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Il cadavere è passato!

Robert Scoble via Flickr

Quando si diceva “no ai brevetti software”, “brevettare le idee è sbagliato”, “rischiamo di far chiudere moltissime aziende, piccole medie e grandi”, non era un modo di dire. Credo che Microsoft (che sulla lobby a favore dei brevetti software anche in Europa ha pesantemente investito) ne abbia preso distintamente coscienza a seguito della recente sentenza della Corte Occidentale del Texas che bandisce (permanent injunction) la vendita di Office 2003 e Office 2007 dal territorio degli Stati Uniti, a causa di una violazione del brevetto su XML di i4i, società canadese che pare aver dimostrato in territorio canadese (dove la giurisdizione prevede leggi sui brevetti software molto simili a quelle americane) di possedere effettivamente un brevetto valido sul noto linguaggio di markup. A questo si va ad aggiungere una multa di 227 milioni di dollari (saranno bruscolini per Microsoft, ma credo li avrebbero risparmiati volentieri).

Naturalmente Microsoft potrà cambiare i suoi prodotti e togliere tutte le estensioni custom al formato XML (lavoro comunque non poco oneroso, soprattutto in termini di compatibilità con i prodotti esistenti), ma la legnata è comunque di quelle che lasciano il segno. Mi auguro che Microsoft colga l’occasione per rivedere le sue politiche su questo fronte……

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Conviene spaccare teste che devastare

Quarantaquattro gatti in fila per tre col resto di due In Italia, con le leggi vigenti, conviene decisamente spaccare teste tra i militanti della “sinistra antagonista”, “dissidenti” e “no-global” di ogni forma e colore, che commettere reati di devastazione. Sono le logiche conclusioni a cui si arriva mettendo sui due piatti della bilancia le pene richieste dai pubblici ministeri per i “dissidenti” del G8 di Genova che, sebbene siano poi state dimezzate dalle sentenze, venivano così commentate nell’articolo di Repubblica:

La pena più pesante, 16 anni, la procura l’ha richiesta per Marina Cugnaschi, 41 anni di Lecco, “l’eroina” anarchica del centro sociale milanese Villa Okkupata, ripresa in un video mentre lancia una bottiglia incendiaria contro il portone di ingresso del carcere di Marassi.

E’ ovvio, ma voglio ribadirlo, che condanno fermamente qualsiasi atto di violenza, compreso quello commesso dai “dissidenti” che hanno messo a ferro e fuoco Genova (e non scenderò nell’argomentare la precisazione del fatto che si tratti di una risicata minoranza perché questo esula dal contesto di questo post): la violenza non è mai un modo per raggiungere una soluzione positiva ad un problema, neppure quando questo provoca rabbia; non è civile.

Se invece andiamo a vedere le condanne chieste per i responsabili delle abominevoli violenze della caserma di polizia di Bolzaneto (definita dagli stessi comandanti “una notte cilena”, un “mattatoio”, “un girone infernale”), le richieste arrivano ad un massimo di cinque anni ed otto mesi di reclusione, decisamente meno rispetto a quanto richiesto per i reati di devastazione. Riporto dall’articolo del Corriere:

La pena più pesante è stata chiesta per Antonio Biagio Gugliotta, ispettore della polizia penitenziaria in servizio a Bolzaneto come responsabile della sicurezza. Tra le accuse nei suoi confronti, le percosse con calci, pugni, sberle e manganello in dotazione di arrestati e fermati per identificazione.

Una delle ragioni di questa disparità eclatante, è che sebbene ai fermati di Bolzaneto siano state inflitte almeno quattro delle “metodologie di interrogatorio” che la Corte Europea sui Diritti Umani definisce “inumane, crudeli e degradanti” (se basta a definire “dita spezzate, pugni, calci, manganellate su persone inermi, bruciature con accendini e mozziconi di sigaretta, bastonate alle piante dei piedi, teste sbattute contro i muri, i volti spinti nella tazza del water”), e sebbene la definizione di questi trattamenti sia “molto vicina” (come fatto rilevare dagli stessi pm) al concetto di “tortura”, in Italia questo reato non è previsto perché il nostro paese è tutt’ora inadempiente a quanto previsto dalle convenzioni internazionali, con particolare riferimento ai trattati firmati presso le Nazioni Unite nel 1988: le pene richieste quindi, non si è potuto contestare altro che un “abuso d’ufficio”.

Una proposta di legge, che proprio a fronte dei fatti accaduti a Genova, introduceva nel codice penale il reato in questione era in fase di discussione in Parlamento proprio nei giorni della caduta del governo Prodi. Così, al danno, si aggiunge la beffa, con il principale candidato alle elezioni politiche di aprile, Silvio Berlusconi, che non solo era già capo del governo durante i fatti di Genova, non solo ha partecipato, da politico, alle coperture ed alla difesa degli autori di questi abominevoli reati, ma parla esplicitamente di contrasto ai dissidenti nel primo punto della terza missione del suo programma elettorale.

Ci sarà mai giustizia per Genova?

Dritti verso quel muro

ghost train  Ancora una volta mi trovo a scrivere di copyright e diritti digitali. Negli ultimi mesi, alcuni segnali positivi avevano dato l’impressione che nel mondo della musica digitale si cominciasse a comprendere quanto dannoso sia il perseguire i propri clienti nella speranza di fare soldi facili ed immediati: la stragrande maggioranza delle grandi major discografiche stanno lentamente abbandonando i sistemi DRM, ma la RIAA rimane fermamente intenzionata a proseguire la marcia su questo treno lanciato a folle velocità verso l’autodistruzione.

Che alla RIAA non avessero capito niente, intendiamoci, non è mai stato messo in dubbio, nemmeno nel caso dei “segnali positivi” a cui accennavo: però era un po’ di tempo che se ne stavano buonini buonini in silenzio, e se da un lato questo poteva suonare preoccupante (anche con i miei gatti succede cosi, quando stanno in silenzio stanno combinando qualcosa di grosso), dall’altro poteva esserci la speranza che avessero deciso di defilarsi e stare a vedere come evolvono le cose.
E invece no: leggo questa mattina dal blog di Stefano Quintarelli la notizia che hanno deciso di portare in tribunale Jeffrey Howell, cittadino dell’Arizona, reo di aver estratto una copia digitale da un cd che aveva regolarmente acquistato.

Sebbene non sia la prima volta che la RIAA mette in discussione il diritto alla copia privata, l’azione legale vera e propria rappresenta un salto di qualità nella lotta alla musica digitale (perché a questo punto di questo si tratta), in quanto porta su un altro piano d’azione il diritto alla copia privata, che fino ad ora era stato dato (in qualche modo) per assodato.

A mio modesto parere, la RIAA non solo ha deciso di non abbandonare il treno, ma sta facendo di tutto per accelerarne ulteriormente la corsa… staremo naturalmente a vedere come si conclude la causa negli USA, anche se dubito che una (improbabile) sentenza positiva per la RIAA possa poi avere alcun tipo di ripercussione in Europa e nel nostro paese…