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Armstrong torna in sella

Lance Armstrong.  7th Tour win.  Aix-en-trois domaines.  2005 Sono un appassionato di ciclismo ormai da diversi anni, a momenti alterni ho anche praticato, eppure quando ieri sera ho la notizia che Lance Armstrong intende tornare alle corse, con l’esplicito obiettivo di vincere un’altro Tour de France, mi ha lasciato piuttosto perplesso e disorientato, al punto che ho tentato di scrivere qualche riga ieri sera, ma alla fine ho deciso di rimandare e riflettere sulla questione ancora un po’.

Le considerazioni che posso fare, da parte mia, sulla questione sono le seguenti:

  • Armstrong ha lasciato il mondo del ciclismo da grande (seppur controverso) vincitore: ha lasciato dopo la vittoria del suo settimo Tour de France consecutivo, durante il quale non ha lasciato alcuna chance ai suoi diretti avversari, su tutti Ivan Basso, l’unico in grado di dargli del filo da torcere in un paio di circostanze.
    Come accaduto per altri sportivi illustri (da Shumacher a Jordan), lasciare da vincitori è un ottimo modo per essere sparati sull’Olimpo dello Sport, mentre il ritorno alle corse porta solitamente ad un nuovo confronto con i propri avversari ed espone al rischio della sconfitta sul campo. Vero è che Armstrong non si è mai lasciato scoraggiare da “fattori esterni” (è tornato alle corse anche dopo aver vinto la sua personale lotta al cancro), vero è che negli ultimi anni si è dimostrato un campione “di testa” prima ancora che “di gambe”, con capacità di comprensione e lettura della gara superiori alla media, vero è che la motivazione che lo porta a questa scelta (il riportare l’attenzione pubblica sulla lotta al cancro) deve essere piuttosto importante. Verò è, però, che mi sembra un azzardo…
  • Armstrong è da sempre stato sottoposto a pesanti polemiche: un po’ perché si guarda sempre con sospetto al vincitore (soprattutto se vince sette Tour consecutivi), un po’ per via di alcune “deroghe” che pare l’UCI gli abbia concesso relativamente alla cura ed alla prevenzione del cancro che lo ha colpito.
    E’ stato accusato a più riprese di fare ricorso a tecniche dopanti e seppur non sia mai stato trovato positivo, il fatto che tecnici, medici, meccanici e compagni di squadra abbiano a più riprese confessato queste pratiche, qualche dubbio anche sul suo conto rimane. Per questo motivo, al momento del suo ritiro, alcuni (tra cui il sottoscritto) avevano tirato un sospiro di sollievo, convinti che questo mettesse una pietra sopra una stagione del ciclismo e su parte delle polemiche sollevate nei suoi confronti.
    Paradossalmente, Amrstrong torna proprio nel momento in cui la lotta al doping sembra cominciare a sortire i primi effetti; nell’ultimo anno sono molti i corridori anche di primissimo piano (non dimentichiamo Sella e Riccò) che sono stati trovati positivi ad alcune pratiche dopanti: si può discutere dei test, dei risultati, dei complitti, dopodiché molti corridori hanno confessato e stanno pagando per le loro scelte, segno (speriamo) che il ciclismo sta lentamente cambiando, sotto questo aspetto.
    Proprio su questo aspetto, Armstrong è stato piuttosto esplicito nella sua conferenza stampa, annunciando che si sottoporrà ad una serie di test ed esami e che tutto l’operato sarà gestito con la massima trasparenza nei confronti della stampa sportiva: da trascinatore e uomo di spettacolo qual’è, possibile che finisca addirittura con il contribuire alla lotta al doping, lui che è tra i grandi protagonisti sportivi di quelli che verranno ricordati come “gli anni del doping”?
  • Sportivamente parlando, il rientro di Armstrong alle corse costituisce un precedente importante: l’età di Armstrong (a cui già facevo riferimento) non ha solo condizionato la sua carriera, ma anche quella degli altri corridori, più o meno giovani, che hanno avuto la (s)fortuna di correre nella sua ombra, rischiando di non trovare mai lo spazio per emergere, schiacciati dalla potenza del gigante. Quando l’americano si ritirò, qualche anno fà, si disse che era la grande chance per Basso e Ullrich, per Valverde e Sastre, per tutti i giovani corridori che erano cresciuti nell’ombra, di dimostrare il loro valore. Con il senno di poi, Basso ha perso due anni per via dell’Operation Puerto, la stessa che ha portato al ritiro di Ullrich dalle competizioni; Valverde si è rivelato in tutta la sua fragilità fisica, perdendo malamente l’occasione di fare suoi i due ultimi Tour. Molti altri corridori si sono sgonfiati come neve al sole, al punto che nell’albo d’oro del Tour de France appaiono ora (senza nulla togliere) corridori come Oscar Pereiro Sio, vincitore grazie ad una “fuga bidone” durante la quale gli donarono qualcosa come 32 minuti. Armstrong insomma, sembrava essere colui che impediva la crescita dei giovani ed invece oggi torna a colmare un vuoto: dovrebbe essere uno spunto per un’attenta riflessione sul ricambio generazionale nel ciclismo moderno…

