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Ci deve sempre scappare il morto?

Non c’è niente da fare, perché in Italia si evidenzino i problemi, bisogna che ci scappi il morto ed a volte non basta nemmeno quello.
Il riferimento, naturalmente, è a quanto accaduto l’altro giorno a Rivoli (TO), al crollo del controsoffitto della scuola dove ha trovato la morte un giovane di 17 anni, Vito Scafidi. Ma il riferimento è anche ai morti degli scontri tra tifosi prima e dopo le partite di calcio, ai morti sul lavoro, ai morti degli incidenti sulla strada; anzi, agli ultimi due no, visto che nemmeno i morti bastano a far si che la situazione venga affrontata con serietà e con l’obiettivo di trovare un punto fermo, una soluzione.

Quante altre bombe ad orologeria impestano il nostro paese? Quanti si battono per ottenere la soluzione di qualche situazione critica, nell’indifferenza di coloro che invece dovrebbero ascoltarli, che poi sono spesso i politici e gli amministratori locali che loro stessi eleggono? Il pensiero va, ad esempio, a coloro che da tempo chiedono che il Liceo Casiraghi di Cinisello Balsamo venga sistemato, che vengano controllate e chiuse le crepe nelle putrelle di cemento che lo sostengono. Aspettiamo il morto anche qui? E anche quando ci scappa il morto, come disgraziatamente è successo a Torino, che cosa si fà? Qualcuno dice che è una fatalità, qualcuno pensa a coprirsi le spalle, qualcuno cade dal pero. I fatti è che nelle scuole ci sono sempre meno fondi (ulteriormente tagliati di recente, come sappiamo), che le strutture (edili, tecnologiche, sociali…) sono obsolete e fatiscenti.

Eppure non si farà nulla, volete scommettere? Forse mi sono dimenticato tutte le iniziative di legge ed i decreti urgenti presi dopo la strage della Thyssen Kroupp e non ho notato come tutto ciò abbia fatto piazza pulita del problema delle morti biance? O capita forse che da qualche anno si è preso in pugno il problema delle stragi sulle nostre strade e lo si è risolto?

La risposta, purtroppo, ce la racconta la realtà di tutti i giorni e la morte del povero Vito finirà con l’essere l’ennesimo sacrificio agli dei Potere e Denaro.

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Scuola e ricerca: qualche considerazione sulla 133

Lezioni in Piazza-Matematica 3 Altro che “Inglese, Informatica e Impresa”: le tre I che il Governo Berlusconi aveva annunciato in campagna elettorale ed inserito nel programma di governo si sono rapidamente trasformate in ignoranza, indifferenza ed incuria (Luciana Litizzetto ne aggiungeva un’altra, qualche giorno fà, decisamente pertinente ma che tralascerò per decenza :P). Mi riferisco, naturalmente, alle conseguenze della pseudo-riforma del ministro Gelmini, la Legge 133, che tante polemiche sta sollevando e della quale sentiamo spesso parlare (stranamente) anche in televisione.

Si tratta di un intervento scellerato (visto che si ostinano ad affermare che non si tratta di una riforma) sul sistema scolastico italiano, che va a minare le fondamenta stesse sulle quali dovremmo costruire il futuro della nostra società: se tagliamo ancora i fondi alla ricerca, se smantelliamo ancora un po’ l’istruzione di base (come farà l’introduzione del maestro unico ed il taglio al personale docente previsto dalla manovra, alla quale si aggiunge l’accorpamento degli istituti più piccoli per mano di un altro decreto all’esame del Parlamento), che fiducia possiamo pensare di riporre nella generazione che tra qualche anno si troverà a dover “prendere in mano” le redini del nostro paese?

