Che il mondo dei mass media italiani abbia bisogno di una radicale riforma, non lo scopriamo certo oggi. Appiattimento dei palinsesti televisivi, giornali di discutibile qualità che stanno in piedi solo grazie alle sovvenzioni pubbliche all’editoria, giornalisti incompetenti ed arroganti un po’ ovunque, interi imperi mediatico-pubblicitari in mano ad aziende private: insomma una vera catastrofe.
Un’idea su come correre ai ripari, l’ha proposta ieri dal suo blog Antonio Di Pietro (che io non posso in alcun modo vedere in italiano, sic), articolandola su quattro punti (dopo che questi stessi punti si trovano in realtà da tempo all’interno del programma dell’Italia dei Valori):
- Una sola televisione pubblica, senza pubblicità
- Limitazione della proprietà per i concessionari privati ad una Rete
- Eliminazione dei finanziamenti pubblici all’editoria
Si tratta sicuramente di misure molto drastiche, che condivido per altro solo in parte.
Innanzi tutto, mi lascia perplesso di una singola televisione pubblica: se il livello fosse quello di Rai1, otterremmo uno splendido fallimento della Rai (per quanto mi riguarda…) ed un incremento dello share pari a zero. Non capisco la necessità di ridurre il numero delle reti pubbliche, che si differenziano piuttosto bene tematicamente (almeno su Rai Tre, di tanto in tanto, qualcosa di interessante lo si trova!).
Completamente d’accordo invece sulla questione della pubblicità: meglio il denaro pubblico che lo scempio che si sta facendo con la pubblicità sulle reti pubbliche. Magari non tutte, ma almeno una delle reti dovrebbe essere una rete di informazione: telegiornali ogni 2, 3 ore, tramissioni di approfondimento nel mezzo, condotta seriamente e senza pubblicità di alcun genere. Prima di reintrodurre il canone, però, aspetterei di vedere i risultati della riforma: convincere gli italiani a pagare volentieri, visto l’attuale livello medio della televisione, lo vedo alquanto difficile…
Mi trovo d’accordo con Di Pietro anche sulle concessioni ai privati: la televisione è un mezzo mediatico estremamente verticale, in grado di manipolare pesantemente l’opinione pubblica, e per tanto da tenere fortemente sotto controllo nella sfera pubblica, figuriamoci in quella privata. Limitare ad una singola rete le concessioni dei privati, non farà del male a nessuno, fatta eccezione per Silvio Berlusconi, che sarà costretto a cedere due delle sue reti: d’altra parte che che ne dica il Cavaliere, la legge italiana non deve essere fatta a suo uso e consumo, quindi soprassederemo al suo disappunto ed agli strepiti di “cavaliericidio”. La cosa importante però, in questo scenario, sarebbe controllare che l’indipendenza delle reti sia reale, e non che queste siano semplicemente consegnate a qualche tirapiedi o prestanome di turno…
Carina l’idea di eliminare i finanziamenti pubblici all’editoria, ma l’onorevole Di Pietro dimentica che in mancanza di finanziamenti pubblici, il potere della pubblicità sui giornalisti diventerebbe ancora maggiore, pregiudicandone definitivamente la già scarsa obiettività. Siamo sicuri che sia un bene? E’ necessario promuovere anche su questo fronte la meritocrazia (attenzione, non l’imposizione di argomentazioni gradite al governo!), ed è assolutamente fondamentale trovare un meccanismo che la metta in luce (e non solo in questo settore).
In sé, in ogni caso, i tre punti proposti da Di Pietro segnano quantomeno un aumento dell’interesse sull’aspetto dell’indipendenza dei media (che in parte si rigollega a quel conflitto d’interessi che da tanto tempo si dice di voler risolvere), e questa è una nota positiva. Il programma nel quale si inseriscono (almeno così come viene riassunto per punti sul sito dell’Italia dei Valori) mi sembra un po’ demagogico ma accettabile: mi piacerebbe sapere come intendono realizzare alcune delle voci esemplificative degli 11 punti di programma…