Guardiamoci in faccia e contiamoci

MIKELECSS via Flickr

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E’ ormai un po’ di tempo che mi dedico all’attivismo legato al Software Libero. Ne ho fatte un po’ di cotte e di crude ma sono “sul fronte” ormai da 6-7 anni e ho visto il panorama cambiare con il tempo. Qualche giorno fa, scambiando due chiacchiere con un amico, mi sono trovato a confrontare come questa evoluzione abbia influito sul movimento stesso, sulla sua composizione, sulle sue potenzialità ed ho sentito il bisogno di buttare giù quattro parole, nella speranza che possano magari servire come spunto, come punto di partenza per una discussione più articolata che porti, perché no, perlomeno ad una presa di coscienza da parte degli attivisti (considerando che a breve si terrà la ConfSL a Bologna…)
Inutile (ma doveroso) precisare che si tratta solo e solamente di pensieri a ruota libera, frutto della mia mente malata e non imputabili a nessun altro al di fuori di me.

Per cominciare, credo sia necessario esprimere il mio punto di vista sulla strutturazione dell’attivismo del Software Libero in Italia (ma non solo in realtà): si tratta di un movimento essenzialmente legato a due tipologie di raggruppamenti, quella “tematica” e quella “geografica”.

  • I (pochi, pochissimi) gruppi “tematici” si ritrovano quasi interamente su internet, spesso via mailing-list: entità come ILS (Italian Linux Society) o l’Associazione Software Libero hanno l’obiettivo di porsi come punti di riferimento a livello nazionale, abbracciando l’intero territorio italiano, e trovandosi quindi costretti a concentrare le discussioni in un luogo “virtuale” (una o più mailing-list tematiche). Questi gruppi raccolgono al loro interno molti attivisti (quasi sempre gli stessi, per altro), anche di notevole spessore (tecnico ma non solo) e le discussioni che prendono vita in queste mailing-lists sono spesso e volentieri interessanti, argomentate, quasi “utili”.
    Il problema principale di questo genere di entità è duplice e legato alla “virtualità” intrinsecamente legata alla loro stessa natura stessa: da un lato non si “accede” se non iniziati a queste mailing-list (naturalmente non in quanto rifiutati, ma in quanto “non interessati”, “non coinvolti”), dall’altro non si riesce ad ottenere una efficace risposta operativa, da parte dei raggruppamenti “territoriali”, alle proposte/idee che vengono promosse (salvo qualche caso eccezionale), proprio in quanto i membri di questi raggruppamenti non sono “coinvolti” o “interessati” alla discussione in atto. Spesso è sucesso, inoltre, che il tentativo di “forzare” la risposta da parte dei raggruppamenti più legati alle realtà geografiche fosse da queste interpretato come una spinta autoritaria ed ha suscitato (più o meno giustificatamente) una reazione antagonista, facendo perdere ulteriore credibilità (e quindi “presa”) a queste realtà, in un ambiente che fà dell’autorevolezza il proprio motore trainante.
  • La componente “territoriale” dell’attivismo del software libero sono essenzialmente LUG (Linux User Group) et simili. Si tratta di realtà molto diverse tra loro per organizzazione e numero, ma con fini sostanzialmente identici: diffondere il software libero ed al contempo fare da punto di riferimento per gli utenti Linux delle immediate vicinanze geografiche. Per loro intrinseca natura, questi gruppi vedono una parte attiva (gli attivisti veri e propri) ed una parte meno attiva, interessata a partecipare solamente ad alcune sporadiche iniziative (magari solamente ai corsi che vengono spesso organizzati da questi gruppi); se il gruppo degli attivisti è sufficientemente ampio, è facile che la realtà in questione abbia forze a sufficienza per intraprendere propositivamente alcune iniziative a livello territoriale (contatti con gli enti locali, organizzazione di incontri ed eventi, partecipazione agli eventi nazionali che di tanto in tanto vengono organizzati). Altrimenti il gruppo resta sostanzialmente informale, poco più che un appuntamento fisso tra amici e conoscenti davanti a pizza e/o birra.