Maggiori dettagli (ad esempio con quale squadra intende correre), saranno diffusi solo il 24 settembre, giorno della conferenza stampa in cui Armstrong svelerà i suoi programmi: un altro colpo di teatro, attendendo il quale, in fin dei conti, non posso che rallegrarmi di fronte all’immagine dello scossone che sconvolgerà il ciclismo. Speriamo solo che non sia la “spallata finale”…

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Quando si sfiora l’assurdo

Pinarello Sono favorevole alla lotta al doping. Ci mancherebbe altro, non mettetelo nemmeno in discussione. Ne ho scritto e riscritto, mi sono incazzato ed indignato, a volte ho pure provato a dare qualche suggerimento (senza naturalmente sperare che qualcuno leggesse).
Ma essere a favorevole alla lotta al doping non significa non guardare in faccia la realtà.

Lunedi sera (alle ore 23:00 circa) Damiano Cunego e Alessandro Ballan, due dei nostri più promettenti campioni, in ritiro con la squadra (la Lampre) a San Vincenzo di Livorno, si sono visti piovere i mitici “controlli a sorpresa” del Coni. E fin qui, tutto molto bello e lodevole: i controlli a sorpresa sono importanti tanto quanto quelli prima e dopo le gare. Peccato che i due corridori non fossero in albergo, nel momento in cui sono arrivati gli ispettori, ma al ristorante, non molto distante dall’albergo, così che a Ballan e Cunego è stata contestata l’infrazione della regola della reperibilità, che prevede che ogni corridore segnali i propri spostamenti, in modo che gli ispettori sappiano eventualmente dove trovarlo per poter effettuare i controlli, ed ora rischiano un deferimento da tre mesi ad un anno.
A me sembra onestamente assurdo: si deve segnalare quando si esce per andare al ristorante? E quando si va al cesso no? Oppure quando si respira! Si! Raccomandata con ricevuta di ritorno! Eddai… non è tollerabile una cosa del genere…

Oltretutto, controlli che vengono fatti dalle 23:00 in poi (in questo caso si sono conclusi ben oltre le 3:00 di notte): che senso ha? Non sanno forse che il sonno è fondamentale per un atleta in fase di preparazione (figuriamoci durante le gare)? Sento dire (ne parlavano su radio rai questa sera) che secondo qualcuno dopo certi orari certe sostanze sarebbero “più facilmente reperibili”: perchè se il controllo lo fanno la mattina quando i corridori si alzano, non è la stessa cosa?

