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Samba si schiera “in gpl3”

Quando ieri Microsoft ha cominciato ad alzare gli scudi relativamente alla GPLv3, modificando unilateralmente i tanto discussi “patents agreement” stipulati con diverse realtà del mondo dell’opensource, facendo in modo di non trovarsi a distribuire codice coperto da GPLv3, questa era una delle mosse che mi sarei augurato.

Samba passa in GPLv3 (a partire dalla versione 3.2.0), contribuendo attivamente alla lotta contro le pretese, in termini di “proprietà intellettuale”, di Redmond. Infatti dal momento in cui Samba sarà rilasciato con questa nuova licenza, non sarà più possibile distribuirne le nuove versioni ed allo stesso tempo avanzare (dubbie) richieste relativamente a brevetti e proprietà intellettuale.
A giudicare, tra l’altro, dai dati resi pubblici da palamida, Samba è il primo progetto di una certa entità ad adottare la nuova licenza.

Che questa sia la volta buona che Microsoft debba dire addio ad una “propensione verso l’interoperabilità” di facciata (con il sottotitolo “è standard quello che diciamo noi”), e cominci a darsi da fare per l’interoperabilità reale, quella che ha proposto Red Hat e che loro hanno sdegnosamente rifiutato?

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Proposte per il 22 giugno

Il 22 giugno, presso lo IULM di Milano, si terrà una manifestazione dal titolo “Condividi la Conoscenza“, che si vuole proporre come punto di partenza e riflessione sull’impatto dei “nuovi media” sulla nostra vita, sulla politica e sull’industria.

Chiamato alle armi dal buon Fiorello Cortiana, ho provveduto questa sera a proporre 3 diversi “nodi di riflessione” a mio avviso particolarmente importanti, e sui quali invito tutti a discutere e confrontarsi. Li riporto anche qui, per dare ulteriore risalto alla lodevole iniziativa.

Quantificazione del valore virtuale
Parlando con un caro amico, non molto tempo fa, mi faceva notare quanto fosse difficile investire in “innovazione” e “nuove tecnologie” in Italia, senza avere adeguati fondi alle spalle.

Questo perchè le banche e le società di venture e capitali, nel nostro paese, misurano ancora la bontà di una proposta di investimento in base alle immobilizzazioni materiali che il richiedente può portare. Questo aspetto è stato ulteriormente evidenziato quest’oggi durante un incontro presso il Politecnico di Milano, al quel ho partecipato.

Nel campo della cultura, quali immobilizzazioni possono essere “spese” per ottenere un investimento? Praticamente solo brevetti e diritti d’autore o di “proprietà intellettuale” (detesto questo termine, perdonatemi), che a mio avviso sono solo briglie e freni all’innovazione, alla produzione di cultura ed alla sua diffusione.

E’ assolutamente necessario che si faccia una seria riflessione, e si trovino delle proposte applicabili ed efficaci, per consentire una quantificazione oggettiva della bontà di un investimento in un ambito come quello della cultura, o dell’industria del software, dove le immobilizzazioni materiali non hanno praticamente necessità di esistere.

Pubblico dominio materiale
Quando si parla di “proprietà pubblica”, si pensa sempre ad aquedotti, autostrade, ferrovie. E quando queste proprietà vengono in qualche modo intaccate dalle privatizzazioni, si sentono salire urla di protesta. Tutto corretto, tutto assolutamente condivisibile, ma tutto, strettamente, materiale.

La privatizzazione delle infrastrutture di comunicazione, tanto importanti per la produzione e la diffusione della conoscenza, non arreca forse un danno paragonabile, se non superiore, alla privatizzazione di acquedotti, autostrade e ferrovie?

Come può una rete di larga banda (ma anche una rete di fonia, o la semplice proprietà ed efficienza di una emittente televisiva statale di qualità) che si confronta con mere logiche di profitto, senza tener conto di quelle che sono le esigenze culturali dei cittadini?

Bisogna che si prenda coscenza che l’infrastruttura di rete e (tele)comuncazione del nostro paese è un bene primario per la stessa economia italiana, e come tale, va difesa e rigidamente controllata.
La rete internet italiana non può essere in mano ad un monopolista (in palese conflitto di interessi, tra l’altro) come Telecom, i cui disservizi sono ormai divenuti barzellette fuori dai confini del nostro paese.

