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Quattro chiacchiere sull’iPad

Apple iPad

Il nuovo Apple iPad

E’ ovviamente la notizia della settimana (scorsa) e puntualmente non mi esento dallo scrivere qualche considerazione, dopo aver riflettuto un po’ (a caldo spesso si dicono cose che a mente fredda risultano anche piuttosto ridicole). Parliamo quindi del nuovo “giocattolo” di Apple, l’iPad. Già definire di cosa si tratti non è banale: qualcuno ha detto che è un iPhone passato sotto la schiacciasassi, qualcuno ha detto che è l’ottava meraviglia del mondo digitale. Io vorrei provare a considerarlo come Apple ha voluto presentato: una via di mezzo tra uno smartphone ed un portatile, che cerca di prendere qualcosa da entrambi riuscendo “meglio” degli ispiratori in alcune funzioni chiave.

Le funzionalità chiave su cui Apple punta il dito, indicandole come i veri “punti di forza” del nuovo iPad sono la navigazione web, la gestione della posta elettronica, il multimedia (foto, musica e video, anche online), i videogiochi e l’eBook reader. Il paragone, durante il keynote di Steve Jobs, è stato fatto con i netbook, a detta del fondatore di Apple “migliori in niente” rispetto ai portatili. Provo allora anche io a confrontare il nuovo dispositivo “made in Cupertino” con quello che il mercato ha da offrire.

Tanto per cominciare, purtroppo per Apple, la nicchia di mercato in cui va ad inserirsi l’iPad è ancora poco definita e dai contorni sfumati. Un netbook è indubbiamente “un portatile economico” (come Steve Jobs l’ha definito, durante la presentazione) e sebbene voglia fare della portabilità la sua arma vincente, i compromessi a cui si deve esporre sono talmente pesanti che spesso diventano un tallone d’achille: per intenderci il mio eeepc è fermo su una mensola da diversi mesi e viene acceso solo occasionalmente, certo non durante il tran-tran della vita quotidiana. Non dubito, intendiamoci, che in un futuro più o meno prossimo device come i tablet-pc (tra i quali possiamo annoverare l’iPad) o i netbook ricaveranno alla fine una loro fascia d’utilizzo; quello che intendo dire è che avendo a disposizione un portatile ed uno smartphone (e in questo settore, indubbiamente l’iPhone ha dettato la direzione), sento decisamente poco la mancanza di una “device di mezzo”.

Paragonandolo al “fratellino minore”, l’iPhone, la vera “innovazione” che l’iPad propone sembrerebbe essere la dimensione dello schermo: l’evoluzione del software del sistema operativo che ne sfrutta al massimo le potenzialità (indubbiamente, le immagini dell’interfaccia utente sono spettacolari) non ne è che una diretta conseguenza dei 9 pollici e rotti di cui potranno godere i suoi utenti.
Inutile dire che il prezzo da pagare (o compromesso che dir si voglia) è quanto mai pesante: l’iPhone mi entra in tasca (per quanto non proprio comodamente), mentre l’iPad avrà bisogno di una custodia per essere trasportato, non si tratta certo di una device “maneggevole”. Per di più, se Apple avesse realmente voluto puntare tutte le sue carte sullo schermo, avrebbe avuto senso portarlo ad una risoluzione “full-hd”, della quale avrebbero giovato in prima istanza proprio le funzionalità “multimediali”, ma indubbiamente anche quelle legate alla piattaforma di gioco.

Della (scarsa) portabilità del nuovo iPad ho già detto, ma vorrei tornarci per un’ulteriore considerazione: così come trovo fastidioso tirare fuori il portatile dallo zaino mentre sono in giro per visitare un sito web o leggere la posta (o leggere un libro, per la differenza che può fare), credo che mi troverei ugualmente a disagio ad estrarre una device delle dimensioni dell’iPad in tram, o al ristorante, forse un po’ meno su lunghi viaggi, ma non rappresentano mediamente una nicchia sufficientemente ampia da essere appetibile; se il target diviene allora quello di una device “casalinga” più comoda e maneggevole di un portatile, ecco che allora la durata della batteria non è più fondamentale: perché non dotare allora l’iPad di un processore più potente in grado magari di far girare una versione customizzata di MacOSX e non un povero sviluppo del software che gira sull’iPhone, con tutte le limitazioni che questo comporta? Si tratta verosimilmente dell’ennesimo compromesso: peso, durate della batteria, (probabilmente) semplicità di sviluppo e (sicuramente) l’attrattiva di poter disporre sulla nuova device del non indifferente parco software che si è creato intorno all’iPhone ed al suo AppStore (sul quale chiaramente Apple ha investito buona parte del keynote).
L’adozione di un sistema operativo “da portatile”, avrebbe tra l’altro consentito di aggirare alcuni (grossi) limiti d’usabilità che possiamo individuare su un iPhone e che sebbene possano essere spiegati su una device “specializzata” come lo smartphone (su cui comunque sono stati a ragione ampiamente criticati), faticano molto di più a trovarla su un tablet-pc: ad esempio l’impossibilità di gestire il multitasking (esserci c’è, solo che l’utente non può gestirlo a piacere, rendendolo sostanzialmente inutile), oppure l’impossibilità di salvare files su disco (come salvo un pdf scaricato via web per poterlo visualizzare offline? :/).

