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Google Chrome, una scossa al web (?)

So che questo post è chilometrico (1306 parole, già). Non lamentatevi, c’erano troppe cose da dire, e tutte importanti 😛

About Google ChromeE’ sulla bocca di tutti, blogger e non, in giro per internet e sui mass media: c’è chi se lo aspettava, chi invece è stato colto di sorpresa, in ogni caso Chrome, il nuovo browser opensource (è basato su WebKit, motore di randering html opensource utilizzato anche dal browser “made in Apple”, Safari) lanciato da Google, ha decisamente fatto parlare di sé. Ne parlerò anche io, come al solito cercando di non limitarmi a quanto “appare”, ma provando a guardare “sotto la scorza”: ne vengono fuori delle belle.

Tanto per cominciare, è indubbiamente affascinante l’idea di “partire da zero” (anche se utilizzare il motore di randering di Safari non è esattamente uguale a “start from scratch”) per progettare un browser pensato prima di tutto per interagire efficacemente con le web-applications, così diverse dai classici “siti web” che spesso rischiano di mettere in crisi i browser pensati e progettati anche solo pochi anni fà. Il web (ha ragione Google) è cambiato tantissimo ultimamente ed i browser hanno bisogno di una riprogettazione in quest’ottica, ma onestamente Chrome avrebbe potuto portare qualche innovazione in più, da questo punto di vista…

Uno dei primi aspetti sui quali è scattata l’attenzione, è la stupefacente velocità di randering di Chrome (che da alcuni test risulterebbe però inferiore a Firefox 3.1 con Tracemonkey): mi domando però quanto sia realmente percepibile una pur sostanziale differenza nei tempi di randering di una pagina (comunque inferiori al secondo, solitamente), quando spesso e volentieri il tempo di visualizzazione di un sito web è legato al tempo di download delle varie sue componenti e quindi alle prestazioni del collegamento di rete? Chiarisco il concetto: che me ne faccio di risparmiare mezzo secondo nel randering con Chrome, quando uso un modem 56k per scaricare le immagini che la compongono?

Anche tecnologicamente parlando, Chrome non è proprio impeccabile. Cominciamo però dalle note positive:

  • indubbiamente significativa l’inclusione nativa di funzionalità quali “Gears” (che sono per certi versi il futuro delle web applications) ed un nuovo motore JavaScript, riscritto (pare) da zero.
  • Dalla visione dei siti web come vere e proprie applicazioni deriva l’interessante (seppur non innovativa) idea di rendere le varie tabelle di navigazione processi realmente a se stanti, separando così la memoria che viene assegnata alle varie web-applications in esecuzione. Questo dovrebbe garantire un’incremento di sicurezza, probabilmente anche della velocità di randering (soprattutto su processori multicore) e una maggior “robustezza” del browser nel suo insieme (vanno in crash le tab e non il browser).
  • Non innovativa, ma comunque ancora “rara”, la possibilità di abilitare la modalità “hidden” (navigazione nascosta) che cancella cookies e history alla chiusura della finestra appositamente aperta: la funzionalità infatti è già presente in Safari ed in Internet Explorer 8 (del quale è stata rilasciata una versione beta non molto tempo fà). Su questo aspetto, andranno considerate le conseguenze di un simile approccio per quel che riguarda gli utenti: quanti utenti, sentendosi sicuri nella propria “anonimità”, andranno a cacciarsi in qualche spiacevole situazione, abbassando semplicemente la guardia? Ricordiamo che l’anonimità, su internet, non comporta solo aspetti legati ai cookie ed alla history, ma anche (o meglio, soprattutto) aspetti legati al tracking da parte dei siti web che vengono visitati dagli utenti, cosa che la modalità hidden di Chrome non evita in alcun modo.
  • Curiosa invece la soluzione di non bloccare i popup ma ridurli ad icona: l’icona infatti consuma comunque risorse (hardware e visive) e questa soluzione potrebbe essere sfruttata per portare agli utenti di questo browser vari tipi di attacchi di tipo Denial Of Service (voglio vedervi a navigare quando il sito in questione vi ha aperto la milionesima finestra di popup…). Oltretutto, nel caso in cui il contenuto del popup venisse comunque scaricato e “randerizzato” (bisogna verificare), questo può portare all’esecuzione di apposite web-applications malevole all’interno del popup stesso, che oltretutto avrebbero il vantaggio di non essere direttamente visibili all’utente (che deve aprire il popup per vederle).
  • Stupisce inoltre, da un punto di vista della mera “sicurezza informatica”, l’assenza di un sistema atto a prevenire attacchi più “web oriented” come i Cross Site Scripting: dovendo riscrivere il browser ed il motore JavaScript, non avrebbe avuto senso progettarli già con in mente questo genere di funzionalità?
  • Curiosa anche la mancanza del supporto per i feed RSS (potevano almeno mandarli direttamente a Google Reader, in attesa che fosse implementata la funzionalità)… dimenticanza?