Riduzione del Digital Divide
Il termine “digital divide” purtroppo viene usato in modo piuttosto variegato, quindi la riduzione dello stesso è qualcosa di poco tangibile.
In questo caso, per “digital divide” intendo il divario culturale che impedisce a tutti i cittadini di fruire liberamente dell’innovazione (altro termine abusato, a mio avviso), di fatto creando cittadini di serie A e cittadini di serie B, e contribuendo quotidianamente ad ingigantire questo divario.

A mio avviso sarebbe necessario riflettere su quali ragionevoli proposte possano essere avanzate per combattere efficacemente questo problema.

Un punto da tenere presente è che piu che stimolare un’offerta (formativa?) che già per altro esiste, anche in maniera alquanto diffusa, e prima ancora di trovare i criteri economico/fiscali atti a spingere questa “riduzione”, è importante comprendere che va stimolata la richiesta stessa, rendere i cittadini stessi partecipi di questo processo, perchè nessun tipo di forzatura, nel campo della conoscenza, è in grado di portare benefici a medio/lungo termine.

E dopo SCO, Microsoft!

Dopo la pesante batosta raccolta da SCO nella causa sulla “proprietà intellettuale” relativa al codice sorgente di Linux, ora è Microsoft stessa a lanciarsi nella battaglia (dopo essere stata una tra le maggiori spinte di SCO durante gli ultimi anni).

Dopo aver di decente stipulato degli accordi con Novell (ai quali ha poi aderito anche Dell) secondi i quali i clienti di Novell che acquistano SuSE Linux possono avvantaggiarsi della clausula di “non belligeranza” sui brevetti che Microsoft vanterebbe sul codice di Linux (e che di fatto danno credito a queste millantazioni), ora l’azienda di Redmond ha deciso di venire allo scoperto, comunicando che il codice sorgente di alcuni dei maggiori applicativi opensource violano un totale di oltre 235 brevetti software ad essa riconducibili. Di questi, circa 42 sarebbero inclusi nel kernel Linux, 65 nel server grafico Xorg ed altri 45 sarebbero invece da imputare alla nota suite per l’ufficio OpenOffice.org.

Al di la delle considerazioni in merito all’accordo stipulato tra Novell e Microsoft (sul quale si sta ancora largamente dibattendo e sul quale la nuova versione 3 della licenza GPL dovrebbe mettere un punto definitivo che molto male potrebbe fare proprio a Novell), una pronta ed interessante risposta legale sull’argomento viene dall’avvocato Carlo Piana, vicino alla Free Software Foundation, che fa notare come sia ancora tutto da dimostrare che i brevetti si possano applicare al software (in Europa c’è già stato un no chiaro della Commissione qualche anno fa, negli Stati Uniti la questione è ancora aperta) e come soprattutto molti di questi brevetti non siano altro che ricombinazioni di tecniche già note (quelle che vengono chiamate, in “legalese”, prior-art) e come questa pratica sia stata recentemente rigettata dalla Corte Suprema degli Stati Uniti.

Microsoft non è nuova a dichiarazioni avventate, come quando nel 1996 disse che internet non avrebbe avuto futuro e che sarebbe invece stata sostituita dalla loro rete MSN (salvo poi fare una brusca inversione di rotta pochi mesi dopo). Purtroppo sembra che a Redmond facciano fatica ad imparare dai propri errori, e Microsoft sembra avere sempre piu paura della concorrenza del Pinguino…

Digg e il DRM: avanti cosi!

Molti di voi conosceranno già Digg.com un servizio del cosi detto “web2.0” dedicato alla raccolta e catalogazione di links, non molto differentemente da quello che succede anche con del.icio.us.

Negli scorsi giorni però proprio questo sito web si è trovato a fare i conti con “la forza della community”, e la piega che i fatti hanno preso è sicuramente importante ed istruttiva.

L’altro giorno infatti, era stato inserito da parte di un utente il link ad una delle chiavi di decifrazione dei nuovi HD-DVD. Lo staff di Digg.com aveva quindi ricevuto da parte di una delle aziende interessate la notifica che secondo loro anche la semplice pubblicazione della chiave di decifratura potesse costituire una violazione della loro “proprietà intellettuale” (ogni volta mi si accappona la pelle, dannazione). A quel punto, lo staff di Digg.com aveva provveduto a rimuovere quei link, forte del “Terms of use” del servizio, ed avvisato tramite un post gli utenti della decisione presa.

