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Contestazioni del 25 aprile

Festa della Liberazione

liquene via Flickr

Sull’onda dell’emotività, domenica sera, questo post aveva ben altro tenore: mi considero fondamentalmente un pacifista democratico e credo fermamente che si debba consentire ad ognuno di parlare ed argomentare; sono favorevole alla contestazione (in quanto espressione del diritto d’opinione), purché questa si esprima in modo civile, non violento. Per questo motivo, nella prima revisione di questo post, condannavo apertamente le contestazioni di piazza, a Milano e Roma, che hanno leso il diritto di argomentare da parte degli esponenti delle pubbliche amministrazioni delle due città. Oltretutto nella giornata della Liberazione, quella che dovrebbe essere una festa largamente condivisa da tutti i cittadini italiani, un momento di unità nazionale, un’occasione di appianamento di divergenze politiche.
La ovvia ricaduta di questa contestazione è l’essere tacciati di “odio”, l’essere “estremisti”, essere quelli con cui “non si può parlare”.

Poi, ieri, ho cominciato ad allargare un po’ la visuale, a calarmi (come spesso cerco di fare) in una posizione diversa, cercare di comprendere chi la contestazione l’ha fatta, cercare soprattutto le motivazioni. Ed allora, sono emersi alcuni punti sui quale vale la pena soffermarsi:

  • La provocazione: le giunte di centro destra che governano il Comune di Roma, Provincia e Comune di Milano, sono al potere con l’esplicito (e decisivo, in taluni casi) appoggio dell’estrema destra neo-fascista, proprio la diretta discendente di quella contro la quale combatterono i partigiani che si vogliono ricordare in occasione della Festa della Liberazione. Questa gente non condivide con noi lo stesso sentimento verso il 25 aprile, anzi si fa ambasciatrice di un messaggio revisionista (ricordate La Russa parlare di Salò un anno fa?). Il solo presentarsi sul palco a parlare senza premettere una decisa e significativa presa di distanza da certe posizioni non può che essere considerata una provocazione bella e buona. Fossi stato nei panni dei partigiani chiamati a parlare dal palco, mi sarei rifiutato di salirvi.
  • Le aggressioni: negli ultimi tempi, sopratutto a Roma, si sono susseguite numerose aggressioni di stampo fascista. Tra le vittime, oltre ai “soliti” gay e extracomunitari, anche attivisti che attaccavano manifesti del 25 aprile. E non aggressioni verbali (come quelle che hanno fondamentalmente caratterizzato la piazza di domenica), ma minacce e botte. Il blocco studentesco di Casa Pound (di cui mi rifiuto persino di controllare se esiste una pagina su Wikipedia), un’associazione di stampo neo-fascista, ha indetto una manifestazione per il 7 maggio, sulla quale la neo-eletta Presidente della Regione Lazio, Renata Polverini (che si è recentemente fatta vedere tra gli estremisti di destra della curva calcistica della Lazio), che domenica era sul palco, non si è ancora pronunciata: a sospettare si fa peccato? Io comunque sono stanco di porgere l’altra guancia e continuare a prendere schiaffi.

Resta la mia ferma condanna al lancio di oggetti: sono arrivato a comprendere (e parzialmente condividere) i fischi e la “violenza verbale” della piazza, ma non credo di potermi abbassare al punto di avvallare quel ristretto gruppetto di persone che hanno lanciato uova ortaggi e persino un candelotto lacrimogeno sul palco della manifestazione di Roma. Si possono trovare altri modi per farsi sentire.

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133: la Risposta della Piazza

Dopo gli scontri di Piazza Navona, lo ammetto, avevo perso la fiducia: la strategia che ci stava dietro era fin troppo chiara, limpida, cristallina. Infiltrare, colpire, dividere, vedere, “informare”; era in qualche modo stato persino predetto in una (avventata probabilmente) intervista all’ex presidente Cossiga.
Avevo preventivato danni incalcolabili all’immagine del nascente movimento sociale, lo vedevo già distrutto e disgregato dall’interno come accadde (sigh) con il movimento no-global di Genova, rovinato dall’immagine violenta che nell’immaginario collettivo rappresenta ancora oggi.

La reazione invece è stata di quelle che tolgono il fiato: oltre un milione di persone hanno sfilato pacificamente a Roma il giorno dopo gli scontri (con un corteo che faticava persino a muoversi, tanto era imponente), accompagnato da altre migliaia di manifestanti in molte altre città d’Italia (si parla di altre 40.000 persone circa a Milano). Numeri del genere, associati ad una manifestazione “spontanea” ed organizzata dal basso (è vero, c’era il corteo dei sindacati, ma quanti erano?) non si vedevano dal G8 di Genova, figuriamoci se avessimo potuto immaginare nulla di simile all’epoca della Riforma della Scuola voluta dalla Moratti.

Allora viene spontaneo domandarsi se il vero motivo della protesta sia la sola protesta al decreto Gelmini, o se questo non abbia rappresentato altro che un catalizzatore, una scintilla, quasi un pretesto che ha dato fuoco ad uno scontento latente, popolare, diffuso, di persone che non si riconoscono più nel sistema politico, nei suoi interpreti (tutti, dalla sinistra antagonista alla destra estrema), nel modello bipolare che oggi sfoggia tutta la sua debolezza (e di questo dobbiamo, purtroppo, essenzialmente ringraziare Veltroni ed il Partito Democratico).
Quello stesso scontento che forse aveva inseguito negli ultimi anni Grillo, molto meno schierato di politici che hanno poi cercato di far fruttare il patrimonio da lui raccolto (con discreto successo, indubbiamente, ma non con i numeri che oggi vediamo in piazza). Quando Grillo si è presentato al corteo, offrendo il suo appoggio, è stato semplicemente allontanato con uno sdegnato declino e rispedito sulla sua via: tornerà alla carica Beppe, non ho dubbi su questo frangente, ma la risposta data dalla piazza è importante e ne marca una maturità inaspettata, una presa di coscienza netta e decisa delle forze in campo e del proprio ruolo.

Una piazza che si dice “anti politica” per bocca degli studenti che ne compongono una discreta parte, eppure una piazza che della politica sta facendo il proprio pane. Una piazza rumorosa eppur pacifica, che cercheranno di distruggere e zittire con le polemiche legate agli episodi di Piazza Navona (in questo momento persino su Repubblica il titolo principale su quel frangente riguarda gli scontri e null’altro). Ma come fingere di non sentire un milione di persone che urlano la loro rabbia?

L’importante ora sarà non strumentalizzare al vicenda, tentazione che potrebbe venire soprattutto dalla sinistra oggi “extra parlamentare” cercando di ricondurre la protesta ai propri schieramenti. Questo per due ragioni:

  • Da un lato perché questo significherebbe esporre il fianco agli attacchi della fazione opposta (che nel caso del Presidente del Consiglio sono già cominciati)
  • Dall’altro perché ha poco senso costringere in un vaso troppo piccolo un movimento che non vuole essere strumentalizzato: molto più proficuo sarebbe attendere che l’opposizione portata avanti in questo frangente si rincoduca da sola all’opposizione più classica, fornendo loro solo un sussurrato appoggio

Comincio a pensare che qualcosa stia cambiando, o al limite che si possa nuovamente pensare ad un cambiamento. L’importante è non restare con le mani in mano ad attendere il susseguirsi degli eventi, ma accompagnare la protesta facendo (nel nostro piccolo e per quelle che sono le nostre possibilità) tutto il possibile per tornare a fare Informazione, quella vera, quella con la I maiuscola.