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Ancora soldi pubblici per Alitalia

Money money money (ABBA)C’era da aspettarselo. La cordata italiana promessa per “dopo le elezioni” da Berlusconi non c’è (o non c’è mai stata?), in compenso c’è l’accordo con la “neo-opposizione” per gettare nel baratro della compagnia aerea di bandiera altri 100 milioni di euro.

Spiccioli, per carità, ma spiccioli che avrebbero potuto trovare una più indicata destinazione, in un periodo di crisi internazionale come quello che stiamo vivendo: suddividendoli in blocchi da 2000 euro e tramutandoli in sgravi fiscali avrebbero agevolmente aiutato quasi 50.000 famiglie, con un risparmio di 166 euro al mese: niente male no? E invece no: bisogna “salvare Malpensa” (qualcuno mi spiegherà cosa rischia Malpensa dal fallimento di Alitalia), costi quel che costi e quindi appare legittimo (a tutti) rubare altri 100 milioni dalle tasche degli italiani. Poi parlano di “governo ladro” riferendosi al governo Prodi…

Oltretutto l’ennesimo versamento di liquidi nelle ormai vuote casse di una compagnia in fallimento (voi prestereste soldi a qualcuno che sapete già li brucerà in un mese senza prospettive di rientro?) era stato già stigmatizzato settimane fa dall’Unione Europea, che ora tiene naturalmente “sotto la lente” la decisione presa.

Alitalia è stata usata, come da più parti già fatto notare, come bandiera in campagna elettorale; ora che, fuggito l’unico serio acquirente, AirFrance, non ha più alcuna alternativa concreta, viene abbandonata al suo destino.

Come già detto diverse volte negli ultimi giorni, “cominciano bene”…

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Come affondare la ricerca “dall’interno”

Objetivo 10x Leica La situazione della Ricerca in Italia è a dir poco disperata: è disperata sul lato dei finanziamenti pubblici (irrisori anche rispetto alle medie europee), certamente, ma a volte ci si tira davvero la zappa sui piedi. Questa mattina, andando al lavoro con la radio sintonizzata su Popolare Network, mi trovo ad ascoltare uno spot pubblicitario dell’Università Statale che chiede di dedicar loro il 5-per-mille, che termina come segue:

Lui: Ma questa è pubblicità?
Lei: Ma no, anche questa è ricerca: ricerca di fondi!

La freddura è già di per se di dubbio gusto (anche perché se una pubblicità deve far ridere, onestamente, ricorrerei a qualche esperto del settore…), ma purtroppo manda un messaggio assolutamente controproducente: vogliamo i soldi, i vostri soldi, tutti i soldi. Soprattutto perché poco prima, a domanda “ma poi la ricerca al fanno davvero” ci si milita ad affermare che “la Statale è ai primi posti in Europa”: fatemi capire, viene stilata una classifica annuale sulla base delle prestazioni podistiche dei ricercatori o usiamo parametri più oggettivi?

Naturalmente io non sono un pubblicitario, quindi probabilmente mi sbaglierò e questa si rivelerà “la trovata pubblicitaria del secolo”, ma per quel che mi riguarda non è così che otterranno il mio 5-per-mille

Italia.it: non hanno ancora capito…

Italia undergroundDa un’intervista di Altroconsumo a Enrico Paolini, si desume che Italia.it tornerà online. E forte, per altro, di nuovi (ingenti) fondi pubblici, che stavolta non verranno sperperati in schifido codice html, ma consegnati alle Regioni, che li dovrebbero usare (previa regolare gara d’appalto) per produrre i contenuti necessari al rilancio del portale. Al di la del fatto che l’uso della parola “appalto” in Italia viene sempre accompagnato da un forte odore di bruciato, questo sembrerebbe essere un notevole passo avanti: capire che il web sono contenuti e non strutture (per di più di dubbia qualità).

Quello però che ancora non si è capito, è il fatto che non si senta la necessità di un sito in cui una serie di realtà fanno autopromozione. Ci sono migliaia e migliaia di pagine web che sproloquiano a destra ed a sinistra delle italiche bellezze regionali: si sente proprio il bisogno di un’ennesima fonte (con la stessa autorevolezza peraltro)? Dove stà l’innovazione, ministro Nicolais? Non era forse meglio investire in uno strumento a disposizione dei turisti, che potesse semplificare loro la visita nel Bel Paese?

Speriamo di evitarci, almeno questa volta,  l’inglese del buon Rutelli…