RANT: Cara Vodafone

Mi sono sempre considerato un consumatore fedele. Ho (ovviamente) sempre pagato le mie bollette per tempo, accettato di buon grado alcuni compromessi, speso una discreta quantità di denaro (visto che per lavoro facevo sistematicamente oltre 200 euro a bimestre di traffico telefonico), persino fatto la mia quota parte di pubblicità gratuita (il così detto “passa parola”) elogiando a più riprese l’ottimo livello del Servizio Clienti (business e non). Ho sottoscritto un abbonamento per l’adsl domestica senza nemmeno lamentarmi esageratamente della (francamente inaccettabile) Vodafone Station, dei disguidi e delle peripezie affrontate in fase di attivazione (e durate quasi 3 mesi).

Ora che mi trasferisco in Irlanda (e per tanto chiudo partita IVA, e per tanto il mio abbonamento business sottoscritto oltre 30 mesi fa deve essere dismesso e/o sostituito con qualcos’altro dedicato ai privati e dai costi ovviamente più contenuti), mi sono organizzato per tempo ed ho chiamato il Servizio Clienti già da metà novembre, chiedendo modalità, costi e penali legate all’operazione; mi veniva risposto (sia dal Servizio Clienti che dal Punto Vodafone, interrogato successivamente per le modalità operative) che poiché il contratto aveva superato i 24 mesi ed in più visto che avrei lasciato il mio numero in Vodafone, non ci sarebbero state penali di sorta. Al momento della richiesta di passaggio ad una ricaricabile (pare non fosse possibile passare direttamente ad un abbonamento privati), mi veniva richiesto di firmare un documento di accettazione di “eventuali addebiti e/o penali”, per prassi mi veniva detto.

Ieri trovo nella mia casella della posta l’ultima fattura relativa all’abbonamento business, che tra le altre voci riporta circa 300 euro di penali per “rescissione anticipata del contratto”. Chiamo naturalmente il mio amato Servizio Clienti dove una gentilissima operatrice mi spiega che visto che avevo rinnovato l’abbonamento 6 mesi fa (cambiando contestualmente le tariffe applicate), si doveva riprendere a contare i 24 mesi da quel dì.

Inutile ovviamente contestare la cosa: sarà scritto in qualche contratto firmato dal sottoscritto, in una delle migliaia di righe scritte in carattere 2, che questo è quello su cui ci siamo accordati con Vodafone. Posso però definirmi un consumatore “tradito”, sicuramente insoddisfatto del modo in cui vado a chiudere questo contratto.

Avevo pensando di restare con Vodafone, per l’abbonamento Irlandese. Credo che sceglierò qualcosa di diverso… e naturalmente lo stesso vale per la linea nuova linea di casa.

Update 28/12/2011: a seguito della pubblicazione di questo post su Twitter, sono stato contattato da Vodafone. E’ stato possibile eliminare una parte delle penali (pare erroneamente addebitate in quanto relative al precedente contratto), sebbene la penale per “rescissione anticipata” resta. Inoltre Vodafone mi ha omaggiato di 10 euro al mese per 10 mesi di telefonate dal mio cellulare verso numeri Vodafone e di rete fissa. Non me ne farò granché, essendo io in Irlanda, ma il gesto è apprezzabile e conferma la mia complessiva valutazione positiva del servizio clienti.

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Una settimana più tardi…

Eccoci dunque qui, “in Dublin”, ad una settimana di distanza dal mio arrivo a tirare un po’ di somme. Ho cercato di raggruppare gli argomenti per categorie, tanto se ci sono curiosità di altra natura, posso provvedere a chiarire (se a conoscenza della risposta) o a fungere da “inviato sul campo” qualora la domanda richiedesse una verifica in vivo 🙂

Il clima

E’ sicuramente la cosa che tutti indicano come più problematica quando si parla di Dublino. Beh, non si può dire che la mia esperienza (8 giorni su 365) possa definirsi significativa, ma posso dire che in questi 7 giorni ha piovuto, nevicato, fatto caldo e gelato. Mediamente il clima non è stato orripilante, solo ogni santo giorni viene giù… non letteralmente pioggia, sembra che qualcuno abbia preso un vaporizzatore e si diverta ad infastidire i dublinesi. In ogni caso quando il sole fa capolino (e capita spesso), la città diventa gradevole nonostante il sole basso (siamo comunque discretamente a nord), il grigiore degli alberi senza foglie, la strada umida ed il vento gelido che a raffiche spazza la capitale irlandese.

Il cibo

Ero stato avvertito, non posso che ammetterlo: i dublinesi amano i panini. Sarà che sono tutt’ora alloggiato in un hotel, quindi la vastità di scelte che prevede il pub qui sotto non è esattamente il massimo della raffinatezza culinaria, però spesso finisco con il mangiarmi un sandwich farcito in qualche modo stravagante.
Va però detto che cercando con un minimo di attenzione, si trovano cose piuttosto interessanti: in questi giorni sono riuscito a guadagnarmi uno spezzatino alla Guinness (non male) ed un filetto di tacchino farcito con una sorta di salsa di frutta calda (quasi una marmellata ma meno densa) e purè, decisamente interessante.

