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Indietro tutta!

Cristiano Corsini via Flickr

Dicendo che ho l’impressione che l’Italia non sia tra i paesi più avanzati del mondo non stupisco di certo nessuno. Eppure negli ultimi tempi ho l’impressione che chi spinge affinché l’Italia torni ai suoi “fasti medioevali” stia abbandonando un po’ del pudore che fino ad ora ha contraddistinto le sue azioni e si stia facendo sempre più temerario.
Non mi riferisco chiaramente ad un singolo individuo, ma l’idea (tipicamente italiana) che il singolo debba essere “furbo” e trarre giovamento dalla società, senza per questo ottemperare ai doveri che ne rendono possibile il sostentamento stesso, è piuttosto diffusa nel “Bel Paese” e sembra avere tra i suoi massimi esponenti alcuni personaggi di cui ultimamente la cronaca ha avuto modo di occuparsi.

Penso ad esempio ai discorsi di Marchionne e Tremonti al meeting di Comunione Liberazione a Rimini (abbondantemente finanziato, non è chiaro perché, con 234.000 euro di fondi pubblici della Regione Lombardia), in cui sono state messe in discussione conquiste storiche come la “sicurezza sul lavoro” (“un lusso che non possiamo permetterci” che Tremonti vorrebbe cancellare per rendere l’Italia competitiva nientemeno che con la Cina) o il diritto di sciopero (Marchionne). All’amministratore delegato di FIAT risulta evidentemente scomodo trasferire la produzione nei paesi del terzo mondo, come ci hanno abituato a fare le imprese italiane, preferisce lasciare la produzione in Italia a patto che gli italiani lavorino alle condizioni dei paesi non industrializzati: un tozzo di pane e calci nel culo. Il prossimo passo, verosimilmente, sarà la ripresa dello sfruttamento del lavoro minorile, poi il rilancio del lavoro duro in miniera, la cancellazione del voto alle donne…

Penso poi al rifiorire (non è una novità, naturalmente) del razzismo più gretto, frutto esclusivamente dell’ignoranza profonda in cui versa la stragrande maggioranza dei nostri concittadini: penso al pestaggio del vigile nel quartiere Corvetto di Milano, penso agli sgomberi forzati, penso alle condizioni disumane in cui teniamo incarcerati nei “centri di identificazione ed espulsione” persone che hanno commesso spesso e volentieri il solo crimine di essere nati in altre zone del mondo, penso al fatto che siamo tra gli ultimi paesi a non avere tutt’ora recepito la normativa europea che sancisce pene severe per i reati legati all’omofobia (se per questo, non rispettiamo neppure il trattato di Ginevra che prevede pene contro la tortura…)

Penso all’informazione in mano ad una ristretta schiera di foschi personaggi, al punto che per poter parlare alla gente, il principale partito d’opposizione sta pensando di organizzare una campagna “porta a porta”!
Penso ad un governo che pensa ai propri interessi e non a quelli dei cittadini che li hanno eletti (al punto che mentre la Mondadori si esenta dal pagare una sontuosa multa, l’Italia è il fanalino di coda della “ripresa” economica europea, praticamente immobile nel bel mezzo della crisi).

Magra consolazione pensare che i francesi, al momento, hanno altro a cui pensare: nel tentativo (vano, a giudicare dai sondaggi) di recuperare voti, il presidente Sarkozy ha lanciato una campagna di espulsione dei Rom rumeni insediati sul territorio francese, con metodi che richiamano fin troppo da vicino quelli applicati dai nazisti durante le retate della seconda guerra mondiale. E se Sarkozy si è beccato un monito dal Vaticano, fa impressione pensare che anche in Francia il dibattito non verte più sulla legittimità di quanto si sta facendo (i rumeni sono cittadini europei, e come tali devono poter girare indisturbati per tutto il territorio dell’Unione, le regole non possono valere solo quando ci fa comodo), ma sul fatto ce Sarkozy lo stia facendo o meno con il bieco intento di raccimolare voti facendo leva sull’ingiustificata ed indotta paura della gente verso tutto ciò che è “diversi” (come da anni fa la Lega in Italia, aggiungo) oppure se effettivamente si tratti di un provvedimento preso con convinzione.