Per la lotta al doping si cerca di giustificare qualsiasi cosa: test del dna, orari assurdi, pretese di reperibilità fuori da ogni logica, ma è ora di tornare con i piedi per terra ed agire nell’interesse del ciclismo, non secondo le paranoie della wada…

Antidoping sottopelle

Orlando Corrado, questo pomeriggio, mi chiedeva un commento su questa notizia: dice che la mia opinione è interessante, in questo caso, perché il mio spirito lotta tra la voglia di uno sport pulito (in particolare il ciclismo) e la necessità del rispetto della privacy. Ci ha preso in pieno naturalmente. Ho dovuto pensarci un po’ su, ma alla fine quello che ho da dire sull’argomento si riassume abbastanza semplicemente in due aspetti principali:

1. L’importanza della proposta

Al di la delle valutazioni tecniche sulla proposta in sé, uno dei punti chiave della notizia è che la proposta viene da una sportiva, ed è caldeggiata da altri sportivi. Non è un fatto nuovo, in sé, ma indica (o conferma) una tendenza molto positiva: sono gli atleti stessi a voler prendere in mano la situazione, farsi carico del problema, cercare di trovargli una soluzione.

Mi auguro che un atteggiamento simile possa essere ben presto presente in tutti gli sport (ciclismo compreso, anche se finora gli atleti non sono neppure riusciti ad esprimere unitariamente la propria posizione), perché sono gli sportivi a fare lo sport, e solo loro possono incidere realmente sulla sua natura.

2. L’efficacia della proposta

Le cose che mi convincono poco, nella proposta di Carolina Kluft, sono due: non ho capito che genere di chip vorrebbe impiantare sottopelle agli atleti (suppongo un gps, ma forse non ha idea del funzionamento e delle dimensioni di un ricevitore gps), e non ho capito, nel caso del ricevitore gps da portare “sempre con se”, come interenderebbe convincere gli atleti intenzionati a doparsi a portarsi dietro il ricevitore in quelle occasioni…

Inoltre c’è la (ovvia) questione della privacy. Gli atleti non sono delle cavie, e non vivono per essere controllati. Come in tutte le cose, è giusto trovare il miglior compromesso: niente test del DNA, ma disponibilità (prevista per legge) a sottoporsi ad adeguati esami in caso di dubbi, segnalazione dei propri spostamenti alle autorità antidoping (cosi come avviene ora) ma niente sonda gps su per il c…

Il problema di base, qui, non è la tecnologia, ma l’etica: come in tutti gli altri campi, al malintenzionato è sufficiente trovare un punto debole per vincere il sistema, mentre al sistema è necessario tenere sotto controllo ogni dettaglio.

Per vincere il doping è necessario intervenire con l’etica sportiva sin dalle categorie giovanili (magari anche a livello sociale): le misure tecnologiche, anche molto efficaci, saranno sempre aggirate (fatta la legge…).

Cos’è essere antisportivi?

Ciclismo Il doping è certamente una grande piaga, per lo sport. Nel ciclismo in particolare, dove è un fenomeno che hai fatti è (o è stato, non importa) piuttosto diffuso. Tralasciando il fatto che anche gli altri sport sono infestati dalle pratiche dopanti ne più ne meno del ciclismo (e paradossalmente proprio l’inchiesta Puerto ne ha dato chiari ed evidenti segnali), vale la pena far notare come il doping non sia una pratica antisportiva proprio proprio comoda: un ciclista che assume doping non ottiene risultati incredibili cosi, senza muovere un dito (anche perché altrimenti sarebbe molto più semplice identificarli, no?); un classico uso del doping è quello fatto durante gli allenamenti, al fine di ridurre la sensazione di fatica e potersi allenare di più. I ciclisti che si dopano quindi, non fanno meno fatica, anzi!

Questa non vuole certo essere una giustificazione, intendiamoci, voglio solo sfatare qualche mito: il doping è una pratica illegale ed antisportiva, da combattere con tutti i (ragionevoli) mezzi che la scienza e la tecnologia ci mettono a disposizione. Il ciclismo resta però da anni ormai nell’occhio del ciclone: ogni qual volta si scoprono nuovi retroscena su qualche vicenda legata al doping (e quasi sempre solo quando è legata anche al mondo del ciclismo) vengono riaperti i pozzi neri e dato fiato alle trombe, creando lo scandalo.