I mezzi pubblici

Una delle cose che saltano all’occhio piuttosto rapidamente, è la quantità di autobus che girano per la città. Se dovessi fare un paragone con altre capitali europee in cui ho vissuto, penso che citerei il centro di Luxembourg: dove ti giri trovi un autobus, una fermata. Quasi tutte le strade, oltre alla pista ciclabile, prevedono una corsia riservata per bus e taxi, e prendere l’autobus diventa molto rapidamente conveniente anche in termini temporali: anche all’ora di punta si raggiunge facilmente la periferia nell’arco di mezz’ora. Poi che prenderli sia un casino (perché devi avere la moneta giusta al centesimo, non accettano banconote e non danno resto se non con dei ticket che vanno poi riscossi in centro città), che non ci siano gli orari affissi (ma c’è un sistema di informazioni real-time fermata per fermata accessibile anche dal cellulare) e che costino più che a Milano (anche se non tantissimo di più), è un altro paio di maniche. Spero comunque di aver risolto la questione grazie all’entrata in possesso di una Leap Card, una carta ricaricabile che consente di prendere sia l’autobus che il tram (LUAS). Inoltre ho colto l’occasione di questi primi giorni di girovagare per usare un po’ quella che in famiglia chiamiamo la “pedicolare”, soprattutto per rendermi conto di dove stessi andando e per avere il tempo di guardarmi attorno. Va detto che da dove si trova l’hotel (che non è proprio in centro) si arriva a Temple Bar in una mezz’oretta di buona lena e girare per il centro a piedi è un piacere.

La birra

Beh, inutile negarlo: in quanto a birra gli irlandesi capiscono parecchio. La Guinness non è quella che arriva in Italia (poveri voi), e capisco dopo averla assaggiata qui come mai gli irlandesi ne vadano tanto fieri. Difficile comunque entrare in un pub e non trovarci almeno 4 o 5 spine di discreta qualità, oltre ad un corposo assortimento di bottiglie di varia origine. No, la Peroni fortunatamente non c’è.
In compenso gli indigeni tendono a sbevazzare non male: sabato sera ero in un pub qui dietro l’hotel con dei colleghi che abitano nel quartiere e c’era un simpatico ragazzo che si reggeva malapena in piedi (alle 20:00 passate da poco) e continuava a tentare di salire e scendere dalle scale dell’ingresso, rischiando sistematicamente di farsi gli scalini con i denti. Nessuno sembrava comunque particolarmente sconcertato dalla cosa, forse perché troppo intenti a cantare a squarciagola canzoni popolari natalizie al karaoke :/

Il caffé

Che dire, non siamo in Italia e quindi “ça va sans dire”. Eppure caffè decente se ne trova in giro, a patto di voler spendere del tempo alla sua ricerca. In ufficio poi, vista la nutrita comitiva di italiani, si è già da lungo tempo provveduto all’acquisto di una macchinetta del caffè a capsule (purtroppo di una marca a me non particolarmente gradita, ma questo passa il convento). E anche al bar sotto l’ufficio, chiedendo un “espresso”, si ottiene qualcosa di quantomeno bevibile.
Inoltre mi devo ricredere su Starbucks: non è la prima volta che ci vado, ma a patto di non prendere il caffè (o quantomeno non pensare di ottenere del caffè, chiedendolo), non è davvero male. Qualche giorno fa, passeggiando per il centro, mi sono letteralmente goduto (anche perché scaldava non poco) una bella tazzona di… un liquido caffeinato corretto con del caramello: notevole.

La casa

Venendo all’argomento strettamente personale, si, ho trovato casa. Domani pomeriggio dovrei entrare in possesso delle chiavi e potrei cominciare già domani sera a fare quel micro-trasloco che mi spetta dall’hotel alla dimora del prossimo anno. Si tratta di una casetta gradevole, nel quartiere di Inchicore (quello dove si trova poi la sede di Amazon, chiaramente) ma nella zona più tranquilla. Due stanze da letto matrimoniali al primo piano, soggiorno cucina bagno e giardino al piano terra. Costo accettabile, spazio più che sufficiente, ottimo parcheggio e vicino ai mezzi pubblici (tre autobus e la LUAS) ed a un po’ di negozi utili. Credo che meglio di così, in due settimane, non si poteva davvero trovare. Inoltre sono già in possesso di un conto in banca e del mio PPS number (una sorta di codice fiscale, serve per tutto, dagli affitti al pagamento delle tasse), quindi direi che sono a buon punto con “le manovre di inserimento”.

Il lavoro

Ultimo ma non ultimo, il lavoro. La scorsa è stata una settimana piuttosto intensa: ho impiegato quasi 4 giorni ad organizzare la mia postazione (tra installazioni varie di software, permessi da richiedere e lunghe liste di form da compilare, richieste da fare e via dicendo). Poi negli ultimi due giorni ho cominciato una sorta di auto-formazione (attingendo a piene mani dalla sconfinata ed eccellente documentazione interna) e oggi sono persino riuscito a cominciare a rendermi utile, per quel poco che la mia nulla conoscenza dell’ambiente mi consente. In compenso, dopo una settimana, sono decisamente convinto che la scelta sia stata di quelle azzeccate: il ruolo è decisamente interessante, i colleghi gentili, disponibili e simpatici, l’ambiente di lavoro tra i migliori che abbia finora avuto modo di conoscere. E soprattutto la scala di questo sistema è di almeno due zeri superiore a quelle che erano le mie più rosee aspettative: c’è sicuramente spazio per farmi le ossa, sotto questo profilo…

La svolta

Sabato si avvicina a grandi passi. Alle 11:40 prenderò il mio volo “sola andata” per Dublino e la mia vita cambierà ufficialmente, rivoltata come un calzino nell’arco di un mese e mezzo scarso. Inutile dire che sono tremendamente eccitato per tutto quello che questo enorme cambiamento comporterà, per le porte che si aprono, per le opportunità che il salto professionale (ed economico, non lo nascondo) consentirà di raggiungere. Posso immaginare che questi primi mesi di vita in quel dell’Irlanda saranno confusi e incasinati, ma la cosa non mi spaventa (almeno per ora :P).

