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Usare le accise per pagare il Debito

JaulaDeArdilla via Flickr

JaulaDeArdilla via Flickr

Uno dei grandi problemi italiani è il debito pubblico. Si tratta di un problema ormai annoso, che oltre a gettare letteralmente “dalla finestra” oltre 70 miliardi di euro ogni anno (l’equivalente di 3 finanziarie di quelle belle spesse), impedisce di essere concreti ed efficaci anche nelle misure economiche volte a combattere crisi congiunturali (che non è il caso dell’Italia, ma sorvoleremo).

Il problema è che la lotta al debito pubblico necessita di risorse economiche ed in Italia queste sono le prime a mancare, proprio a causa dell’eccessivo debito che le assorbe: per uscire da questo circolo vizioso è necessario uno sforzo importante, esattamente come quello che ci vide alcuni anni fa riuscire a rientrare nei parametri di Maastricht (che prevederebbero un lento ma graduale avvicinamento a quota 60%, non a quota 115% come per l’Italia); ogni euro di debito recuperato con questo sforzo, equivarrà ad un doppio risparmio, perché ridurrà gli interessi passivi sul debito.

Il crescere dell’economia verde, sotto la spinta della minaccia del riscaldamento globale, offre una importante possibilità per ridurre il debito pubblico: un aumento delle accise sul carburante (e magari una revisione di quelle già presenti) disincentiverebbe da un lato l’uso di combustibili inquinanti, dall’altro garantirebbe allo stato un gettito aggiuntivo che potrebbe essere usato per la riduzione del debito. Si tratterebbe, certo, di un’operazione scomoda ed esposta alla demagogia dell’opposizione, ma se ben comunicata (dando numeri, e stime dei tempi e dei risparmi, ad esempio!) potrebbe funzionare.

Facciamo due calcoli:

  • Basandoci sui (pochi) dati a nostra disposizione (sul sito del Ministero dello Sviluppo Economico pare siano pubblicati, ma io non sono stato capace di trovarli) possiamo stimare che il consumo mensile di carburante in Italia, in un “annus horribilis” come il 2009, si attesti sulle 6.391.000 tonnellate.
  • Per semplicità di calcolo (e mancanza di dati precisi), per il momento faremo i calcoli come se tutto il carburante consumato fosse benzina: per il diesel avremmo un peso specifico maggiore (0,850 kg/l contro 0,750 kg/l della benzina) ed accise inferiori (0,423 €/litro).
  • 6.391.000 tonnellate mensili fanno 76.692.000 tonnellate annuali, ovvero 76.692.000.000 kg annui.
  • 76.692.000.000 kg di benzina, dividendo per 0,750 kg/l (peso specifico della benzina), sono 102.256.000.000 litri.
  • Considerando che per ogni litro di benzina le accise ammontano a 0,564 euro, il gettito per lo Stato è di 57.672.384.000 euro annui.
  • Lo stesso calcolo, considerando che si tratti solamente di carburante diesel, darebbe come risultato 38.165.548.234,896, cifra comunque non indifferente.
  • A queste cifre, per altro va aggiunta l’iva, che viene ricalcolata assoggettandole anche le accise stesse (pratica ampiamente contestata ma tutt’ora in vigore).

Se anche andassimo ad aggiungere 0,1 euro per litro (ho parlato di sforzo importante, non di “scherzo”), sia sul diesel che sulla benzina, ripetendo gli stessi calcoli grezzi di cui sopra otterremmo un gettito aggiuntivo (IVA esclusa) di circa 10 miliardi di euro ogni anno (ai quali se ne aggiungerebbero un altro paio di extra IVA), che equivalendo allo 0.6% del PIL (sulla base del quale si calcola il debito in percentuale, mica per altro), ci consentirebbe di ridurre leggermente ma costantemente il nostro immane debito pubblico.
Se poi, oltre ai 10 centesimi in più al litro, si “girassero” anche una parte delle altre accise “una tantum” già presenti (e questo rende ovviamente il calcolo pura fantasia, dato che questo “giro” dovrebbe prevedere una copertura finanziaria dei buchi che genererebbe nel resto del bilancio statale ora coperti dalle accise stesse), come ad esempio quelle inserite per i terremoti di Irpinia, Friuli e Belice (insieme 184 lire al litro), oltre che quella per il finanziamento della guerra in Libano del 1983 (205 lire al litro), ecco che “magicamente” spunterebbero altri 23 miliardi di euro anni, che innalzerebbero la portata dell’operazione a quasi 2 punti percentuale di PIL ogni anno, riconducendo il debito sotto il 100% in meno di 5 anni.