Il prezzo è sostanzialmente allineato con il mercato (cosa non altrettanto vera per l’iPhone all’ora della sua uscita, se ci pensate): sebbene sia più costoso dei più comuni netbook, l’iPad ha dalla sua parte un disco fisso stato solido più efficiente e capiente (e fa la differenza), un sistema operativo “dedicato” in grado di sfruttarne appieno le caratteristiche hardware (essendo quest’ultimo stato sviluppato a braccetto con gli sviluppatori del software). Ancora una volta Apple posiziona il suo prodotto nella fascia medio-alta del mercato, verosimilmente per le logiche di marketing che già sono state più volte evidenziate. Va detto che allo stato attuale delle cose, la concorrenza non ha granché di meglio da offrire, anzi Apple ancora una volta anticipa tutti, proponendo un prodotto che vedrà i primi veri competitor in vendita tra parecchi mesi (si parla di fine anno). Sicuramente va riconosciuta ad Apple la capacità di “guidare” questo mercato (non a caso sono ormai la prima “Mobile Device Company” mondiale in termini di fatturato), dettandone le regole in termini di funzionalità (per le quali spesso è un punto di riferimento, vedere alla voce “interfaccia utente iPhone”).

Sicuramente Apple non ha voluto lanciare un eBook reader: lo sviluppo di iBooks secondo me è stata un’introduzione “dell’ultimo momento”, un adattamento dell’Apple Store (e di iTunes di conseguenza) ad un mondo in rapida espansione in cui Apple ha voluto provare ad applicare il suo modello di business, il suo “savoir faire”. Se l’iPad dovesse realmente competere con device specializzate come il Kindle, ne uscirebbe certamente sconfitto: quella della possibilità di leggere libri è solo una delle molte feature di una device che fa molte cose (quanto al bene, diremo).

In fin dei conti, l’iPad potremmo definirlo come un dispositivo in grado di fare molte cose, ma vittima ancora una volta dei compromessi che questa nicchia di mercato sembra implicitamente portare con se: non ha la potenza elaborativa di un computer ne la portabilità di un iPhone, non ha la durata di batteria e le tecnologie (e-ink) di un vero ebook reader ne le prestazioni e la risoluzione di una console casalinga per video games (tipo Playstation 3).

A tutto questo non possono non aggiungersi le perplessità legate al libero uso della device: non ci potrà essere software non preventivamente “vagliato ed approvato” da Apple che ne castrerà le funzionalità (vedi Flash) come già ampiamente accaduto con l’iPhone, ad insindacabile giudizio della propria proiezione sul mercato. Se su un “telefonino” (se così vogliamo chiamare l’iPhone), questo compromesso poteva essere accettabile (con un po’ di forzature), certo lo è molto meno su questa nuova device…

A queste condizioni (e questo prezzo) non credo proprio che ne acquisterò uno molto presto…

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Qualche nota sull’ultimo Keynote di Apple

Moscone North Macworld signage Il podcast non è ancora disponibile (e io trovo semplicemente allucinante che un’azienda attenta alla propria immagine come Apple non mandi in streaming i suoi eventi), ma abbiamo tutti potuto seguire l’ultimo Apple Keynote della storia tramite i moltissimi siti internet e blog che seguivano in diretta il MacWorld 2009, evento annuale che prende il via oggi a San Francisco.

L’attenzione che si è generata intorno all’evento è stata come al solito piuttosto intensa, nonostante l’annunciata assenza di Steve Jobs (si era ipotizzata una sua apparizione almeno in videoconferenza, invece ha tenuto fede a quanto scritto nella lettera aperta di qualche giorno fa), ma a mio avviso il materiale presentato non è stato all’altezza dei numerosi rumors che avevano stuzzicato l’appetito non solo dei fedeli di Cupertino, ma anche degli altri amanti della tecnologia in generale ai quali Apple ha sempre regalato qualche sorpresa, negli ultimi appuntamenti.

Le novità di quest’anno invece riguardano essenzialmente le suite software iWork ed iLife, il nuovo MacBook Pro da 17″ (dotato di una nuova batteria a lunga durata che può spingersi fino a 8 ore di autonomia) ed infine un paio di ritocchi ad iTunes, con la decisione di abbandonare il DRM (finalmente!) e il cambio dei prezzi, che saranno ora (a discrezione delle major) 0.69$ o 1.29$  al posto del singolo 0.99$ che abbiamo visto applicato fino ad oggi.