Nel mese e mezzo intercorso tra la conferma dell’offerta di lavoro da parte di Amazon.com ad oggi, ho scoperto (e fatto considerazioni su) una vasta serie di aspetti del trasloco a cui non avevo mai pensato.

  1. In primis c’è la questione delle ripercussioni che le mie scelte hanno su coloro che mi stanno attorno. Mia moglie, la sua e la mia famiglia, gli amici, il lavoro, i gatti. Ognuno di loro “pagherà” una parte del prezzo della mia scelta di vita: alcuni di loro hanno avuto voce in capitolo (come mia moglie, ovviamente), altri hanno semplicemente dovuto prendere atto della cosa. Per molti, nel lungo termine, ci sarà un ritorno: vuoi perché faranno vacanze a basso costo in Irlanda (:P) vuoi perché la maggior disponibilità economica consentirà probabilmente di ovviare in modo piuttosto efficace al problema della maggior distanza fisica che ci separerà. Per altri sarà invece semplicemente una pagina girata nel libro della vita, un ricordo magari da appuntare.
  2. Altro aspetto è quello delle minuzie. Al di la del trasloco infatti, è impressionante scoprire quante piccole cose ci legano al territorio dove viviamo: bollette, abbonamenti, incarichi. Finché non ci si trova in mezzo a tutto questo, a doversi “sradicare” da dieci anni di vita in un territorio tutto sommato circoscritto, non si riesce a percepire l’impatto che il tempo ha sul nostro essere parte del territorio stesso. E’ davvero notevole.
  3. Infine c’è l’aspetto del calore umano (non in realtà completamente separato dal punto precedente): la maggior gratificazione dell’impegno profuso nelle attività che ho portato avanti in questi dieci anni sta nella quantità di persone che si sono strette attorno a me in queste ultime settimane per condividere un’altra volta qualche minuto insieme, anche solo per una pacca sulla spalla, per un saluto. A tutte queste persone (loro sanno chi sono) va il mio ringraziamento più grande, perché è senza di loro che tutto questo non sarebbe stato possibile.

Da sabato sera quindi, sarò a Dublino, cittadino italiano emigrato. Alla ricerca di una casa confortevole (quasi un rondone alla ricerca del posto ideale dove costruire il nido), di organizzare e pianificare i prossimi anni nella piovosa e meravigliosa Irlanda. E queste pagine, spero, saranno un posto dove raccontarvi tutto questo, se vorrete leggermi.

Welcome back to myself

E’ passato davvero parecchio tempo dall’ultima volta che ho scritto qui sopra. Un po’ perché la maggior parte della mia produzione di contenuti online si è spostata su altri mezzi (da Twitter allo sharing di item feed rss), un po’ perché il tran-tran quotidiano porta rapidamente ad esaurire il tempo disponibile per questo genere di cose, che a differenza di quanto possa sembrare, consumano parecchio tempo.

Torno quindi a scrivere su queste pagine con l’intento di cambiare un po’ di cose (a partire dal layout grafico, al quale ho cercato di dare una sonora sgrassata e che mi sembra ora più piacevole, leggibile, ma soprattutto più standard e quindi più facilmente mantenibile dal sottoscritto), non ultimo il genere di impegno che voglio metterci: niente più pubblicazioni cadenzate, niente più pianificazione, si torna all’origine. Vorrei che queste pagine tornassero cioè ad essere una raccolta di idee, impressioni, considerazioni di getto, anche di condivisione e discussione con chi ne avrà voglia, se possibile.

Sono alle porte di una svolta nella mia vita (quasi un’inversione a U, devo dire, come vedrete nel post dedicato) e questo blog servirà anche per tenere le fila di questa barchetta in burrasca 🙂

Cheers…

Contributo sulla questione libica

Bene, siamo in guerra, che che ne dica il presidente Napolitano. Siamo ufficialmente in guerra anche perché i nostri aerei hanno attivamente partecipato (anche se a scopo “logistico”) ad un’azione militare, non ci siamo limitati a fornire le basi aeree. Siamo ufficialmente in guerra (ed in aperta violazione della costituzione italiana) perché le azioni di guerra intraprese, da ieri, vanno ben oltre quanto previsto dalla risoluzione ONU, che prevedeva il solo mantenimento di una “no fly zone” (e quindi senza attacchi preventivi).Siamo ufficialmente in guerra. Non voglio in questo frangente entrare nel merito dell’essere più o meno a favore dell’aggressione alla Libia, ritengo che sia un impegno difficile e non sono sicuro di aver trovato un punto di equilibrio, in merito. Vorrei invece fare un accenno al contesto generale in cui si sta muovendo la “coalizione internazionale”: l’ONU ha decretato, con voto non contrario anche di Russia e Cina, che il suo ruolo è quello di proteggere i civili dalle violenze che vengono spesso perpetrate dai governanti (più o meno democraticamente eletti). Ruolo legittimo (da vedere se condivisibile o meno), ma che si presta ad un’aperta critica: perché la Libia si e non il Darfur? Perché non la Somalia? Perché non il Ruanda? Perché non il Nepal? Dobbiamo aspettarci, nei prossimi anni, una maggior propensione da parte delle forze armate di NATO e Nazioni Unite a fare da forza di interposizione a protezione delle popolazioni civili di tutto il mondo, oppure come accaduto in Iraq ed Afghanistan sono soprattutto gli interessi economici a fare da motore e la risoluzione dell’ONU altro non è che la foglia di fico a coprire le nostre vergogne?