La situazione purtroppo appare più grave ad un’indagine approfondita di quanto invece non possa trasparire ai meno informati (devo ringraziare Maurizio per un’ottima e chiarissima mail pervenutami tramite informatori paralleli).
All’attacco alla scuola elementare, media e superiore (che nel loro insieme subiscono un taglio pari a qualcosa come 4 miliardi di euro) si va ad aggiungere un grave attacco anche all’istituto delle università (già conciate piuttosto malaccio) che è cominciato diversi mesi fà, con il taglio dell’ICI alle famiglie più abbienti ed il prestito ponte ad Alitalia: entrambi i provvedimenti infatti sono andati a pescare i fondi dal fondo destinato alle università ed alla ricerca, 497 milioni di euro nel primo caso e circa 300 nel secondo. Il taglio però non va pensato limitatamente alla mera sottrazione di questi danari dal fondo complessivo: una importante quota parte del fondo, infatti, in quanto rappresentato dagli stipendi del personale docente, stabiliti dallo Stato, risulta essere incomprimibile; il taglio và allora ad incidere principalmente sulla parte restante (un 13% circa del totale) che è invece rappresentato dalle utente, dalle spese di manutenzione e di gestione degli atenei. Se a questo taglio, aggiungiamo un’ulteriore riduzione di 4 miliardi di euro dei finanziamenti statali (decisi per l’appunto dalla Legge 133), più che un problema di finanziamenti pubblici alla ricerca, pare emergere un disegno criminale volto ad uccidere la ricerca pubblicamente finanziata per sostituirla evidentemente con una basata su finanziamenti privati (che porterebbe, come accade oggi con la ricerca in campo medico, ad un impoverimento della qualità della ricerca stessa ed alla rincorsa selvaggia al profitto, che con la ricerca seria ed indipendente ha davvero poco a che fare).

Sottolineando poi come l’aumento delle tasse universitarie (che dovrebbe contenere questa riduzione del contributo statale) non è attuabile in quanto queste ultime non possono eccedere il 20% del finanziamento statale (che per altro è diminuito), il panorama appare in tutta la sua drammaticità.
Vogliamo poi parlare di “arginare la fuga dei cervelli”? E come, visto che oltre ai tagli si presenterà anche un “blocco del turn over” che impedirà a molti ricercatori di proseguire la propria carriera nel nostro paese?

Al di là comunque del merito della riforma (del quale per altri in molti anno detto e scritto), ci sono un paio di considerazioni che vorrei condividere con voi.
Prima di tutto, sono stato qualche settimana fà ad un convegno sull’innovazione, a Pisa, durante il quale mi chiedevo (e chiedevo a chi ascoltava il mo intervento, che proprio sul decreto Gelmini verteva) se l’operato del Governo sul fronte dell’istruzione fosse da attribuire a semplice miopia o se fosse invece dettato dalla malafede; oggi emerge, a sostegno della seconda ipotesi, un’atteggiamento piuttosto poco “etico” da parte del Governo, che sta “spezzettando” gli interventi considerati “fastidiosi” o passabili di critiche da parte dell’opposizione dello schieramento politico avverso o dalla società civile, mescolandoli poi in più decreti diversi (sui temi più disparati) rendendo più difficile il dibattito e più improbabile un intervento del Capo dello Stato, che difficilmente si rifiuterà di firmare numerosi decreti nel complesso accettabili per fermare un disegno (ad esser buoni) “poco accorto”.

Una seconda considerazione riguarda la protesta “popolare” scatenata dal decreto (che tra l’altro era già noto prima dell’estate, sebbene ignorato dal mondo politico e di riflesso dai mass media e dai cittadini) che sembrerebbe a primo acchito aver trovato nell’occupazione di scuole ed atenei universitari la propria dimensione. L’ormai noto intervento di Berlusconi a contrasto di queste manifestazioni (che infastidiscono notoriamente parecchio il nostro simpatico primo ministro) con la minaccia dell’intervento delle forze dell’ordine, ha forse avuto un effetto inaspettato ed interessante: ha contribuito a dare visibilità mediatica (forse, in quest’epoca, la più importante) ad una protesta che non era ancora esplosa in tutta la sua violenza, finendo persino con il legittimarla, in qualche modo.
Non credo naturalmente che questa fosse l’intenzione del premier, che sembrerebbe essere anzi poi corso ai ripari (grazie al potere che l’ormai noto conflitto di interessi gli conferisce): a pochi giorni di distanza, nonostante le proteste e le occupazioni siano ancora in atto, sui mass media la questione occupa uno spazio decisamente inferiore, “lontano dagli occhi, lontano dal cuore” come si dice.
L’incauta manovra però (accompagnata da alcune pesanti dichiarazioni di altri esponenti del governo) potrebbe aver portato un danno significativo al gradimento di Berlusconi, soprattutto in quella fascia di popolazione che si è trovata toccata direttamente dal decreto: non solo quindi i 90.000 professori che perderanno il posto di lavoro nei prossimi tre anni, ma anche gli studenti, i loro genitori, i ricercatori. Di questi, una parte consistente si troverà a dover votare alle (ormai) prossime elezioni Europee: chissà se saremo in grado di carpire dai sempre confusi risultati elettorali un sintomo di questa pur marginale protesta