Non solo questo non avviene quando non è il ciclismo ad essere coinvolto (quante grandi testate giornalistiche hanno riportato la notizia che un paio di intere squadre calcistiche spagnole erano servite dallo stesso medico Fuentes al quale si rivolgevano alcuni ciclisti?), ma soprattutto non avviene quando non si parla di doping.

Infatti recentemente è saltato fuori che molte importanti partite di calcio siano state truccate in un giro di scommesse. La notizia si è guadagnata un paio di trafiletti qua e la, poi è stata dimenticata. Altro che calciopoli (anche li, cos’è cambiato a parte “l’allontanamento” di Moggi?), altro che “scandalo doping nel ciclismo” (dove tra parentesi qualcosa sta cambiando, apparentemente): con l’Italia campione del mondo, di certe cose non si può proprio parlare…

Io mi chiedo lo stesso però: cos’è oggi essere antisportivi? Sicuramente lo è darsi la possibilità di farsi un culo doppio del normale, attentando alla propria salute psicofisica. Ma non lo è anche comprare (o lasciar comprare…) partite di calcio? Non lo è forse ancora di più?

“Siamo tutti mafiosi”

Durante un’intervista rilasciata venerdi alla televisione danese, il presidente della Unione Ciclistica Internazionale (UCI), ha usato parole alquanto discutibili per definire la diversa posizione del suo organismo rispetto alle federazioni nazionali, in materia di Doping:

“E’ in corso uno scontro tra due culture, quella anglosassone e quella che potrei chiamare la cultura mafiosa dell’europa dell’ovest, la quale non dico che condoni il doping, ma per via della loro cultura nella vita, per via di tutto quello con cui si devono confrontare nella vita di tutti i giorni, accetta certe pratiche.”

Non trovo nemmeno le parole per commentare queste affermazioni.
Una volta cercavo di non schierarmi, nella querelle tra Grandi Giri e UCI. Ora l’UCI sta facendo un harakiri di quelli spaventosi, e mi sento personalmente offeso, in quanto italiano, dalle parole di McQuaid, parole che ancora meno mi sarei aspettato da una persona che riveste una simile carica.

La cultura mafiosa, che il povero Pat conosce cosi male, è proprio quella che lui sta mettendo in pratica. Una situazione di potere dominante, senza possibilità di appello, e il tentativo di eliminare tutti i nemici che gli si parano davanti (rappresentanti fatti “sparire” e sostituiti con altri piu accondiscendenti, dice nulla?).

Oltretutto nell’articolo linkato, McQuaid appare come “il paladino della lotta al doping” in Europa, che deve lottare contro le federazioni nazionali che (citando in particolare quella italiana relativamente al caso Ivan Basso) rimettono in circolazione ciclisti accusati di pratiche dopanti.
Peccato che le accuse si sono rivelate infondante, ed a deciderlo non è stata ne l’UCI (sia mai!) ne la federazione italiana, ma la procura antidoping del CONI, Comitato Olimpico.
L’UCI si era limitata a far sospendere i corridori dai relativi team (eh no, non li ha sospesi l’UCI…), e poi a chiedere alle federazioni nazionali di condurre le indagini. Quando però il CONI ha archiviato il caso di Basso in quanto “non sussiste”, ecco che l’UCI ha chiesto alla FCI di non riammettere il corridore, in quanto si trovava in disaccordo con la decisione del CONI.
La FCI, anche in relazione alle leggi vigenti in Italia, ha invece provveduto a restituire ad Ivan il diritto di correre ed allenarsi, scatenando, a quanto pare, l’ira della federazione internazionale che per bocca del proprio presidente ha cosi replicato.

Non da meno, va detto che nello scandalo dell’Operation Puerto non ci sono finti solo ciclisti, ma anche rappresentanti di altri sport: tanto per citare qualcuno, sono circolate voci di un coinvolgimento di calciatori di Real Madrid, Barcellona e Valencia.