Per l’ONU questi sono anni difficili, da un lato perché il diritto di veto degli stati più grandi porta spesso e volentieri l’organizzazione ad una sostanziale paralisi, dall’altro perché sempre più spesso sembra essere utilizzata per giustificare a posteriori azioni di vera e propria guerra. Sarà bene che la comunità internazionale faccia una profonda riflessione su ciò che vogliamo che l’ONU sia, e che prenda i provvedimenti necessari a garantirgli indipendenza ed un funzionamento democratico…

Del fallimento della domenica senz’auto

Traffico

Tranks via Flickr

Per l’ennesima volta si conferma l’assoluta incapacità di azione dell’amministrazione comunale di Milano nel contrastare l’inquinamento che attanaglia l’intera area sovra-provinciale.
Dopo aver trascorso oltre un terzo dello scorso anno con le soglie degli inquinanti oltre i livelli di allerta (e senza che l’amministrazione comunale abbia fatto alcunché di concreto per porvi rimedio), ecco che con l’inizio del nuovo anno la situazione si mostra già critica: dopo quasi un mese trascorso a cavallo del superamento delle soglie di guardia, si è finalmente resa talmente palese la necessità di un’azione coordinata ed efficace, che persino il restio Comune di Milano ha deciso di “fare qualcosa”. Purtroppo il “qualcosa”, nell’accezione del sindaco Moratti, è sinonimo di “nulla”: ha avuto a mala pena il coraggio di indire una giornata di blocco del traffico (domenica scorsa, nella fattispecie), senza cercare alcun tipo di coordinamento sovra-comunale e per di più infarcendo la sospensione di deroghe (persino per coloro che andavano a vedere la partita a San Siro!).

Inutile dire che il provvedimento è stato assolutamente inutile: non solo gli inquinanti non sono calati a sufficienza, ma non sono calati per niente! Così la Moratti si trova costretta ad un’ulteriore iniziativa, ed ancora una volta la scelta ricade su un’inutile ed isolata domenica di blocco della circolazione, stavolta con ancora più deroghe della scorsa.

L’emergenza smog di Milano assomiglia purtroppo sempre più all’emergenza rifiuti di cui sono purtroppo oggetto diverse città italiane (nel Lazio, in Campania, in Sicilia…): una situazione cronica, dovuta non a congiunture astrali (quali ridotte precipitazioni, o poco vento vento, o babbi natale e babau mancanti) ma all’assoluta assenza di una politica di contrasto non dico efficace, ma quantomeno ragionata.
I milanesi sono costretti a muoversi si muovo principalmente in automobile (i mezzi pubblici raggiungono a malapena i confini comunali quando la stragrande maggioranza dei lavoratori milanesi abita in periferia) e si spostano da soli, perché non c’è ne alcuna forma di educazione alla riduzione dell’impronta ecologica, perché non c’è alcun incentivo al car-sharing, perché mancano gli incentivi (ed disincentivi efficaci) tanto quanto le interconnessioni con le altre vie di accesso alla metropoli.
Curioso notare come questa sia la stessa giunta comunale che ha varato l’Ecopass, più e più volte sbandierato come “la soluzione definitiva” (per dirla all’inglese) e più e più volte criticato dal sottoscritto, dimostratosi a più riprese assolutamente inefficace (come era prevedibile, viste le premesse) ed iniquo, oltre che assolutamente isolato dalle norme di incentivo che avrebbero (persino nell’iniziale disegno del Comune) dovuto accompagnarlo per renderlo minimamente efficace.

A questo punto, con le elezioni comunali ormai alle porte, vale la pena considerare il punto “inquinamento” dei programmi dei vari candidati: ho già notato più volte un interesse da parte del candidato sindaco del centro sinistra Pisapia sul tema del contrasto all’inquinamento; l’alternativa del centro destra (già in carica) annaspa sempre più; gli altri candidati sindaci non hanno proprio niente da dire?

Le mine-brevetto

Fixation du LCD

Gdium via Flickr

Torno a parlare di proprietà intellettuale e brevetti dopo tanto tempo. Un po’ perché dopo la (auto)sconfitta del progetto dello Software Patents al Parlamento Europeo l’interesse per la questione è un po’ scemato, un po’ perché si tratta di un argomento che fin troppo spesso passa sotto la totale indifferenza dei mezzi di informazione (grandi e piccoli) e quindi è difficile anche cogliere spunti per parlarne.
Stavolta però, grazie ad un appunto di Stefano Maffulli, mi trovo a considerare un aspetto della proprietà intellettuale che (per quanto ovvio) mi era fino ad ora sfuggito, ovvero il suo uso “inverso”.

La Cina ha infatti ammesso che attraverso l’uso della proprietà intellettuale (ed un governo evidentemente compiacente) ha letteralmente “minato” il mercato interno, costringendo le compagnie straniere a “scambi di brevetti” (esattamente come accade per i brevetti software tra le grosse multinazionali) se vogliono accedere all’economicamente interessante mercato interno cinese.

Ancora una volta il meccanismo dei brevetti e della proprietà intellettuale (che io considero un vero e proprio obbrobrio) si ritorce contro chi lo spinge da anni (in questo caso gli Stati Uniti), costringendolo a fermarsi e riflettere.

Magari è la volta buona che viene dato l’esempio e almeno negli Stati Uniti si riforma il tutto, cancellando lo stupido meccanismo per il quale se io penso una cosa per primo, impedisco a tutti gli altri di pensarla…

OGM per combattere l’aviaria?

