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Perchè è morto Shoya Tomizawa?

davedehetre via Flickr

Da domenica ad oggi, molti (troppi) hanno (s)parlato della morte di Shoya Tomizawa. Le questioni aperte sono diverse e mi concederete, da appassionato di moto e di corse, di esprimere il mio punto di vista, spero ancora una volta “leggermente fuori dal coro”.

In primis c’è naturalmente la questione della sospensione della gara: è stata (ed è) oggetto di polemiche feroci la decisione di non sospendere la gara (esponendo la bandiera rossa) per prestare i necessari soccorsi al pilota giapponese ed ai suoi due “compagni d’avventura”. Dal punto di vista della rapidità e della completezza dei soccorsi prestati, il commento dei medici di pista sembrerebbe portare un barlume di luce sulle motivazioni che hanno spinto nella direzione della “non sospensione”: non essendoci pericolo per i piloti che stavano girando (detriti particolari in pista, o pericolo per l’incolumità dei soccorritori stessi), trovandosi i piloti nelle vicinanze di un’ampia via di fuga ed in una posizione discretamente protetta, essendo proprio di fronte ad una delle postazioni dei medici di pista, le condizioni erano tali da consentire non tanto la prosecuzione della gara per “il bene dello spettacolo”, quanto per consentire all’ambulanza che inevitabilmente sarebbe dovuta intervenire di poter percorrere la pista senza essere intralciata dalle procedure scatenate dall’esposizione della bandiera rossa (rallentamenti, rientro ai box e via dicendo); su quest’ultimo punto mi permetto di esprimere un’opinione contraria a quanto affermato dai medici: un’ambulanza è un mezzo estremamente più lento degli altri mezzi in quel momento presenti in pista, che essendo per altro piccoli e maneggevoli come motociclette avrebbero procurato ben poco intralcio alle operazioni dell’ambulanza stessa. Inoltre, i movimenti dell’ambulanza in pista mentre le moto gli sfrecciano intorno non è esattamente l’emblema della “sicurezza”…

C’è poi da fare qualche considerazione sull’affermazione, più o meno largamente diffusa, che “è il gioco, la morte di un pilota ci sta”: che esistano professioni pericolose non è certo una novità. Quando muore un pompiere sul lavoro, o un poliziotto, ci si dice che per quanto dolorosa sia, è una morte “messa in conto”, considerata ed in qualche modo interiorizzata (che poi non è vero, gli incidenti capitano sempre “agli altri”).

Quello che è importante chiedersi è se sia stato fatto tutto il possibile per impedire che accadesse l’inevitabile, solo allora si può accettare la sentenza di “fatalità”. Per capire se la pista sia adeguata (ho sentito parlare di cordoli alti, erba sintetica troppo scivolosa e altre amenità tecniche da gente che non sa nemmeno di cosa stia parlando), basta analizzare la caduta del giapponese, non proprio semplice in primis perché la Dorna ha subito provveduto (sia salvato il Copyright!) a far rimuovere tutte le immagini da YouTube, in seguito perché le immagini a velocità “naturale” non sono chiare ed i rallenty di scarsa qualità (proprio perché siamo costretti ad affidarci a riprese di televisori e cose così) e tutte le fotosequenze partono da quando ormai il pilota ha già perso il controllo della moto. Da quello che si può vedere, Tomizawa tirava già al limite da alcuni giri (il taglio del cordolo al “Tramonto” ce ne da un indizio concreto). Quando arriva nell’inquadratura, Tomizawa è decisamente inclinato, al punto che ha un tentennamento, rialza la moto di qualche grado e si ributta poi (a traiettoria allargata) in curva; giunto sul cordolo, ed un buon mezzo metro prima di finire sull’incriminata “erba sintetica”, si vede chiaramente come l’anteriore “si chiuda”, buttandolo a terra (e la svirgolata nera che si vede chiaramente sul cordolo durante i video è probabilmente legata proprio all’anteriore del prototipo di Tomizawa), mentre il posteriore finisce sull’erba sintetica.
Si tratterebbe quindi davvero solo di una fatalità: fino a questo punto, infatti, sarebbe stato una banalissima caduta, di quelle che graffiano la tuta e poco più. Purtroppo il “trenino” che si era formato fa si che i due piloti che seguono da vicino Tomizawa gli finiscano addosso, di fatto uccidendolo. Poco c’entrano quindi il cordolo e l’erba sintetica (se ci fosse stata la sabbia, la moto si sarebbe ribaltata, ma non è detto che il giapponese non sarebbe ugualmente finito in mezzo alla pista, visto che è già caduto quando la moto finisce sull’erba sintetica). E’ difficile capire questa fatalità per chi non ha mai provato a guidare una moto sul filo del rasoio che è una piega ad alta velocità, chi non ha mai cercato il limite in circuito, chi non ha mai sentito il posteriore “ballare”  al limite del controllo dopo una staccata azzardata, o la moto “scodare” quando si riapre il gas in uscita di curva; la caduta da parte del gioco, la morte ci può stare (come ci può stare in molte altre occasioni, non penserete di essere al sicuro camminando per la strada!), ma l’importante è fare tutto il possibile per evitarla, a cominciare dal rimuovere gli ostacoli in pista. Per strada tutto è diverso, ovviamente, e all’attenzione alla quale sono chiamati i motociclisti (che troppo spesso vanno ben oltre ciò che le strutture stradali consentirebbero), andrebbe aggiunta maggior attenzione da parte di chi le progetta: i guard-rail ad esempio, taglienti come lame, andrebbero aggiornati prevedendo che non siano solo SUV a colpirli, una battaglia questa che da molte parti si continua a condurre, spinti dai numerosi motociclisti (e non solo) che ogni anno ne sono vittime…