Ed infine, per gravità, tutto questo nel quasi totale silenzio della così detta “società civile”, che a questo punto non direi più “addormentata”, ma in “coma irreversibile”…

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Nucleare: i perché di un no

Centrale Nucleare

mbeo via Flickr

Quando si parla di nucleare la posizione di chi è apertamente contrario alla costruzione di nuove centrali nucleari in Italia viene automaticamente associata con la paura che queste centrali possano portare pericolo per la popolazione, con la mente che rimanda le immagini di Cernobyl, alla questione del referendum che fermò il nucleare in Italia tanti anni fa; la naturale risposta a questa posizione (e qui solitamente si chiude la discussione, perché chi risponde si chiude poi a riccio e non ascolta più) è che le centrali nucleari moderne sono molto più sicure, e quindi si è automaticamente etichettati come “comunisti” e (paradossalmente) “conservatori”, o ancora più paradossalmente “gente che vive sulle paure della popolazione ignorante”.

Cerco allora spazio per spiegare la mia visione del nucleare in Italia: i perché di un “no” (fermo) che non è motivato da paure catastrofistiche ma da valutazioni più complesse e ragionate.

  1. Un problema non risolto: la questione delle scorie.
    Innanzi tutto, c’è la questione (mai risolta) delle scorie, dei prodotti della reazione nucleare che anche le centrali più moderne non possono smaltire. Tutti i paesi che hanno centrali nucleari sono ricorsi allo stoccaggio di queste scorie in luoghi dedicati (sottoterra o in superficie), ma considerando che la radiotossicità di parte delle scorie si esaurisce tra i 300 ed il milione di anni, appare chiaro come non si tratti di una reale soluzione al problema, bensì di un rimandare le conseguenze di un problema a fronte della soluzione di un’immediata necessità (l’energia): si tratta di un comportamento tipico dell’uomo moderno (fregarsene dell’ambiente a fronte di un ritorno immediato) che ha già portato a enormi conseguenze (il cambiamento climatico ma non solo) ed è decisamente ora che si prenda coscienza del nostro ruolo di distruttori del pianeta che abitiamo…
  2. Un problema rimandato: l’uranio come carburante.
    Una delle principali motivazioni che paiono spingere verso il nucleare è la dipendenza dal petrolio (o dagli altri stati confinanti, ma la ragione di questa dipendenza sta proprio nell’anti-economicità di costruire nuove centrali a petrolio in Italia), il cui costo va aumentando sempre più rapidamente e la cui durata si va via via riducendo (al punto che già oggi andiamo ad estrarre il petrolio in posizioni che fino a poco tempo fa erano considerate anti-economiche, vedere alla voce “Piattaforma BP nel Golfo del Messico“).
    Purtroppo il passaggio al nucleare non risolve il problema: la richiesta di Uranio è enormemente aumentata nell’ultimo decennio (proprio a causa dell’aumento massiccio della produzione di energia da reazioni nucleari), al punto da eccedere l’offerta. Il prezzo non poteva quindi che andare alle stelle, passando dai 7$ a libbra del 2001 agli oltre 135$ a libbra del 2007. Oggi il costo si aggira intorno ai 115$ per libbra, il che incide al 40% sul costo di produzione dell’energia, vale a dire 0,71c$ per kWh prodotto. Il problema del collegamento tra il costo dell’energia e le fluttuazioni del costo delle materie prime non viene quindi risolto, ma solo rimandato.
  3. La questione dei tempi.
    I problemi sopra elencati sono ulteriormente aggravati dalle tempistiche che l’adozione del nucleare comporta: secondo la “roadmap” ufficiale, la prima centrale nucleare italiana sarebbe inserita in rete nel 2020. Durante questi 10 anni nulla verrà verosimilmente fatto (per via dell’ingente investimento in corso che non giustificherebbe interventi di altra natura) sul fronte della riduzione della dipendenza dai paesi esteri (oltre il 70% del fabbisogno italiano, ad oggi), della dipendenza dal petrolio (il cui costo continuerà invece a salire esponenzialmente) e nel 2020 ci troveremo con un costo ancora maggiore dell’Uranio, con la maggior parte degli Stati Europei in piena fase di dismissione (diversi Stati, tra cui la Germania, hanno deciso di dismettere il nucleare al termine del ciclo di vita delle centrali attualmente esistenti) e verosimilmente in una realtà energetica profondamente diversa da quella che oggi ci spinge(rebbe) verso l’adozione del nucleare.
  4. Una falsa risposta: il nucleare costa di più.
    Abbiamo già abbondantemente detto dell’aumento del costo dell’Uranio e dei tempi di costruzione delle centrali, ma sul fronte economico c’è un’altra questione importante, ed è quella del costo complessivo di una centrale nucleare. Considerando che la fase di “dismissione” di una centrale può durare fino a 110 anni (come nel caso di quelle in via di dismissione in Inghilterra), vale a dire quasi 3 volte la vita utile di una centrale (30-40 anni con interventi costanti di manutenzione), e considerando che il costo di costruzione della centrale (ad esempio una da 1600MW) si aggira tra i 4 ed i 4,5 miliardi di euro. Fare i conti numerici non è banale (per via delle molte variabili, tra cui la necessità di costruire una filiera di distribuzione, il costo dell’Uranio, il costo di costruzione dell’impianto che è molto variabile a seconda della dimensione dello stesso), ma uno studio del MIT ha evidenziato, nel 2009, che il costo a kWh dell’energia nucleare è superiore a quello dell’energia prodotto da olio combustibile o gas, ed è per di più statisticamente in ascesa.
  5. Investire su una vera soluzione: le energie rinnovabili
    E’ forse il punto più semplice e banale: se non esistessero alternative, infatti, tutti i discorsi fatti qui sopra andrebbero rivisti. Sicuramente il costo maggiorato dell’energia che acquistiamo dall’estero impone degli investimenti per portare la produzione in Italia (tutto sta poi nella scelta della tipologia di investimento che vogliamo fare), ma proprio per via della geografia del nostro paese, sono numerosissime le fonti rinnovabili che possiamo utilizzare per produrre energia senza devastare economia ed ambiente: il sole, vento, fiumi e mari non ci mancano di certo. A parità di investimenti, le energie rinnovabili sarebbero meno costose, di più rapida attuazione, meno dipendenti dalle fluttuazioni delle materie prime, maggiormente diffuse sul territorio (con ricadute ovvie sui processi di distribuzione).

