Archivi tag: major discografiche

Fregati dal DRM

Catena Verrebbe quasi da ridere, se non fossimo sul fondo del barile intenti a raschiarlo con tutte le nostre forze. Con il pretesto di lottare contro la “pirateria musicale”, le major discografiche ed i grandi distributori di musica “legale” online ne hanno inventate di tutti i colori. Il loro vero obiettivo è quello di fare più soldi possibile, indipendentemente da ciò che fosse realmente il bene degli acquirenti, del mercato, dei musicisti, di tutti fuorché il loro.

Naturalmente questo atteggiamento è sempre stato negato ed i distributori si sono sempre erti a paladini della difesa del copyright: ora che si cominciano a vedere le prime (grosse) crepe nel sistema messo in piedi, voglio proprio vedere cosa si inventeranno. La notizia è di quelle che fanno scalpore: Microsoft ha annunciato agli ex clienti di MSN Music che spegnerà  il 31 agosto 2008 i server che forniscono le autorizzazioni necessarie alla riproduzione della musica acquistata tramite questo servizio, rendendo di fatto impossibile la fruizione del contenuto acquistato.

L’ennesima dimostrazione che il DRM è un buco con il sistema anticopia intorno, e che il buco non sta (solo) nell’implementazione tecnica ma nell’idea stessa che ci sta dietro. Mi auguro che gli utenti truffati facciano causa a MSN Music e che questa sia condannata a risarcirli: tutti!

Pubblicità

L’Europa vuole estendere il copyright

Sta rapidamente facendo il giro della blogsfera il simpatico video della musica realizzata solamente utilizzando i suoni (o parte di essi) dei sistemi operativi Windows XP e 98.

L’idea è molto carina, ma fornisce il destro per parlare di tutt’altro argomento, ossia di copyright: i suoni sui quali infatti il nostro simpatico compositore basa la sua realizzazione, sono naturalmente soggetti a copyright (come tutte le altre opere dell’ingegno umano d’altra parte) e l’espressione della fantasia su materiale prodotto da terzi può essere impedito tramite l’imposizione di restrizioni in materia di sfruttamento del copyright (pensiamo banalmente alla clausola “no derivs” delle licenze Creative Commons).

Il compromesso che è da sempre stato immaginato per tutelare da un lato l’opera dell’ingegno umano e dall’altra consentire derivati creativi delle opere (che entrano quindi a far parte del patrimonio culturale di un popolo), è stato quello di dare una scadenza al copyright: in Europa, questa scadenza è attualmente fissata a 50 anni, negli Stati Uniti, dopo forti pressioni da parte delle major discografiche e cinematografiche (tra cui notoriamente la Disney che stava vedendo sfumare il copyright sul personaggio di Topolino), si aggira intorno al secolo se non ricordo male.

Recentemente però assistiamo anche in Europa a pressioni a favore dell’allungamento del periodo di copertura da diritto d’autore su un’opera, al punto che pochi giorni fa il “Commissario Europeo per il mercato interno” Charlie McCreevy ha proposto di estenderlo a 95 anni. Le motivazioni che spingono a questa proposta, sono naturalmente sempre le stesse:

  1. tutela dell’artista “in pensione” le cui rendite di opere composte da giovane non sono garantite:
    “I am talking about the thousands of anonymous session musicians who contributed to sound recordings in the late 50s and 60s. They will no longer get airplay royalties from their recordings. But these royalties are often their sole pension.”
  2. a differenza del compositore (i cui diritti d’autore sono tutelati per tutta la vita, più 70 anni), l’esecutore (il cantante) della musica può contare su una tutela molto inferiore, pur essendo poi la parte più visibile della coppia.