Calcoli a parte, il debito pubblico italiano è una palla al piede enorme, che non ha speranze di risolversi “magicamente” ma necessita di un intervento pesante e duraturo, che darà frutti concreti solo sul medio-lungo termine (politicamente parlando). Prima si comincia, prima si otterranno risultati.

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Energia, rifiuti ed iniziative del Governo

v2-day Emergenza Rifiuti 30.01.2008 Ieri mattina, in aereo, ho sentito gente contenta dei primi provvedimenti presi dal Governo Berlusconi IV. Ora, mi scuserete, ma due cose sulla questione voglio dirle (poi Alberto dice che faccio l’antagonista: che ci devo fare, è più forte di me, evidentemente).

Della questione straordinari ho già scritto, ma riprendere l’argomento non farà male. Innanzi tutto, valutiamo per quella che è l’entità della manovra: un miliardo di euro, spalmato su due anni; se l’intera manovra straordinari-ici avrà un costo 2,6 miliardi ed il taglio dell’ici vale solo per quest’anno 2,2 miliardi di euro, avanzano addirittura 400 milioni di euro per la manovra. Dopodiché consideriamo il fatto che un’ora di straordinario costa (già di per sé) il 60% in meno all’azienda, che ora potrà giovarsi ulteriormente del provvedimento per incrementare la quantità di straordinari, riducendo magari il carico di lavoro “normale”. Per di più, ora diamo pure un bel taglio alle tasse, così rendiamo ancora più interessante la cosa. Si spiega, così, la felicità con cui Confindustria ha accolto il provvedimento!

C’è poi, naturalmente, la soluzione dell’emergenza rifiuti. Ci tengo a sottolineare, su questo aspetto, che l’emergenza rifiuti non è cosa dell’altro ieri, da quando cioè i mass media hanno deciso di renderla (nuovamente) pubblica: la dichiarazione dello stato d’emergenza risale al 1994 (poco prima dell’inizio del primo governo Berlusconi), e in questi 14 anni si sono alternati governi di vario colore e composizione, ognuno dei quali avrebbe tranquillamente potuto perseguire vie diverse per trovare una soluzione al problema. Invece la classe politica italiana è da almeno 20 anni intenta a guardarsi reciprocamente l’ombelico, dimenticandosi dei veri problemi del paese, che prima o poi trovano la favorevole congiuntura tra attenzione dei mass media ed esasperazione del popolo e diviene (a periodi alterni) “emergenza”.
Tornando alle soluzioni proposte dal Governo per quanto riguarda la situazione rifiuti, trovo tanto populismo e poca sostanza. L’impiego delle forze armate per contribuire alla soluzione dell’emergenza (per altro senza avvertire il neoministro della difesa La Russa, che è rimasto pare piuttosto piccato dall’inaspettata decisione) era già stato proposto dal precedente Governo ed è sicuramente un’idea utile ma circoscritta esclusivamente alla risoluzione della attuale situazione di crisi: spostare in nuove discariche le tonnellate di spazzatura che ancora ingombrano le strade campane (e sul fatto che il problema sarà presto risolto, non nutro dubbi: Berlusconi ci ha messo la faccia, ora deve dare un segnale forte).
Del “dopo”, nessuno se ne occupa: per costruire i termovalorizzatori (sempre che bastino e si costruiscano davvero) serve tempo, nel frattempo continueremo ad inviare, a caro prezzo, la nostra monnezza in Germania, alle aziende di proprietà degli stessi incaricati dello smaltimento dei rifiuti di Napoli? Gli interventi che servono per l’emergenza rifiuti devono essere strutturali, non populistici. Non basta.
Oltretutto c’è la questione dei siti segreti: come negli Stati Uniti, dove l’ubicazione delle centrali nucleari è coperta da segreto di stato, anche in Italia dovremo cominciare a girare con i paraocchi per non vedere, sia mai, una delle nuove discariche (come se non bastassero l’odore e le infiltrazioni nella falda a rintracciarle, anche a chilometri di distanza).

