Centodieci minuti, poco meno di 2 ore. Tanto è bastato a Paolo Sorrentino per mettere in scena il suo ultimo film. Ed io, dopo centodieci minuti di visione (per una volta senza l’italianissima interruzione a metà film), mi sono alzato in silenzio, ho sceso le scale che portavano all’uscita, composto il seguente messaggio
Regia e fotografia de “Il Divo” valgono il prezzo del biglietto.
e l’ho spedito a mio padre, perché so che questo film gli piacerà. E mi dispiace non averlo potuto vedere con lui, dopo aver condiviso film come “Amen“, “La stanza del figlio“, come “Caos calmo“, come tanti altri film ai quali, con mio grande rammarico, non si sono aggiunti “Gomorra” ed “Il Divo” che certo avrebbero meritato tanto onore.
Accertato ed appurato che non si tratta di un documentario sulla vita di Giulio Andreotti (pur a tratti non andando poi così lontano) e quindi senza la pretesa di raccontare con puntiglio e coerenza ogni aspetto delle vicende a lui collegate, de “Il Divo” rimane il capolavoro premiato con la “Palma della Giuria” al recente festival di Cannes. Un film forse caricaturale, che non va però confuso con il pur riuscito “Il Caimano” (non me ne voglia Moretti): fotografia splendida, regia perfetta, attori credibili e capaci (su tutti spicca un Toni Servillo a dir poco strabiliante).
Paolo Sorrentino dimostra con questo film (e conferma quanto già mostrato da Garrone con “Gomorra”) che il cinema italiano (quello serio, quello vero) non è morto ne tantomeno è rappresentato dal solo, bravissimo, Nanni Moretti.