Discutendo di scuola ed istruzione…

Blackboard No, non sono un insegnante. Eppure di scuole pubbliche italiane ne ho girate diverse (soprattutto in relazione all’avvicinamento o all’utilizzo di Linux nella didattica), ho parlato con i professori, mi sono fatto delle idee. Faccio persino da consulente per alcuni istituti, il che mi consente di sentire le diverse campane.

Proprio pochi giorni fà, a ridosso della votazione della nuova “riforma” della scuola voluta dal ministro Gelmini, mi sono trovato ad una riunione nella quale erano coinvolti alcuni insegnanti, dei responsabili del bilancio scolastico, un paio di presidi. Discutendo a ruota libera, in attesa che arrivasse l’immancabile ritardatario, siamo finiti a parlare di bilancio, di soldi, di investimenti prioritari. La situazione che emerge, ogni volta che si affrontano questi argomenti in una scuola, è da latte alle ginocchia: si deve scegliere se riparare i muri o pagare per la manutezione delle aule informatizzate, con professori (già sottopagati) a cui vengono costantemente richiesti straordinari, sforzi, impegno, rischi (si, si assumono anche dei rischi, alle volte). Strutture in alcuni casi davvero fatiscenti (mi trovavo in un’aula con un impianto elettrico che definire “marcio” era fargli un complimento), ma soprattutto senza alcuna prospettiva per quel che riguarda il futuro.

Per di più, con la riforma Gelmini, si taglia ulteriormente: 8 miliardi in meno, 90.000 professori in 3 anni, meno ore per i professori. A questo si aggiunge l’accorpamento degli istituti con meno di 500 alunni, per mano del decreto Sanità: significa circa 4000 scuole in meno, soprattutto elementari e medie, proprio quelle che maggiormente avrebbero bisogno di essere diffuse sul territorio, consentendo un più agevole accesso ai più piccoli, spesso non in grado di sobbarcarsi chilometri e chilometri (immaginate cosa succede nelle vallate montane) per raggiungere l’agglomerato urbano più vicino.

Sono queste le condizioni in cui mandiamo a formarsi i nostri giovani, questa la terra in cui facciamo crescere il futuro della nostra società. I primi risultati li vediamo già: i giovani che in questi ultimi anni affrontano l’università ed il mondo del lavoro sono sempre più ignoranti, sempre meno preparati, sempre meno “appassionati”. Puntano a fare i calciatori o le veline, non hanno gli strumenti per capire ed interagire con i cambiamenti che il nostro mondo stà attraversando.

In tutto questo si potrebbe vedere della mala fede: una società ignorante è una società più facilmente controllabile ed influenzabile, grazie al sempre maggior potere dell’informazione canalizzata. Possibile che la situazione sia già così disperata che nessuno se ne rende conto?

L’ennesimo assalto alla Scuola

Foto di "Olga e Zanni" (via Flickr)

In questo momento, mentre scrivo, quattro telegiornali su quattro parlano del caso Alitalia: ci si chiede se oggi sarà la giornata buona, se finalmente questi maledetti sindacati capiranno che è necessario, per il bene dell’Italia, prendere per il culo gli italiani salvare la compagnia di bandiera. Sono settimane che l’attenzione è rivolta al salvataggio della compagnia aerea con più buchi della storia e nel frattempo, sotto il naso, ci sta passando l’ennesimo assalto al sistema scolastico italiano, partendo dalle elementari, l’unica istituzione scolastica che pare fosse ancora utile a qualcosa (addirittura si mormora che fosse presa ad esempio, all’estero), dopo che sono state distrutte università, medie e superiori dalle riforme precedenti.
Naturalmente il tutto non passa solo sotto il nostro naso, anche sotto quello di chi dovrebbe fare opposizione a questo governo, argomento che per il momento tralasceremo (bella soprattutto la richiesta della Gelmini di “smetterla con gli scontri”: ministro, ma che scontri?).