Politicamente parlando, l’evidente intento di Google è quello di contrastare “con maggior forza” l’arrivo di Internet Explorer 8, scendendo direttamente nell’arena in cui si gioca la grande partita chiamata “browser war”. Chrome si avvanteggerà dell’immensa pubblicità che deriva dal nome che spunta sul 91% delle ricerche fatte online, garantendosi una quota di mercato che potrebbe non andare ad intaccare la quota di mercato di Firefox, ma di Internet Explorer (versione 7 o 8 poco importa, anzi il cambio di piattaforma potrebbe facilitare ulteriormente questo aspetto).
Finanziariamente parlando, invece, Google rientrerà verosimilmente nei costi di sviluppo con l’immenso valore dei dati (anche solo aggregati) che otterrà dall’uso che gli utenti faranno del browser.
Oltre ad avere già una penetrazione massiccia nel web (si parla di valori superiori all’80% dei siti, contando i referrer), con l’introduzione di Chrome infatti Google potrà tracciare:

  • Ogni URL che digitate (anche se non battete “invio”): infatti la barra degli indirizzi completa automaticamente e suggerisce eventuali risultati delle ricerche, e questo non può essere fatto in altro modo che inviando la stringa in fase di digitazione a Google stesso.
  • Ogni sito che visitate, visto che il suo URL verrà filtrato dal sistema antiphishing (come già capita anche con altri browser in realtà) e quindi comunicato a Google
  • Ci sono poi le “statistiche”, che (per quel che ho capito) devono essere disabilitate appositamente dall’utente.

Bisognerà capire, leggendo le policy sulla privacy, quali usi Google potrà fare di questi dati, il cuo valore è (robadisco) incommensurabile. Mi aspetto molte novità, in questo senso, nei prossimi giorni.

Nel frattempo, un’altra occhiata approfondita andrebbe data alle condizioni di licenza (che tutti avranno letto prima di accettare, immagino), che tra le altre cose propongono cose tipo “licenze d’uso permanenti ed irrevocabili” dei contenuti inviati tramite il browser (punto 11). Qualche domanda anche sulla compatibilità della licenza di Google con le garanzie del software opensource, onestamente, mi sorge: cito dall’EULA:

10.2 L’utente non può (e non può consentire ad altri di) copiare, modificare, creare opere derivate, decodificare, decompilare o altrimenti tentare di estrarre il codice sorgente del Software o di qualsiasi parte dello stesso, salvo se espressamente consentito o richiesto per legge o se espressamente consentito da Google per iscritto.

Questo a monito di coloro che non leggono i contratti di licenza che accettano. Pare in ogni caso che dopo le numerose proteste ricevute nelle ultime ore, in Google stiano mettendo le mani (retroattivamente) proprio sull’EULA. Vedremo.

