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Del coraggio dell’andare via

Ieri un amico mi definiva “coraggioso” per la scelta di lasciare il lavoro in Italia e buttarmi a capofitto nella nuova avventura Irlandese. Come rispondevo a lui, è stato tutto così rapido ed inatteso che non ho realmente preso coscienza di cosa stavo facendo se non negli ultimissimi giorni prima della partenza stessa, quando in ogni caso non avrei comunque più potuto tornare indietro.

Ciò detto però, mi offre lo spunto per condividere con voi un paio di riflessioni che ho maturato in questo periodo.

Venire a vivere in Irlanda nel 2012, nel contesto in cui mi sono mosso io, è tutto sommato una questione abbastanza semplice. L’Irlanda fa parte dell’Unione Europea (Schengen in questo caso fa poco testo), adotta l’euro, ha abbandonato l’uso delle “pertiche al semimese” (cit) per le unità metrico-decimali già parecchi anni fa, io conosco l’inglese ad un livello sufficiente a farmi capire efficacemente al lavoro ed a poter comunicare con gli Irlandesi (sebbene con qualche difficoltà in certi particolari contesti :P). Il diffondersi poi delle linee aeree “low cost” inoltre, rende Dublino una città situata ad “un paio d’ore” di distanza da ciò che lascio, Milano, ed a prezzi assolutamente accettabili; se mi fossi trasferito a Bologna, o Firenze, non sarebbe sostanzialmente cambiato granché da questo punto di vista. Infine, ed è un punto da non sottovalutare, non ho figli a carico e questo rende chiaramente tutto più facile. Ci vuole dunque ben poco coraggio ad intraprendere questa strada, avendo alle spalle queste prerogative.

Ammiro invece i miei genitori, che una scelta analoga la presero nel lontano 1996, trasferendosi a Lussemburgo in un contesto completamente diverso. Le compagnie aeree non erano così economiche, il francese una lingua da imparare, l’Unione Europea molto meno coesa ed armonizzata di quanto non lo sia oggi (e no, l’Euro non c’era). L’hanno fatto con due figli a carico, allontanandosi di oltre 9 ore di strada dalla città dove avevano fino a quel punto vissuto e dove lasciavano i parenti.

Ammiro inoltre la mia mogliettina, che lascia il lavoro, gli amici e una lingua nota per seguirmi in un’avventura che tutto sommato (benché in modo condiviso) ho scelto io.

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PD: ritorno a nuova vita?

Il Partito Democratico torna a nuova vita. Lo fa “in sordina” (come prevedibile, forse), ma i segnali ci sono e sono positivi, cominciando dalla presenza del segretario Bersani ad AnnoZero (Berlusconi non c’è mai andato, che io sappia). Si tratta di per se di un atto coraggioso: esporsi alle critiche di cinque giornalisti (e non parliamo di Minzolini, ma di gente come Travaglio…), in una fase politica e partitica delicata come quella che il Partito Democratico sta attraversando, non è certo cosa semplice. Ad AnnoZero, Bersani ha saputo uscire a testa alta: persino lo stesso Travaglio, solitamente critico, in un post di questa mattina ne lodava il coraggio (sebbene con il suo stile caratteristico).
Bersani ha rivendicato la politica di opposizione del Partito, portando azioni concrete condotte soprattutto nell’ultimo periodo (e non solo le solite parole d’intento): ha rivendicato la sconfitta del Governo sulla questione dell’arbitrato (importantissima, ha ragione Bersani), le proposte fatte sul tema del lavoro e sistematicamente respinte del Parlamento e via discorrendo.
Bersani si è arrabbiato, infervorato (sempre senza nascondere i limiti di questo Partito), a tratti emozionato: si vede che ci tiene, e la passione è (e non può essere altrimenti) alla base di qualsiasi azione efficace politica.

Questa apparizione televisiva di Bersani prosegue nel solco cominciato con la campagna per le “10 parole chiave per il 2011”. Ne ho lette di tutti i colori contro q1uesta iniziativa, e mi sono chiesto ogni volta quanto costruttivo possa essere criticare a spron battuto una (prima, naturalmente) iniziativa costruttiva ed orizzontale come quella che il Partito Democratico sta portando in campo, a tratti “rivoluzionaria”, quasi quanto lo fu l’istituzione delle primarie (per quanto poi poco praticata sia stata).
Fatemi capire: prima li si critica perché non parlano, non si oppongono, non discutono; poi li si critica perché parlano, perché discutono? Mi sembra un atteggiamento molto tafazziano, fino a pochi giorni fa avrei detto quasi “piddino”.
Invece no: osservo dall’interno il Partito Democratico da alcuni mesi. Ci ho trovato gente motivata, che ci crede, giovani e non. Ci ho trovato interesse, passione, cultura, arrabbiature. Ci ho trovato naturalmente correnti, scissioni, cose che non funzionano, opinioni divergenti. Ma ultimamente ci ho trovato un barlume di luce, una presa di coscienza dei limiti e un’assunzione di responsabilità (da parte di tutti, dalla base alla dirigenza) per comprendere questi limiti e superarli. Superando feroci divisioni interne, il Partito si sta persino schierando apertamente in favore dell’acqua pubblica, partecipando (dove possibile) e sostenendo la campagna di raccolta firme per il referendum, nonostante questo vada poi ad eliminare articoli che proprio il Governo Prodi aveva presentato (e che sono poi il motivo per cui Italia Dei Valori presenta una sua campagna referendaria separata ed incompatibile con il Forum…).

L’atteggiamento è (finalmente) quello buono, il punto di partenza è quello che ci si può permettere, per quanto poco esaltante possa essere.
Il Partito Democratico chiede fiducia: sinistra italiana, siamo pronti a dargliela?