Agli utenti di Digg.com però, la cosa non è sembrata corretta, e nel giro di pochissime ore, centinaia di post relativi allo stesso argomento hanno reso vani i tentativi dello staff di arginare il problema. A quel punto, lo staff ha preso atto del volere della community che sta dietro a Digg.com ed ha modificato la propria decisione, scegliendo di “resistere o morire“.

Sono molto contento che Digg.com si unisca agli utenti in questa lotta contro l’abuso della proprietà intellettuale ed il DRM. Quanto successo in queste ore è il segno che la gente non ne può più di essere presa in giro.

Ah! E ovviamente 09-f9-11-02-9d-74-e3-5b-d8-41-56-c5-63-56-88-c0 🙂

Discussione sulla GPLv3…

Questa mattina, in Associazione, abbiamo discusso di GPLv3, grazie al prezioso contributo di Cristian Rigamonti, socio storico di OpenLabs e “nostro inviato” (lui non lo sa però :P) presso la Free Software Foundation. L’intervento di Cristian, che ha analizzato la 3a bozza della GPLv3 uscita recentemente, chiarendo un po della sua storia e le principali differenze rispetto alla versione 2, è bastato a dissipare tutti (o quasi) i dubbi che ancora aleggiavano, complice la poca informazione che si legge a riguardo, sulla nuova GPL.

Innanzi tutto, condivido le motivazioni (che non conoscevo), che hanno portato alla necessità di sviluppare una nuova versione della GPL. La nuova normativa in materia di diritto d’autore (basata sul trattato WIPO, che ha dato origine al DMCA negli USA ed all’EUCD in Europa), e la necessità di difendere le 4 libertà fondamentali del software libero dagli attacchi portati da alcune applicazioni del DRM e dei brevetti (soprattutto software), rendono realmente necessaria una revisione della licenza. Voglio sottolineare che per la prima volta (non era infatti stato necessario/possibile con le versioni 1.0 e 2.0), la FSF ha deciso di portare avanti un lavoro realmente collaborativo, a cui ognuno può collaborare attivamente (la pagina linkata è ‘stet’, software javascript che consente di commentare in modo semplice e collaborato il testo, che verrà licenziato, e qui c’è sotto lo zampino burlone di Stallman, sotto GPLv3: si tratterà del primo software il cui solo scopo è quello di definire la licenza con la quale dovrà essere licenziato).

Decisione apprezzabile e democratica, quella di un lavoro maggiormente collaborativo, che ha portato sicuramente ad un rallentamento del processo di sviluppo, ma ad una nuova versione realmente “largamente condivisa” ed al pieno rispetto dell’idea del “do not harm” (“non fare cavolate”). Inoltre, si è sfruttata l’occasione per consentire una migliore internazionalizzazione (piu semplice applicabilità su territori diversi da quello degli USA) e compatibilità con altre licenze (davvero notevole lo sforzo profuso in questa direzione, a mio avviso ampiamente premiato dalla finalmente raggiunta compatibilità con la licenza Apache 2.0).

Non starò a dilungarmi piu di tanto sui cambiamenti introdotti dalla GPLv3, che Cristian spiega piu che ampiamente nelle sue slides, ma mi limiterò a dire che: la GPLv3 non è “contro il DRM”, ma contro specifiche applicazioni dello stesso, in particolare, quelle che non consentono l’applicazione delle 4 libertà fondamentali del software libero. Interessante anche la necessità di includere adeguate “note di installazione” che consentano all’utente di poter effettivamente godere di queste libertà (il caso TiVo insegna).