Pollo

David Erosa via Flickr

Negli ultimi giorni ha suscitato molto scalpore la notizia che ricercatori delle Università di Cambridge ed Edimburgo sarebbero riusciti nell’intento di creare, a solo scopo di ricerca scientifica, polli in grado di resistere alla trasmissione del virus H5N1 (comunemente detto dell’influenza “aviaria”). Poiché lo studio è pubblicato sulla stimata rivista Science, non si può certo mettere in dubbio il risultato ottenuto, ma come al solito i giornalisti italiani hanno dimenticato di connettere il cervello alla penna, e nessuno si è posto qualche semplice domanda che avrebbe portato a scrivere articoli decisamente diversi da quelli che invece ho avuto la sciagurata idea di leggere; in particolare da questi articoli traspare il messaggio che gli OGM, tanto avversati dagli “ecologisti”, sarebbero una delle possibili risposte alle malattie più o meno pericolose.
Innanzitutto verrebbe da chiedersi in cosa consista la notizia, ovvero in che modo differiscano un pollo in grado di resistere all’influenza aviaria ed una (già nota da tempo) pianta di mais in grado di resistere ad un particolare pesticida o erbicida: naturalmente la risposta è “nessuna”, ma evidentemente non c’era di meglio da scrivere e quindi si riciclano notizie trite e ritrite.

Secondariamente si dimentica di riflettere sul primo e principale (anche omettendo i dubbi sulle conseguenze sulla nostra salute di un loro consumo di questi prodotti, ancora in larga parte oggetto di studio nonostante i prodotti stessi siano largamente presenti nei prodotti che consumiamo) problema degli Organismi Geneticamente Modificati: la ridottissima (a volte inesistente) diversità genetica degli organismi prodotti, e sugli effetti di riduzione della biodiversità delle specie che introducono a livello commerciale organismi geneticamente modificati. Proprio le modalità di produzione degli organismi geneticamente modificati portano infatti alla generazione di organismi perfettamente identici tra di loro e spesso e volentieri (per una questione prettamente economica, come potete immaginare) sterili, ed il loro commercio ad una forte riduzione della biodiversità della specie in questione, a fronte della sostituzione di coltivazioni “naturali” con coltivazioni basate su OGM (a cui va aggiunta la “diffusione” degli organismi OGM attraverso i comuni e naturali processi di riproduzione della specie).

Per spiegare a che rischio si vada incontro, voglio citare un’altra notizia (guarda caso meno “rumorosa”) degli ultimi giorni, che riguarda paradossalmente un organismo non frutto dell’ingegneria genetica, ma che presenta similitudini molto particolari proprio con i prodotti OGM:la notissima banana “Cavendish” (quella che più frequentemente troviamo nei nostri centri commerciali). La selezione effettuata attraverso incroci consecutivi con lo scopo di mettere in risalto le caratteristiche maggiormente apprezzate dai consumatori (non dissimile da una modifica genetica ottenuta in laboratorio) ha non solo portato questa varietà di banana ad occupare oltre il 90% della produzione mondiale di banane commestibili (quindi riducendo all’osso la biodiversità dei banani esistenti sul pianeta), ma proprio a causa della ridottissima diversità genetica, ad essere oggi largamente colpita da un fungo in grado di ucciderne le piante (dal quale non si può difendere in quanto non vi sono esemplari la cui variante genetica sia in grado di resistere all’attacco), esponendo così la “banana commestibile” a forte rischio di estinzione nei prossimi dieci anni. Basterebbe leggere qualche pagina di Darwin e delle teorie sull’evoluzione per comprendere come una ricchezza genetica sia una risorsa chiave per la salute e la sopravvivenza di una specie.

Tornando quindi allora ai nostri polli “anti-aviaria”, nella migliore delle ipotesi potrebbero rivelarsi in grado di combattere la trasmissione dell’attuale variante del virus H5N1, ma risulterebbero migliaia di volte più vulnerabili (proprio a causa della loro ridotta varianza genetica) alla prima mutazione del virus stesso in grado di aggirare il “blocco” posto dagli ingegneri genetici. Se l’adozione di questo pollo (come i giornali parrebbero auspicare) avesse nel frattempo ridotto la biodiversità dei polli presenti a livello mondiale, ci ritroveremmo come minimo con una popolazione di polli ancora più vulnerabile di quanto già non lo siano, con una ancora maggior diffusione del virus dell’aviaria e quindi con una maggior possibilità che un ceppo di questo virus “faccia il salto” (guarda un po’, variando geneticamente) e prenda a contagiare l’uomo.

Qualche parola su Mirafiori

Logo FIATBene, eccoci al primo giorno di “riflessione” che segue il referendum della FIAT di Mirafiori. Un referendum che non si può intendere solamente come legato all’azienda in se ed alla proposta di contratto portata da Marchionne ai dipendenti ma, per il comportamento di Marchionne stesso, ha assunto una valenza e delle aspettative di interesse nazionale. Soprattutto considerando il fatto che la vittoria del SI o del NO al referendum non avrebbe in ogni caso spostato l’asse lungo il quale FIAT sta muovendosi: il costo del lavoro incide in modo poco significativo (8-9%) sul costo di produzione delle vetture e gli spostamenti di produzione ci saranno comunque, sia questo per interessi politici (verso gli USA) o economici (verso terzo e secondo mondo).