Il primo punto, pare piuttosto debole: un artista che compone un singolo brano di successo all’età di 20 anni, ne incasserà i diritti sino all’età di 70, non oltre, e pertanto la pensione non è garantita. Grazie: vogliamo anche darli un sussidio di disoccupazione? Il copyright ha l’obiettivo di incentivare la creatività, non di arricchire qualche fortunato, quindi se qualcuno pensa di campare di rendita tutta la vita grazie ai proventi dei diritti di un singolo pezzo di successo, ha sbagliato continente. Un’artista degno di questo nome continuerà a comporre e sperimentare, e quindi a produrre ed a incassare; nel momento in cui l’età non gli consentirà più di comporre, potrà godere dei diritti d’autore per altri 50 anni, il che probabilmente lascerà anche un discreto gruzzoletto alla diretta discendenza. Il problema serio, piuttosto, è legato alla spartizione dei diritti, visto che la logica di distribuzione attuata in Italia dalla SIAE prevede l’arricchimento di pochi eletti e la mungitura di tutti gli altri…

Il secondo punto è decisamente più condivisibile: non è corretta una simile disparità. Solo che non condivido la soluzione: non è più corretto ridurre il periodo di copertura da copyright anche di coloro che scrivono testi e musica delle canzoni, e riportarli a livelli di pudica decenza?

Per altro, una analoga proposta, proposta al governo inglese, fu bocciata lo scorso anno dopo ampio dibattito. Sconfitte in Inghilterra, le lobbies tentano ora la via Europea. Le grandi multinazionali della musica (quelle che poi i soldi li incassano per davvero), ringraziano: della cultura, infondo, “chi se ne frega”.

Dritti verso quel muro

ghost train  Ancora una volta mi trovo a scrivere di copyright e diritti digitali. Negli ultimi mesi, alcuni segnali positivi avevano dato l’impressione che nel mondo della musica digitale si cominciasse a comprendere quanto dannoso sia il perseguire i propri clienti nella speranza di fare soldi facili ed immediati: la stragrande maggioranza delle grandi major discografiche stanno lentamente abbandonando i sistemi DRM, ma la RIAA rimane fermamente intenzionata a proseguire la marcia su questo treno lanciato a folle velocità verso l’autodistruzione.

Che alla RIAA non avessero capito niente, intendiamoci, non è mai stato messo in dubbio, nemmeno nel caso dei “segnali positivi” a cui accennavo: però era un po’ di tempo che se ne stavano buonini buonini in silenzio, e se da un lato questo poteva suonare preoccupante (anche con i miei gatti succede cosi, quando stanno in silenzio stanno combinando qualcosa di grosso), dall’altro poteva esserci la speranza che avessero deciso di defilarsi e stare a vedere come evolvono le cose.
E invece no: leggo questa mattina dal blog di Stefano Quintarelli la notizia che hanno deciso di portare in tribunale Jeffrey Howell, cittadino dell’Arizona, reo di aver estratto una copia digitale da un cd che aveva regolarmente acquistato.

Sebbene non sia la prima volta che la RIAA mette in discussione il diritto alla copia privata, l’azione legale vera e propria rappresenta un salto di qualità nella lotta alla musica digitale (perché a questo punto di questo si tratta), in quanto porta su un altro piano d’azione il diritto alla copia privata, che fino ad ora era stato dato (in qualche modo) per assodato.

A mio modesto parere, la RIAA non solo ha deciso di non abbandonare il treno, ma sta facendo di tutto per accelerarne ulteriormente la corsa… staremo naturalmente a vedere come si conclude la causa negli USA, anche se dubito che una (improbabile) sentenza positiva per la RIAA possa poi avere alcun tipo di ripercussione in Europa e nel nostro paese…

Povere major…

made in heaven Le povere major discografiche sono decisamente in crisi. Sono cosi in crisi che potrebbero chiudere da un giorno all’altro: quei cattivelli dei pirati informatici che si copiano le canzoni, e quei maledetti che rilasciano sotto Creative Commons, rubando i diritti alle major, stanno mandando sul lastrico un settore che da occupazione a miliardi di persone in tutto il mondo. Per di più, ultimamente si è messo di mezzo anche il governo italiano, che ha previsto degli stanziamenti economici per le piccole case discografiche, con l’obiettivo di contribuire alla promozione dei giovani e dei gruppi emergenti. La legge varata però tagliava fuori proprio le povere major discografiche.