Il problema più grande, in ogni caso, è questa intenzione di tornare al nucleare. Non che io abbia nulla contro il nucleare in sé (nutro dubbi maggiori sulla qualità delle infrastrutture costruite dagli italiani, ed il Vayont fa storia), ma consideriamo quanto accaduto dal giorno del referendum contro il nucleare ad oggi. Perché votammo (votaste) contro il nucleare? Perché c’era la proposta di sostenere le fonti alternative, l’energia rinnovabile, tutte le belle cose che la scienza e la tecnologia ci mettono a disposizione per consumare meno e meglio. Di tutto questo, manco l’ombra. A questo punto, tornare sui nostri passi suona come una pesante sconfitta su tutta la linea: il paese europeo con più sole, montagne, fiumi, vento e via dicendo non riesce a mettere in piedi due pale del ca**o per una centrale eolica, a costruire centrali idroelettriche, mettere i pannelli fotovoltaici sui tetti dei palazzi, mentre compra il 70% della propria energia dall’estero, consumando allo stesso tempo come mezza Europa dell’est. Le centrali nucleari, anche fossero fatte, quanto fabbisogno potrebbero coprire? Il 5%? Il 10%? Esageriamo, il 20%; significa che il 50% del nostro fabbisogno energetico sarebbe comunque coperto da acquisti all’estero, rendendoci per altro vulnerabili sul piano strategico mondiale (questione Gazprom dice nulla?) tanto caro ai nostri attuali governanti. Dove pensiamo di andare, con un paese in queste condizioni? Per quanto tempo potremo ancora permetterci di andare in giro con un foro così grande sul fondo del serbatoio?
Bisogna investire nel rinnovabile, farlo subito e farlo pesantemente, soprattutto ora che Kyoto ha indicato la via.

Infine c’è da segnalare che, come al solito, Berlusconi si sta prendendo il suo solito “riscontro” per il bene che fa al paese: un paio di righine “ad personam” per risolvere un altro paio di problemini. In primo luogo, c’è la questione Rete4: l’Italia è sotto procedimento di infrazione da parte della Commissione Europea per 14 rilievi alla Legge Gasparri e sarà condannata a pagare (retroattivamente dal luglio 2006, che la cosa trovi o meno i favori di Belpietro) una ingente cifra, 300 mila euro ogni singolo giorno. Naturalmente Berlusconi non ha nessuna intenzione di dare ad Europa 7 le frequenze che gli sono state in tutte le salse confermate (anche perché se no lo avrebbe già fatto) ed ecco che tra una riga e l’altra dei vari decreti inserisce un tentativo di far slittare ulteriormente i termini della questione, che si trascina dall’ormai lontano luglio 1999. La nota positiva, su questo versante, è che finalmente anche il Partito Democratico ed il suo Governo Ombra si sono uniti all’opposizione, su un tema che si erano “dimenticati” durante la campagna elettorale. Era ora.

Se comunque il “Salva Rete4” potrebbe non sembrare una legge “ad personam”, decisamente diverso è il discorso per l’altro emendamento, quello lungo 13 righe ed inserito dall’onorevole Niccolò Ghedini (avvocato di fiducia di Berlusconi) nel decreto sicurezza, che consentirà a Berlusconi di allungare di un paio di mesi i termini del processo Mediaset, che lo vede imputato per falso in bilancio, appropriazione indebita, frode fiscale e corruzione del testimone Mills. Proprio quel paio di mesi che gli mancano per giungere indisturbato alla prescrizione, guarda un po’.

Abbiate pazienza, ma come fare ad essere fiduciosi con un inizio simile?

Detassare gli straordinari: perchè!

Tempi moderni / Modern times Non capisco, o forse capisco troppo bene, non sò. Tra le prime iniziative proposte dal governo Berlusconi c’è l’attuazione di uno dei punti del programma, ovvero la detassazione degli straordinari.

La mia considerazione su questo punto, che avevo già espresso nel chilometrico post dedicato all’analisi del programma di governo del Popolo delle Libertà, è invariata e giudica l’idea un vero e proprio furto. Infatti detassando gli straordinari non si farà altro che incentivare le aziende a:

  • Assumere meno: molto più conveniente costringere a carichi spropositati di straordinari i dipendenti già assunti, in modo da avere molto meno lavoro soggetto a tassazione
  • Assumere part-time: molto più conveniente far fare mezza giornata di lavoro a qualcuno e “straordinari” per il resto del periodo lavorativo necessario
  • Ridurre gli stipendi: lasciare lo stipendio netto praticamente uguale, riducendo la quantità di tasse pagate tramite l’incremento degli straordinari