Niente iPod da 64Gb, niente versione ridimensionata dell’iPhone (si era ipotizzata una versione ridotta e magari economica basata sull’iPod Nano), niente rivisitazione dell’iPod Shuffle (ormai in commercio da parecchio tempo), niente netbook derivato dal MacBook Air a far concorrenza all’ormai agguerritissimo mercato dei miniportatili economici, niente imminente rilascio della nuova versione di Mac OS X (Snow Leopard, del cui rilascio non si sa ancora nulla, quindi) a far concorrenza all’ormai prossimo Windows 7, niente nuovo MacMini, niente nuovo iMac…

Insomma, poca cosa rispetto a quanto mostrato negli ultimi anni, anche nelle occasioni di minor rilievo, figuriamoci ad un MacWorld. L’ultimo poi… mi sarei aspettato una chiusura col botto e invece…

L’appuntamento (senza keynote stavolta, pare) è al MacWorld 2010, a gennaio prossimo, che Apple definisce “The start of a new era”… un’era che però cominicerà tra parecchio tempo, durante il quale il mondo dell’informatica sarà diverso da quello che conosciamo oggi…

Google Chrome, una scossa al web (?)

So che questo post è chilometrico (1306 parole, già). Non lamentatevi, c’erano troppe cose da dire, e tutte importanti 😛

About Google ChromeE’ sulla bocca di tutti, blogger e non, in giro per internet e sui mass media: c’è chi se lo aspettava, chi invece è stato colto di sorpresa, in ogni caso Chrome, il nuovo browser opensource (è basato su WebKit, motore di randering html opensource utilizzato anche dal browser “made in Apple”, Safari) lanciato da Google, ha decisamente fatto parlare di sé. Ne parlerò anche io, come al solito cercando di non limitarmi a quanto “appare”, ma provando a guardare “sotto la scorza”: ne vengono fuori delle belle.

Tanto per cominciare, è indubbiamente affascinante l’idea di “partire da zero” (anche se utilizzare il motore di randering di Safari non è esattamente uguale a “start from scratch”) per progettare un browser pensato prima di tutto per interagire efficacemente con le web-applications, così diverse dai classici “siti web” che spesso rischiano di mettere in crisi i browser pensati e progettati anche solo pochi anni fà. Il web (ha ragione Google) è cambiato tantissimo ultimamente ed i browser hanno bisogno di una riprogettazione in quest’ottica, ma onestamente Chrome avrebbe potuto portare qualche innovazione in più, da questo punto di vista…

Uno dei primi aspetti sui quali è scattata l’attenzione, è la stupefacente velocità di randering di Chrome (che da alcuni test risulterebbe però inferiore a Firefox 3.1 con Tracemonkey): mi domando però quanto sia realmente percepibile una pur sostanziale differenza nei tempi di randering di una pagina (comunque inferiori al secondo, solitamente), quando spesso e volentieri il tempo di visualizzazione di un sito web è legato al tempo di download delle varie sue componenti e quindi alle prestazioni del collegamento di rete? Chiarisco il concetto: che me ne faccio di risparmiare mezzo secondo nel randering con Chrome, quando uso un modem 56k per scaricare le immagini che la compongono?

Anche tecnologicamente parlando, Chrome non è proprio impeccabile. Cominciamo però dalle note positive:

  • indubbiamente significativa l’inclusione nativa di funzionalità quali “Gears” (che sono per certi versi il futuro delle web applications) ed un nuovo motore JavaScript, riscritto (pare) da zero.
  • Dalla visione dei siti web come vere e proprie applicazioni deriva l’interessante (seppur non innovativa) idea di rendere le varie tabelle di navigazione processi realmente a se stanti, separando così la memoria che viene assegnata alle varie web-applications in esecuzione. Questo dovrebbe garantire un’incremento di sicurezza, probabilmente anche della velocità di randering (soprattutto su processori multicore) e una maggior “robustezza” del browser nel suo insieme (vanno in crash le tab e non il browser).
  • Non innovativa, ma comunque ancora “rara”, la possibilità di abilitare la modalità “hidden” (navigazione nascosta) che cancella cookies e history alla chiusura della finestra appositamente aperta: la funzionalità infatti è già presente in Safari ed in Internet Explorer 8 (del quale è stata rilasciata una versione beta non molto tempo fà). Su questo aspetto, andranno considerate le conseguenze di un simile approccio per quel che riguarda gli utenti: quanti utenti, sentendosi sicuri nella propria “anonimità”, andranno a cacciarsi in qualche spiacevole situazione, abbassando semplicemente la guardia? Ricordiamo che l’anonimità, su internet, non comporta solo aspetti legati ai cookie ed alla history, ma anche (o meglio, soprattutto) aspetti legati al tracking da parte dei siti web che vengono visitati dagli utenti, cosa che la modalità hidden di Chrome non evita in alcun modo.
  • Curiosa invece la soluzione di non bloccare i popup ma ridurli ad icona: l’icona infatti consuma comunque risorse (hardware e visive) e questa soluzione potrebbe essere sfruttata per portare agli utenti di questo browser vari tipi di attacchi di tipo Denial Of Service (voglio vedervi a navigare quando il sito in questione vi ha aperto la milionesima finestra di popup…). Oltretutto, nel caso in cui il contenuto del popup venisse comunque scaricato e “randerizzato” (bisogna verificare), questo può portare all’esecuzione di apposite web-applications malevole all’interno del popup stesso, che oltretutto avrebbero il vantaggio di non essere direttamente visibili all’utente (che deve aprire il popup per vederle).
  • Stupisce inoltre, da un punto di vista della mera “sicurezza informatica”, l’assenza di un sistema atto a prevenire attacchi più “web oriented” come i Cross Site Scripting: dovendo riscrivere il browser ed il motore JavaScript, non avrebbe avuto senso progettarli già con in mente questo genere di funzionalità?
  • Curiosa anche la mancanza del supporto per i feed RSS (potevano almeno mandarli direttamente a Google Reader, in attesa che fosse implementata la funzionalità)… dimenticanza?