Con le ultime risorse rimanenti, le major si sono rivolte alla parlamentare Gabriella Carlucci (Forza Italia) che ha immediatamente raccolto il loro disperato grido d’allarme canto del cigno, proponendo un decreto legge che non solo include nei citati stanziamenti anche le nostre povere major, ma che prevede uno stanziamento aggiuntivo di 20 milioni di euro per il sostentamento di queste ultime, in modo da consentire loro, anche in collaborazione con il governo che dovrà proibire qualsiasi uso di suoni non protetti da DRM (voce umana compresa) di uscire da questa brutta situazione di crisi.

E’ già stato prevista e finanziata l’installazione nei cavi orali ed auricolari di tutti i cittadini italiani un sistema DRM in grado di cifrare la voce, in modo che sia auscultabile solamente da coloro che hanno pagato le necessarie royalties alle case discografiche. Per ulteriori informazioni sul vostro turno di installazione dell’apparecchio, potete visitare il sito appositamente creato.

La sponda conveniente

IMG_2245.JPGNegli ultimi cinque/sei anni abbiamo assistito alla nascita, alla guerra ed alla morte del sistema Digital Restriction Management.

Nato con l’esigenza di garantire ancora maggiori profitti di quelli che già facevano le grandi case discografiche, il DRM è stato il simbolo della grande guerra alla “pirateria digitale”, soprattutto quella dei più giovani che dopo essersi scaricati gli mp3 vanno ai concert e magari non comprano i cd (che sono quelli che portano maggior guadagno alle major). Ma anche contro quelli più cresciuti, che piuttosto che comprare un cd per uno singolo pezzo, preferiscono comprarselo online, e poi mettere insieme i pezzi per sentirsi il cd in auto mentre vanno al lavoro (maledetti, rubano il lavoro alle major!).

Ci è stato detto che la “pirateria”  stava distruggendo il mercato della musica: certo, e i 2 miliardi di euro/anno che fatturano le vendite di prodotti digitali, cosa sono? Il tasso di crescita del 200% annuo delle vendite? Possiamo dire che forse è la fine dei cdrom (anche perchè a 23 euro a cd, è dura pensare ad un futuro…), che forse è ora che le major si rendano conto che internet sta cambiando il mondo, e che cercare di trattenere l’acqua facendo la coppa con le mani non dura a lungo…

Eppure in questa battaglia, il “popolo di internet” (come alla stampa piace definirlo) è sempre stato solo (a parte qualche illuminato musicista), osteggiato dai politici (soldisoldisoldi), dalle major (soldisoldisoldi) e dai venditori online (soldisoldisoldi), dalla grande distribuzione (soldisoldisoldi). Poi, un giorno, qualcuno è stato fulminato sulla via di damasco (o si è fatto spiegare il meccanismo, oppure ha deciso che era il momento di fare il classico colpo di scena) e da allora, uno alla volta, tutti i grandi player si sono affrettati a saltare la barricata: grandi musicisti, vendor (iTunes), produttori (EMI e recentemente Universal), distributori (Amazon); un po’ per affari (vuoi mettere quanto vendi di più se non metti il drm?), un po’ per pubblicità, un po’ perché non sono soldi loro, ora dall’altra parte chi rimane? A difendere il DRM, chi ci pensa? Sony e Warner cominciano probabilmente ad intuire che la barca sta affondando (che spirito di osservazione!) e solo la RIAA resterà presto, da buon capitano, sul vascello che affonda… conoscendo l’integrità morale di questa gente, quanto pensate che ci metteranno a “saltare” di qua anche loro?