Come alcuni avranno notato infatti, settimana scorsa è stato annunciato dal ministro Gelmini (che si è fatta aiutare da un po’ di collaboratori, naturalmente, visto che di scuola notoriamente non capisce una beata ****) il piano dei tagli che la scuola dovrà subire, al fine di rientrare nei termini stabiliti dalla finanziaria di Tremonti (inutile dire che i 300 milioni di euro da donare ad Alitalia c’erano, quelli per togliere l’ICI ai ricchi pure e via dicendo di questo passo). Già che c’era, la Gelmini ha anche pensato di “modernizzare un po’ la scuola”, reintroducendo il grembiulino per gli studenti (ma come, non li trovate carinissimi?) o introducendo “l’insegnante unico”.

Naturalmente la notizia ha avuto pochissimo risalto: che importanza potrà mai avere, per i mass media, il fatto che in Alitalia ballino 9000 persone (eh già, oltre alle 6000 annunciate ci sono da considerare i 3000 precari di cui a nessuno frega nulla, arrivando a tagliare praticamente il 50% dei dipendenti) mentre la riforma della scuola taglia 90.000 insegnati in tre anni… poco importa che i (già furono “privilegiati”) dipendenti di Alitalia godranno di ammortizzatori sociali realizzati ad-hoc per loro, mentre gli insegnanti verranno banalmente “lasciati a casa”…

Sarà bellissimo dover tornare a formare a 360 gradi i pochi insegnanti rimasti (riducendo conseguentemente l’approfondimento formativo possibile, penserete mica che allunghino i tempi di formazione!), sarà bellissimo non avere le risorse in organico per poter seguire i bambini che presenteranno qualche difficoltà (trasformandole così rapidamente in lacune croniche). Sarà bellissimo, sarà moderno e soprattutto porterà ancora più bambini a frequentare le preziosissime “scuole private”, che da sempre sono oggetto di amorevoli cure da parte di tutte le riforme del sistema scolastico.

Un’altra importante novità sarà la maggior “autonomia” delle scuole: ad esempio mense e doposcuola passeranno a carico dei Comuni, che dovranno quindi stanziare i necessari fondi. Ottimo, soprattutto pensando che il taglio dell’ICI sulle case più grandi (che il precedente Governo aveva lasciato) aiuterà moltissimi Comuni proprio in questo frangente, garantendo un extragettito al quale viene così trovata congrua destinazione.

Inoltre, visto che la riforma così concepita avrebbe potuto lasciare qualche possibilità che i nostri figli imparino qualcosa di utile, ecco che la Gelmini pensa di ridurre l’orario scolastico (dovranno mica studiare sti poveri bambini? E quando imparano a truccarsi!). Cito da Repubblica.it:

Oggi le maestre sono due e assicurano 40 ore a settimana. In sostanza, tutti a casa a mezzogiorno e mezzo. Però con le maestre di ruolo in esubero potrà essere esteso il servizio. Stessa musica per le elementari con qualche variazione sullo spartito. Il principio base è: maestro unico e 24 ore a settimana. Ma se le famiglie lo richiedono alla scuola l’orario potrà essere prolungato a 27 o 30 ore, a condizione però che l’organico lo consenta. Peccato che il numero degli insegnanti venga stabilito sull’orario base, cioè 24 ore.

Tutto questo proprio mentre scopriamo che anche i dati oggettivi indicano come i nostri ragazzi vadano sempre peggio ma sembra che alla Gelmini ed a questo Governo la cosa non interessi: dopotutto, più allocchi ci sono più voti prendono, no?
Sarà bellissimo: se già oggi gli italiano non capiscono dove stia la fregatura sul caso Alitalia (figuriamoci sulla riforma scolastica), immaginate che spettacolo sarà quando non sapranno nemmeno fare le moltiplicazioni…

Millenoveottantaquattro

folders Quanto siamo lontano da 1984 di Orwell?