Se non sapessimo già la risposta, verrebbe quasi da chiedersi su quale malato principio si stia scegliendo, in Italia, di imporre con la forza l’adozione del nucleare…

Benvenuto federalismo. Ma che federalismo?

Ex Caserma Cimone

davidaola via Flickr

Ieri la commissione bicamerale appositamente composta ha varato il “federalismo demaniale”: si tratterà fondamentalmente del passaggio di edifici, caserme, fiumi ed altre simili amenità sotto il controllo e la competenza di Comuni e Regioni. Si tratterebbe in realtà di una misura poco più che formale (visto che a Comuni e Regioni spetta già gran parte dell’onere, eccezion fatta per l’Istruzione).

Naturalmente dovremo attendere il decreto legge emanato dal Governo (pare addirittura atteso per la giornata di oggi), ma anticipo che su questo specifico punto mi trovo abbastanza favorevole: maggior “vicinanza territoriale” significherebbe non solo (come vuole la Lega) maggior potere all’amministrazione locale (cosa comunque tutta da verificare, visto che il “patto di stabilità” non coinvolge solo i Comuni governati da giunte di centrosinistra), ma soprattutto maggior controllo da parte della cittadinanza e maggior attenzione alle problematiche caratteristiche locali, spesso “perse di vista” dal potere centrale. Penso a “ponti pericolanti” che l’Anas deve sistemare da anni ed i cui lavori non partono mai, penso ad edifici scolastici fatiscenti i cui oneri sono costantemente rimbalzati tra amministrazioni diverse e via dicendo.

Inutile dire che un paio di fondamentali premesse devono essere poste:

  • L’attenzione dei cittadini dovrà essere massima, perché portando sul territorio il controllo del bene demaniale si aumenterà esponenzialmente il rischio che questo finisca nelle mani dei soliti “amici degli amici“. Il controllo dell’opinione pubblica (più facile quando si parla di realtà più piccole e vicine alla gente) sarà inoltre fondamentale per evitare la “monetizzazione” dei beni: il patrimonio dello Stato non è (e non può essere) solamente un modo per fare soldi in fase di “alienazione”.
  • Il parere favorevole sul “federalismo demaniale” deve essere confuso con un avvallo ad un egoistico federalismo fiscale: non si deve dividere l’Italia, ed è fondamentale che le regioni più ricche aiutino quelle più povere. Sono assolutamente contrario al federalismo fiscale così come viene inteso dalla Lega Nord (che non è poi quello che stanno ottenendo, per altro) e ci tengo a che questo sia chiaro.
  • Vorrei infine far notare che non ci si potrà ad ogni modo esimere dall’istituire un “organo centrale” con poteri di controllo, garanzia e (soprattutto) pianificazione nazionale, perché l’Italia è una e come tale deve ragionare: Regioni confinanti non possono che trovarsi a confronto sulle politiche comuni.