Vorrei cominciare la mia valutazione del risultato partendo proprio dal perché personalmente non ero apertamente schierato ne con il SI ne con il NO: sono convinto che la scelta di Marchionne di “uscire” dal contratto nazionale del lavoro non sia in se fondamentalmente sbagliata. I contratti nazionali sono espressione di un’epoca industriale ormai praticamente scomparsa (nel bene e nel male): difficile oggi trovare operai che lavorano nel metalmeccanico, difficile allo stesso modo trovare il “padrone” così come era inteso cinquant’anni fa, difficile oggi come allora accomunare i lavoratori dei grandi agglomerati di produzione (come Torino, Milano o Roma) con quelli dei piccoli distretti di periferia. Proprio questo per altro ha portato ad una maggior difficoltà nella tutela dei lavoratori basandosi sui soli contratti nazionali, che a questo punto andrebbero, a mio avviso, superati. Superati perché da un lato è importante adattarli ad un mondo industriale che è cambiato, dall’altro perché vanno garantite ai lavoratori tutele di cui non avevano bisogno anche solo venti anni fa e che oggi invece li rendono schiavi di precariato e sfruttamento: non si può pensare di far competere i lavoratori italiani sullo stesso piano economico di cinesi ed indiani, così come è necessario garantire alle aziende italiane (e non) la possibilità di competere ad armi pari con gli altri stati europei.
Marchionne ha però sbagliato nei modi con cui ha condotto la sua “campagna”: si è comportato da arrogante dittatore ed ha cercato a tutti i costi lo strappo con una certa parte dei sindacati, pensando evidentemente che la spaccatura avrebbe poi portato ad una maggior “malleabilità” dei dipendenti. Ha quindi negato i referendum quando venivano chiesti dai sindacati, ha chiuso la rappresentanza a tutti coloro che non erano allineati al pensiero aziendale (e ditemi se questo non ricorda un particolare arrogante dittatore), mettendo mano a conquiste non negoziabili (quali per l’appunto la democrazia e la rappresentanza sindacale) sanciti persino dalla costituzione. Ora che i SI hanno vinto talmente di misura da far sembrare il risultato un pareggio, Marchionne rischia di vedersi improvvisamente trasformato in Pirro, avendo per le mani un’azienda che dovrà dirigere “nonostante” il 46% dei suoi lavoratori. Probabilmente una contrattazione più accondiscendente avrebbe portato ad un vantaggio anche sul piano economico.

Resta infine da capire se la FIAT ed il suo accordo riusciranno a fare scuola nelle altre aziende nazionali. Ritengo che si tratti di un dubbio infondato: il contratto proposto ai lavoratori di FIAT non è molto diverso dai contratti che in lungo ed in largo per il nostro paese vengono proposti ai lavoratori, firmati ed approvati senza grandi rumori. Quello in cui il caso FIAT ha realmente qualche differenza sta proprio nel modo con cui Marchionne ha scelto di imporre una sua scelta, e da questo punto di vista, più che una vittoria, quella del manager rischia di essere una vera e propria disfatta…

Facciamoci un’idea sul nucleare!

mbeo via Flickr

L’altra sera ho finalmente trovato il tempo di dare un’occhiata ad un curioso DVD, arrivato in casa allegato ad una qualche rivista. Il titolo è piuttosto interessante: “Fatti un’idea sul nucleare!”, sottotitolo “Vivi un viaggio alla scoperta di una nuova energia.”
In genere sono piuttosto titubante e dubbioso quando sono i principali interessati (in questo caso Enel e la francese EDF) a promuovere un messaggio di “scoperta”, difficilmente ho trovato descrizioni imparziali e oggettive, ma anche in questo caso ho cercato di mettere da parte i dubbi e, con mente aperta, mi sono sorbito Alessandro Cecchi Paone che per 16′ 00″ mi ha spiegato (con un ottimo effetto di computer grafica) il messaggio che i costruttori delle future centrali nucleari italiane volevano che io ricevessi. L’ho persino ascoltato due volte, per essere certo di aver colto ogni aspetto, ed eccomi qui a cercare di mettere in risalto qualche mancanza e qualche perplessità in materia.
Mi scuso sin d’ora per l’ovvia lunghezza della mia trattazione (che ho comunque cercato di suddividere il più possibile in sezioni in modo da renderne più semplice la lettura), ma ritengo la questione estremamente importante e bisognosa di un adeguato approfondimento e dibattito.

Come facilmente prevedibile, nonostante il titolo preveda il “farsi un’idea sul nucleare” (che di solito prevede la presenza argomentazioni opposte tra le quali l’ascoltatore è poi chiamato a “scegliere”), il DVD è sostanzialmente un monologo su quanto bella, pulita e sicura sia l’energia nucleare.
Fuorviante risulta anche il sottotitolo: definire “nuova” un’energia che vede la luce oltre 50 anni fa (la prima centrale nucleare data del 1954) mi sembra un po’ una forzatura.
Altro punto “curioso” è il pensare di poter dare un’idea chiara della questione in 16 minuti scarsi (di cui 3′ 30″ sono di introduzione generale, 1′ 30″ sulla natura e la lavorazione del combustibile, 1′ 30″ sul meccanismo della reazione, 4′ sui diversi tipi di reattori, 4′ sui “rifiuti” prodotti e in ultimo 2′ scarsi sulla questione della sicurezza), soprattutto considerando che il DVD è un supporto standard, in grado di contenere fino a 240 minuti di video: certo non è un problema di spazio, ne di mancanza di cose da raccontare, visto che EDF è una delle aziende leader nel settore del nucleare europeo immagino che di cose da dire ne abbiano parecchie, a volerle cercare…

Ma scendiamo nello specifico delle argomentazioni proposte nel dvd, cominciando dall’Introduzione.