Non sto facendo dietrologie, sospettando del tecnocontrollo di Google o di Echelon, ma facendo un chiarissimo riferimento alla notizia, circolata già alcuni giorni fà, che i teenagers inglesi (aventi età superiore a 14 anni) verranno sottoposti a schedatura ed i relativi dati memorizzati in un grande archivio centralizzato consultabile online (e chi ne capisce di informatica non faticherà ad immaginare quanto a lungo quei dati saranno anche solo minimamente protetti da malintenzionati): identificativo personale, dati personali, percorso formativo, tutto a disposizione di università e futuri datori di lavoro, affinché possano scegliersi il proprio precario nel grande bacino degli studenti.

Ovviamente la notizia ha sollevato numerose polemiche, soprattutto dalle organizzazioni per la difesa della privacy e dei diritti umani, dai genitori e dagli insegnanti dei ragazzi in questione, ma anche da parte dei politici dell’opposizione (che in Italia avrebbe invece apprezzato moltissimo una decisione di questo genere, visto che aveva precedentemente dato vita a quell’accrocchio che era il decreto Pisanu), anche se in Italia il risalto dato all’iniziativa è praticamente nullo.

Personalmente trovo l’idea alquanto spaventosa: consegnare nelle mani dei selezionatori tutti quei dati sui giovani, oltre a violare il diritto all’oblio per le “ragazzate” o “debolezze” di gioventù, genera una disparità di conoscenze incredibile. Per parcondicio, non si dovrebbe fornire ai ragazzi un profilo molto dettagliato dell’azienda in questione, compresi i stipendi, orari di lavoro e commenti raccolti da tutti i lavoratori, assunti e licenziati, degli ultimi 25 anni? O forse questo potrebbe risultare un po’ scomodo? Ecco, il concetto è lo stesso…
La tendenza a cui assistiamo da diverso tempo, purtroppo, non fa proprio ben sperare: quanto a lungo riusciremo ancora a difendere la nostra privacy?

Un caso di eccellenza scolastica

RoveretoGiovedi sono stato a Rovereto (Trento) a tenere, per conto di AICA, una lezione sul modulo 2 della certificazione IT Administrator. Sovvenzionato dalla Provincia, il corso è rivolto ad un gruppi di professori di alcuni istituti (soprattutto tecnici) della zona, analogamente a quanto era già stato fatto in Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Veneto, e via discorrendo.

Ho così avuto modo non solo di farmi una “scampagnata” pagata in Trentino Alto Adige, con un panorama mozzafiato di monti innevati e aria buona (rispetto a quella di Milano, effettivamente, anche Bombai potrebbe avere “aria buona”), ma anche di toccare con mano la realtà dell’ITIS Marconi di Rovereto (dove si è tenuto il corso).

Grande parcheggio all’interno della scuola, curato e in  ordine, a disposizione di studenti ed insegnanti (tutti parcheggiati correttamente tra le righe).
Accesso wireless protetto da WPA Enterprise (la versione a certificati, per intendersi), sistema informatico dell’istituto in grado di dirmi che lezione sta svolgendo al momento un certo professore e in che aula dovrei trovarlo.
Il laboratorio dove si è tenuto il corso prevede una ventina di macchine nuove (con Windows a bordo, ma questo era prevedibile e non ho indagato sulla presenza di un dual boot), con un bel monitor lcd di buona qualità, passacavi ben ancorato ai banchi, prese dedicate per ogni computer, e via discorrendo.

La cosa che mi ha lasciato più favorevolmente colpito, soprattutto memore di quanto accaduto in diversi altri corsi simili, è che per i professori quello che ho presentato in un pomeriggio (sistemi operativi Linux lato client) era effettivamente un ripasso di nozioni già note (molti di loro avevano linux sul proprio portatile), al punto che ho potuto divagare su argomenti un po’ più tecnici (e divertenti). Insomma, una realtà davvero notevole, in un panorama scolastico che normalmente lascia “un po’” a desiderare, anche in altre regioni “a statuto speciale”…