Come al solito, siamo di fronte ad una iniziativa in sè interessante e potenzialmente positiva, la cui reale utilità viene troppo spesso “dispersa” da provvedimenti parziali e demagogici… speriamo non sia questo il caso…

La crisi Greca ci restituisce un’Europa monca

Parlamento Europeo

SordaCadencia via Flickr

Ora che sul fronte degli aiuti alla Grecia comincia ad intravvedersi quella che pare essere la strategia definitiva degli Stati Membri, è forse giunto il momento di fare il punto su come questa difficile fase sia stata gestita e sul cosa avrebbe consentito di affrontarla in modo più efficace. Purtroppo il riquadro che ne emerge è tutto fu0rché lusinghiero, mettendo in risalto alcune gravi lacune che sono state (volontariamente) create nel Sistema Europa e che dovranno vedere un impegno ed uno sforzo notevole da parte degli Stati Membri affinché siano colmate.

  • In primis, c’è sicuramente la questione del ritorno politico: negli ultimi anni l’Unione Europea è stata culturalmente accantonata in molti Stati Membri (tra cui naturalmente anche l’Italia) a giovamento della politica nazionale; gli esponenti principali ed i leader dei vari partiti nazionali si dedicano essenzialmente alla politica locale, mentre al Parlamento Europeo vengono di solito inviati “giovani a farsi le ossa” o “confinati”. L’Europa perde così d’importanza nel comune sentire dei cittadini europei e diviene difficile spiegare ed ottenere consenso su temi comunitari, come a fagiolo gli aiuti economici alla Grecia, ma lo si era visto non molto tempo addietro con i numerosi “no” referendari alla Costituzione Europea (guarda un po’, proprio uno dei paesi che oggi maggiormente si gioverebbe di una presenza Europea più forte è quell’Irlanda che fu tra le prime a rinnegare l’adesione alla Costituzione Europea).
    Proprio in questi ultimissimi anni, possiamo trovare lampanti esempi di come la politica nazionale abbia cercato di svuotare di potere la politica europea, manovra che oggi si è rivelata drammaticamente errata: la conferma di Barroso, l’elezione della Ashton a Ministro degli Esteri europeo, l’affondamento di alcune parti del Trattato di Lisbona; gli Stati Membri hanno cercato un’Unione che non li disturbasse troppo, e ora che invece servirebbe un potere forte, se ne sente la drammatica mancanza.
    Nel caso Grecia, questo si è visto in modo piuttosto marcato da parte della Germania, dove il cancelliere Angela Merkel ha cercato prima di tutto di massimizzare il consenso elettorale (si è votato in questi giorni in alcuni Lander), con l’unico risultato (le elezioni le ha perse) di agire con meno tempestività, efficacia e saggezza di quanto non fosse necessario (e richiesto ad uno stato forte ed importante per l’Europa come quello che la Merkel guida), portando così ad un ulteriore aggravio della crisi, inizialmente tutto fuorché ingestibile. Solo l’intervento del presidente degli Stati Uniti Obama a favore di un comportamento più responsabile ed unitario da parte dell’Europa ha un po’ rimesso il treno sui binari, facendoci giungere alla creazione del mastodontico fondo di garanzia che ieri ha fatto la gioia degli speculatori in borsa.
    Affinché anche le questioni comunitarie tornino ad avere un ritorno politico, è necessario che in Europa si torni a perseguire la “cultura dell’unità“, che sin dalle scuole primarie venga mostrato quanti e quali benefici hanno portato i vari stadi della costituzione dell’Europa Unita quale oggi la conosciamo.
  • Secondariamente ma legata sicuramente alla questione trattata precedentemente, c’è la totale mancanza di strumenti a disposizione del “Governo Europeo” (che, per l’appunto, non esiste) per agire nell’arginare gli effetti della crisi, aiutare la Grecia ed evitare “il contagio”: il fondo di garanzia viene non per nulla istituito dalla BCE, la quale non può che “raccomandare” agli Stati Membri un maggior controllo sui conti pubblici, suggerendo norme di austerità che consentano di superare “indenni” (pagheranno i cittadini, come sempre, visto che si prevede già un ulteriore aumento della disoccupazione) questo periodo difficile. Non ci sono strumenti efficaci per andare a risolvere alla radice le cause della crisi: non si può stimolare la crescita, non si può intervenire a livello comunitario sulle politiche economiche ed industriali e via discorrendo.
    Il tanto denigrato Romano Prodi sta da anni spingendo per la formazione di istituzioni europee che abbiano il potere di incidere sulle politiche degli Stati Membri, ma queste istanze sono sempre state rifiutate in quanto considerate “scomode” ingerenze. Oggi vediamo per la prima volta gli effetti dell’assenza di questi strumenti. Purtroppo affinché si torni sui propri passi e si imbocchi una via più saggia, bisognerà che i politici alla guida dei vari Stati membri si facciano una profonda analisi di coscienza e rinuncino al loro ruolo di prime donne in favore di una maggior presenza dell’Europa unita all’interno della politica nazionale.