La logica conseguenza di tutto ciò, sarà banalmente

  • Incremento dell’insicurezza sul lavoro, conseguentemente all’incremento dell’affaticamento da straordinari
  • Aumento delle tasse, conseguentemente al minor gettito dovuto alla riduzione delle tasse pagate

A me sembra onestamente una follia e mi chiedo come parte degli italiani possa essere talmente miope da non vedere una cosa che a me appare così lampante…

La solita magra figura

Dirty money E’ sulla bocca di tutti: Visco (o chi per lui, in qualche modo) ha pubblicato sul sito dell’Agenzia delle Entrate i redditi del 2005 di tutti i contribuenti italiani.
Nel merito della questione, sono piuttosto scettico. Da un lato è effettivamente vero che le dichiarazioni dei redditi sono atti pubblici ed in quanto tali dovrebbero essere trasparenti al massimo (se qualcuno dei “grandi finanzieri” dichiara meno di 30.000 euro l’anno, mi piacerebbe si sapesse), dall’altro lato la conoscenza di questo dato può portare ad un uso improprio dei dati (da parte soprattutto di malintenzionati) per individuare le vittime ideali (anche se in realtà ci sono altri parametri per scegliere, non avendo a disposizione le dichiarazioni dei redditi, sorvoliamo).

In ogni caso, il Garante per la Privacy ha detto di non essere stato informato per tempo della questione ed ha immediatamente ordinato la sospensione della pubblicazione dei dati. Purtroppo ormai la frittata era fatta, per di più già ben cotta sui due lati:

  • i documenti sono già tranquillamente scaricabili dai circuiti peer-to-peer, belli ordinati per Comune
  • ancora una volta, si è data dimostrazione dell’assoluta incapacità di gestire l’azione di governo in modo “coeso”, anche quando di mezzo non ci sono i politici ma i “dirigenti”.

Possibile che di fronte ad un’azione di questa “portata”, Visco e soci non abbiano sentito neppure per telefono il Garante? E’ questo il modo di comportarsi di un Governo degno di questo nome?

Detto questo, c’è un’altro importantissimo aspetto della questione da far rilevare (come giustamente sottolineato dal prof. Rodotà ieri): l’incredibile attenzione alla privacy degli italiani non appena sono toccati nel portafogli. Del fatto che le loro comunicazioni elettroniche siano soggette a costanti intercettazioni, che i dati di navigazione vengano mantenuti per anni ed anni, che si faccia profilazione in lungo ed in largo, la pubblicità mirata, le pubblicazioni di dati medici sul web, niente di tutto questo spaventa gli italiani.
Il fatto invece che il loro reddito, che pure deve essere trasparente secondo una legge che ha oltre una decina d’anni di attuazione, venga pubblicato online, questo no, è troppo, l’italiano medio si rivolta. Fa sorgere il dubbio che qualcuno di troppo abbia qualcosa da nascondere…

Tasse e forfettone

scontrini.jpgPassa la finanziaria (nonostante le feroci critiche piovute un po’ ovunque) e viene il momento di capire, nel merito, cosa cambia. Come al solito, purtroppo, per capire cosa effettivamente cambia “a valle” di un decreto di programmazione finanziaria (e non solo), c’è bisogno di rivolgersi ad un avvocato, o comunque a qualcuno che di “legalese” ne capisca qualcosina. Oppure ci si affida ai mass media, che di tanto in tanto se ne escono con analisi approfondite dei provvedimenti inseriti in un decreto.

Nel caso della finanziaria 2007 però, c’è un qualcosa che salta agli occhi di tutti (e soprattutto ai lavoratori autonomi che fatturano meno di 30.000 euro l’anno, come il sottoscritto), il “forfettone“: pressione fiscale al 20% (imposta sostitutiva), niente IVA (nemmeno da indicare in fattura), gestione semplificata al punto che si può probabilmente fare anche a meno del commercialista, e l’agevolazione sull’IVA che avvantaggia anche i clienti impossibilitati a detrarre l’IVA (o in costante credito, come le case editrici). In più, non vedo limitazioni di tempo (il forfettinoè valido solo tre anni), ne scadenze.

Rispetto alla situazione già rosea del forfettino, la pressione fiscale è praticamente dimezzata, da quello che posso capire (andrò a parlare con il commercialista nei prossimi giorni per fare il punto della situazione).

