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Proposte per il 22 giugno

Il 22 giugno, presso lo IULM di Milano, si terrà una manifestazione dal titolo “Condividi la Conoscenza“, che si vuole proporre come punto di partenza e riflessione sull’impatto dei “nuovi media” sulla nostra vita, sulla politica e sull’industria.

Chiamato alle armi dal buon Fiorello Cortiana, ho provveduto questa sera a proporre 3 diversi “nodi di riflessione” a mio avviso particolarmente importanti, e sui quali invito tutti a discutere e confrontarsi. Li riporto anche qui, per dare ulteriore risalto alla lodevole iniziativa.

Quantificazione del valore virtuale
Parlando con un caro amico, non molto tempo fa, mi faceva notare quanto fosse difficile investire in “innovazione” e “nuove tecnologie” in Italia, senza avere adeguati fondi alle spalle.

Questo perchè le banche e le società di venture e capitali, nel nostro paese, misurano ancora la bontà di una proposta di investimento in base alle immobilizzazioni materiali che il richiedente può portare. Questo aspetto è stato ulteriormente evidenziato quest’oggi durante un incontro presso il Politecnico di Milano, al quel ho partecipato.

Nel campo della cultura, quali immobilizzazioni possono essere “spese” per ottenere un investimento? Praticamente solo brevetti e diritti d’autore o di “proprietà intellettuale” (detesto questo termine, perdonatemi), che a mio avviso sono solo briglie e freni all’innovazione, alla produzione di cultura ed alla sua diffusione.

E’ assolutamente necessario che si faccia una seria riflessione, e si trovino delle proposte applicabili ed efficaci, per consentire una quantificazione oggettiva della bontà di un investimento in un ambito come quello della cultura, o dell’industria del software, dove le immobilizzazioni materiali non hanno praticamente necessità di esistere.

Pubblico dominio materiale
Quando si parla di “proprietà pubblica”, si pensa sempre ad aquedotti, autostrade, ferrovie. E quando queste proprietà vengono in qualche modo intaccate dalle privatizzazioni, si sentono salire urla di protesta. Tutto corretto, tutto assolutamente condivisibile, ma tutto, strettamente, materiale.

La privatizzazione delle infrastrutture di comunicazione, tanto importanti per la produzione e la diffusione della conoscenza, non arreca forse un danno paragonabile, se non superiore, alla privatizzazione di acquedotti, autostrade e ferrovie?

Come può una rete di larga banda (ma anche una rete di fonia, o la semplice proprietà ed efficienza di una emittente televisiva statale di qualità) che si confronta con mere logiche di profitto, senza tener conto di quelle che sono le esigenze culturali dei cittadini?

Bisogna che si prenda coscenza che l’infrastruttura di rete e (tele)comuncazione del nostro paese è un bene primario per la stessa economia italiana, e come tale, va difesa e rigidamente controllata.
La rete internet italiana non può essere in mano ad un monopolista (in palese conflitto di interessi, tra l’altro) come Telecom, i cui disservizi sono ormai divenuti barzellette fuori dai confini del nostro paese.

Riduzione del Digital Divide
Il termine “digital divide” purtroppo viene usato in modo piuttosto variegato, quindi la riduzione dello stesso è qualcosa di poco tangibile.
In questo caso, per “digital divide” intendo il divario culturale che impedisce a tutti i cittadini di fruire liberamente dell’innovazione (altro termine abusato, a mio avviso), di fatto creando cittadini di serie A e cittadini di serie B, e contribuendo quotidianamente ad ingigantire questo divario.

A mio avviso sarebbe necessario riflettere su quali ragionevoli proposte possano essere avanzate per combattere efficacemente questo problema.

Un punto da tenere presente è che piu che stimolare un’offerta (formativa?) che già per altro esiste, anche in maniera alquanto diffusa, e prima ancora di trovare i criteri economico/fiscali atti a spingere questa “riduzione”, è importante comprendere che va stimolata la richiesta stessa, rendere i cittadini stessi partecipi di questo processo, perchè nessun tipo di forzatura, nel campo della conoscenza, è in grado di portare benefici a medio/lungo termine.