Ciò detto, la prima cosa che voglio constatare (e che mi viene confermata di anno in anno dall’esperienza sul campo= è che nonostante la sempre maggiore diffusione del software libero (e di Linux in particolar modo) tra i “non addetti ai lavori”, l’attivismo del software libero sta attraversando una crisi a dir poco profonda (in certi casi mortale): vuoi per ritrosia al ricambio generazionale, vuoi per scarso interesse da parte di coloro che si avvicinano al software libero con un concetto “utilitaristico” e non più “utopico” o “tecnico”, fatto sta che il numero degli attivisti tende a ridursi piuttosto che ad aumentare, con ovvie e spesso notevoli ripercussioni sulla capacità di agire dei gruppi stessi (indipendentemente dalla tipologia).
Si può ipotizzare che in quest’ottica vi sia una incapacità comunicativa di fondo, da parte degli attuali membri dei LUG, nel motivare ed invitare alla partecipazione attiva coloro che si avvicinano per i motivi più disparati al software libero; si potrebbe persino tirare in ballo una crisi socio-culturale e dei valori che spiegherebbe la diffusione dello stesso fenomeno anche in altri ambienti dell’attivismo, non strettamente legati al software libero.
Fatto sta che le reltà (territoriali e non) attive nel campo del software libero sono ormai in seria difficoltà e faticano a trovare forze per essere propositive ed efficaci, ma spesso anche solo per essere in grado di rispondere alla domanda di conoscenza ed informazione che il passaparola va ormai ingenerando: proprio in questi giorni mi sto scontrando con la necessità da un lato di organizzare una serie di corsi (gratuiti) sull’uso di Linux che ci sono stati chiesti e sollecitati da molti nostri “utenti”, e l’impossibilità dall’altro di individuare docenti e spazi adeguati all’erogazione di questo genere di corsi.

Un’altra considerazione è legata all’incapacità degli attivisti “di lunga data”, membri sia dei LUG che delle associazioni di respiro nazionale (gli “iniziati”, potremmo dire), di trasferire il patrimonio di idee, proposte, voglia di partecipazione e di attività dalle une alle altre. L’osmosi autorevole che dovrebbe (a mio avviso) essere il motore dell’attivismo del software libero si scontra quotidianamente con motivi spesso futili, che hanno però ricadute pesantissime sull’intero movimento; potrei portare qualche esempio pratico in questo senso ma non credo gioverebbe alla discussione.

A tutto questo si va ad aggiungere l’irrazionale ostruzionismo dei “fondamentalisti” del software libero: coloro che rifiutano a priori qualsiasi cosa non sia “libera al 100%” o abbia in qualche modo a che vedere con il mondo del denaro (aziende, sponsor…). Nonostante possa condividere la bontà di alcuni ragionamenti, trovo assolutamente irragionevole pensare di poter arrivare ad un risultato senza aver prima percorso a piccoli passi la distanza che ci separa da questo: come posso pensare di proporre a qualcuno l’installazione di Linux come sistema operativo quando mi sono sempre rifiutato di fargli provare Firefox ed OpenOffice.org sull’installazione di Windows che ha presente? O ancora più precisamente: come posso anche solo lontanamente pensare di rendere “interessante” un sistema come Linux se poi mi trovo ad impedire il funzionamento delle principali periferiche sul mercato perché impedisco (non “non installo di default”, badate) il caricamento di firmware binari?
Purtroppo il fondamentalismo è un problema con cui conviviamo da parecchio tempo (e ha già causato danni non indifferenti al movimento nel suo insieme), ma con la riduzione del numero generale di attivisti finiscono con l’incidere ancora maggiormente in percentuale. A fare da ciliegina sulla torta troviamo il fatto che questi “fondamentalisti” in genere sono anche spesso parte delle associazioni di respiro nazionale ed è li che mietono i danni maggiori, bloccando (od ostacolando) iniziative che sarebbero invece interessanti ed utili (anche qui, avrei esempi da fare ma mi limiterò a citare il Festival della Creatività…).