Ora è il momento di pensare (decisamente) ai lavoratori dipendenti. Una volta tanto, un applauso al governo e, per l’ennesima volta, una applauso al ministro dell’Economia Tommaso Padoa Schioppa.

E l’Ecopass fù

Ecopass La Moratti disse “Ecopass”, ed Ecopass, dalle 7:30 del 2 gennaio 2008, fù. Bene, potremmo dire, finalmente qualcosa si muove contro l’inquinamento. Già, in linea di massima si, ma poi come al solito, la realtà dei fatti non raggiunge i buoni propositi annunciati e sbandierati.

Ovviamente è ancora molto presto per parlare: questa mattina addirittura non c’è neppure stato il tanto preannunciato “casino” dovuto alla poca informazione dei cittadini, perché sono ancora tutti allegramente sulle piste da sci o in giro per il mondo (che comprende casa di parenti ed amici, ricordo :P) e quindi questa mattina, a lottare alla ricerca di informazioni, c’era ben poca gente, il che ha notevolmente agevolato le operazioni. Qualcosa in più si potrà vedere a partire dal 7 gennaio, con il grande rientro al lavoro dei milanesi, e per tirare i primi bilanci concreti si dovrà certamente attendere per lo meno la fine di gennaio.

Qualche parola però sulla misura in sé per sé, si può già cominciare a spenderla, naturalmente tenendo presente che l’unico vero metro con cui dovrà essere giudicato il provvedimento, sarà il raggiungimento degli obiettivi che si propone.
Già, gli obiettivi. Ma quali sono? Il Comune di Milano ha speso (a mio avviso non senza un pizzico di ipocrisia) molte parole su “riduzione del traffico” e “dell’inquinamento”, ma anche ammettendo che questi due siano gli obiettivi, c’è un altro “potenziale obiettivo” che và considerato. Come qualsiasi tassa, di qualsiasi genere, l’Ecopass ha un ritorno economico. Le cifre di cui stiamo parlando non sono probabilmente allucinanti, ma sono comunque considerevoli. E se è vero che per poter rientrare nei limiti posti dalla Costituzione (l’Ecopass è piuttosto “al limite” da questo punto di vista) si è costretti, volenti o nolenti, a reinvestire tutti i proventi del provvedimento nel potenziamento dei mezzi pubblici, è altrettanto vero che saranno quantomeno risparmiati gli attuali investimenti sotto questo profilo, e questo non è altro che un ritorno economico per l’amministrazione Comunale. Attenzione, non è un male di per sé: non cadiamo nel luogo comune che “se si guadagna allora è male”. Semplicemente avrei preferito che questo fosse elencato tra gli obiettivi dichiarati pubblicamente, per una questione di trasparenza (e politicamente parlando, per anticipare le sicure critiche dei cittadini, sotto questo profilo).

Quello del ritorno economico, in realtà, é l’unico obiettivo che in un modo o nell’altro verrà raggiunto. Il dubbio possiamo averlo sulle cifre (non ho idea di cosa il Comune intenda raccogliere, sotto questo profilo, proprio perché si tratta di un “non dichiarato”), ma non sulla sostanza: gli automobilisti di auto “inquinanti” (come se un Euro4 non fosse inquinante) che entreranno a Milano a partire da oggi, dovranno alternativamente pagare una multa (a partire da 70 euro) o il dovuto Ecopass, non si scappa (a meno che non vengano spente le telecamere, dimenticati i controlli e via dicendo, ma questo esula).

Sugli altri obiettivi invece, alcuni dubbi velano il loro raggiungimento, secondo me. Per quel che riguarda la riduzione del traffico, già questa mattina abbiamo avuto le prime avvisaglie di quella che sembra essere la reazione dei milanesi all’Ecopass: “pago, niente mezzi pubblici”. Quindi in realtà, anche il (modesto) obiettivo di un calo del traffico del 10%, sarà molto difficile da raggiungere. Per di più, avendo escluso dal pagamento dell’Ecopass:

  • tutte le automobili diesel “Euro 4” con filtro antiparticolato (e, non si capisce bene perché dato che il filtro non si può aggiungere, per tre mesi anche quelle senza)
  • le auto benzina “Euro 3” e “Euro 4”
  • cilomotori e moto
  • automezzi adibiti al trasporto pubblico, disabili, forze dell’ordine, vigili del fuoco, protezione civile ed ambulanze (ovviamente, ci mancherebbe altro)
  • pare ci siano anche riduzioni (o esclusioni, non si travano informazioni in materia) per i commercianti che lavorano all’interno della Cerchia dei Bastioni

CK-780DF e tenendo presente che da metà ottobre 2006 a metà aprile 2008 non possono comunque circolare le auto a benzina Euro 0, le auto diesel Euro 0 e 1, i ciclomotori e le moto a due tempi Euro 0 (decreto), rimane il legittimo dubbio su quanti veicoli verranno effettivamente colpiti dal provvedimento, al punto da pensare di giungere ad un 10% di riduzione del volume di traffico.

