000 di donne italiane subiscono violenza nel corso della propria vita di cui oltre un milione e 400.000 prima dei 16 anni. La cosa forse peggiore è che quasi il 70% di queste violenze vengono perpetrate all’interno delle mura domestiche: dal padre, dal fidanzato, dal (ex a volte) marito, e che meno del 6% di questi eventi viene denunciato: sono le donne stesse, condizionate forse da una società sempre più “malata”, a considerarlo “qualcosa di sbagliato” (44%) o “qualcosa che è accaduto” (36%), quando si tratta evidentemente di un reato penale.

Purtroppo la politica ed i mass media cercano costantemente di relegare il fenomeno a casi isolati, magari perpetrati da extracomunitari senza permesso di soggiorno, ignorando di fatto le preoccupanti cifre che invece fanno di questo fenomeno uno dei principali problemi italiani.
Un fenomeno tra l’altro che non deve più essere considerato di dominio femminile: gli uomini devono schierarsi apertamente in questa campo, a denuncia di coloro che si macchiano di un così incivile gesto. Invito per questo tutti gli uomini a sottoscrivere l’appello in questione, ed a riflettere attentamente sul tema.

ps: proprio mentre scrivevo, giunge questa notizia, che si commenta da sola, purtroppo.

20 ottobre

Bandiera rossaPurtroppo sabato impegni di famiglia mi hanno tenuto lontano da Roma, ma alla manifestazione “pro Programma di Governo”, ci sarei andato volentieri, per diversi motivi.

Primo tra tutti, il fatto che non si trattava di una manifestazione “contro il Governo”, che è secondo me un segno di maturità non indifferente. In seguito, perchè si manifestava per chiedere l’applicazione di qualcosa che era stato promesso dal Governo, e per il quale questo Governo ha preso i voti che gli hanno consentito di governare. E’ vero che non c’è l’obbligo di mandato, ma snaturare completamente quelli che sono stati i punti principali della campagna elettorale non può certo far bene in un’ottica di nuove elezioni… (ovviamente va ricordato che siamo alla conclusione del secondo anno di governo, e ne rimangono ancora 3 per portare a termine il programma…)

La manifestazione si è svolta in un clima invidiabile, nonostante gli oltre 700.000 manifestanti, da quel poco che ho potuto desumere dalla diretta di Radio Popolare (mentre attraversavo la pianura padana per il lungo), con uno spirito costruttivo e pacifico che smentisce (come al solito) le paure allarmistiche con le quali la destra prepara il popolo italico alle manifestazioni indette dai “comunisti”.

Mi ha inoltre fatto molto piacere il fatto che sia stato chiesto ai ministri di non partecipare alla manifestazione. Questo ha consentito di far incentrare l’attenzione sui manifestanti, sugli obiettivi della manifestazione, anzichè su sterili dibattiti sui partecipanti e sulla imminente crisi di governo legata agli interventi detti da tizio o caio durante il corteo. E’ una trovata interessante, sicuramente da ripetere, anche per riaccendere quella capacità comunicativa che la sinistra (ma in realtà tutto il centro-sinistra) ha perso da parecchi anni.

Il succo della manifestazione, in ogni caso, è stato quello della “sinistra unita”. Unita nei fatti prima ancora che con le parole: non hanno infatti adderito ufficialmente alla manifestazione ne i Verdi ne la Sinistra Democratica, ma erano di contro presenti moltissimi manifestanti riconducibili a questi schieramenti. Durante il corteo, diversi politici di spicco di quella che viene ormai difinita la “Cosa Rossa” si sono espressi in favore della formazione di una realtà unitaria a sinistra del Partito Democratico (che io auspicavo già parecchio tempo addietro). La questione è stata ripresa anche nei giorni successivi (ieri e stamattina) con la dichiarazione rilasciata dai portavoce di Rifondazione Comunista che non vogliono pensare ad una fusione, ma ad una “rete di partiti”. Rete o partito, quello che importa, secondo me, è un’agire unitario, compatto, discusso e costruito a partire dal popolo, dai cittadini, dal riallacciarsi di quei legami che la Politici ha perso da anni.  Si auspica un primo passo partecipato: e se questo passo fosse proprio la manifestazione del 20 ottobre?

“La lotta continua…”

Myanmar: è il turno dei reporter

La protesta contro il regime birmano che sta avendo luogo da ormai parecchi giorni a Myanmar, è ormai sulle prime pagine dei giornali da alcuni giorni. Nelle ultime ore però, nonostante le minacce di sanzioni arrivate congiuntamente sia dall’Unione Europea sia dagli Stati Uniti anche di fronte alle Nazioni Unite che invitava ieri sera alla “moderazione”, la repressione ha fatto un salto di qualità.

Sono cominciati gli arresti, i pestaggi, le retate. Si è cominciato a sparare, ad uccidere (si parla di 5 morti ieri, monaci, di un giornalista giapponese stanotte). Soprattutto, è iniziata una caccia all’uomo (il Traders Hotel di Yangon è stato perquisito stanza per stanza) nei confronti dei reporter, dei giornalisti, che stanno sventolando l’orrore della repressione sui media di tutto il mondo (perfino su quelli italiani!).

Gli arresti tra gli esponenti della Lega nazionale per la democrazia, che alcuni anni fa aveva vinto le elezioni presidenziali con Aung San Suu Kyi, leader del partito e da alcuni anni agli arresti domiciliari, dopo che la giunta militare aveva annullato il risultato delle elezioni, non si contano: questa notte è stato il turno del portavoce della leader ed un ex parlamentare.

Sono sempre stato favorevole all’auto-determinazione dei paesi, contrario all’interventismo che ha caratterizzato gli attacchi ad Afghanistan ed Iraq, contrario all’intervento militare con l’Iran. Ma quando viene negata dall’interno del paese stesso, con il sangue, la possibilità di auto-determinarsi, cosa si deve fare?

Le sanzioni internazionali possono portare a qualche tipo di giovamento in breve termine? Sono una pressione sufficiente? Una forza di mera interposizione, che protegga i manifestanti, quanto ci vorrebbe a paracadutarla a Yangon? Troppo, anche perchè è notizia degli ultimi minuti che l’intervento di Russia e Cina ha bloccato le sanzioni internazionali nei confronti dello stato asiatico. Spero che ora russi e cinesi dovranno rispondere di quanto accadrà in Myanmar davanti ai mass media internazionali… e che la blogsfera, da questo punto di vista, sia pesantemente presente, sia nel condannare quanto accade a Yangon, sia il comportamento di Russia e Cina, che per ragioni prettamente politico-strategiche mettono a repentaglio la vita di migliaia di persone in Myanmar…