Purtroppo se il panorama politico assomiglia anche solo lontanamente a quello italiano, rischiamo che tutto ciò venga rimandato alle calende greche…

PD: ritorno a nuova vita?

Il Partito Democratico torna a nuova vita. Lo fa “in sordina” (come prevedibile, forse), ma i segnali ci sono e sono positivi, cominciando dalla presenza del segretario Bersani ad AnnoZero (Berlusconi non c’è mai andato, che io sappia). Si tratta di per se di un atto coraggioso: esporsi alle critiche di cinque giornalisti (e non parliamo di Minzolini, ma di gente come Travaglio…), in una fase politica e partitica delicata come quella che il Partito Democratico sta attraversando, non è certo cosa semplice. Ad AnnoZero, Bersani ha saputo uscire a testa alta: persino lo stesso Travaglio, solitamente critico, in un post di questa mattina ne lodava il coraggio (sebbene con il suo stile caratteristico).
Bersani ha rivendicato la politica di opposizione del Partito, portando azioni concrete condotte soprattutto nell’ultimo periodo (e non solo le solite parole d’intento): ha rivendicato la sconfitta del Governo sulla questione dell’arbitrato (importantissima, ha ragione Bersani), le proposte fatte sul tema del lavoro e sistematicamente respinte del Parlamento e via discorrendo.
Bersani si è arrabbiato, infervorato (sempre senza nascondere i limiti di questo Partito), a tratti emozionato: si vede che ci tiene, e la passione è (e non può essere altrimenti) alla base di qualsiasi azione efficace politica.

Questa apparizione televisiva di Bersani prosegue nel solco cominciato con la campagna per le “10 parole chiave per il 2011”. Ne ho lette di tutti i colori contro q1uesta iniziativa, e mi sono chiesto ogni volta quanto costruttivo possa essere criticare a spron battuto una (prima, naturalmente) iniziativa costruttiva ed orizzontale come quella che il Partito Democratico sta portando in campo, a tratti “rivoluzionaria”, quasi quanto lo fu l’istituzione delle primarie (per quanto poi poco praticata sia stata).
Fatemi capire: prima li si critica perché non parlano, non si oppongono, non discutono; poi li si critica perché parlano, perché discutono? Mi sembra un atteggiamento molto tafazziano, fino a pochi giorni fa avrei detto quasi “piddino”.
Invece no: osservo dall’interno il Partito Democratico da alcuni mesi. Ci ho trovato gente motivata, che ci crede, giovani e non. Ci ho trovato interesse, passione, cultura, arrabbiature. Ci ho trovato naturalmente correnti, scissioni, cose che non funzionano, opinioni divergenti. Ma ultimamente ci ho trovato un barlume di luce, una presa di coscienza dei limiti e un’assunzione di responsabilità (da parte di tutti, dalla base alla dirigenza) per comprendere questi limiti e superarli. Superando feroci divisioni interne, il Partito si sta persino schierando apertamente in favore dell’acqua pubblica, partecipando (dove possibile) e sostenendo la campagna di raccolta firme per il referendum, nonostante questo vada poi ad eliminare articoli che proprio il Governo Prodi aveva presentato (e che sono poi il motivo per cui Italia Dei Valori presenta una sua campagna referendaria separata ed incompatibile con il Forum…).

L’atteggiamento è (finalmente) quello buono, il punto di partenza è quello che ci si può permettere, per quanto poco esaltante possa essere.
Il Partito Democratico chiede fiducia: sinistra italiana, siamo pronti a dargliela?

Nuovo Codice della Strada: aggiornamento

Caschi

neo2001 via Flickr

Dopo il “grande successo” del post Legge e Sicurezza in moto, ecco qualche aggiornamento sul nuovo Codice della Strada. Il progetto di legge si trova ancora all’esame dell’apposita commissione del Senato, ma il Ministro Matteoli ha fatto trapelare la richiesta di accelerare sui tempi, minacciando l’adozione di un decreto se la riforma non sarà varata quanto prima.