L’incapacità di coordinarsi tra gruppi territoriali, funzione che potrebbe essere splendidamente espletata dalle associazioni a carattere nazionale se riuscissero a fungere, autorevolmente e non autoritariamente, da “coordinamento” (prendete la parola con le pinze), è infine motivo di un ulteriore grave problema: senza arrivare alle dispute tra gruppi, quest’incapacità comunicativa porta banalmente a:

  • non condividere, promuovere o organizzare eventi: sarebbe tanto comodo poter contare sugli altri gruppi di un territorio nel cercare di organizzare eventi o iniziative, nella loro promozione…
  • moltiplicare inutilmente gli sforzi: ogni gruppo sufficientemente numeroso si trova di fronte alla necessità di preparare del materiale promozionale, informativo, formativo (testi dei corsi), ed ogni gruppo finisce con il farlo da se. Sarebbe tanto comodo poter contare sulla stessa filosofia alla base del software libero al fine di riprendere, migliorare ed adattare il materiale già realizzato dagli altri gruppi (Creative Commons questa sconosciuta), in un meccanismo virtuoso di review tra pari…
  • non avvalersi delle figure professionali che in alcuni gruppi possiamo trovare: pubblicitari, esperti di marketing, blogger e giornalisti, contatti con politici… sono tutte risorse di inestimabile valore, che se ben sfruttate potrebbero aiutare molti, moltissimi gruppi a promuovere le proprie iniziative in modo coerente ed organico.

Invece ci troviamo di fronte ad una comunità in crisi, spesso sopravvalutata da noi stessi in termini numerici ed organizzativi: alla LugConference di Roma di svariati anni fa questa questione era già stata sollevata e dibattuta; ci si era trovati d’accordo nella volontà di correre ai ripari, cercare di organizzarsi. Dopo tutti questi anni non solo la situazione non è migliorata, ma si è incancrenita al punto che oggi mette a repentaglio la sopravvivenza stessa delle realtà di cui ho detto.

I miei due centesimi… nella speranza che qualcuno mi smentisca…

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10 pensieri su “Guardiamoci in faccia e contiamoci

  1. Siv

    Alla fine la mia esperienza inter-associativa non è probabilmente adeguata per apprezzare appieno il tuo post…
    Forse, essendo pseudo-LUG universitario, come POuL abbiamo qualche problema in meno, o qualche facilitazione in più: mi viene da pensare alla disponibilità di alcuni docenti a tenere delle lezioni in ambito software libero, rispetto alla tua difficoltà nell’organizzare i corsi, e penso che questo sia più semplice in un Ateneo. Certo, rimango sempre stupito dalle proporzioni fra i 42000 e rotti studenti ed i 60 e rotti soci, di cui attivi ed impegnati in maniera più o meno costante meno di un terzo…

    Sul fondamentalismo, mi trovi totalmente d’accordo: il fondamentalismo è sempre un male, sia esso informatico sia esso di qualunque altro genere; porta purtroppo ad un remare contro la diffusione del software libero, e come conseguenza il fenomeno rimane estremamente settoriale e per geek… purtroppo alcuni lo ritengono giusto.

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  2. Giovanni

    Bella analisi di una brutta situazione.
    Per ciò che mi riguarda avrei da aggiungere note, ma non voglio tediarti pù che tanto: diciamo che oltre ai fondamentalisti c’è anche il problema degli egocentrici che debbono fare tutto loro o non va bene.

    Giovanni

    p.s.: io comunque ho tirato i remi in barca: faccio qualcosa e lo metto a disposizione dei (nulli) interessati, non riesco più ad aver voglia di darmi da fare per una realtà da cui ho preso più legnate che altro: ecco, quel che ormai manca è l’entusiasmo.