Anche sulla questione della riduzione dell’inquinamento , il provvedimento fa acqua un po’ da tutte le parti (anzi, forse proprio su questo aspetto, si rivela maggiormente deficitario). Qualche critica (alcune raccolte, altre mie personali):

  • Apro con una critica piuttosto leggera (l’unica per altro), relativa all’informazione ed alla preparazione tecnica all’introduzione dell’Ecopass. Questa mattina molti cittadini hanno scoperto per la prima volta la sostanza dei provvedimenti (a poco è servito distribuire il volantino informativo solo all’interno dell’area interessata, visto che la maggior parte degli interessati è fuori dall’area stessa), e per giorni non c’è stato modo di capire a chi ci si dovesse rivolgere per ottenere informazioni (interessante video del Corriere, su questo aspetto). Ad oggi, mi è impossibile capire come mi devo comportare io, con un’auto immatricolata all’estero, nel malaugurato caso in cui debba entrare nella Cerchia dei Bastioni. Andrò in moto.
    In più la vendita del ticket per telefono e via internet non è ancora a regime (prima per problemi di carte di credito, poi per inadeguatezza delle strutture informatiche che devono gestire il pagamento), e nelle edicole non si trovano alcune tipologie di ticket (ad esempio quelli dei residenti, sicuramente una parte significativa degli interessati, ma anche molti abbonamenti). Come si può dare il via in queste condizioni ad un provvedimento di questa portata? L’investimento informativo doveva essere sicuramente maggiore (e di gran lunga).
  • L’area interessata dal provvedimento, la Cerchia dei Bastioni, copre (come dichiara il Comune stesso) una superficie di 8,2 chilometri quadrati (il 4,5% del territorio comunale con il 6% della popolazione) e il 13% degli spostamenti giornalieri in auto sul territorio comunale. Praticamente un buco, un infinitesimo.
    Se fosse seriamente inteso lottare contro l’inquinamento, il provvedimento avrebbe dovuto coinvolgere un’area drasticamente più ampia, coinvolgendo naturalmente nella discussione progettuale anche tutti i comuni dell’hinterland milanese, che si vedono (anche così) coinvolti pesantemente dal provvedimento, senza aver avuto alcuna voce in capitolo.
    In realtà da questo punto di vista va detto che il provvedimento è stato notevolmente ridimensionato rispetto al (a mio avviso decisamente migliore) progetto iniziale, sotto le politiche spinte di buona parte della maggioranza Comunale (che temevano forti ripercussioni sulle prossime elezioni) e dei cittadini (che come al solito, toccati nel portafogli, non mancano occasione di urlare e strepitare indipendentemente dalla bontà del provvedimento).
  • La questione degli orari e delle esclusioni poi, è un altro punto cruciale: che senso ha limitare l’applicazione del provvedimento a determinate fasce orarie (7:30 – 19:30, ed esclusi i weekend), se si vuole lottare contro l’inquinamento? Forse che la mattina presto e la sera i veicoli “inquinanti” non lo sono più? A che pro, poi, escludere (o agevolare) dal pagamento della tassa i commercianti, indipendente dalla tipologia di automezzi che conducono? Forse che un diesel Euro 2 (di quelli che girano spesso per Milano, simulando una ciminiera da raffineria orizzontale, per i fumi che producono) in mano ad un commerciante inquina meno che in mano ad un cittadino comune? Avrei capito maggiormente un incentivo ulteriore, esclusivo per i commercianti, alla sostituzione degli automezzi inquinanti con altri più ecologici (magari sull’installazione di un impianto GPL!).
    Non ultimo, avrebbe potuto essere la volta buona che il nucleo di attività commerciale di Milano subisse un parziale spostamento verso aree più esterne (e quindi più vaste, per geometria), contribuendo ulteriormente alla riduzione del volume e della densità del traffico in centro (attualmente oltre le 200 auto per chilometro lineare!)