  • In primo luogo, nei primi minuti del DVD si afferma che il nucleare rappresenti l’unica alternativa per la produzione su larga scala di energia che prevede un basso impatto sull’ambiente. Posso condividere il punto, ma non condivido la validità dell’argomentazione: perché sarebbe necessaria una produzione su larga scala? In molti paesi ci sono state esperienze di “produzione diffusa” dove numerosi impianti mini-eolici e solari rendono non solo sostenibile la produzione, ma più sicura e resistente (vedere alla voce “produzione in rete”).
  • Viene poi affrontata la questione del costo: si afferma infatti che il minor costo (-20%) della produzione di energia nucleare rispetto a quella di una comune centrale a GAS darà maggior accesso all’energia per i cittadini del nostro paese. Ora, pur dando per scontato che i nostri concittadini abbiano bisogni di “maggior accesso” all’energia (considerando che siamo una società di spreconi e forse dovremmo puntare a consumarne meno, e non di più), è tutto da dimostrare che il ciclo completo di vita di una centrale nucleare porti ad una riduzione dei costi rispetto ai metodi alternativi: ho già avuto modo di trattare la questione in un post dello scorso anno e quindi non mi dilungherò oltre.
  • Sulla questione dei costi del combustibile, l’instabilità politica dei paesi produttori di petrolio viene messa in contrasto con la maggior stabilità dei paesi produttori di uranio: USA e Russia in primo luogo, affermando tacitamente quindi come saremmo meno soggetti a “ricatti” se scegliessimo la via del nucleare. Purtroppo il prezzo dell’Uranio è già da molti anni in forte ascesa e la stabilità politica dei paesi produttori non contribuirà certo a far si che le aziende estrattrici rinuncino ai legittimi guadagni.
  • Sempre in relazione ai minori costi, viene affermato che questo darà maggior “competitività” al paese. Questo punto onestamente mi sfugge: in che modo l’acquisto di centrali “preconfezionate” dalla Francia porterebbe ad un rilancio del paese? Non è forse, al contrario, proprio quello delle energie rinnovabili uno dei principali settori “in positivo” che stanno emergendo da questa terribile crisi economica?
  • Non poteva mancare, in questa trattazione iniziale, la questione delle dipendenza energetica dall’estero. Anche questa risposta di Enel ed EDF continua a sfuggire alle mie limitate capacità cognitive: visto che in Italia di giacimenti di Uranio non ne abbiamo (e quindi dobbiamo acquistarlo dall’estero), in che modo il passaggio al nucleare ci consentirà di ridurre la nostra dipendenza dall’estero? Inoltre: che incidenza complessiva riteniamo possano avere le centrali nucleari sul fabbisogno italiano e come pensiamo di “ridurre la dipendenza dall’estero” per la quota parte restante? Se le cifre si andassero ad allineare a quelle degli altri paesi dell’OCSE, il nucleare potrebbe coprire il 30% del nostro fabbisogno, che attualmente prevede un’importazione dell’80% dell’energia di cui necessitiamo. Nella migliore delle ipotesi resterebbe una dipendenza dal petrolio del 50% del nostro fabbisogno annuo: c’è un piano per gestire la questione? Naturalmente nel DVD di tutto questo non si fa il minimo accenno.
  • Tra i punti a favore dell’adozione del nucleare, viene subdolamente proposto il fatto che nel mondo ci sono 450 centrali di cui oltre 150 in Europa, di cui svariate collocate entro 200 chilometri dal confine italiano, facendo del nostro paese l’unica “grande nazione industrializzata” a non ricorrere all’energia atomica. Il tacito intento è chiaramente quello di farci passare come “arretrati” rispetto al resto del mondo. Credo che citare la larghissima adozione a livello mondiale della pena di morte (che pure ci vede fermamente contrari) sia sufficiente a ribattere: il fatto che molti compiano un errore non lo rende meno sbagliato.
  • Passa sotto silenzio assoluto, in questa introduzione, il fatto che i tempi di costruzione e messa in opera delle centrali previste per l’Italia siano biblici (oltre 10 anni) e che nel frattempo tutti i problemi attualmente in essere persisteranno, soprattutto visto che sono stati tagliati gli investimenti alle altre forme (rinnovabili) di produzione di energia.

Passiamo ora al primo dei punti del “menu”: il combustibile.

  • A detta dello stesso Cecchi Paone, l’uranio destinato a fungere da combustibile per la reazione nucleare subisce una “lavorazione complessa”. Complessità tale da suggerire agli autori del dvd una descrizione che definire “sintetica” è esagerato: letteralmente si elencano i passi, “Estrazione”, “si prosegue con i processi di raffinazione”, “si ottiene la così detta Yellow Cake”, “si continua con la fase di arricchimento” per concludere dicendo che l’arricchimento è tale da non consentire un uso militare del prodotto finale. Punto, fine, “end”. Non un cenno sui costi (di lavorazione, estrazione, raffinazione, arricchimento), non sulla durata stimata delle riserve disponibili, non sulle tecnologie utilizzate per la lavorazione, la raffinazione, l’arricchimento.

Secondo punto del menu titola “i reattori“.

  • Si tratta di una rapida (rapidissima) panoramica dei principali tipi di reattori, dei quali vengono fondamentalmente citati i significati degli acronimi dai quali prendono il nome (e nemmeno tutti) senza approfondire minimamente sulle differenze tra gli uni  e gli altri, ne facendo un confronto che ne metta in luce i pro ed i contro, ne tanto meno (prevedibilmente) alcun cenno viene fatto sui potenziali rischi che li caratterizzano, in particolar modo gli EPR, proprio quelli che vedremo costruire in Italia. Neppure nell’accenno alle “precedenti generazioni” vien spiegato cosa è cambiato dall’una all’altra: perché scegliamo gli EPR? Perché questa generazione? In cosa differisce da quella precedente e quali aspettative possiamo porre sulle generazioni future?

Arriva poi la questione più spinosa: “i rifiuti“.