Politicamente parlando, l’evidente intento di Google è quello di contrastare “con maggior forza” l’arrivo di Internet Explorer 8, scendendo direttamente nell’arena in cui si gioca la grande partita chiamata “browser war”. Chrome si avvanteggerà dell’immensa pubblicità che deriva dal nome che spunta sul 91% delle ricerche fatte online, garantendosi una quota di mercato che potrebbe non andare ad intaccare la quota di mercato di Firefox, ma di Internet Explorer (versione 7 o 8 poco importa, anzi il cambio di piattaforma potrebbe facilitare ulteriormente questo aspetto).
Finanziariamente parlando, invece, Google rientrerà verosimilmente nei costi di sviluppo con l’immenso valore dei dati (anche solo aggregati) che otterrà dall’uso che gli utenti faranno del browser.
Oltre ad avere già una penetrazione massiccia nel web (si parla di valori superiori all’80% dei siti, contando i referrer), con l’introduzione di Chrome infatti Google potrà tracciare:

  • Ogni URL che digitate (anche se non battete “invio”): infatti la barra degli indirizzi completa automaticamente e suggerisce eventuali risultati delle ricerche, e questo non può essere fatto in altro modo che inviando la stringa in fase di digitazione a Google stesso.
  • Ogni sito che visitate, visto che il suo URL verrà filtrato dal sistema antiphishing (come già capita anche con altri browser in realtà) e quindi comunicato a Google
  • Ci sono poi le “statistiche”, che (per quel che ho capito) devono essere disabilitate appositamente dall’utente.

Bisognerà capire, leggendo le policy sulla privacy, quali usi Google potrà fare di questi dati, il cuo valore è (robadisco) incommensurabile. Mi aspetto molte novità, in questo senso, nei prossimi giorni.

Nel frattempo, un’altra occhiata approfondita andrebbe data alle condizioni di licenza (che tutti avranno letto prima di accettare, immagino), che tra le altre cose propongono cose tipo “licenze d’uso permanenti ed irrevocabili” dei contenuti inviati tramite il browser (punto 11). Qualche domanda anche sulla compatibilità della licenza di Google con le garanzie del software opensource, onestamente, mi sorge: cito dall’EULA:

10.2 L’utente non può (e non può consentire ad altri di) copiare, modificare, creare opere derivate, decodificare, decompilare o altrimenti tentare di estrarre il codice sorgente del Software o di qualsiasi parte dello stesso, salvo se espressamente consentito o richiesto per legge o se espressamente consentito da Google per iscritto.

Questo a monito di coloro che non leggono i contratti di licenza che accettano. Pare in ogni caso che dopo le numerose proteste ricevute nelle ultime ore, in Google stiano mettendo le mani (retroattivamente) proprio sull’EULA. Vedremo.

Indubbiamente, in ogni caso, Chrome darà una scossa al mercato, come per altro precisamente annunciato tra le loro intenzioni. L’obiettivo principale di Chrome sembrerebbe proprio essere quello di dare una “svolta” al web, trasformandolo nella più grande piattaforma applicativa mai esistita, fornendo tecnologia e supporto allo sviluppo delle web-applications attuali e future. L’enorme pubblicità che verrà fatta (anche involotariamente) a Chrome, potrebbe inoltre portare altri utenti del leader di mercato (Internet Explorer) a “valutare la possibilità” di cambiare browser (quale che sia poi la loro scelta definitiva); questo renderebbe più egualitaria e meno “monopolistica” la scena della “browser war”, costringendo anche i grandi player (Microsoft su tutti) a scendere al compromesso di un rispetto reale degli standard (ad esempio un Internet Explorer sotto il 50% del mercato potrebbe significare la vera e propria condanna degli script ActiveX, con grande gioia degli utilizzatori di sistemi operativi diversi da Windows).