Purtroppo il compromesso sembra ancora lontano nonostante per raggiungere l’attuale stadio evolutivo del testo, molte siano state le “vittime”. Riassumendo le principali novità “dell’ultima ora”:

  • prima di tutto (perché oggetto di numerose critiche tra i commenti del post precedente), notiamo come sia stata definitivamente bocciata l’adozione di protezioni aggiuntive obbligatorie per i motociclisti, eccezion fatta per l’adozione del paraschiena (non si sa ancora se allargata a tutti i mezzi o relativa alla potenza).

    Si tratta indubbiamente di una presa di coscienza della grossa difficoltà d’attuazione di un simile provvedimento ed il fatto di non aver ceduto sull’invece fondamentale uso del paraschiena rappresenta un punto di merito. Purtroppo questa norma non cambierà la sostanza: le strade italiane restano un pericolo per i motociclisti, a causa di una manutenzione stradale a dir poco irrisoria, di una cultura della sicurezza inesistente tra gli automobilisti e (soprattutto) tra i motociclisti (ed a mio avviso, proprio i commenti al post precedente la dicono fin troppo lunga).

  • discorso analogo per la modifica dei limiti di velocità, che non saranno aumentati (era ormai dato per certo l’innalzamento a 150Km/h per le autostrade a tre corsie, così non sarà).

    Anche in questo caso, non posso certo dirmi sfavorevolmente colpito. L’innalzamento del limite avrebbe portato all’aumento di situazioni pericolose: immaginate quanto pericoloso possa essere trovarsi di fronte un camion “in sorpasso” a 90Km/h mentre si viaggia a 157 km/h (sopra, le multe sono comunque irrisorie: a 200km/h di media si parlerebbe di soli 135 euro di multa e 3 punti in meno sulla patente)…

  • sul fronte “lotta all’abuso di sostanze alcoliche” sembrerebbe confermata l’adozione dei “test del palloncino” anche nei locali e la “tolleranza zero” verso neopatentati e autisti di professione.

    Questa norma, se restasse confermata, farà certamente scalpore e darà adito a critiche, sempre per l’assente cultura della sicurezza di cui sopra (agli italiani le riforme piacciono solo fino a quando non si trasformano nel benché minimo fastidio). Purtroppo questa misura sarà un palliativo, perché come al solito non ne verrà controllata seriamente l’adozione.

  • sempre per le “due ruote”, ma quelle non motorizzate, parrebbe confermato l’obbligo dell’adozione del casco, forse limitatamente ai minorenni.

    Si tratta sicuramente della misura, sin d’ora, più contestata: persino la polizia dichiara che “sarà difficile farlo capire ad adulti ed anziani”. Anche in questo caso, la scelta è tra il coraggio di adottare una norma che realmente salvaguardia la sicurezza degli utenti della strada (che per altro ci porta al passo con la maggioranza degli altri paesi europei, certo non ci “manda in avanscoperta”) e il ritorno di consenso popolare. Mi auguro che su questo punto non si ceda alla demagogia e si prosegua invece sulla strada virtuosa, rendendo obbligatorio l’uso del casco anche per i maggiorenni.

In sintesi, ogni volta che si parla di nuove norme in tema di sicurezza stradale, ci si trova davanti a feroci critiche in nome della “libertà”: è il caso di protezioni e paraschiena per la moto o del casco per le biciclette oggi esattamente come lo fu per l’adozione obbligatoria del casco in moto non poi moltissimi anni fa. Oggi non potremmo immaginarci un motociclista senza casco, ma molti certamente ricorderanno l’acceso dibattito che ci fu nel 1992.
L’unico dubbio che rimane, quindi, è che il legislatore sappia effettivamente scegliere tra il fare leggi “giuste” o mirare al solo ritorno di consenso politico…

Serietà, coerenza, risparmio

Villa Ghirlanda

teemistocle via Flickr

Non scrivo spesso di quello che accade, politicamente parlando, in ambito locale; in questo caso però l’accadimento è lampante per mostrare un malcostume fin troppo diffuso e troppo poco “publicizzato”.
Vivo, come molti dei miei (pochi) lettori sapranno, a Cinisello Balsamo, comune “rosso” della cintura milanese. Questa sera si è svolto il Consiglio Comunale, con all’ordine del giorno la discussione e l’approvazione del bilancio 2009. Cogliendo l’occasione del momentaneo allontanamento di uno dei 16 consiglieri di maggioranza presenti, l’opposizione ha chiesto la verifica del numero legale (che mancava proprio a causa del momentaneo allontanamento del citato consigliere), facendo così rimandare la discussione a giovedì.

