Tra ieri e oggi ho sentito molti (uomini, ma anche donne), parlare di “festeggiamenti” in occasione della giornata internazionale della donna, per l’otto marzo. La giornata ha negli anni assunto un carattere sempre più commerciale (immaginate il business dei fioristi e dei ristoratori), relegando il ricordo, la memoria e la lotta politica che originariamente caratterizzavano questa occasione su un piano secondario.
Sono passati 100 anni dal 1908, quando 15000 donne sfilarono, negli Stati Uniti, chiedendo diritto di voto e migliori condizioni di lavoro. Ne sono passati pochi di meno da quel 1911 in cui 140 donne (soprattutto italiane ed ebree) perirono nell’incendio della Triangle Shirtwaist Company, dove lavoravano (è invece dimostrabilmente falsa la storia dell’incendio della Cotton, del 1908).
Sono passati tanti anni, le donne hanno ottenuto numerose vittorie sociali e politiche, ma restano la principale vittima della violenza domestica, rimangono discriminate (sempre più raramente per fortuna) sul posto di lavoro, restano discriminate nella società stessa nonostante la sua dichiarata “modernità”. I temi caldi della lotta femminile sono cambiati, ma non svaniti: la difesa dei diritti sanciti dalla legge 194 (che ora qualcuno vorrebbe rimettere in discussione) e il problema della violenza domestica sono problemi che le donne si trovano oggi ad affrontare, ma che coinvolgono soprattutto noi uomini.
Allora voglio lanciare un (modesto) appello da queste pagine: invito tutti gli uomini a fermarsi un attimo, in questa festa della donna, ed anziché acquistare delle mimose riflettere sulla propria responsabilità sociale nei confronti dell’altra metà del nostro cielo: a riflettere su quello che facciamo per loro e quello che potremmo fare, a fare propria l’idea che la lotta per i diritti delle donne non riguarda solo le donne, ma la società intera.