  • Anche per quel che riguarda i prezzi, si è andati un po’ troppo per il sottile: se si fosse cercato di incentivare realmente l’uso di mezzi di trasporto pubblico al posto dell’uso dell’auto, perché non far pagare a tutti, indipendentemente dalla fascia inquinante (e sia all’entrata che all’uscita dell’area), un ticket pari al doppio del costo del biglietto dell’autobus (che è di 2 euro per la tratta più costosa)? Sarebbe sicuramente stato un notevole incentivo, pur senza pesare troppo sulle tasche dei cittadini, per ottenere un buon risultato.
  • Rimane ovviamente la questione di quali mezzi pubblici utilizzare. E’ sicuramente vero che l’area all’interno della Cerchia dei Bastioni è quella più capillarmente coperta dai mezzi pubblici, ma non è il traffico “da fuori Milano” che si voleva ridurre? Non produce forse inquinanti anche quello? E allora cosa mi importa che dentro la cerchia io possa prendere un autobus al metro, se per arrivarci ne passa uno l’ora, già nella prima periferia (basta guardare quali sono i collegamenti verso Milano di posti come Cormano, Paderno Dugnano o Cinisello Balsamo). Non esistono neppure reali possibilità di interscambio di mezzi: le stazioni dei treni della provincia sono solitamente sprovviste di adeguati parcheggi, i capolinea della metropolitana (almeno nella parte nord della provincia) sono, a livello di parcheggi, in condizioni critiche (ed i parcheggi sono a pagamenti, vanificando completamente l’idea dell’arrivarci in auto e poi proseguire con i mezzi pubblici all’interno di Milano).
    Non ultimo, il potenziamento già portato avanti in previsione dell’entrata in funzione del provvedimento è gravemente deficitario rispetto alle reali esigenze di coloro che lavorano all’interno di Milano (e non solo della Cerchia dei Bastioni). Mi auguro che la situazione vada un po’ alla volta risolvendosi man mano che i proventi della tassa verranno (come promesso) reinvestiti nel potenziamento dei mezzi pubblici.
  • Infine (ma non per importanza), il provvedimento è miope dal punto di vista geografico. La quantità di veicoli in movimento verso Milano non varierà di una virgola, dalla provincia (proprio per la completa mancanza di adeguate infrastrutture, da questo punto di vista), ne varierà solamente la concentrazione: le auto che decideranno di non pagare l’Ecopass (quello che dovrebbe poi essere l’obiettivo prioritario, no?) si ammasseranno ai capolinea dei mezzi pubblici (dove non c’è parcheggio, aumentando il tempo medio di permanenza in auto dei cittadini coinvolti e di conseguenza l’inquinamento prodotto) o a ridosso della Cerchia dei Bastioni. La Moratti pensa che questo inquinamento se ne starà bello bello li sopra i comuni dell’hinterland senza ammorbare la “capitale morale”? O erigeranno un muro (alto alto alto fino al soffitto) per impedire che lo smog entri nella mitica “Area Ecopass”? Per di più, il provvedimento è iniquo sia politicamente (proprio perché come già detto coinvolge direttamente ed sotto più aspetti i comuni dell’hinterland, i quali non sono stati minimamente ascoltati, ne interrogati da quel che sò), sia socialmente, in quanto pesa maggiormente sull’economia di quelle famiglie “meno abbienti” che non possono permettersi di acquistare una nuova auto meno inquinante (nonostante gli incentivi sia statali che comunali), e che sono tuttavia impossibilitati all’uso di mezzi di trasporto pubblico (per tutte le motivazioni sopra elencate, visto che spesso queste famiglie non vivono a Palestro, dove per un appartamento di 100 metri quadri si può arrivare a spendere anche 10.000 euro di affitto mensile).