Mi auguro che Chrome sia però, prima di tutto, origine di una scossa per Firefox, il cui sviluppo è costante ed intenso, ma potrebbe avvantaggiarsi di alcune idee proposte proprio dal browser di Google, che potrebbero portarlo ad un rapido (ulteriore) miglioramento delle prestazioni e delle funzionalità che offre, soprattutto in materia di sicurezza e protezione dei dati (Firefox non ha ad esempio, banalmente, la funzionalità di “navigazione anonima”).

Insomma, dal mio punto di vista, Chrome non diventerà forse il più usato browser della rete, ma potrebbe avere come effetto principale quello di dare una nuova, importante scossa al mondo dei browser web (proprio ora che Microsoft ha finito lo sviluppo di Internet Explorer 8, dannazione… :P)

iPhone 2.0: finalmente!

Era qualche giorno che non scrivevo (d’altra parte non sono un blogger professionista, no? :P), ma la notizia data quest’oggi all’Apple WWDC (WorldWide Developer Conference) è davvero troppo ghiotta per essere taciuta. La notizia è ovviamente l’aggiornamento dell’iPhone, che porta una ventata di freschezza nel panorama degli smartphone (allineando il già ottimo prodotto di Apple all’offerta “alta gamma” già disponibile) e spazzando letteramente via tutti i dubbi che avevano invece accompagnato l’uscita del primo modello. Nessuna imbarazzante novità o rivoluzione, naturalmente (non poteva che essere così), ma un ritocco deciso e importante ad una serie di features: vediamo.

Tra le novità più significative troviamo indubbiamente il passaggio al “3G”: se può infatti essere un parametro di poco conto negli Stati Uniti, dove le connessioni wifi sono decisamente più diffuse, la presenza di tale possibilità è fortemente richiesta sul mercato europeo. Il segnale è che Apple abbraccia finalmente una politica “globale” con maggior coerenza.

Altra importante novità, è l’integrazione del ricevitore GPS, funzionalità sempre più richiesta dal grande pubblico, che prova così ad integrare il mitico “Tom Tom” con una device trasportabile che fonda insieme le altre funzionalità quali telefono e browser web.

Novità significativa e particolarmente interessante, è indubbiamente il prezzo: la versione da 8Gb di spazio disco, costerà 199$, un costo non abbordabile, di più. Apple si propone quindi di fare una concorrenza spietata, estremamente aggressiva, posizionando un prodotto di gamma altissima ad un livello di costo da “entry level”. Una mossa davvero importante. Interessante anche la disponibilità per il download diretto di numerose applicazioni (alcune delle quali anche gratuite): mi chiedo quale sarà lo spazio dato al software libero in questo frangente…

Secondo la mia modesta opinione però, la principale novità sta nella tempistica: se infatti fù necessario attendere diversi mesi per vedere approdare l’iPhone “prima versione” in Italia (ancora non ci siamo, se non ricordo male), lascia attoniti scoprire che la nuova generazione del telefono di Cupertino sarà disponibile per la vendita in Italia già dall’11 luglio, tra un mese esatto. Mi aspetto un vero assalto ai punti vendita di Tim e Vodafone, che si sono aggiundicati l’esclusiva di vendita (complimenti per la mossa commerciale)

Apple lancia i nuovi MacBook Pro

macbookpro2008.jpgDopo che il lancio del MacBook Air all’ultimo MacWorld aveva scatenato polemiche (anche da parte del sottoscritto), la Apple ha provveduto a rinnovare la gamma dei propri portatili, lanciando un aggiornamento dei MacBook e del nuovo MacBook Pro.

Il MacBook Air era stato una forte provocazione: una device portata al suo estremo limite, a costo di compromessi inaccettabili (non solo nel prezzo), che contava soprattutto sull’appeal del design degli ingegneri di Cupertino per vendere. Con i nuovi MacBook, invece, si torna alla sostanza (ed alla qualità, si direbbe) che caratterizza da sempre le macchine di Apple: non si tratta di un aggiornamento estetico (anche se è stato aggiornato, sotto questo profilo, il MacBook Pro), ma di un intervento sostanzioso a livello di costi e performance (oggettivamente atteso), senza compromettere l’usabilità del sistema (porta ethernet, usb e firewire non mancano).

Tra gli interventi principali, l’aggiornamento della famiglia di processori montati sui portatili, con l’introduzione dei Pentium Penryn al posto dei più anziani Merom (si passa così da 65 a 45 nanometri, e si ottiene parallelamente un risparmio in termini di consumi stimato intorno al 30%).
Sul fronte della features tecnologiche, è da segnalare il touchpad mouse “multitouch”, già introdotto dal MacBook Air, ora disponibile anche per gli altri appartenenti alla famiglia MacBook Pro. Disponibile anche un interessante display LED (solo nella versione da 17″), con risoluzioni che arrivano fino a 1920×1200 pixel: i consumi di questi monitor sono drasticamente più bassi rispetto ai monitor LCD classici, ed in un mondo sempre più attento all’aspetto ambientale, questa è decisamente una mossa azzeccata da parte di Jobs e compagni (in realtà il tema era già stato introdotto al momento del lancio del MacBook Air).

