Rieccoci a parlare di Belgio, di governi, di re e di litigi. Dopo 6 mesi di tentativi di formazione di un governo falliti per varie ragioni, dopo aver incaricato 2 volte Yves Leterme di tentare di formarlo, il Re del Belgio ha deciso che se la strada nuova proprio non va, meglio tentare con quella vecchia.
E cosi il premier “uscente” Guy Verhofstadt è stato incaricato di formare un governo ad interim, in pratica dando una forma definitiva e legislativamente accettabile alla reggenza del governo precedente. Uno degli incarichi del nuovo governo Verhofstadt sarebbe anche quello di abbozzare le riforme necessarie a dare maggiori poteri alle regioni, vero nucleo caldo della politica belga sul quale nessuno dei partiti coinvolti nelle trattative condotte da Leterme erano riusciti ad accordarsi, portando il paese ,in questa fase di stallo, molto vicino alla scissione tra le regioni fiamminghe e valloni, dopo 177 anni di unitaria indipendenza.
La concessione di poteri maggiori alle regioni (il Belgio ha una forma statale di tipo federato) è un nodo cruciale soprattutto per le regioni del nord, quelle fiamminghe, che forti della loro maggior ricchezza e dei loro 6 milioni di abitanti (su 10,4 che ne può vantare il Belgio nella sua totalità), vorrebbero avere potere di controllo del mercato del lavoro e sull’imposizione fiscale, ad oggi prerogative del governo centrale federale. Le regioni della Vallonia naturalmente, meno popolose e con un tasso globale di disoccupazione doppio rispetto a quello delle regioni più agiate, temono che una riforma del genere potrebbe danneggiarle economicamente.
Forse proprio la formazione di un governo di coalizione ampia auspicato dal Re con la nomina di Verhofstadt, che potrebbe portare nel governo i partiti dei socialisti e dei verdi, potrebbero consentire di non trasformare il governo federale in un guscio vuoto spolpato dall’interno pur arrivando ad una mediazione efficace del problema.