Altrettanto interessante il pragmatismo che la FSF (e Stallman) sono riusciti a tenere nell’affrontare lo spinoso problema dei brevetti software, cercando (ed a mio avviso ottenendo nella maggior parte dei casi) di difendere allo stesso tempo gli utenti del software libero e di non scoraggiare le aziende detentrici di brevetti dal contribuire al software libero. In particolare, molto interessante i due paragrafetti che sono stati inseriti in seguito agli accordi Microsoft-Novell, che porterebbero da una parte Novell a non poter piu distribuire quel codice (“terminazione” della licenza), oppure a rivedere l’accordo affinchè la “non ostilità” si applichi a tutti gli utenti di quello stesso software, indipendentemente dall’essere o meno clienti Novell (e, aggiungo, dall’essere o meno negli USA, unico paese civilizzato a consentire un obrobrio come la brevettazione delle idee).

Sono davvero contento del lavoro fatto, anche se qua e la (soprattutto in materia di brevetti non software) mi sarebbe piaciuta una posizione piu ferma e decisa, che so però non essere politicamente accettabile.

GPL-3-alpha3

E’ uscita la terza bozza della GPLv3.

Le modifiche sono molte, ma sicuramente la più importante è la rinnovata intenzione di mantenere un filo di compatibilità con la GPLv2 e la mitigazione delle clausole relative ai DRM. Sono assolutamente d’accordo con Linus Torvalds: il DRM non è male in quanto tale, ma è male nella sua attuale implementazione. Ma se l’implementazione è software, non possiamo scrivercela come ci pare? L’importate è che ci siano le specifiche? Non le abbiamo mai avute, per moltissimo dell’hardware in commercio… non sarà questo a fermarci…

Anche l’introduzione di aspetti che limitano l’uso di brevetti, mi trova assolutamente d’accordo. Sono profondamente contrario a brevetti e proprietà intellettuale, a 360°.

Sono molto contento. Ora attendiamo fiduciosi la quarta bozza (tra 2 mesi) e poi la release finale, e spariamo in bene 🙂

SCO contro Linux – Ultimo atto?

Dopo anni di querelle tra SCO ed IBM in materia di codice sorgente, la situazione comincia a chiarirsi, anche grazie all’emergere dei primi numeri reali.

SCO, per chi non fosse al corrente, aveva qualche anno fa dichiarato di possedere parte della “proprietà intellettuale” (orribile terminologia) del kernel di Linux e pretendeva per questo il pagamento di una licenza da parte di ogni utilizzatore del famoso kernel opensource. SCO, forte anche degli oltre 50 milioni di dollari che Microsoft avrebbe versato nelle casse del fondo d’investimento BayStar Capital nel 2003, è riuscita a tenere aperta la causa fino ad oggi, asserendo da un lato di possedere una “montagna” di codice sorgente che proverebbe la violazione da parte dei programmatori di Linux, dall’altra di non poter rivelare il contenuto di questo codice sorgente per motivi di proprietà intellettuale.

Secondario il fatto che SCO stessa abbia per anni distribuito sotto licenza GPL la propria distribuzione GNU/Linux chiamata Caldera.
Oggi emerge che il codice su cui SCO potrebbe vantare effettivamente qualche diritto, è composto da “ben” 326 righe di codice, essenzialmente composto da commenti (eh già, nel codice sorgente si inseriscono, per semplicità, anche commenti, anche se questi non vengono poi inclusi nell’applicativo compilato) e da semplici “header files” (files di definizioni), mentre la stessa SCO violerebbe il copyright di IBM, principale attore della querelle in quanto detentrice di numerosi diritti sullo Unix di cui SCO è proprietaria, per un totale di circa 700.000 righe dello stesso codice.

Sembrerebbe quindi volgere al termine questa vicenda, che inizialmente aveva preoccupato alcune delle grandi aziende che hanno investito in GNU/Linux (non ultima la stessa IBM) prima di rivelarsi un bluff, confermato dalla conferma di oggi.

Non tutto il male vien per nuocere però: questa esperienza è stata utile per verificare la solidità giuridica della licenza GPLv2. Il fatto che ne esca vincente, da maggiore forza alla licenza stessa ed a tutto il movimento software a cui da origine.

Non la vogliono capire…

L’azienda che sta dietro al formato di cifratura AACS, la AACS LA (che fantasia di nomi -.-) ha oggi minimizzato il lavoro svolto da muslix64, l’hacker che per primo ha trovato il modo (e l’ha implementato tecnicamente, cosa piu interessante) di estrarre la chiave di decifratura dei dischi protetti da AACS sfruttando il fatto che alcuni player che supportano questo formato ne la salvano in RAM senza prima cifrarla. La notizia, riportata da Punto Informatico, è una di quelle che fanno sorridere, ma allo stesso tempo, portano ad una riflessione più profonda che non è nemmeno la prima volta che espongo sul blog, anche se in maniera frammentata.