La sicurezza in pista è aumentata esponenzialmente negli ultimi anni: i morti ormai si contano sulle dita di una mano, al punto che nella massima serie, l’ultimo decesso in pista risale al 2003 (Daijiro Kato, anche in quel caso, nonostante il pilota si trovasse esanime a bordo pista, non fu esposta la bandiera rossa). Niente di nemmeno lontanamente paragonabile alle piste piene di pali, alberi e guard rail dei tempi passati. Naturalmente i progressi della tecnologia e dei regolamenti fanno (e faranno) si che i circuiti siano sempre più sicuri (eccezion fatta per il Tourist Trophy, dove il leggendario tracciato corre ancora per 61km in mezzo a case, alberi, marciapiedi, strade comunemente aperte al traffico, e ogni anno qualcuno ci rimette la vita, soprattutto i non professionisti, in pista nel così soprannominato “Mad Sunday”), che anche le cadute peggiori si risolvano con qualche frattura, ma non va mai dimenticato che quando si corre in moto a 300 all’ora, la morte è sempre in agguato…

La cosa che alla fine di tutto questo discorso lascia maggiormente perplessi, è ancora una volta legata alle bandiere rosse: una volta saputo della morte del giovane pilota giapponese (e pare che le indagini stiano rivelando come si sapesse già prima del suo trasferimento in ospedale a Rimini), che umanità possono avere i festeggiamenti per le vittorie, il non aver fermato la Moto2 e l’aver fatto partire comunque la MotoGP in programma poche ore dopo?

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Armstrong torna in sella

Lance Armstrong.  7th Tour win.  Aix-en-trois domaines.  2005 Sono un appassionato di ciclismo ormai da diversi anni, a momenti alterni ho anche praticato, eppure quando ieri sera ho la notizia che Lance Armstrong intende tornare alle corse, con l’esplicito obiettivo di vincere un’altro Tour de France, mi ha lasciato piuttosto perplesso e disorientato, al punto che ho tentato di scrivere qualche riga ieri sera, ma alla fine ho deciso di rimandare e riflettere sulla questione ancora un po’.

Le considerazioni che posso fare, da parte mia, sulla questione sono le seguenti:

  • Armstrong ha lasciato il mondo del ciclismo da grande (seppur controverso) vincitore: ha lasciato dopo la vittoria del suo settimo Tour de France consecutivo, durante il quale non ha lasciato alcuna chance ai suoi diretti avversari, su tutti Ivan Basso, l’unico in grado di dargli del filo da torcere in un paio di circostanze.
    Come accaduto per altri sportivi illustri (da Shumacher a Jordan), lasciare da vincitori è un ottimo modo per essere sparati sull’Olimpo dello Sport, mentre il ritorno alle corse porta solitamente ad un nuovo confronto con i propri avversari ed espone al rischio della sconfitta sul campo. Vero è che Armstrong non si è mai lasciato scoraggiare da “fattori esterni” (è tornato alle corse anche dopo aver vinto la sua personale lotta al cancro), vero è che negli ultimi anni si è dimostrato un campione “di testa” prima ancora che “di gambe”, con capacità di comprensione e lettura della gara superiori alla media, vero è che la motivazione che lo porta a questa scelta (il riportare l’attenzione pubblica sulla lotta al cancro) deve essere piuttosto importante. Verò è, però, che mi sembra un azzardo…
  • Armstrong è da sempre stato sottoposto a pesanti polemiche: un po’ perché si guarda sempre con sospetto al vincitore (soprattutto se vince sette Tour consecutivi), un po’ per via di alcune “deroghe” che pare l’UCI gli abbia concesso relativamente alla cura ed alla prevenzione del cancro che lo ha colpito.
    E’ stato accusato a più riprese di fare ricorso a tecniche dopanti e seppur non sia mai stato trovato positivo, il fatto che tecnici, medici, meccanici e compagni di squadra abbiano a più riprese confessato queste pratiche, qualche dubbio anche sul suo conto rimane. Per questo motivo, al momento del suo ritiro, alcuni (tra cui il sottoscritto) avevano tirato un sospiro di sollievo, convinti che questo mettesse una pietra sopra una stagione del ciclismo e su parte delle polemiche sollevate nei suoi confronti.
    Paradossalmente, Amrstrong torna proprio nel momento in cui la lotta al doping sembra cominciare a sortire i primi effetti; nell’ultimo anno sono molti i corridori anche di primissimo piano (non dimentichiamo Sella e Riccò) che sono stati trovati positivi ad alcune pratiche dopanti: si può discutere dei test, dei risultati, dei complitti, dopodiché molti corridori hanno confessato e stanno pagando per le loro scelte, segno (speriamo) che il ciclismo sta lentamente cambiando, sotto questo aspetto.
    Proprio su questo aspetto, Armstrong è stato piuttosto esplicito nella sua conferenza stampa, annunciando che si sottoporrà ad una serie di test ed esami e che tutto l’operato sarà gestito con la massima trasparenza nei confronti della stampa sportiva: da trascinatore e uomo di spettacolo qual’è, possibile che finisca addirittura con il contribuire alla lotta al doping, lui che è tra i grandi protagonisti sportivi di quelli che verranno ricordati come “gli anni del doping”?
  • Sportivamente parlando, il rientro di Armstrong alle corse costituisce un precedente importante: l’età di Armstrong (a cui già facevo riferimento) non ha solo condizionato la sua carriera, ma anche quella degli altri corridori, più o meno giovani, che hanno avuto la (s)fortuna di correre nella sua ombra, rischiando di non trovare mai lo spazio per emergere, schiacciati dalla potenza del gigante. Quando l’americano si ritirò, qualche anno fà, si disse che era la grande chance per Basso e Ullrich, per Valverde e Sastre, per tutti i giovani corridori che erano cresciuti nell’ombra, di dimostrare il loro valore. Con il senno di poi, Basso ha perso due anni per via dell’Operation Puerto, la stessa che ha portato al ritiro di Ullrich dalle competizioni; Valverde si è rivelato in tutta la sua fragilità fisica, perdendo malamente l’occasione di fare suoi i due ultimi Tour. Molti altri corridori si sono sgonfiati come neve al sole, al punto che nell’albo d’oro del Tour de France appaiono ora (senza nulla togliere) corridori come Oscar Pereiro Sio, vincitore grazie ad una “fuga bidone” durante la quale gli donarono qualcosa come 32 minuti. Armstrong insomma, sembrava essere colui che impediva la crescita dei giovani ed invece oggi torna a colmare un vuoto: dovrebbe essere uno spunto per un’attenta riflessione sul ricambio generazionale nel ciclismo moderno…

Maggiori dettagli (ad esempio con quale squadra intende correre), saranno diffusi solo il 24 settembre, giorno della conferenza stampa in cui Armstrong svelerà i suoi programmi: un altro colpo di teatro, attendendo il quale, in fin dei conti, non posso che rallegrarmi di fronte all’immagine dello scossone che sconvolgerà il ciclismo. Speriamo solo che non sia la “spallata finale”…

Cos’è essere antisportivi?

Ciclismo Il doping è certamente una grande piaga, per lo sport. Nel ciclismo in particolare, dove è un fenomeno che hai fatti è (o è stato, non importa) piuttosto diffuso. Tralasciando il fatto che anche gli altri sport sono infestati dalle pratiche dopanti ne più ne meno del ciclismo (e paradossalmente proprio l’inchiesta Puerto ne ha dato chiari ed evidenti segnali), vale la pena far notare come il doping non sia una pratica antisportiva proprio proprio comoda: un ciclista che assume doping non ottiene risultati incredibili cosi, senza muovere un dito (anche perché altrimenti sarebbe molto più semplice identificarli, no?); un classico uso del doping è quello fatto durante gli allenamenti, al fine di ridurre la sensazione di fatica e potersi allenare di più. I ciclisti che si dopano quindi, non fanno meno fatica, anzi!

Questa non vuole certo essere una giustificazione, intendiamoci, voglio solo sfatare qualche mito: il doping è una pratica illegale ed antisportiva, da combattere con tutti i (ragionevoli) mezzi che la scienza e la tecnologia ci mettono a disposizione. Il ciclismo resta però da anni ormai nell’occhio del ciclone: ogni qual volta si scoprono nuovi retroscena su qualche vicenda legata al doping (e quasi sempre solo quando è legata anche al mondo del ciclismo) vengono riaperti i pozzi neri e dato fiato alle trombe, creando lo scandalo.