Lungi da me, naturalmente, giustificare il comportamento della maggioranza: in prossimità del numero legale (anche a causa dell’indisponibilità di un paio di consiglieri, attualmente non in città), non dovrebbe essere consentito a nessuno di lasciare l’aula e mettere così in difficoltà l’amministrazione.

Quello che mi preme sottolineare, è il comportamento infantile e dannoso dell’opposizione: azioni come quella di questa sera non hanno alcun reale riscontro politico; servono solamente ad gravare sulla collettività, con un aggravio di costi (nuova seduta comunale e, soprattutto, nuovi gettoni di presenza……) ed un meno incisivo agire dell’Amministrazione eletta.
Non si tratta per altro di un caso isolato: solo pochi giorni fa, la discussione su un non significativo ordine del giorno si è protratta per oltre 4 ore a causa di ripetuti (e sterili) interventi dell’opposizione, giungendo a termine (guarda caso) proprio poco dopo la mezzanotte (nuovo giorno, nuove spese, nuovi rimborsi, nuovi gettoni di presenza).

Se questo è il “buon governo” di cui parlano Lega e Pdl, se questa è la mitica “Politica del Fare”, se questo è “combattere gli sprechi”, mi auguro che i cittadini (cinisellesi e non) aprano presto gli occhi…

Contestazioni del 25 aprile

Festa della Liberazione

liquene via Flickr

Sull’onda dell’emotività, domenica sera, questo post aveva ben altro tenore: mi considero fondamentalmente un pacifista democratico e credo fermamente che si debba consentire ad ognuno di parlare ed argomentare; sono favorevole alla contestazione (in quanto espressione del diritto d’opinione), purché questa si esprima in modo civile, non violento. Per questo motivo, nella prima revisione di questo post, condannavo apertamente le contestazioni di piazza, a Milano e Roma, che hanno leso il diritto di argomentare da parte degli esponenti delle pubbliche amministrazioni delle due città. Oltretutto nella giornata della Liberazione, quella che dovrebbe essere una festa largamente condivisa da tutti i cittadini italiani, un momento di unità nazionale, un’occasione di appianamento di divergenze politiche.
La ovvia ricaduta di questa contestazione è l’essere tacciati di “odio”, l’essere “estremisti”, essere quelli con cui “non si può parlare”.

Poi, ieri, ho cominciato ad allargare un po’ la visuale, a calarmi (come spesso cerco di fare) in una posizione diversa, cercare di comprendere chi la contestazione l’ha fatta, cercare soprattutto le motivazioni. Ed allora, sono emersi alcuni punti sui quale vale la pena soffermarsi:

  • La provocazione: le giunte di centro destra che governano il Comune di Roma, Provincia e Comune di Milano, sono al potere con l’esplicito (e decisivo, in taluni casi) appoggio dell’estrema destra neo-fascista, proprio la diretta discendente di quella contro la quale combatterono i partigiani che si vogliono ricordare in occasione della Festa della Liberazione. Questa gente non condivide con noi lo stesso sentimento verso il 25 aprile, anzi si fa ambasciatrice di un messaggio revisionista (ricordate La Russa parlare di Salò un anno fa?). Il solo presentarsi sul palco a parlare senza premettere una decisa e significativa presa di distanza da certe posizioni non può che essere considerata una provocazione bella e buona. Fossi stato nei panni dei partigiani chiamati a parlare dal palco, mi sarei rifiutato di salirvi.
  • Le aggressioni: negli ultimi tempi, sopratutto a Roma, si sono susseguite numerose aggressioni di stampo fascista. Tra le vittime, oltre ai “soliti” gay e extracomunitari, anche attivisti che attaccavano manifesti del 25 aprile. E non aggressioni verbali (come quelle che hanno fondamentalmente caratterizzato la piazza di domenica), ma minacce e botte. Il blocco studentesco di Casa Pound (di cui mi rifiuto persino di controllare se esiste una pagina su Wikipedia), un’associazione di stampo neo-fascista, ha indetto una manifestazione per il 7 maggio, sulla quale la neo-eletta Presidente della Regione Lazio, Renata Polverini (che si è recentemente fatta vedere tra gli estremisti di destra della curva calcistica della Lazio), che domenica era sul palco, non si è ancora pronunciata: a sospettare si fa peccato? Io comunque sono stanco di porgere l’altra guancia e continuare a prendere schiaffi.

Resta la mia ferma condanna al lancio di oggetti: sono arrivato a comprendere (e parzialmente condividere) i fischi e la “violenza verbale” della piazza, ma non credo di potermi abbassare al punto di avvallare quel ristretto gruppetto di persone che hanno lanciato uova ortaggi e persino un candelotto lacrimogeno sul palco della manifestazione di Roma. Si possono trovare altri modi per farsi sentire.