Altra novità importante è quella dei costi, che sono stati finalmente allineati al cambio euro-dollaro: ora è possibile avere un MacBook per 999€ ed un MacBook Pro per 1799€. Opzione resa particolarmente appetibile dall’introduzione dei processori a 2.4Ghz e di dischi fino a 250Gb anche per i MacBook (i MacBook Pro invece arrivano a 2.6Ghz e 300Gb di disco).
Unica pecca (come fa giustamente notare Francesco) è legata alla fascia bassa: il MacBook da 999€ viene ancora venduto con un combo drive, e l’aggiornamento della memoria ram a 4Gb (dai 2Gb previsti) costa la modica cifra di 360€, non proprio irrisoria visti i costi di mercato.

Insomma, alla fine dei conti, un interessante aggiornamento di performance e features che rende maggiormente appetibile il (dovuto) aggiornamento dei prezzi. Il Mac rimane in ogni caso uno “status-symbol” e come tale non si può pretendere che competa sul mercato a livello di rapporto qualità prezzo.

Arriva OpenOffice.org 2.4!

Libertà condizionata E’ un periodi ricco di grandi novità nel mondo del software libero. Con l’uscita di Firefox 3 ormai imminente (si parla al più di un paio di mesi al massimo d’attesa), e l’appropinquarsi della release 8.04 di Ubuntu, “Hardy Heron” (che sarà per altro la prossima “Long Term Support”) al punto che il team di sviluppo già pensa al nome e alle novità della 8.10, gli appassionati e gli utilizzatori di software libero hanno di che stupirsi e meravigliarsi.

Particolarmente significativo però, è l’annuncio delle novità presenti in OpenOffice.org versione 2.4, che dopo aver incrementato stabilità velocità e compatibilità con i formati proprietari di Microsoft Office (innovazioni che certo non avevano fatto lanciare urla di stupore agli utilizzatori della suite per l’ufficio libera per antonomasia) non ci tiene ad accumulare polvere.
Una recente analisi di AlFresco sull’uso dell’opensource ci dice peraltro che la percentuale di adozione di OpenOffice.org sta continuando a salire negli ultimi mesi, facendo sprofondare il monopolista di Microsoft al 66% del mercato, rendendo di fatto le novità di OpenOffice.org ancora più importanti, nell’ottica di rendere più semplice, funzionale e gradevole l’uso di un così diffuso strumento.

Una sintesi delle novità previste per OpenOffice.org 2.4 ce la mette a disposizione Oooninja, con una serie di approfonditi articoli.

Alle migliorie apportate a Calc (dalla gestione dei grafici, con l’introduzione di assi invertiti e side-by-side axis, alla gestione dei dati, con la possibilità di passare da una cella di testo csv alla visualizzazione in colonne), a Writer (con l’introduzione della selezione per blocchi e le back references nelle sostituzioni) ed alla gestione dei PDF (con l’introduzione del supporto per i formati d’archiviazione PDF/A e di notevli miglioramenti nell’esportazione), si aggiunge una novità di quelle davvero importanti, di quelle che fanno decidere se continuare ad usare il proprio software o cambiarlo: le transizioni 3d (basate su Opengl) nelle presentazioni di Impress, adeguatamente dimostrato dal video che Oooninja ci mette a disposizione.

L’approccio del software libero al mercato del desktop incassa così una nuova importante vittoria. Vedremo se anche in questo caso i numeri confermeranno i risultati del duro lavoro degli sviluppatori.

Ecco la novità: il laptop

macbook-air.pngPosso essere sincero? Sono deluso. Non che il MacBook Air non sia un prodotto valido, o interessante. Ci mancherebbe altro. Solo (forse assuefatto dall’immaginazione degli ingegneri di Apple) mi sarei aspettato qualcosina di più, qualcosa di più distante da quanto già è disponibile sul mercato.