Fa sorridere perchè sembra il volersi nascondere dietro un dito. La AACS LA infatti ricorda che muslix64 non ha ideato un attacco contro il proprio formato di cifratura, ma contro le debolezze di alcuni player che lo implementano. Verissimo. Peccato che se l’utente vuole vedere il film sulla propria device, e questo film è cifrato, sulla device dovrà esserci la chiave per decifrarlo. E allora, in un modo o nell’altro, sarà sempre possibile ricavarla, ed utilizzarla per estrarre il contenuto cifrato. Si tratta di una tecnologia perdente in partenza.
Si ritorna sempre all’esempio dell’orecchio analogico/digitale. Se voglio usare gli occhi per vedere un film, o un orecchio per ascoltare della musica, questi non possono essere che analogici. Quindi, alla fine, il contenuto del film deve essere convertito in questo formato, indipendentemente da tutte le cifrature che ci possono mettere in mezzo. E se posso vederlo, possono vederlo altre persone con me, possono sentirlo altre persone con me, posso registrarlo (questo può essere reso più difficile, ma una soluzione la si troverà sempre) e diffonderlo.
Certo, si può argomentare che si perde in qualità. Grazie. Ma avete provato a dare un’occhiata alla qualità media dei film che girano sul P2P?? Gli utenti che utilizzano il P2P non puntano alla qualità. Puntano a vedere il film. In un formato almeno accettabile, dal quale di capisca il contenuto del film. Basta. Il resto non conta. Altrimenti, spenderebbero 7 euro (e-dico-sette!!) per andarselo a vedere in una sala cinematografica.
Anche in questo caso, si tratta di una scelta perdente in partenza, che oltretutto porterà a bruciare letteralmente la possibilità di accedere a materiale di qualità superiore, un’evoluzione tecnologica che avrebbe potuto essere davvero interessante anche per chi, come me, non ha ne occhio ne orecchio fini a sufficienza da rifiutarsi di ascoltare un file mp3 o vedere un video di qualità infima.

Invece hanno deciso di perseverare su questa strada masochista, perchè nella loro (distorta) visione del mondo il profitto a breve termine ha la priorità su qualsiasi cosa.
Il DRM è sotto attacco su tutti i fronti. Gli “utenti” valutano i costi di Vista, gli stati lo dichiarano illegale (anche se non l’Italia, ovviamente), le aziende si battono tra di loro perchè il DRM diventa una restrizione anticompetitiva (sempre e solo per soldi, eh, sia ben chiaro), addirittura i membri stessi del board (vedere il caso EMI), un po alla volta, stanno abbandonando la nave che affonda.

Qualcuno infatti se ne rende conto, e magari ne parla, altri invece, sono decisi a perseverare per questa strada, procedendo ad occhi chiusi verso un muro di cemento, incuranti delle urla che di avvertimento che si levano tutt’intorno.

Il modello economico di riferimento, che ha consentito alle grandi Major discografiche e ad Hollywood di fare quelle barcate di miliardi che si trovano oggi a sperperare in questa tecnologia perdente, è cambiato. Questo può essere un bene o un male, dipende dai punti di vista, ma porterà (ed ha già portato) evidenti cambiamenti nel modo di fare e proporre musica e contenuti multimediali.

Chi non si adeguerà, andrà perduto. Chi non avrà la mente sufficientemente aperta ed elastica da saper cogliere le possibilità e le potenzialità dei nuovi media che stanno nascendo, non potrà che vedersi definitivamente sfuggire poco alla volta, tutta l’acqua che cerca disperatamente di trattenere tra le mani, una volta rotto il bicchiere, trascinando con se anche quel poco di buono (no, non gliel’ho mai realmente perdonata, non ne sono capace, mi dispiace) che forse in giro c’era.

Il mio augurio a tutti loro è quello di non soffrire troppo.

PS: Il mondo dei brevetti e della proprietà intellettuale sono solo sfiorati, in questo momento, dal problema, ma l’odore di bruciato comincia già a sentirsi…