Non solo questo non avviene quando non è il ciclismo ad essere coinvolto (quante grandi testate giornalistiche hanno riportato la notizia che un paio di intere squadre calcistiche spagnole erano servite dallo stesso medico Fuentes al quale si rivolgevano alcuni ciclisti?), ma soprattutto non avviene quando non si parla di doping.

Infatti recentemente è saltato fuori che molte importanti partite di calcio siano state truccate in un giro di scommesse. La notizia si è guadagnata un paio di trafiletti qua e la, poi è stata dimenticata. Altro che calciopoli (anche li, cos’è cambiato a parte “l’allontanamento” di Moggi?), altro che “scandalo doping nel ciclismo” (dove tra parentesi qualcosa sta cambiando, apparentemente): con l’Italia campione del mondo, di certe cose non si può proprio parlare…

Io mi chiedo lo stesso però: cos’è oggi essere antisportivi? Sicuramente lo è darsi la possibilità di farsi un culo doppio del normale, attentando alla propria salute psicofisica. Ma non lo è anche comprare (o lasciar comprare…) partite di calcio? Non lo è forse ancora di più?

Ci risiamo

Eccoci qui, nonostante tutti i buoni propositi che ogni volta si fanno, torniamo a parlare di Calcio. Non di calcio giocato (del quale non me ne può, onestamente, calare di meno), ma della gestione dello sport “calcio” in Italia.

Sento spesso dire “in Italia, il calcio, è una religione”. Probabilmente è vero. Il calcio è sempre difeso, squadre vicine al fallimento vengono “generosamente sostenute” da improbabili “fondi salva-calcio” , mentre negli altri sport si fa la fame. Fame di sponsor, fame di mass media, fame di ascolti.

Il calcio invece tutto questo ce l’ha. Incassa milioni di euro ogni domenica, decine di trasmissioni televisive analizzano “ogni millimetro percorso dalla palla sferica e dai 22 scemi che la ricorrono”, gli sponsor sono pronti a scucire milioni di dollari affinchè la squadra si aggiudichi questo o quel giocatore famoso.

Gli scandali sulle scommese sono stati lavati via come acqua fresca.
Lo scandalo del doping è stato messo a tacere.
Lo scandalo Moggi è stato già ampiamente dimenticato, grazie anche alla provvidenziale vittoria in Germania.

Se tutto questo fosse successo ad un’altro sport (uno a caso, il ciclismo), probabilmente la situazione sarebbe drammaticamente diversa, ma sorvoliamo. Questi non sono i veri problemi, qui si tratta solo di far scucire migliaia di euro ogni anno ai tifosi, e farli divertire come si può. Può starci.

Quello che assolutamente non può starci però, è la violenza. Ogni domenica (tranne sporadiche eccezioni) si sente di scontri piu o meno accesi tra gli “ultrà” di questa o di quella formazione e la polizia, o con altri gruppi di “teppisti” loro simili. Spesso ci finiscono di mezzo persone che non c’entrano nulla, ma tanto la domenica dopo si gioca ancora, e tutti se lo saranno già dimenticati. Si è addirittura arrivati a far piovere un motorino dagli spalti superiori di San Siro sulle tribune sottostanti, fortunatamente poco riempite in quell’occasione. Ma anche questo è stato dimenticato.

Ogni anno o quasi ci sono “nuove misure” per combattere il fenomeno, buone intenzioni, e poi invece non si va da nessuna parte. Ci sono state le telecamere, i biglietti nominativi, i controlli, le perquisizioni. Eppure alla fine, tutto torna a ripetersi, drammaticamente, come successo questa sera.

Al termine del “derby siciliano” Catania – Palermo, gli scontri tra le tifoserie (quasi quasi si finisce con il farli passare in secondo piano!) hanno coinvolto anche la Polizia, che cercava di frapporsi tra i teppisti delle due fazioni. A pagarne le conseguenze piu gravi (come se gli oltre 100 feriti non fossero una cosa grave, purtroppo), colpito ed ucciso da una bomba carta, un ispettore della Polizia, il cui nome in questa sede non è importante (le mie piu sentite condoglianze vanno alla famiglia), colpevole solo di svolgere il proprio lavoro. Un secondo agente, si trova attualmente ricoverato in gravissime condizioni. Speriamo che almeno per lui la sorte sia migliore.

Ora, naturalmente, nel piu puro stile italico, “si sospendono i campionati“. Quanto durerà? Secondo me non arriviamo a domenica…

Update: ebbene si, a domenica ci arriveremo. Anche perchè è stato confermato dalla FIGC che saranno sospese tutte le partite della prossima giornata, fino alle giovanili.

Update2: Leggendo qua e la le dichiarazioni “a caldo” (piace molto a chi ha il potere riempirsi la bocca di parole) che chiedono uno stop di addirittura un anno, mi rammento che un’altro omicidio era stato commesso soli 5 giorni fa. Ce n’eravamo già dimenticati, e oggi si giocava…