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La vittoria di Vendola non è una sconfitta del PD

Nichi Vendola

Sinistra e Libertà via Flickr

Leggo sui giornali (online e non) che il Partito Democratico esce “sconfitto” dal risultato delle primarie pugliesi, che hanno visto un plebiscito (si parla di un dato finale vicino al 73%) per Nichi Vendola.
Questa visione di quanto accaduto in Puglia ieri mi trova profondamente in disaccordo. Innanzi tutto perché (come ho già avuto modo di dire) ritengo che l’essere capaci di appoggiare un candidato esterno al partito sia un importante segno di maturità. Scegliere un candidato sulla base di valori meritocratici e non sulla base della sfumatura di colore politico che si rappresenta non sarà nelle corde dell’attuale direzione del partito (che si vorrebbe a vocazione maggioritaria ma senza aver chiaro in mente come raggiungere il risultato), ma l’ampia partecipazione alle elezioni primarie (oltre 250.000 persone si sono messe in coda, al freddo, per votare) dimostra come sia invece nelle corde della base, del popolo del Partito Democratico, di coloro che si sentono sempre meno rappresentati da un partito che si voleva nuovo ed innovativo,  ed invece si ritrova oberato da pesanti retaggi e vincoli, diviso in se stesso (prima tra ex partiti, ora tra “mozioni”), incapace di trovare una linea efficace sia in tema di proposte sia nel ruolo di opposizione ad un governo che ormai fa il bello e (soprattutto) cattivo tempo.

Chi esce veramente sconfitto da questo risultato è la “classe politica”: sconfitta prima di tutto perché il “risultato popolare” ha radicalmente sconfessato un’alleanza praticamente già fatta con l’UDC, risultato di una “statica somma di consensi”, visione che sarebbe bene che il Partito Democratico superasse (gli altri facciano un po’ quello che vogliono). Sconfitta poi perché alle primarie si è giunti dopo innumerevoli richieste e tentennamenti, quando ormai si era con l’acqua alla gola (e questo nonostante l’istituzione delle primarie sia sancita addirittura dallo statuto del Partito come un mezzo chiave dell’attività del partito): in altri posti (come la Lombardia) il ricorso alle primarie è stato evitato con determinazione, nonostante avrebbe consentito di dare una maggiore “spinta” a Penati (e ne avrebbe davvero bisogno…).

Ora è importante che il segnale arrivi forte e chiaro alla dirigenza: il popolo del Partito Democratico ha deciso di essere più politicamente coerente del proprio “establishment” e sarà bene che questo si adatti alla nuova condizione democraticamente imposta; Vendola va appoggiato e sostenuto senza eccezioni e con il vigore che serve, perché in Puglia si deve vincere.

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Tramonto rosso o alba verdana?

bossi Vanno ancora definendosi i risultati di queste elezioni: si continua a dire “se saranno confermati”, “se così sarà”, “questi dati fanno pensare”, ma intanto da diverse ore i dati sono tutti nella stessa direzione, quella di una (piuttosto netta) vittoria della destra dell’ormai settantaduenne Berlusconi.

Le prime reazioni sono ovviamente scomposte, un po’ dettate dalla rabbia, un po’ dall’euforia, un po’ dall’abitudine alla demagogia che si riconferma essere il marchio di fabbrica del prossimo governo italiano (nel Pdl paiono avere persino il merito di aver semplificato il quadro politico…).
Le cose che mi lasciano maggiormente perplesso sono essenzialmente due: in primis di fronte alla “caporetto” della Sinistra Arcobaleno, che non solo non avrà probabilmente nemmeno un senatore, ma potrebbe sparire persino dalla camera, dall’interno del partito si lanciano recriminazioni contro il Partito Democratico (incolpando il “voto utile”) anziché fermarsi ad analizzare le responsabilità di tutta una serie di scelte che non hanno incontrato il favore degli elettori (il mio in primis, per altro).

Ci sono poi i canti di vittoria di un Partito delle Libertà, che ha sì vinto le elezioni, ma che si trova la miccia della Lega accesa tra le mani: in Lombardia il partito “verdano” rischia di sfiorare il 20% di consensi, con un’influenza su base nazionale che varia tra il 5.5 ed il 7%. Un partito razzista e secessionista con una così importante influenza rappresenta un grosso problema, forse più grosso ed immediato anche dell’avere in Berlusconi il nuovo premier…

In ogni caso, gli italiani hanno scelto e ora si assumeranno le responsabilità di questa scelta… si prospettano cinque durissimi anni per il sottoscritto, che comincia a preparare la valigia da nascondere sotto al letto…

Alla fine ha vinto il papa

papa tre Ben, alla fine vince papa Ratzinger. Per ko tecnico.

Eh si, perché di fronte ad una situazione critica come quella de La Sapienza di Roma, di fronte alle contestazioni di professori e studenti, nel quasi completo silenzio della classe politica (si è sentito giusto un appello di Mussi, che non poteva proprio tacere, in qualità di ministro per l’università), Ratzinger ha dato scacco matto a tutti e portato a casa il risultato pieno.

Ha rinunciato alla visita, dimostrando da un lato “grande rispetto” per le opinioni altrui; di fatto “costretto” dalla situazione venutasi a creare a rinunciare all’evento (al quale certamente teneva moltissimo, se glielo si chiede), ha dall’altro incassato l’unanime coro di conforto e solidarietà di politicanti e giornalisti di tutte le speci, forme e colori (d a Fiamma Tricolore a Rifondazione Comunista, dal Governo al Presidente, dai senatori a vita, da Repubblica a Libero, l’unanimità del coro lascia stupefatti: degni di cantare alla Scala), isolando i “contestatori” nel limbo dei “dissidenti cattivi” che giustamente spetta loro, affibbiando nel contempo una durissima e sonora batosta al “movimento laico” nel suo complesso. Chi oserà ora parlare di “laicità dello Stato”?

Allucinante notare anche come i politicanti e giornalisti di qui sopra si siano letteralmente buttati “a pesce” nell’attacco alla censura preventiva, dimostrando di non aver capito “un’emerita fava” (come solo diplomatico…) del motivo per cui i “contestatari” avevano scritto al Rettore. Cito da quanto riportato da L’Unità:

Gli scienziati vogliono precisare che il loro no alla presenza del Pontefice era strettamente limitato all’occasione, in questo caso l’inaugurazione dell’anno accademico dell’ateneo romano «cui partecipa un pubblico di docenti e studenti di diversa formazione politica e religiosa». Invitare il Papa alla cerimonia di inizio anno, invece, «propone un’interpretazione e lettura del mondo ben precisa, che pone la fede innanzi ad ogni percorso della conoscenza». Per questo, sottolineano ancora i docenti, «in un altro, diverso contesto la visita del Papa alla Sapienza sarebbe benvenuta, come qualsiasi forma di dialogo e confronto fra culture diverse».

Una mossa mediatica non indifferente, quella del Vaticano, che anzi al Governo dovrebbero attentamente studiare, e cercare di imitare (fin dove le più ridotte capacità politiche glielo consentono) in previsione della prossima campagna elettorale, per ridurre (almeno un po’) la sonora sconfitta che si prospetta…

Ma voglio lanciare lo stesso una provocazione (perdonate, non resisto…): se al posto del Papa, all’inaugurazione dell’anno accademico de La Sapienza avessero invitato qualche importante esponente musulmano (visto che nell’Islam non ci sono gerarchie, la cosa non ha ovviamente la stessa valenza), che si sarebbe detto?