  • Già il fatto che si eviti accuratamente il più largamente usato termine “scorie” la dice lunga su come l’argomento viene trattato. Cominciando dai dati quantitativi, piuttosto fumosi, viene detto che il 90% dei rifiuti sono costituiti da materiale a “bassa attività”, il cui decadimento sotto i livelli della radiazione naturale impiegherebbe circa 20-30 anni; sommato ai rifiuti a “media attività” (decadimento in 300 anni), ammonterebbero a circa 80 m3 annui, “il 30% in meno rispetto alle centrali della precedente generazione”. A questi andrebbero poi aggiunti 9-15 m3 annui di rifiuti “ad alta attività” il cui decadimento si assesterebbe intorno al migliaio d’anni.
  • Assumendo che i dati siano corretti (cosa che sembra non essere confermata da WikiPedia, che parla di scorie con decadimenti compresi tra 300 ed un milione di anni), ed ignorando il fatto che il 90% ipotizzato per i rifiuti a “bassa attività” cozza un pochino con i 15 m3 annui dichiarati per le scorie ad “alta attività”, proviamo a fare due rapidi calcoli: 80+15=95  m3 annui totali di rifiuti. Considerando una durata di vita stimata in 60 anni per centrale (come spiegato nel DVD, anche se WikiPedia stima la durata media di una centrale in 25-30 anni), avremmo 5700 m3 annui scorie per ogni centrale nucleare da smaltire, che per rendere un’idea quantitativa costituiscono un cubo alto largo e lungo poco meno di 17 metri (un palazzo di 5 piani), di cui una certa parte dovrebbero essere collocate al sicuro per “un milione di anni”, un paragone che forse da un’idea migliore dei “cinque chicchi di riso per italiano all’anno” proposti dal DVD. Silenzio completo anche sul fatto che queste scorie debbano essere “diluite” in volumi spaziali molto più importanti di quelli delle scorie stesse, a causa dell’intenso calore dovuto al decadimento radioattivo.
  • Manca completamente nel dvd, inoltre, il valore del rapporto tra la quantità di combustibile immesso e la quantità di rifiuti prodotti: sappiamo (da altre fonti) che le centrali nucleari hanno un rendimento termico piuttosto basso, essendo in grado di produrre energia elettrica solamente dal 30 al 35% dell’energia termina sprigionata dalla reazione.
  • Si parla poi di “riprocessamento” delle scorie “ad alta attività”, senza ovviamente accennare al fatto che questa è un’operazione “a rischio di proliferazione nucleare”, e senza indicare quantità e vantaggi quantitativi ed economici del processo.
  • Non sarebbe il caso, visti i volumi in ballo, il tempo di decadimento e la pericolosità di queste scorie, di ragionare sul “dove metterle” prima di cominciare a produrle? Proprio non siamo in grado di trarre nessuna lezione dai rifiuti urbani che invadono le strade di mezza Italia? Attualmente la gestione delle scorie è un problema anche per gli altri paesi mondiali che adottano il nucleare (considerando una produzione annuale di 200.000 m3 di scorie a “bassa e media attività” e oltre 10.000 m3 di scorie ad “altà attività”, non stupisce): lo stoccaggio “a lungo termine” andrebbe idealmente effettuato in depositi geologici attualmente inesistenti; solo la Finlandia ha effettivamente iniziato la costruzione di un deposito (come ammette il DVD), tutti gli altri stati, comprese le “grandi nazioni industrializzate” stanno ancora “studiando siti idonei”.

Ultimo punto trattato è quello sulla “sicurezza“.

  • Curioso (ma forse non troppo?) il fatto che si dedichi l’ultimo posto alla questione che per molti italiani è la più spinosa e controversa. Il fatto che la questione venga trattata in circa 2 minuti porta purtroppo a diradare definitivamente i dubbi in proposito. Sostanzialmente il DVD dice che la sicurezza è al primo posto in tutta la progettazione della centrale nucleare ed oltre a “procedure standardizzate e controlli continui” (che ha lo stesso valore del “in Italia si effettuano continui e circostanziati controlli contro la guida in stato di ebrezza”) i reattori delle centrali sono protetti da “due pareti spesse oltre un metro” (il riferimento al fatto che siano “in grado di sostenere l’impatto di un aereo di linea” la dice lunga sugli intenti con i quali il dvd è stato confezionato) e da “acciaio ad alta resistenza”. Misure di sicurezza piuttosto ridicole, se consideriamo che le forze in gioco nel malaugurato caso di una reazione incontrollata sono di gran lunga maggiori di quelle che rasero al suolo Hiroshima alla fine della seconda guerra mondiale…
  • Si fa inoltre riferimento a “sistemi di sicurezza” ridondanti ed indipendenti (nel numero di 4, nello specifico delle centrali di tipo EPR) in grado di evitare errori umani e guasti alla strumentazione. Nulla però tiene i cittadini al sicuro dai problemi “volontariamente” procurati (al fine di risparmiare) che vengono ad esempio delineati da questo articolo di Terra.it.

In conclusione vorrei quindi ribattere alla frase di Cecchi Paone che chiude il DVD, “il nucleare non è forse l’unica soluzione al problema energetico, ma certamente senza nucleare non c’è soluzione”. Trovo che questa sia una posizione di parte ed irricevibilità; il problema energetico è un problema che va risolto a livello mondiale, investendo massicciamente sulle energie rinnovabili e non sull’ennesimo sostituto del petrolio che già troppi danni ha fatto all’ambiente ed al clima. Invito tutti quanti a documentarsi maggiormente sul tema, leggendo ad esempio le pagine di WikiPedia dedicate all’energia ed alle centrali nucleari, alle scorie radioattive e via dicendo. Solo un’informazione completa, a 360 gradi ed un dibattito ragionato porteranno alla scelta della soluzione migliore…