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Ancora, sempre, nomadi

nomadi Il campo nomadi della Bovisasca è da mesi “sotto sgombero” (più o meno quotidianamente). Questa mattina la polizia ha circondato il campo, “convinto” gli ultimi occupanti ad abbandonare le proprie “abitazioni” e raso al suolo ciò che restava del campo.

Niente di sconcertante, ci mancherebbe altro: il campo nomadi lì non è previsto (probabilmente darà anche fastidio alla “popolazione indigena”) e pertanto viene “rimosso”. Tutto limpido, pulito, legale. Eppure, il problema continua a riproporsi, tale e quale, ad intervalli di tempo regolari: ora Opera, ora la Bovisasca, domani chissà.

Gli sgomberi non hanno mai risolto il “problema” dei nomadi, siamo seri. Vengono allontanati, si rifugiano in qualche luogo isolato, ricostruiscono il campo che sarà poi raso al suolo tra qualche settimana, in un circolo vizioso dal quale non sembra esserci via d’uscita. Tutto questo perché non si dà una valida alternativa a questa gente: non si individua un posto dove sia loro concesso stabilirsi (men che meno trovargli casa, naturalmente). Repressione, repressione, repressione, sempre e solo repressione e mai nessun risultato.

E nonostante la “linea dura” vada ormai avanti da anni, in Comune non sembrano ancora aver capito che stanno solo sprecando risorse (che potrebbero essere impegnate nell’integrazione di questa gente, per esempio) lottando contro i mulini a vento.
Non è diverso da quello che capita con le droghe leggere: repressione, repressione, criminalizzazione senza alcuna valida alternativa, senza informazione, senza atteggiamento costruttivo.

E c’è chi ci crede ancora…

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Myanmar: è il turno dei reporter

La protesta contro il regime birmano che sta avendo luogo da ormai parecchi giorni a Myanmar, è ormai sulle prime pagine dei giornali da alcuni giorni. Nelle ultime ore però, nonostante le minacce di sanzioni arrivate congiuntamente sia dall’Unione Europea sia dagli Stati Uniti anche di fronte alle Nazioni Unite che invitava ieri sera alla “moderazione”, la repressione ha fatto un salto di qualità.

Sono cominciati gli arresti, i pestaggi, le retate. Si è cominciato a sparare, ad uccidere (si parla di 5 morti ieri, monaci, di un giornalista giapponese stanotte). Soprattutto, è iniziata una caccia all’uomo (il Traders Hotel di Yangon è stato perquisito stanza per stanza) nei confronti dei reporter, dei giornalisti, che stanno sventolando l’orrore della repressione sui media di tutto il mondo (perfino su quelli italiani!).

Gli arresti tra gli esponenti della Lega nazionale per la democrazia, che alcuni anni fa aveva vinto le elezioni presidenziali con Aung San Suu Kyi, leader del partito e da alcuni anni agli arresti domiciliari, dopo che la giunta militare aveva annullato il risultato delle elezioni, non si contano: questa notte è stato il turno del portavoce della leader ed un ex parlamentare.

Sono sempre stato favorevole all’auto-determinazione dei paesi, contrario all’interventismo che ha caratterizzato gli attacchi ad Afghanistan ed Iraq, contrario all’intervento militare con l’Iran. Ma quando viene negata dall’interno del paese stesso, con il sangue, la possibilità di auto-determinarsi, cosa si deve fare?

Le sanzioni internazionali possono portare a qualche tipo di giovamento in breve termine? Sono una pressione sufficiente? Una forza di mera interposizione, che protegga i manifestanti, quanto ci vorrebbe a paracadutarla a Yangon? Troppo, anche perchè è notizia degli ultimi minuti che l’intervento di Russia e Cina ha bloccato le sanzioni internazionali nei confronti dello stato asiatico. Spero che ora russi e cinesi dovranno rispondere di quanto accadrà in Myanmar davanti ai mass media internazionali… e che la blogsfera, da questo punto di vista, sia pesantemente presente, sia nel condannare quanto accade a Yangon, sia il comportamento di Russia e Cina, che per ragioni prettamente politico-strategiche mettono a repentaglio la vita di migliaia di persone in Myanmar…