La polemica sul ribattezzato “No Cav Day” ferve. Come accadde ad esempio per i V-Day ed altre manifestazioni di piazza, attacchi giungono indiscriminatamente da tutti i fronti: mass media (televisioni, radio e giornali), governo, partiti, tutti. Come spesso accade, l’informazione che passa è superficiale e massimalista, mentre a me piace ascoltare prima di pronunciarmi. Così, visto che a Piazza Navona non potevo andare (a prescindere dai contenuti), mi sono andato a guardare i video (Guzzanti #1, Guzzanti #2, Grillo #1, Grillo #2, Travaglio, Camilleri, Ovadia, Di Pietro, D’Arcais) gentilmente messi a disposizione da RaiNews24 su YouTube (facendo per altro le tre di notte), che invito tutti i lettori che non l’avessero già fatto a vedere, perché è il miglior modo per farsi un’idea dell’oggetto del contendere, senza la quale è anche inutile argomentare.
Ciò premesso, passiamo alle considerazioni: di alcuni interventi non condivido né i toni, né i modi. In alcuni casi neppure le vittime degli attacchi stessi, anche se nel caso del papa e di Napolitano, qualche appunto sarebbe da fare: al papa è corretto far notare (forse con più moderazione) che alcuni aspetti di intolleranza sociale vedono una discreta parte di responsabilità della Chiesa che ha passato gli ultimi due anni a contrastare ad esempio il movimento omosessuale, conducendo addirittura in alcuni casi (vedi il referendum sulla fecondazione assistita) manovre di vera antipolitica con l’obiettivo di ottenere quello stesso astensionismo che oggi viene additato con il nome di “distacco dalla politica”; a Napolitano va assolutamente ricordato (anche in questo caso, con maggior moderazione indubbiamente, ma con sufficiente fermezza) il suo ruolo di garante costituzionale, soprattutto quando si piega a firmare decreti legge come quelli che in questo momento sono sul suo tavolo in nome di un fantomatico dialogo che la fazione preponderante decisamente vuole unilaterale (“chi non è d’accordo con me, significa che non vuole dialogare”).
Non condivido, dicevo, toni, modi, vittime. Eppure qualcuno mi deve spiegare dove sta l’errore sui temi. Dove sta l’errore nel denunciare il controllo dei media (come hanno fatto la Guzzanti e Travaglio), le leggi ad personam più o meno nuove (come hanno fatto un po’ tutti, a turno), le ondate razziste, le responsabilità morali e politiche di un’opposizione che dorme (per non dire peggio)?
No, l’errore non è nei temi, l’errore è ancora una volta sui modi. Modi che catalizzano l’attenzione dei mass media, distogliendo l’attenzione dal messaggio. E allora si parla e si discute dell’attacco al papa ed a Napolitano, anziché dei contenuti della manifestazione contro il Governo, anziché del boicottaggio del principale partito di centrosinistra, lasciando alla fine la vittoria nelle mani del contestato, Silvio Berlusconi, uscito non solo intonso, ma rafforzato nell’opinione pubblica che da sempre preferisce la vittima al carnefice.
C’è allora da chiedersi quale sia il valore reale della benefica agitazione sociale portata avanti da Beppe Grillo, da Marco Travaglio e da Sabina Guzzanti. Uno spettacolo comico divenuto quasi senza intenzioni movimento politico, capace di raccogliere attorno a se forze e voti che l’intero sistema (seppur ormai in decadenza) della Sinistra italiana non disdegnerebbe. Un mix di politica (quella di Piazza Navona, come giustamente sottolineava Di Pietro) ed antipolitica (quella di alcune invettive generaliste e populistiche) che miete successi oggi più che mai, nutrendosi della profonda crisi tra cittadini e potenti, spesso più ai danni della sinistra che della destra, che anzi dell’antipolitica e degli istinti più bassi ha fatto ragion d’essere.
Spetterebbe ai movimenti di sinistra (o di centro-sinistra se vogliamo allargare l’orizzonte) dare una risposta a questo messaggio, al bisogno di politica seria, di movimento, di azione. Invece la Sinistra, sconfitta alle elezioni, è tutt’ora incapace di reagire, di risollevarsi mentre il Partito Democratico non trova di meglio da fare che dissociarsi dal popolo, dal suo stesso elettorato e persino intimare a Di Pietro di fare lo stesso, pena la rottura.
E così Di Pietro diviene nella parcezione di alcuni, un politico “di sinistra”, qualcosa che non è mai stato. Di Pietro infatti non è un uomo di sinistra, ma soltanto un politico che fa di cose basilari una bandiera; cose basilari come giustizia, coerenza, trasparenza, rispetto per la costituzione e per i cittadini. Cose basilari, appunto, che dovrebbero costruire le fondamenta sulle quali costruire i programmi politici ed elettorali sui quali poi chiedere l’approvazione del popolo.
Invece no, si tratta di valori che vengono sistematicamente calpestati nel nome di interessi personali e particolari: si torna ai tempi della Rivoluzione Francese, con l’unica differenza che questa volta il popolo non è rivoluzionario, ma un branco di pecore addormentate.
Negli altri paesi non è così.