Indubbiamente, in ogni caso, Chrome darà una scossa al mercato, come per altro precisamente annunciato tra le loro intenzioni. L’obiettivo principale di Chrome sembrerebbe proprio essere quello di dare una “svolta” al web, trasformandolo nella più grande piattaforma applicativa mai esistita, fornendo tecnologia e supporto allo sviluppo delle web-applications attuali e future. L’enorme pubblicità che verrà fatta (anche involotariamente) a Chrome, potrebbe inoltre portare altri utenti del leader di mercato (Internet Explorer) a “valutare la possibilità” di cambiare browser (quale che sia poi la loro scelta definitiva); questo renderebbe più egualitaria e meno “monopolistica” la scena della “browser war”, costringendo anche i grandi player (Microsoft su tutti) a scendere al compromesso di un rispetto reale degli standard (ad esempio un Internet Explorer sotto il 50% del mercato potrebbe significare la vera e propria condanna degli script ActiveX, con grande gioia degli utilizzatori di sistemi operativi diversi da Windows).

Mi auguro che Chrome sia però, prima di tutto, origine di una scossa per Firefox, il cui sviluppo è costante ed intenso, ma potrebbe avvantaggiarsi di alcune idee proposte proprio dal browser di Google, che potrebbero portarlo ad un rapido (ulteriore) miglioramento delle prestazioni e delle funzionalità che offre, soprattutto in materia di sicurezza e protezione dei dati (Firefox non ha ad esempio, banalmente, la funzionalità di “navigazione anonima”).

Insomma, dal mio punto di vista, Chrome non diventerà forse il più usato browser della rete, ma potrebbe avere come effetto principale quello di dare una nuova, importante scossa al mondo dei browser web (proprio ora che Microsoft ha finito lo sviluppo di Internet Explorer 8, dannazione… :P)

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Microsoft e gli standard

PuzzleNon è la prima volta che mi trovo a parlare di Microsoft e di standard (e probabilmente non sarà l’ultima).

Il motivo, essenzialmente, è che in un mondo sempre più eterogeneo come quello dell’informatica gli standard acquisiscono di giorno in giorno crescente importanza e Microsoft, in quanto leader del mercato dei sistemi operativi, ne trae costante pressione da parte di sviluppatori, utenti, tecnici, aziende e via dicendo.
Da anni a Redmond vanno dichiarando di essere interessati ad aderire agli standard, a consentire la massima interoperabilità, ad aprirsi (per quanto il loro modello di business lo consenta)  su questo fronte. Da altrettanti anni però, i risultati restano piuttosto scarsini. Oddio, effettivamente Internet Explorer 7 rispetta qualche standard in più rispetto a Internet Explorer 6, ma Microsoft avrebbe potuto fare ben altro.

Invece, infischiandosene di dichiarazioni e “promise” fatte, in Microsoft hanno costantemente lottato per mantenere intatta la propria posizione di leader del mercato, agendo su più fronti contemporaneamente: il primo è certamente quello di gestire al meglio la propria base di installato, includendo Windows Media Player, Internet Explorer, Outlook Express e compagnia cantante nelle installazioni di default di Microsoft Windows, nonostante i ripetuti richiami dei garanti per la concorrenza (sopra tutti quello della Commissione Europea). Ogni volta che viene multata (e stavolta la Commissione ci è andata giù pesante) Microsoft dice di essere pentita, di non voler continuare la causa e concede qualcosa, salvo poi continuare bellamente sulla stessa linea.

L’altro fronte, indubbiamente, è quello degli standard internazionali, con particolare attenzione al processo di standardizzazione di OpenXML, il nuovo formato proprietario di Microsoft che è in corso di valutazione da parte dell’ISO attraverso una procedura di FastTrack (solitamente usata per rendere ufficialmente standard dei formati e protocolli che sono già largamente usati e condivisi, a differenza di OpenXML). Microsoft ha fatto letteralmente di tutto pur di ottenere la standardizzazione di OpenXML: ribaltato le specifiche del formato (che non è più neppure compatibile con quello implementato in Microsoft Office 2007), “comprato” voti, sfruttato punti deboli delle procedure dell’ISO (con una notevole dose di inventiva, devo ammettere), la quale alla vigilia del “ballot” finale, si trova nel mezzo di un fuoco incrociato di polemiche dovute alle procedure di voto e di ammissione al voto stesso di numerossisime aziende “microsoft partner” che si sono iscritte (finanziate da Microsoft, sospetto) solo per esprimere il proprio voto positivo su OpenXML, salvo poi ignorare qualsiasi dovere derivante dall’iscrizione ai comitati (ad esempio quello di seguire gli altri processi di standardizzazione in corso) bloccandone di fatto il lavoro (se non c’è il quorum non si va avanti, se nessuno vota non c’è il quorum).