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Attenzione a quella sentenza…

E’ di ieri la notizia che la Corte di Cassazione, con la sentenza numero 149 del 9 gennaio scorso, ha annullato la condanna inflitta dalla Corte d’Appello di Torino per violazione della legge sul copyright, a due torinesi colpevoli di aver condiviso files protetti da copyright sulla rete.

In Appello, i giudici piemontesi avevano rilevato una violazione degli articoli 171 bis e 171 ter della legge sul diritto d’autore (633/41) che puniscono chi diffonde o duplica contenuti multimediali protetti dal copyright a scopo di lucro.

La sentenza mette sicuramente in luce il fatto che anche nell’ottica della legge, l’attuale legge sul copyright non sia più adatta ai tempi ed alle tecnologie presenti, e che va quindi rimessa in discussione.
La discussione in materia è accesa, non solo sul fronte legale, dove la SIAE spinge (naturalmente) perchè chi scambia files protetti da copyright in rete sia punito nel modo piu severe possibile (e quando mai…), ma anche sul fronte etico.
La possibilità di rilasciare un’opera in modo da consentirne il legale scambio anche tramite la rete, pur non rinunciando al copyright su di esse, esiste già, e si incarna nelle licenze come le Creative Commons, che sfruttano proprio la legislatura del copyright per consentire al detentore del copyrght di “permettere” una serie di azioni di scambio e fruizione dell’opera.
La dove però è l’autore a decidere di non voler consentire questo diritto, a mio avviso è sbagliato “forzare la mano” in nome della comodità e “profitto” personale, anche se la regolamentazione penale attuale è sicuramente non commisurata all’importanza del reato.
Vanno però trovati gli strumenti legali per impedire che coloro che scaricano da internet le opere soggette a copyright, e poi le mettono in vendita, ricavandone lucro, possano essere puniti per il reato commesso.
Torniamo allo stesso concetto di sempre: la videocassetta posso duplicarla e farla vedere agli amici, anche perché questo mi consentirà di preservarla più a lungo, ma allo stesso tempo non posso rimetterla in vendita traendone lucro.
Come al solito, per cercare di evitare che il maiale scavalchi la recinzione, invece di alzarla, si chiude il maiale nella stalla.

Naturalmente va fatto notare come ci si trovi di fronte ad una evoluzione del mercato delle opere multimediali (musica, video, editoria…), e che come questi cambiamenti siano certamente stati indotti dall’avvento di internet, e di come la grande distribuzione stenti ancora a comprenderne e farne propri i meccanismi.

D’altra parte però, non ci si deve far prendere la mano dai male informati giornalisti, che come al solito traggono conclusioni affrettate sulla base di poche (e spesso incomplete) informazioni.
La sentenza della Cassazione regola un reato commesso nel 1999, quando cioè la legge Urbani non era ancora in vigore. In questi casi, vale la legge più favorevole all’accusato, in questo caso quella precedente il 2004.
Se il reato fosse stato commesso successivamente, le cose sarebbero andate diversamente?
Da questo punto di vista, le parti della sentenza riportate dal Corriere della Sera parlano chiaro:
«Le operazioni di download di materiale informatico non coincidono con le ipotesi criminose fatte dai giudici torinesi. Per scopo di lucro deve intendersi un fine di guadagno economicamente apprezzabile o di incremento patrimoniale da parte dell’autore del fatto».

Il sondaggio (piuttosto ambiguo per la verità) aperto per l’occasione dal Corriere sul proprio sito web, la dice lunga sulle abitudini degli italiani: quasi l’80% degli oltre 7400 utenti che hanno risposto al sondaggio ha dichiarato di scaricare abitualmente files da internet.

Da oggi (forse) questi utenti non dovranno più preoccuparsi di una sanzione penale, ma solamente amministrativa.