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E la privacy?

MacBook keyboard Voglio fare un appello al garante per la privacy ed ai sindacati dei lavoratori, perché la situazione italiana sulla privacy sta assumendo caratteristiche davvero da terzo mondo.
Apprendo oggi da Punto-Informatico che una recente sentenza della Corte di Cassazione legittimerebbe i dirigenti aziendali ad accedere a tutti i dati presenti sui computer affidati ai dipendenti per lo svolgimento del proprio lavoro.

Che si possa definire che un computer aziendale debba essere utilizzato solo ed esclusivamente per i fini lavorativi, è una cosa che potrebbe anche funzionare (a patto che vengano definite policy aziendali a questo fine, non che sia “lasciato intendere” in quanto “prassi comune”), anche se avrei da ridire sulla qualità del lavoro in questo caso.
Questo naturalmente porta gli utenti a non usare il computer aziendale per posta elettronica privata, navigazione in internet per motivi extra-lavorativi, niente chat. E fin qui è ancora tutto quasi accettabile.

Quello che però alla Corte di Cassazione evidentemente sfugge, è la quantità di dati personali che si possono raccogliere anche al di fuori degli usi classici delle applicazioni.  L’assenza di una policy aziendale chiara per l’uso del pc aziendale (e la sua messa in opera fisica, tramite adeguata configurazione delle apparecchiature di rete e dei server) porta alla possibilità di abusi sui dati personali degli utenti (al di la delle mere email e storico dei siti visitati), che non sono assolutamente tollerabili.

Non è possibile (giustamente) filmare i dipendenti sul posto di lavoro, perché dovrebbe essere consentito controllare i dati immagazzinati nei loro computer?

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Giustizia per Kassim

kassim-britel.jpgA maggio del 2002 Abou Elkassim Britel, cittadino italiano, è stato ammanettato, incappucciato, denudato e (incatenato e vestito di un pannolino) caricato a forza su uno dei “voli segreti” della CIA, che lo ha portato dal Pakistan in Marocco, dove è stato rinchiuso in un carcere e ripetutamente torturato.
Liberato un anno dopo, senza accuse, si apprestava a rientrare in Italia, dalla moglie Khadija, quando è stato nuovamente rapito e fatto sparire (stavolta complici i nostri servizi segreti), dando il via ad altri 4 mesi di detenzione, violenze e torture. Il processo per “terrorismo” subito in Marocco, senza alcuna forma di garanzia legale, lo ha visto condannare dapprima a 15, poi a 9 anni di carcere, pena che sta attualmente scondando a Casablanca, e che terminerà nel 2012.

Dal 16 novembre, non più disposto a tollerare la situazione nella quale è stato calato, Kassim ha cominciato uno sciopero della fame, che dura ancora oggi.

L’indagine italiana parallela a quella marocchina, è stata archiviata perchè “il fatto non sussiste”. Il Parlamento Europeo ha sollecitato il governo italiano a prendere misure concrete su questo versante, ma il Governo Italiano (sia quello precedente che quello attuale) tace spudoratamente.

Cosi come, sulla vicenda, tacciono spudoratamente (e colpevolmente, secondo me) anche la stragrande maggioranza dei mass media. Questo spazio non sarà il Corriere della Sera, ma è un inizio: è un modo per rendere, almeno una volta, realmente utile questo misero blog.

Giustizia per Kassim!