In molti stanno scrivendo in questi giorni della (rinnovata) decisione di esentare la Chiesa Cattolica dal pagamento dell’ICI. Mi ero già espresso su questo argomento qualche tempo fa, dicendo che mi sentivo disgustato dal privilegio dato alla Chiesa, non tanto per quel che riguarda i luoghi di culto (mi piacerebbe essere rincuorato sul fatto che anche le altre religioni possono vantare questo stesso privilegio), ma per le (molte) attività commerciali che la Chiesa Cattolica possiede e per le quali vale l’esenzione sopra citata, con un’esenzione del 50% dell’Imposta Comunale sugli Immobili.
Recentemente discutevo con qualcuno dell’argomento, e mi veniva fatto notare come la chiesa possegga qualcosa come il 20-22% di tutto il patrimonio immobiliare della città di Roma, di cui una larga parte sono esercizi di tipo commerciale. Su questo argomento, anche l’Unione Europea, quest’estate, aveva chiesto al Governo italiano dei chiarimenti.
Sull’ICI ed il Vaticano, ognuno ha la sua opinione, e tutto sommato il dibattito è in corso, e se l’abolizione dell’esenzione non è passata, lo dobbiamo solamente alla strenua dei politici che ci troviamo in parlamento. Quello che però non viene sottolineato, è che l’esenzione dell’ICI non è l’unico privilegio del quale la Chiesa può usufruire.
Oltre ai vantaggi politici (è l’unico interlocutore religioso preso in considerazione dai mass media e, quindi, dai politici) infatti, e nonostante la Costituzione italiana parli di indipendenza tra Stato e Chiesa (suppongo anche economica, oltre che politica, no?), alla Chiesa (o meglio, alla CEI) va la gran parte dell’8 per mille (oltre l’87%) che non propone reali alternative alla scelta fra Stato e Chiesa, anche grazie al meccanismo per cui l’astensione non fa che contribuire alla scelta di coloro che invece si esprimono (“In caso si scelte non espresse da parte dei contribuenti, la destinazione si stabilisce in proporzione alle scelte espresse”).
Alle Chiesa è consentito un abbattimento del 50% dell’IRES (Imposta sul reddito delle società) e del 100% dell’IRAP sulle retribuzioni dei sacerdoti (spesso e volentieri stipendiati dallo Stato Italiano, in base ad alcuni articoli degli accordi tra Italia e Vaticano). Molte attività della Chiesa vengono finanziate direttamente dallo Stato. A tutto questo si aggiungono una serie di stanziamenti speciali, inseriti nelle più recenti manovre finanziarie (in particolar modo durante il quinquennio del governo Berlusconi), ed i fondi per le scuole private religiose.
Ora, non voglio scagliarmi ancora una volta, con inutile fervore, nel propugnare la libertà di culto, l’indipendenza dello Stato Italiano dalla Chiesa Cattolica, e il continuo intervenire di questa con evidenti pressioni sul dibattito politico italiano (PACS, eutanasia, aborto, e fecondazione assistita sono solo alcuni degli esempi che si potrebbero fare).
Ma è davvero cosi indecente chiedere alla Chiesa di pagare almeno il 100% dell’ICI sulle sue attività commerciali?
E allora per quale motivo sono solo 12 i parlamentari che hanno votato l’emendamento alla Finanziaria 2007 che si pronunciava in questo senso, recentemente?
Persino sei esponenti dell’opposizione hanno votato in questa direzione (sbagliato a schiacciare pulsate, o puro “andar contro il Governo”?): Buccico Emilio Nicola (An), Paravia Antonio (An), Malan Lucio (Forza Italia), Del Pennino Antonio (D.C. per le Autonomie-Partito Repubblicano Italiano-Movimento per l’Autonomia), Saro Giuseppe (D.C. per le Autonomie-Partito Repubblicano Italiano-Movimento per l’Autonomia) e Negri Magda (Gruppo per le Autonomie).
Come mai solo Barbieri Roberto (Misto-Costituente Socialista), Bulgarelli Mauro (Iv-Verdi-Com.), Colombo Furio (Ulivo), Montalbano Accursio (Misto-Costituente Socialista) ed i mitici “dissidenti” Rossi Fernando (Misto-Mpc) e Turigliatto Franco (Misto-Sc), hanno avuto il coraggio di seguire quello che tra l’altro era chiaramente scritto nel Programma dell’Unione?