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  3. Osoloco

    Nulla di costruttivo da aggiungere a quanto scritto da Te e da Giovanni,

    quindi nulla che valga la pena aggiungere 😛

    p.s.: Giovanni và che per gli spiedi l’entusiasmo c’e’ ancora 😀

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  4. Umit

    Concordo pienamente quanto detto da Giovanni e condivido in buona parte l’analisi di Giacomo. Se devo proprio esprimere il mio parere, il problema non deriva proprio dai fondamentalisti del software libero. Posso dire per certo, come dice Giacomo nella sua analisi, che non e’ un buon metodo nel promuovere il software libero estremizzando la cosa ma non e’ qui il problema. Il problema sta nel capire il software libero, nella ragione per cui esiste il software, la cultura ed il sapere libero. La questione del software libero e’ una questione morale nonche’ di liberta’. Ma al giorno d’oggi la gente preferisce non sapere piu’ nulla di tutto cio’. Il mondo e’ diventato pieno di interessi personali, le cause ora mai sono personali. Finita’ l’era della comunita’ e della morale/cultura/etica.
    Piuttosto, io mi soffermerei sulla questione egocentrica che nasce da questi gruppi. Appena qualche gruppo riesce a sbandare le frontiere, c’e’ sempre qualcuno che vuole impossessarsene per puro scopo egoistico (protagonismo se si puo’ dire) ignorando ogni valore sociale e culturale, laddove e’ fondato il fenomeno del software libero. Il problema sta proprio qui, nella massa che sussegue in una direzione privo di fondamento. Laddove non esistono termini del tipo, condivisione, sapere, liberta’, cultura ed etica. La gente ha dimenticato il sapore di questi piatti e non ne vuole piu’ assaporare.
    Preferiscono la cosa piu’ gustosa che e’ egoismo/orgoglio/menefregismo. Preferiscono l’indifferenza. Davvero triste, ma si e’ sempre in tempo di fare qualcosa.
    Bisogna credere nella causa come lo fa Giacomo.

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  5. clark

    Giacomo,
    hai sezionato la questione e hai tirato fuori le magagne in modo assolutamente perfetto.
    Pero’ una cosa devo dirla ed e’ precisamente la seguente:
    l’analisi che tu hai fatto e alla quale giustamente Giovanni ha aggiunto l’egocentrismo di certi personaggi, non so se sia un fenomeno generale o piu’ smaccatamente lombardo, che e’ poi la realta’ che viviamo quotidianamente per altro.
    Come sai sia Io che Oso siamo da anni soci di linuxtrent e ti posso assicurare che li le cose funzionano e bene, ovvio che ci sono discussioni ma sono al 99.5% discussioni che portano a qualcosa non fini a se stesse, in Linuxtrent c’e’ della gente che si puo’ tranquillamente definire guru e che da una mano anche ai neofiti senza la minima traccia di boria, sono stati i primi in assoluto a fare il linuxday quando ancora il linuxday non esisteva, l’approccio e’ diverso c’e’ la volonta’ di fare le cose e ci si sbatte per farle col cervello.
    Se ti ricordi nel 2006 abbiamo organizzato assieme agli altri che non cito il linuxday (mia ultima presenza) e lo abbiamo fatto in modo eccellente visti i risultati, la differenza e’ giusto quella il fare le cose come si deve e il parlare e basta noi le cose le facciamo dopo aver deciso il piu’ brevemente possibile, gli altri chiaccherano e basta, logico che la gente valida si stanchi di questo ambiente e levi le ancore.
    My Two Cents
    Mario

    Rispondi
  6. Gioxx

    Voglia, tempo, entusiasmo, ritorno d’immagine o puramente economico. Sono tutti termini facilmente affibiabili alla problematica esaminata. E’ un dato di fatto, non una supposizione. Si possono organizzare corsi, essere sempre disponibili, divulgare quanto più possibile le informazioni in rete ma nonostante ciò non sarà mai abbastanza ahinoi.

    Nel “giro” da quasi 10 anni come te, di queste cose negli ultimi tempi se ne parla sempre di più. Quelli che ci rimettono di più sono proprio quelle comunità fatte da gente che dona il suo tempo libero gratuitamente per aiutare il prossimo o istruirlo su tematiche che generalmente disconosce. Se un domani quella persona per qualche motivo non meglio specificato viene a mancare, difficilmente verrà reintegrata da un altro individuo altrettanto preparato e desideroso di istruire il prossimo. Ce ne accorgiamo in Mozilla Italia, me ne sono accorto con il Lug locale, me ne accorgo tutti i giorni in altre comunità che semplicemente frequento.

    Piangersi addosso? Andare li fuori a gridare che “così non va bene“? Mettersi intorno ad un tavolo e parlarne? Cosa si risolve? Teoricamente nulla, proprio per i motivi sopra elencati, manca “la materia prima” e la storia non accenna a cambiare (o se cambia lo fa in peggio). Arrendersi all’evidenza non è chiaramente una cosa giusta, magari continuare a combattere quotidianamente con questa sottospecie di regressione lo è.