Tecnicamente parlando quindi, i dubbi sul provvedimento (ed in particolar modo sulla sua reale efficacia) sono molti, moltissimi: una buona idea è stata trasformata in un’iniziativa iniqua e inefficace. Stiamo a vedere cosa succederà…

ps: Integrazione necessaria. Pare che cosi come si è tenuti a conservare per 5 anni gli scontrini nell’ipotesi di un controllo, allo stesso modo (a meno di abbonamenti) si è tenuti a tenere tutti gli sms di conferma ed i tagliandi dell’Ecopass per la durata di 5 anni…

Di chiesa e privilegi

san pietroIn molti stanno scrivendo in questi giorni della (rinnovata) decisione di esentare la Chiesa Cattolica dal pagamento dell’ICI. Mi ero già espresso su questo argomento qualche tempo fa, dicendo che mi sentivo disgustato dal privilegio dato alla Chiesa, non tanto per quel che riguarda i luoghi di culto (mi piacerebbe essere rincuorato sul fatto che anche le altre religioni possono vantare questo stesso privilegio), ma per le (molte) attività commerciali che la Chiesa Cattolica possiede e per le quali vale l’esenzione sopra citata, con un’esenzione del 50% dell’Imposta Comunale sugli Immobili.

Recentemente discutevo con qualcuno dell’argomento, e mi veniva fatto notare come la chiesa possegga qualcosa come il 20-22% di tutto il patrimonio immobiliare della città di Roma, di cui una larga parte sono esercizi di tipo commerciale. Su questo argomento, anche l’Unione Europea, quest’estate, aveva chiesto al Governo italiano dei chiarimenti.

Sull’ICI ed il Vaticano, ognuno ha la sua opinione, e tutto sommato il dibattito è in corso, e se l’abolizione dell’esenzione non è passata, lo dobbiamo solamente alla strenua dei politici che ci troviamo in parlamento. Quello che però non viene sottolineato, è che l’esenzione dell’ICI non è l’unico privilegio del quale la Chiesa può usufruire.
Oltre ai vantaggi politici (è l’unico interlocutore religioso preso in considerazione dai mass media e, quindi, dai politici) infatti, e nonostante la Costituzione italiana parli di indipendenza tra Stato e Chiesa (suppongo anche economica, oltre che politica, no?), alla Chiesa (o meglio, alla CEI) va la gran parte dell’8 per mille (oltre l’87%) che non propone reali alternative alla scelta fra Stato e Chiesa, anche grazie al meccanismo per cui l’astensione non fa che contribuire alla scelta di coloro che invece si esprimono (“In caso si scelte non espresse da parte dei contribuenti, la destinazione si stabilisce in proporzione alle scelte espresse”).
Alle Chiesa è consentito un abbattimento del 50% dell’IRES (Imposta sul reddito delle società) e del 100% dell’IRAP sulle retribuzioni dei sacerdoti (spesso e volentieri stipendiati dallo Stato Italiano, in base ad alcuni articoli degli accordi tra Italia e Vaticano). Molte attività della Chiesa vengono finanziate direttamente dallo Stato. A  tutto questo si aggiungono una serie di stanziamenti speciali, inseriti nelle più recenti manovre finanziarie (in particolar modo durante il quinquennio del governo Berlusconi), ed i fondi per le scuole private religiose.

Ora, non voglio scagliarmi ancora una volta, con inutile fervore, nel propugnare la libertà di culto, l’indipendenza dello Stato Italiano dalla Chiesa Cattolica, e il continuo intervenire di questa con evidenti pressioni sul dibattito politico italiano (PACS, eutanasia, aborto, e fecondazione assistita sono solo alcuni degli esempi che si potrebbero fare).
Ma è davvero cosi indecente chiedere alla Chiesa di pagare almeno il 100% dell’ICI sulle sue attività commerciali?
E allora per quale motivo sono solo 12 i parlamentari che hanno votato l’emendamento alla Finanziaria 2007 che si pronunciava in questo senso, recentemente?

Persino sei esponenti dell’opposizione hanno votato in questa direzione (sbagliato a schiacciare pulsate, o puro “andar contro il Governo”?): Buccico Emilio Nicola (An), Paravia Antonio (An), Malan Lucio (Forza Italia), Del Pennino Antonio (D.C. per le Autonomie-Partito Repubblicano Italiano-Movimento per l’Autonomia), Saro Giuseppe (D.C. per le Autonomie-Partito Repubblicano Italiano-Movimento per l’Autonomia) e Negri Magda (Gruppo per le Autonomie).

Come mai solo Barbieri Roberto (Misto-Costituente Socialista), Bulgarelli Mauro (Iv-Verdi-Com.), Colombo Furio (Ulivo), Montalbano Accursio (Misto-Costituente Socialista) ed i mitici “dissidenti” Rossi Fernando (Misto-Mpc) e Turigliatto Franco (Misto-Sc), hanno avuto il coraggio di seguire quello che tra l’altro era chiaramente scritto nel Programma dell’Unione?