In ogni caso, venendo al dunque, Steve Jobs ha lanciato la novità del 2008, dal palco del suo annuale keynote: il portatile ultrapiatto MacBook Air (del quale si era già ampiamente parlicchiato in giro per la rete nei giorni che hanno preceduto l’apertura del MacWorld 2008). Processore Intel (appositamente miniaturizzato per l’occasione) da 1,5 Ghz (disponibile fino a 1,8 Ghz su richiesta), spessore variabile tra i 2 centimetri a 5 millimetri, display da 13 pollici, webcam, bluetooth, wireless, disco rigido da 80 Gb (su richiesta è disponibile anche allo stato solido, da 64Gb), 2 Gb di ram e un’autonomia che dovrebbe sfiorare le 5 ore, il tutto in meno di un chilo e mezzo di peso, ne fanno un prodotto di altissima tecnologia (ed il prezzo, che si assesta sui 1800$) che sicuramente non tarderà a diventare oggetto del desiderio di molti “tecnologi”, ne più ne meno di quello che fece l’iPhone lo scorso anno (ne sono stati venduti 4 milioni in 6 mesi…).
Voler essere sottili però, comporta dei compromessi. Niente unità cd/dvd ad esempio (è disponibile un’unità superdrive esterna, con un costo aggiuntivo di 99$, ma allora la comodità va a farsi friggere…), niente porte ethernet (in Italia il wireless non è diffuso come negli USA…), una sola USB (mouse o pendrive? Doh…), niente FireWire…
Se poi lo paragoniamo ad un MacBook, le cose diventano imbarazzanti: 650 euro per poco più di un chilo di peso e pochi millimetri di spessore, con un processore più lento e l’assenza di un lettore/masterizzatore cd/dvd integrato… Fosse stato ancora più piccolo, avrebbe avuto un senso, ma così…

Le altre novità non sono in ogni caso di scarso rilievo: film (anche ad alta definizione) disponibili su iTunes e il rilancio della Apple TV (vero flop del 2007 per Cupertino) che proprio dall’interazione con iTunes dovrebbe trarre il suo più grande vantaggio. Sicuramente l’aver già portato a casa l’accordo con 20th Century Fox, Warner Bross, Disney, Universal, Sony Pictures e Paramount, ed il costo irrisorio (tra i 3 ed i 4 dollari a titolo, a seconda della novità) da qualche (seria) garanzia del fatto che un futuro, questa idea, possa averlo.

Apple: cosa c’è nel cilindro?

apple-keynote2008.jpgOrmai ci siamo. Tra poche ore, Steve Jobs terrà il suo annuale KeyNote, da sempre sinonimo di grandi novità per il mondo Apple (e non). Da veri esperti del marketing, a Cupertino hanno provveduto a far salire anche quest’anno la tensione e l’attesa, grazie anche alla intrigante immagine che capeggia sul sito ufficiale della Apple: “c’è qualcosa nell’aria”.

Come ogni anno, le previsioni non mancano, anche le più stravaganti. Puntualmente però, Jobs e i suoi hanno stupito la platea, proponendo qualcosa che nessuno aveva immaginato (con poche eccezioni, ad onor del vero).
Ormai lanciati sulla pista della multimedialità più spinta (tra l’iPod e l’iPhone, Apple sta letteralmente tracciando la via), lanceranno un nuovo prodotto di quella gamma? Difficile che rinnovino ulteriormente gli iPod (sono appena stati”ritoccati”) e l’idea di un iPhone più veloce, a meno di 6 mesi dalla sua uscita sul mercato, non mi sembra adeguata a giustificare tanta attesa (magari ci sarà, ma non sarà il piatto prelibato).
Difficile anche immaginare una nuova versione del nuovo sistema operativo: Leopard è appena stato appoggiato sugli scaffali dei grandi magazzini, al massimo dovremo accontentarci dei soliti meravigliosi “assaggi”.

Jobs proporrà forse un nuovo computer? Una versione magari alleggerita, in linea con l’integrazione sempre maggiore tra telefonia, palmari e computer? Difficile a dirsi, e non sarò certo io a sbilanciarmi, non essendo un fanatico della mela e non seguendo quindi le indiscrezioni che saranno certamente circolate negli ultimi giorni.

Quello che è sicuro però, è che sarà un grande spettacolo, a prescindere dalle novità presentate, perché quello si, che è nel dna di Apple (e di Jobs).

Amazon vuole (ri)lanciare gli e-book

kindle front Amazon ha annunciato, recentemente, il lancio del suo e-book reader, Kindle. Si tratta di una device dotata di un monitor, in grado di leggere, con una serie di funzionalità aggiuntive (dalla possibilità di marcare le pagine alla connessione wireless con l’Amazon Kindle Store sul quale fare i propri acquisti), libri elettronici (immagino solo quelli in vendita sul negozio online di Amazon).

Quello che viene naturale chiedersi, è quale sia la novità che Amazon propone e che dovrebbe rilanciare il fenomeno degli e-book, che fino ad oggi sono rimasti, per diversi motivi, un fenomeno di nicchia.
Ad oggi, i grandi problemi degli e-book sono stati la mancanza di intuitività dei dispositivi di lettura, le limitazioni che i venditori di e-book impongono (drm), ed il prezzo, problemi che purtroppo non vengono risolti da Kindle.