    My 2 cents.

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  7. Fred

    Pienamente daccordo con te, anzi ringrazio Clark e oso che mi hanno mandato il link a questo tuo blog che non conoscevo.
    Anzi visto che ci sono mi permetto di rincarare la dose con un esempio pratico.
    Tra le mie passioni, quasi perversioni, oltre a SL c’e’ anchela radio, e ho sempre cercato di fare passare su questo mezzo i principi del SL perche’ e’ mezzo che arriva alla gente comune.
    Da questa mia esperienza e’ nata l’idea di fare un concorso giornalistico con il mio LUG l’anno scorso vuoi per il fatto che la CONFSL si e’ svolta a Trento siamo riusciti di persona a contattare persone che ci hanno poi segnalato articoli da far partecipare al concorso e durante il LinuxDay 2008 abbiamo assegnato il primo premio.
    Siamo partiti con la pubblicita’ e i vari annunci per la seconda edizione del concorso sono usciti remind su punto informatico e segnalato i tutti i posti in rete dove era possibile farlo, risultato…… in NULLA.
    Il concorso e’ nato sull’idea di base che noi siamo tecnici e parliamo da tecnici, spesso siamo incomprensibili per la gente i giornalisti sono l’iterfaccia ( e noi di interfacce ne sappiamo qualcosa) tra noi tecnici e la gente.
    Il SL e’ fatto dai tecnici per la gente, ma se non impariamo ad arrivare alla gente meglio piantare asparagi almeno ci si puo’ fare un risotto.

    Rispondi
  8. Ciclicamente

    Trovo interessante questo dibattito, ma mi permetterò di rispondere brevemente su un argomento un po’ tangenziale…

    Personalmente ho avuto il problema di spostarmi molto, quindi di trovarmi in continuazione sradicato e faticare a tenere il contatto coi LUG… D’altra parte, pero`, devo dire che nel mio LUG di partenza, il Gulp (http://www.gulp.linux.it/ ), il ricambio generazionale c’e` stato eccome! Forse anche perché fin dall’inizio abbiamo preso come prassi il fatto di cambiare ogni anno il presidente… Certo questo costringe a parecchi rischi (per far un esempio, un anno è stato incaricato un neo-diciottenne per scrivere un comunicato stampa… ha fatto come avrebbe fatto su Wikipedia, ha scritto la prima cosa che gli è venuta in mente e lo ha diramato!) ma costringe a confrontarsi in continuazione con l’evoluzione del movimento stesso.
    Questo “forzato” ricambio continuo penso possa essere una ragione per la quale anche lo “pseudo-LUG universitario” di Siv soffre meno di altri.
    Anche arrivando a Torino, ho visto che i giovani (ho visto come è stato organizzato il Linux Day) sono tantissimi. Perché questi imparino a prendersi e a gestire responsabilità, è necessario che delle responsabilità vengano loro affidate.
    Pur con tutto l’individualismo che la pubblicità (e un certo tipo di società… di cui siamo concausa!) induce nelle nuove generazioni, il naturale impulso alla socialità cova in ognuno. Non arrendiamoci e cerchiamo il modo di stimolarlo!

    Rispondi
  9. exedre

    Giacomo,
    interessante considerazione ma io non credo vedo alcune delle condizioni che poni in ipotesi e le conseguenze mi appaiono differenti.

    La mia sensazione è che tu stesso ti ponga all’interno di una ottica limitata (che peraltro guardi con un certo sospetto) e poi ne fai una lettura critica, sostanzialmente corretta ma a quel punto parziale.

    Se noi ci limitiamo a considerare l’attivismo nel campo del software libero solo quello che mira a promuovere un modello comunitario, non commerciale, e ‘non business’ attraverso azioni di advocacy ‘evangelica’, allora probabilmente le tue considerazioni sono complessivamente corrette: minore attivismo, maggiore incidenza del ‘fondamentalismo’ come lo chiami, poca attenzione agli aspetti territoriali e poco supporto dei ‘vecchi leader’, quasi nessuna continuità.