Quest’ultima occasione per parlare di Microsoft e di standard, mi viene dal rilascio della beta della nuova versione di Internet Explorer, la “8”, che dovrebbe garantire un’alta adesione agli standard W3C (la base del web) al punto che il nuovo venuto nella famiglia dei browser di Redmond avrebbe già superato il rinomato Acid 2 Test.

Tralasciando il fatto che un test come l’Acid non può che essere uno degli indicatori da prendere in considerazione (posso scrivere anche io un browser che rispetti tutti i parametri dell’Acid, e nessun altro) e che la compatibilità reale con gli standard del W3C rimane tutta da dimostrare, e tralasciando il fatto che la fretta nel rilascio di Internet Explorer 8 (dovuta essenzialmente all’ormai prossimo rilascio di Firefox 3.0, che oltre a migliorare ulteriormente la già notevole compatibilità con gli standard web, ha recentemente introdotto il sistema PGO che lo renderà ancora più veloce) di certo non aiuterà Microsoft a fare tutti i test necessari per essere realmente sicuri di aderire (almeno in gran parte) agli standard che gli sviluppatori richiedono, c’è un dato significativo da segnalare: l’introduzione di WebSlices, un sistema che consentirebbe di “sottoscrivere contenuti” di una pagina web e ricevere aggiornamenti ogni qual volta questi contenuti cambiano. Non ho dubbi che le WebSlices di Microsoft saranno un’idea geniale ed innovativa, ma un dubbio mi sorge: non esiste già qualcosa di simile, è standard e si chiama RSS?

Firefox riprende a correre

La fine dello scorso anno non era stata ricca di soddisfazioni per la Mozilla Foundation: dopo il “balzo in avanti” della prima metà dell’anno, in cui le “quote di mercato” (relative all’Europa) di Firefox erano passate dal 23% al 27,4% di giugno, la percentuale di adozione del browser libero per eccellenza si erano stabilizzate, facendo marcare 27% ad ottobre (con un calo di 0,7% rispetto a settembre che fece levare non pochi mormorii).

Novembre e dicembre hanno invece fatto segnare un nuovo incremento sostanzioso della diffusione di Firefox, tanto che la cifra che Xiti Monitor indica per dicembre è del 28%, con un incremento di 0,7% rispetto a novembre. Tutto questo nonostante il (prevedibile) languire di “new features releases”, dato che la venuta di Firefox-3 è sempre più vicina.

Le quote guadagnate da Firefox sono sostanzialmente state perse da Internet Explorer, che nell’ultimo mese del 2007 ha fatto segnare un pesante -0.9%, assestandosi sul 66,1% delle visite raccolte da Xiti Monitor (un campione di 112018 siti web): il restante 0.2% è andato ad ingrassare il 3,3% del terzo browser per diffusione, Opera.

Come sempre, le cifre che Xiti Monitor fornise sono ben circostanziate e documentate. Particolarmente interessante è il grafico che riporta le diverse percentuali di diffusione di Firefox nelle varie nazioni europee e nei vari continenti del mondo.
Si (ri)scopre così che in Finlandia la diffusione di Firefox sfonda la soglia del 45%, che in Slovenia la manca per pochi decimali, in Polonia tocca quota 42,4%, in Slovacchia il 41,2%, Ungheria 40,3%, e via a seguire Estonia, Repubblica Ceca, Grecia, Germania, Romania. Solo 22a l’Italia con il suo modesto 21,7%.
Mi viene naturale chiedermi le motivazioni di questa distribuzione così ampiamente differente tra i vari paesi. Non si può neppure far ricorso alla classica esterofilia nordica che vorrebbe essere più tecnologicamente avanzati i paesi nordici rispetto a quelli latini, visto che Svezia (26%), Norvegia (19,7%) ed Inghilterra (17,2%), non brillano certo da questo punto di vista.

