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Di “feed” e contenuti

DopoNatale Quella dei feed “parziali” o “totali” è una annosa questione, affrontata diverse volte e da numerosi punti di vista.
Da lettore di feed rss, sicuramente posso dire di non apprezzare i feed parziali: costringono il lettore a dover necessariamente visitare il sito in questione per poter fruire del contenuto con non poco fastidio. Quando mi capita di trovarmi di fronte ad un comportamento simile, solitamente storco il naso, e non è la prima volta che elimino il feed dall’aggregatore (a meno che non abbia un interesse davvero notevole).

I vantaggi del feed parziale, invece, sono soprattutto un paio: da un lato massimizzano il numero di visite al sito web (che normalmente vengono invece suddivise tra “fruitori del feed” e “visitatori”, con il problema di capire effettivamente quale quota parte di questi due insiemi vadano poi a coincidere) e quindi le rivenute finanziarie, nel caso in cui il sito sia dotato di un qualche tipo di pubblicità. Dall’altro lato, i feed parziali impediscono il “furto” di contenuti, come è capitato diverse volte (anche piuttosto di recente) a questo blog. I contenuti pubblicati con queste pagine sono naturalmente rilasciati sotto licenza Creative Commons, ma la clausula di attribuzione andrebbe rispettata (ad esempio, le foto che da Flickr pubblico a corollario dei miei post, linkano sempre la pagina di colui che ha scattato quella foto).

Come al solito, la linea di confine si pone tra coloro che vogliono usufruire di un “servizio” che trovano comodo, e coloro che di questo servizio cercano di approfittare (molto “italica” come impostazione, eh?).
La mia scelta è stata già ponderata (ed è quella di rimanere con i feed completi), ma la questione deve portare ad analizzare la ben più complicata questione della fruizione dei contenuti di questo mondo (quello di internet), l’aspetto che il “web 2.0” sta cambiando con maggiore radicalità.

I contenuti sono sicuramente “il prodotto” del web: ne possiamo usufruire in vari modi (dai feed rss, dal sito…), ma sono certamente l’aspetto trainante di questo nuovo media.
La trasposizione di questo valore nel mondo reale è nella maggior parte dei casi veicolata da inserzioni pubblicitarie vendute sulle pagine che i contenuti li ospitano: Adsense di Google o quale altro prodotto venga usato, è da li che vengono i ricavi maggiori, e proprio Google, che di questo modello di business è il maggior interprete (se non pioniere), ci dimostra quanto possa diventare proficuo.
La pubblicità online può essere veicolata in modi diversi: quelli fastidiosi (popup, banner rumorosi…) che vanno ad irritare il visitatore e sono sempre più in decrescita, e quelli più sobri (le sobrie inserzioni di Adsense ne sono sicuramente uno dei migliori esempi). Negli anni dei popup però, gli utenti hanno cominciato a sviluppare una certa avversione verso la pubblicità online, e proprio questa avversione ha portato al diffondersi di strumenti quali i popup-blocker o gli anti-banner (AdBlock ad esempio), che hanno conseguenze non irrilevanti sull’economia dei blogger: tutti (o quasi) i mezzi di pubblicità online richiedono infatti il click del visitatore affinché il pubblicatore dei contenuti (il blogger, in questo caso) veda l’ombra di un quattrino. L’uso di strumenti di questo tipo rappresenta un duro attacco a questa forma di business online, che potrebbe riflettersi, con l’evolvere del mondo dei contenuti online, in un rallentamento della crescita in qualità, o comunque nella sua minore accelerazione: se guadagno dai miei post, sono incentivato ad aumentarne la qualità e la frequenza, se invece devo farlo “a gratis”, il tutto assume una dimensione ben diversa.

La percentuale di utenti che cliccano il banner pubblicitario è (e deve essere) un problema dell’inserzionista e del responsabile dei contenuti pubblicati, e non del visitatore che invece viene coccolato da questo nuovo genere di interazione pubblicitaria: sfrutti un servizio e se sei interessato trovi anche della pubblicità, altrimenti sei libero di sfruttare il servizio infischiandotene delle inserzioni pubblicitarie (decisamente diverso rispetto all’invadente messaggio promozionale nella sua accezione televisiva o radiofonica); è però necessaria anche da parte dei visitatori (di noi fruitori del media) una riflessione sulla sostenibilità che “erodiamo” con l’uso di certi strumenti, e delle conseguenze che queste nostre azioni possono avere a medio e lungo termine.

Internet non è più (solo) un gioco, e anche noi fruitori del media giochiamo un ruolo importante nella sua economia. Pensiamoci.

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La musica “degradata”

16gb ipod touch Mi fa sorridere l’articolo di Repubblica di qualche giorno fa’ (si, lo so, sono sempre più in ritardo, che ci devo fare…) che riporta le dichiarazioni dell’avvocato Monti il quale fa notare come la “nuova legge sul diritto d’autore” prenda una cantonata (rispetto a quella precedente quantomeno) che fa dubitare addirittura che il provvedimento sia voluto:

È consentita la libera pubblicazione attraverso la rete internet, a titolo gratuito, di immagini e musiche a bassa risoluzione o degradate, per uso didattico o scientifico e solo nel caso in cui tale utilizzo non sia a scopo di lucro

L’articolo fa presente come, essendo un mp3 (ma vale anche per i jpeg, ad esempio) un file compresso (in quanto taglia ad esempio le frequenze non o difficilmente udibili dall’orecchio umano) e quindi degradato, questo rientri a tutti gli effetti nei limiti della legge, che attende solo un decreto attuativo per essere applicata. Inutile dire che ci si precipiterà a modificare questo passaggio della legge, soprattutto se al governo dovesse (malauguratamente) finirci il nostro buon Silvio Berlusconi (ma questa è un’altra storia).

Tenendo ben presente che si tratta solo di uno stralcio (e quindi maggiori informazioni potrebbero essere disponibili nelle righe precedenti o successive, che non ne competenze ne voglia ne tempo di leggere) c’è un aspetto che proprio non mi convince: questo stralcio di legge vieta di fatto ai possessori di un’opera coperta da copyright (e quindi qualsiasi opera), di pubblicare il proprio materiale, a titolo gratuito, sul web? Quindi niente Creative Commons (che proprio sui diritti garantiti dal diritto d’autore si basano), niente “pubblicità via mp3 e guadagno con i concerti”? Leggo molti gioire per questo “errore del legislatore”, a me sembra un’altro esempio (ovviamente estrapolando da queste due righe, quindi sicuramente mi sbaglierò) di una legge pensata male e scritta peggio

Inoltre, siamo d’accordo che la libera diffusione delle opere dell’ingegno sia fondamentale per la crescita culturale dell’essere umano. Il mio dubbio però, è sull’attribuzione: se io faccio un lavoro, spendo fatica (un esempio banale: le slides disponibili su questo blog), questa legge consente a chiunque di prenderle e mandarle in giro, senza necessariamente citare la fonte (nonostante sia esplicitamente richiesto dalla licenza Creative Commons ivi applicata). Siamo così convinti che la “libera diffusione”, nel senso di “svincolata da qualsiasi regola” sia un bene, per l’umanità e gli esseri umani? La meritocrazia va quindi a farsi benedire?

D’accordo quanto volete contro i brevetti (di qualsiasi genere siano), ma sul copyright bisogna fare molta attenzione…