Mentre i mass media si sono potuti buttare a capofitto contro la carcassa putrida del ciclismo, in cui i team altro non hanno fatto che prendere le distanze e sospendere i propri corridori che parevano coinvolti nello scandalo (salvo poi rivelarsi innocenti, come nel caso di Ivan Basso), da parte delle squadre calcistiche nominate è venuta una corale alzata di scudi, con minacce di querele a chiunque avesse portato accuse non suffragate da adeguate prove.

Cosi si fa, cosi si agisce. Il regolamento antidoping nel ciclismo è probabilmente quello piu avanzato di tutti gli sport, proprio per via della grande diffusione delle pratiche dopanti di qualche anno fa: addirittura si è arrivati, questo inverno, a chiedere per contratto ai corridori la possibilità di effettuare controlli del DNA su di loro (cosa che non mi trova in alcun modo d’accordo). Nonostante questo, il ciclismo continua ad agire con estremo masochismo ogni qual volta si affronti questo argomento, come quanto successo alla vigilia del Tour de France 2006 dimostra ampiamente.
La piaga del doping non riguarda solo il ciclismo, ma tutto lo sport in generale. Peccato che negli altri sport le regole siano un po meno chiare, e lascino quindi maggiori margini di manovra.

“L’approccio anglosassone invece, che dovrebbe esserci qui in Olanda, è quello della Germania, del Regno Unito, della Danimarca, che è diametralmente opposto.
Questi paesi hanno anche un approccio completamente differente alla lotta al doping, e questo viene reso evidente l’approccio che i team (in particolare quelli tedeschi) hanno avuto ai fatti di Luglio, da come si sono mossi, guardando il futuro, da come si sono mossi in avanti nel futuro”

Qui vale la pena dare un piccolo chiarimento, visto che le parole di McQuaid sono piuttosto criptiche: quello a cui il presidente dell’UCI fa riferimento, è il coinvolgimento, nello stesso scandalo dell’Operation Puerto, esploso alla vigilia del Tour de France 2006, nel mese di Luglio, del corridore tedesco Jan Ullrich, uno dei due (insieme a Ivan Basso) grandi favoriti per la conquista della corsa a tappe piu importante d’Europa, in quel momento in forze al team tedesco “T-Mobile”, che ha immediatamente provveduto a sospendelo, ed in seguito a licenziarlo (nonostante alcuna federazione si sia ancora pronunciata in merito alla reale colpevolezza del ragazzone tedesco).

Nessun accenno, tra l’altro, ai ritardi nella consegna del materiale da parte della stessa UCI, che ha reso ancora piu lungo e difficoltoso il già delicato lavoro del CONI in Italia. Ivan Basso però, è già stato scagionato durante l’autunno, ed ha ripreso ad allenarsi con il suo nuovo Team (la Discovery Channel che fu di Lance Armstrong e della quale il corridore americano è ancora parte integrante in veste di dirigente), mentre Jan Ullrich è ancora sospeso in un limbo di incertezze, con l’inizio della nuova stagione che si avvicina rapidamente.

“Ed è importante, penso, è molto importante che alla fine l’approccio anglosassone ne emerga vincitore, perchè in caso contrario, lo sport sarà condannato.”

Con queste parole McQuaid conclude l’intervista. Io con parole simili concludo questo mio sfogo: è importante, penso, molto importante, che le federazioni nazionali riprendano in mano le redini del ciclismo, nel rispetto dei corridori e delle squadre, degli investimenti degli sponsor e nello spirito del ciclismo, non in quello dei denari che l’UCI vorrebbe. Obiettivo dell’UCI è quello di gestire il ciclismo come viene gestita la Formula 1, con l’obiettivo di dare spettacolo, rendendo il ciclismo simile al Wrestling. Questa va assolutamente evitato, e per ottenere questo risultato è importante che i corridori stessi si uniscano in un organo realmente rappresentativo, che possa far valere la loro voce, che i Grandi Giri non mollino la presa (anche se guidati da interessi soprattutto economici), che le Federazioni Nazionali si facciano carico della gestione del ciclismo in se.
Se cosi non sarà, allora si, il ciclismo sarà condannato.