Altro dato particolarmente curioso riguarda la versione di Firefox e Internet Explorer rilevate: mentre l’adozione di Firefox-2 sul totale sfiora il 93%, solamente il 46% degli utenti di Internet Explorer utilizza l’ultima (e decisamente più sicura) versione, la 7, nonostante questa venga automaticamente installata in fase di aggiornamento da parte di Microsoft Windows (unico sistema operativo su cui d’altra parte gira IE6). Viene da chiedersi, a questo punto, se il restante 54% di utenti che ancora utilizzano Internet Explorer 6 siano semplicemente coloro che fanno un utilizzo “incoscente” di internet (e talmente sprovveduti da non aver aggiornato il sistema operativo da tempo immemore) mentre gli utilizzatori di Mozilla Firefox, costretti ad una scelta chiara e coscente nell’installazione di Firefox, abbiano poi maggior cura nel tenerne aggiornate le funzionalità.

IE? Peccato…

Dal fornitore di un nostro cliente:

from the beginning it is clear and has been informed very well, that the only browser we support is
Internet Explorer. With the Internet Explorer, we have no problems reported so far about incompatibility.

Ah beh, allora… alzo le mani… peccato…

Compatibilità sono due lettere…

La compatibilità tra browser diversi è uno dei problemi maggiori nei confronti dei quali gli sviluppatori di WebApps di devono confrontare quotidianamente. Un browser che implementa qualcosa, l’altro che no, o che la implementa diversamente. Necessità di codice customizzato, generato a partire da informazioni che non sono mai sicure… insomma, un vero casino.

Ma a volte, sarebbe sufficiente davvero un briciolo di buona volontà… Questa mattina siamo stati presso un grosso cliente a consegnare alcune macchine client GNU/Linux, basate su DSL ed equipaggiate con il browser SeaMonkey, che partono da una eprom flash su macchine fan-less.

Fatti i test previsti, constatato che tutto funziona correttamente, siamo andati da un altro cliente (da cui mi trovo tutt’ora). Dopo meno di 3 ore, chiamano dal grosso cliente dicendo che “qualcosa non funziona”.

Sotto la guida di uno di loro, riesco a raggiungere il form “html + javascript” su cui SeaMonkey tira le quoia. Firebug alla mano, scopro che il problema è un errore, legato ad una funzione che non esiste:

document.getElementById("IdName").click()

Fruga fruga fruga, scopro che “IdName” è un tag di tipo Anchor, e che l’implementazione del click su questi elementi non è standard, ma implementata da Microsoft Internet Explorer, eseguendo il contenuto della sezione “onClick” legata a quel tag. Ottimo. Splendido. L’applicazione non si può modificare (roba della casa madre), e quindi quella parte del sito non potrà essere utilizzata per lo scopo previsto (pare si possa farne a meno).

E sapete cosa sarebbe stato sufficiente fare per far funzionare il tutto sui due browser? Chiamare la funzione “onClick” invece che “click”…

Spiegatemi…

Probabilmente sono stanco, o stordito…
In queste ore si legge a destra e a manca la notizia che “Internet Explorer 7” ha già raggiunto i 100 milioni di downloads, passandola come un grande risultato da parte di Microsoft.

Ma che ci vuole a raccogliere 100 milioni di downloads, posto che IE7 è incluso tra gli aggiornamenti automatici dei sistemi WindowsXP? Non riesco a capire, sul serio!

Si parla di innovazioni nel “modo di vivere il web” (le tab?) o nell’interfaccia grafica (la quick-search con Google?). Si sta già addirittura parlando di IE8, che uscirà (forse) l’anno prossimo!

Boh… devo davvero essere rincoglionito…