Una delle peculiarità più importanti che il libro cartaceo detiene rispetto all’ebook, è il contatto manuale con l’oggetto. Mentre un libro, fatto di carta, consente una serie di interazioni dirette ed estremamente intuitive con l’oggetto quali la possibilità di prendervi appunti o di voltare pagina (ovviamente non serve dirlo, sono operazioni manuali che vengono istintive quando manipoliamo qualsiasi oggetto), queste stesse interazioni sono difficilmente replicabili su un dispositivo elettronico: per girare pagina bisogna premere un pulsante, o toccare lo schermo, un’operazione non intuitiva, almeno per coloro che sono abituati ad interagire con libri cartacei. L’intuitività dell’uso della device è un aspetto importante, anche se potrebbe sembrare un pretesto; sicuramente l’introduzione massiccia degli e-book porterebbe ad un “adattamento” da parte del lettore, ma si tratta di un processo anti-intuitivo, che non aiuta il diffondersi del prodotto.

Da questo punto di vista, il dispositivo di lettura presentato da Amazon non porta nessuna particolare innovazione: le dimensioni, il materiale, le funzionalità che questo propone, si possono agevolmente ottenere con un normale computer palmare dotato di un dispositivo di lettura (ma anche di un iPhone o di un iPod Touch). E’ sicuramente interessante l’idea di poter fare acquisti direttamente dal dispositivo sul sito di Amazon, usando una tecnologia wireless che non necessita di hotspot (umts? gsm?) o l’integrazione con altre fonti di testo (giornali, riviste…), ma certo non rendono il prodotto di Amazon innovativo.
Esteticamente parlando, anzi, Kindle non è particolarmente attraente (sembrerebbe un progetto di quasi 10 anni fa) ed è persino sprovvisto (da quel che posso capire dai video dimostrativi) di un banale touch screen, che potrebbe aiutare nel rendere più “intuitivo” l’uso del dispositivo.

Certo le limitazioni oggettive imposte dall’uso di un dispositivo elettronico (innovativo o meno), sarebbero facilmente (e felicemente) accantonate di fronte ad un altrettanto oggettivo miglioramento delle possibilità di fruizione del media: la possibilità di portarsi dietro molti libri o materiali testuali in un unico dispositivo, la possibilità di farne un backup che preservi il libro digitale da eventuali rotture, la possibilità di agire sul libro (bookmarks, citazioni, pieghine o sottolineature) senza danneggiarlo.
Purtroppo fino ad oggi, tutti coloro che hanno cercato di spingere commercialmente sull’e-book, ha applicato ai suoi prodotti un sistema di controllo (Digital Right Management) che ne vincola l’uso a quello che viene previsto dal software utilizzato per la sua fruizione. Paradossalmente, può capitare che un libro che si trova sotto “Public Domain” (perché non più coperto, per legge, da copyright), non possa essere fruito completamente dagli utilizzatori di e-book, in quanto i vincoli inseriti nel software non hanno scadenza (a differenza del copyright). Amazon non si discosta minimamente da questa situazione, come già diverse persone hanno fatto notare: la licenza d’uso di Kindle e degli e-book che possono essere fruiti su di esso impongono una serie di castranti limitazioni al lettore che non potrà “prestare il libro” che ha acquistato, non potrà farne un backup, non potrà probabilmente neppure leggerlo ad alta voce, ne tantomeno fruirne su altri dispositivi differenti dal Kindle, legandolo per sempre al dispositivo acquistato.

Questa impostazione di sfruttamento commerciale si è già dimostrata fallimentare nel mondo della musica, dove il drm sugli mp3, pesantemente spinto da RIAA e case discografiche, viene in questo periodo lentamente lasciato cadere, dopo aver fallito miseramente il suo scopo. A quanto pare, Amazon non ha afferrato il messaggio tra le righe: vessare gli utenti di prodotti digitali, non aiuta a vendere di più.

Ultimo ma non ultimo, viene il discorso del prezzo. Un libro (di qualsiasi genere e qualità), in libreria, ha un costo che oscilla mediamente tra i 5 ed i 25 euro, a seconda della novità del libro o del genere di rilegatura (hardcover o edizioni economiche); non ci sono ulteriori costi necessari per poter fruire del media (a parte forse un buon paio di occhiali per coloro che necessitano di questo ulteriore aiuto alla vista).
Il prezzo di lancio del Kindle è invece di 399$ (al cambio, 269€), per un costo per libro di 9,99$. Non c’è convenienza, oggettivamente, nell’acquistare la versione digitale proposta da Amazon.

Conclusioni

Amazon ha certamente i mezzi economici e la credibilità commerciale per proporre Kindle e sperare che abbia un minimo di successo, creando un mercato a partire da quello (quasi nullo) degli e-book. La chiave di volta, per rientrare almeno nei costi sostenuti, potrebbe essere l’interazione con gli altri produttori di libri digitali, con l’uniformazione dello standard documentale, la possibilità di interagire tra dispositivi diversi. Purtroppo questo non ha funzionato con il drm sulla musica (che ha certamente avuto una maggiore diffusione di quella che è prevedibile in breve tempo per gli e-book), e quindi diffido della possibilità che capiti per i libri digitali.