Già tre giorni fa avevo scritto della vicenda che vede coinvolta quella donna di Napoli che si è vista piombare in camera sette agenti di polizia in seguito ad una minaccia “anonima” (ovviamente l’anonimo è già stato identificato) relativamente ad un aborto terapeutico alla ventunesima settimana di gravidanza.
Sarebbe stato per altro più che sufficiente (anche per rispetto al dolore che un simile evento porta) non fosse che Ferrara ha annunciato di volersi sottoporre al test della sindrome di Klinefelter, la stessa che era stata diagnosticata al feto della donna in questione.
Il test in sé è naturalmente più che legittimo: non spetta certo a me sindacare sulla dimensione dei testicoli del direttore del Foglio (che onestamente non ritengo meritevoli di cotanta pubblica attenzione). Quello che però suscita dubbi, è il risalto mediatico che Ferrara vuole dare a questa sua paura: personalmente non vado ad annunciare all’ansa che mi sottoporrò alle analisi del sangue o al test dell’influenza. Non è importante, non è rilevante, non frega a nessuno.
Il dubbio che sorge, naturalmente, è che Ferrara cerchi con questa mossa di raggiungere un duplice obiettivo: da un lato attirare l’attenzione pubblica su di se e sulla sua lista civica recentemente sottoposti ad un fitto fuoco incrociato di critiche piuttosto pesanti (non voglio scendere nel merito, ma consiglio a tutti, come sempre, di informarsi su chi sono i protagonisti della scena politica italica) nel tentativo di risollevarne le fila, dall’altro quello di sollevare ulteriori dubbi sulla legittimità dell’aborto della donna napoletana, dopo aver rifuggito il confronto televisivo con Pannella (adducendo inefficaci scuse).
Quello che non è chiaro a Ferrara (e lo dimostra ampiamente, per altro, l’articolo apparso sul suo giornale alcuni giorni fà), ma che sembra sfuggire anche ai numerosi “colleghi blogger” che stanno scrivendo in questi giorni sulla notizia, è il fatto che di fianco alla parola “aborto”, troviamo la parola “terapeutico”, che non è li per bellezza ma per arricchire di significato la parola precedente, proprio come fosse un aggettivo qualificativo.
Cerco di spiegarmi: ad essere stato sottoposto a “terapia”, in questo caso, non è il feto, ma la madre! La sindrome di Klinefelter infatti, per quanto terribile, non avrebbe di per sé costretto la madre ad abortire: la decisione in questo senso è stata presa di comune accordo tra i medici (ginecologi e psicologi) e la madre, a seguito di un’analisi medica della reazione psicologica della donna alla nascita di un figlio affetto da questa sindrome. Secondo i medici, la reazione avrebbe potuto essere talmente dannosa da ritenere più opportuno procedere ad un aborto (terapeutico per l’appunto) entro i termini previsti dalla legge 194.
Inutile da questo punto di vista fare dietrologia: non conosciamo la situazione psicologica della donna in questione, del suo vissuto, delle sue esperienze. Possiamo solamente fidarci dell’analisi di medici esperti (visto che esercitano, sono quantomeno muniti di una laurea) che nell’atto del proprio mestiere hanno optato (naturalmente di comune accordo con la madre) per una scelta tanto difficile.
L’uscita di Ferrara, oltre che di dubbio gusto, ma questo è già ampiamente stato fatto notare, si dimostra così portatrice della solita demagogia che le campagne come la sua portano insite nel proprio codice genetico: per far presa sulla gente, bisogna scandalizzarla, spaventarla, farla sentire minacciata. E possibilmente tacere il proprio comportamento poco coerente (il Ferrara che denuncia il milione di aborti in 40 anni come una cosa indecente, si dimentica di fare pubblica ammenda per i morti della guerra in Iraq, che lui in prima persona ha fortemente sostenuto).
La cosa più brutta, è l’indifferenza di Ferrara nei confronti delle sofferenze altrui. A lui basta pulire la propria coscienza.