    Ma così trascuri un importantissimo fattore: che fine hanno fatto i vecchi leader? E non solo loro. Dove vanno ad incidere anche le nuove generazioni di appassionati? Nelle ‘vecchie’ associazioni tematiche? Nei LUG? Dove?

    In realtà ci sono due fattori sostanziali che hanno modificato il quadro:

    1. L’open source è oggi percepito come mainstream, quindi le attività di advocacy risultano quasi inutili. Quindici anni fare advocacy di GNU tra i programmatori italiani aveva un senso, dieci anni fa farlo verso i sistemisti, ancora. Anche solo cinque anni fa, farlo per Linux verso i manager delle aziende pure. Ma oggi? È veramente utile oggi fare advocacy oggi non ha veramente senso. Forrester, Gartner, IDC fanno più advocacy di quanto tutti gli appassionati italiani mai possano pensare di fare assieme. E lo fanno nel modo che conta. L’OS è nel main-stream adesso, combatte ad armi sostanzialmente pari, al punto che sono certi grandi produttori a doverlo rincorrere oggi, a dover adattare i propri modelli a quelli più solidi dell’OS.

    2. Quando nel ’94 la mia società vendeva un software realizzato da noi con licenza GPL (attenzione, so quello che dico: vendeva+GPL) era senza dubbio prematuro ed era da pazzi pensare che ci fosse una sostenibilità economica allora (ma quello per questo si è giovani o no?). Ma oggi l’idea di entrare nel mercato in uno qualsiasi dei segmenti che coinvolgono l’open source (cioè da Funambol a Sourcesense, da Trulite a Develer) non solo è possibile ma è addirittura obbligatorio se vuoi veramente ‘combattere’ per queste idee. Continuare a ‘dare lezioni’ senza scendere nel fango e sporcarsi le mani finisce per essere… annoying.

    Tu di questo non parli eppure proprio oggi, ne sono appena reduce, abbiamo vissuto una splendida esperienza di una comunità tutt’altro che virtuale a Better Software, e da domani si replica con Alex Martelli e Guido Van Rossum a Pycon3. Tematica ma tutt’altro che virtuale. E pi ci sarà phpDay, l’evento di Bormio, la ConfSL. Eccoli dove sono i “vecchi leader”, ma pure quelli nuovi. Loro il cuore oltre l’ostacolo ce lo stanno buttando e molto pure.

    Forse a questo punto dovremo farci quindi due domande: a) ma allora l’advocacy e il modello tematico-territoriale, vale ancora qualcosa, con tutte le sue limitazioni? e b) se c’è tutto questo lavoro sul campo perchè non si “vede” quasi nulla? Non incide?

    IMVHO di a) c’è ancora bisogno e anzi dovremo incentivarlo ($) ma non più in funzione di generica promozione, quanto piuttosto come modello di riferimento, punto di interpretazione rilevante e, quel che mi piace di più del modello-assoli, organizzazione di tutela, assicurazione legale e rispetto delle leggi, specie adesso che le leggi ‘pro’-software libero ci sono (la legge Stanca) e molti neppure lo sanno.

    Quanto a b) c’è a mio avviso una vera profonda lacuna. Non è che il lavoro che si fa, e si fa, non incida. Se le società rimangono sul mercato ormai da cinque-dieci anni, vuol dire che il lavoro si fa e bene. Il problema è che da quelle esperienze non si riesce a fare leverage ancora. La lacuna che c’è è profonda perchà non riguarda il software libero. È strutturale, riguarda l’intero ambito delle professionalità ‘hard’ dell’informatica: programmatori e sistemisti. L’esistenza di una così grande semplicità di comunicare per ciascuno di noi ha reso così tanto frammentata la comunicazione che non esiste più rappresentazione della nostra professione e di conseguenza non riesce ad emergere un nostro specifico modello professionale (che non sia quello della proposizione commerciale delle grandi aziende). La mancanza di questo riferimento inficia a mio avviso anche il buon lavoro che molti stanno facendo, perchè rischia di non essere adeguatamente rappresentato.

    Ma qualche ‘vecchio’ sta pensando anche a questo.

    Non vado oltre su questo tema per adesso…ma…bhé guardatevi attorno 🙂

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