Italiani, e adesso?

discussioni, inutili ormai...

ro_buk via Flickr

Presto o tardi (presto, presto…) la cassa integrazione per le aziende che vi hanno fatto ricorso, terminerà. La prima tranche è in scadenza in questo periodo, un’altra (grossa) fetta terminerà a settembre, un’ultima a fine anno. E visto che la crisi non accenna a ridurre il morso (anche perché, come già detto, in Italia va ad attecchire su una crisi strutturale che certo non aiuta), ci sono ahimè poche prospettive per tutti coloro che si troveranno a casa.

Naturalmente il governo italiano non sta facendo sostanzialmente nulla per combattere la crisi: da un lato Tremonti che chiede rispetto per i parametri vitali dell’economia italiana (salvo far crescere il rapporto debito/PIL a livelli che non vedevamo da anni), dall’altro Berlusconi che è certo più interessato a salvare Alitalia (regalandola ad un paio di amichetti) che non a sostenere la ripresa, o semplicemente estendere gli ammortizzatori sociali a coloro che non ne hanno (i precari su tutti), il risultato è che mentre gli altri paesi hanno affrontato la questione e cominciano a vedere la luce in fondo al tunnel, noi continuiamo ad andare avanti con il cerino che ci scotta le dita.

Nel frattempo, la forbice tra ricchi e poveri aumenta: chi ha soldi da investire (questo è il momento buono), si arricchisce ancora di più, mentre la stragrande maggioranza degli italiani fatica non più ad arrivare a fine mese, ma anche a raggiungere la terza settimana.

Considerando numeri, percentuali e cifre, vorrei chiedere a tutti quei “cassa integrati” (perchè ce ne sono, e sono tanti) che hanno votato Silvio Berlusconi o i partiti che lo sostengono (Lega Nord in primis), e che si accorgeranno di aver portato al governo il massimo esponente di un’elite che certo non punta all’interesse dei lavoratori, ma semmai a quello degli imprenditori: che mi dite adesso? Che si fa, lo si vota ancora credendo che arriveranno i marziani e porteranno l’Italia (senza extranegri, per carità!!) su un altro bellissimo pianeta tutto nostro dove vivremo e prospereremo? Mi viene in mente una strofa di una vecchia canzone: “chiuditi nel cesso, se no l’uomo nero ti mangerà”.

Peccato che a quel punto, quando se ne renderanno conto, finita la cassa integrazione, sarà tardi… chissà se ci saranno ancora le elezioni, tra l’altro…

Del rispetto della legge ed RU486

Pillole

sick_rdm via Flickr

Che il Governo Berlusconi non sia particolarmente interessato al rispetto delle leggi “che non gli fanno comodo” o “che non piacciono”, non è certo una novità. La strategia, in senso generale, è quella di pretendere il rispetto delle regole dagli “altri” (soprattutto se non sono italiani) e aggirare le regole che ostacolano loro. Qualche anno fa c’era almeno la decenza di tentare di salvare le apparenze, oggi non ci si fa neppure scrupolo, e questo non vale solamente per il governo centrale, ma una volta avvallato il comportamento di quest’ultimo con il consenso elettorale, molti anche localmente si sentono autorizzati all’imitazione, pulendosi il c**o con la carta costituzionale ed i diritti dei cittadini (che dovrebbero invece rappresentare nel loro insieme).

Così vengono fuori paradossi come le dichiarazioni di Zaia e Cota, neo-incaricati governatori leghisti di Piemonte e Veneto, che si esprimono “contro l’ru486”, affermando che non verrà introdotta nelle loro regioni.

Vorrei far notare ai signori Zaia e Cota che la scelta sull’introduzione dell’ru486 in Piemonte e Veneto non spetta a loro (bensì alle istituzioni preposte), e loro sono chiamati a scegliere solamente se chiedere il day-ospital o meno per la somministrazione del farmaco.
Il diritto all’aborto è garantito per legge (legge 194) dal 22 maggio 1978, confermata poi per referendum alcuni anni dopo (17 maggio 1981); non saranno un paio di “governatorucoli locali” a metterla in discussione.

Quello che mi chiedo, però, è questo: possibile che queste posizioni non indignino gli elettori non integralisti cristiani della destra? Le donne che hanno votato questi personaggi, lo scorso weekend, sono davvero tutte contente di questa posizione talebana? Possibile che accettino, in nome della paura e della demagogia, di gettare alle ortiche i diritti conquistati con tanta fatica e lotte?