Il tema degli ultimi mesi, per chi non se ne fosse accorto, è quello della violenza e della repressione. A partire dal Myanmar, a fine settembre, quando stampa ed opinione pubblica si mobilitarono (insieme all’ONU tra l’altro) affinché la situazione tornasse sotto controllo, passando per il Pakistan dove la situazione non è certo paradisiaca, con il presidente e capo dell’esercito (fino a ieri) Musharraf ha sedato violentemente numerose proteste e supportato con la violenza (e chiudendo la bocca con gli arresti domiciliari alla maggior parte dei suoi avversari politici) la sua candidatura a presidente, terminando nelle Filippine con il tentato colpo di stato di ieri, il “virus” della violenza e della repressione sembra diffondersi con preoccupante rapidità.
La comunità internazionale, a parole impegnata dalla notte dei tempi per la difesa della democrazia (con tutti i dubbi che questa idea si porta dietro), della libertà d’espressione, al punto da intaccare in diversi casi anche il diritto di sovranità ed autodeterminazione dei popoli “oppressi”, come sta reagendo a questa situazione?
Dopo aver pesantemente attaccato verbalmente il Myanmar, minacciando sanzioni nel caso in cui la repressione avesse continuato sui toni dei giorni più caldi, si è lentamente defilata sotto le pressioni di Russia e Cina, lasciando cadere nel dimenticatoio, un po’ alla volta, la questione.
Ieri, di fronte al giuramento per il secondo mandato del presidente Musharraf, che nonostante abbia rinunciato alle cariche militari, non può certo vantarsi di aver vinto elezioni democratiche, si è levato un coro unanime di compiacimento ed auguri al “neoeletto” da parte dei vari capi di stato, a partire da quello degli Stati Uniti, George W. Bush, che ha espresso “fiducia” nei confronti di Musharraf.
A me pare onestamente una situazione un po’ assurda, ma d’altra parte il Pakistan è una pedina centrale nello scacchiere strategico statunitense della lotta al terronismo islamico (no, non è un lapsus), e pertanto deve essere appoggiato dalla comunità internazionale, che sia o meno una dittatura.
Il mondo si divide in “buoni” e “cattivi”, dove i “buoni” siamo noi, e tutti gli altri, sono “i cattivi”, da odiare e (possibilmente) combattere?